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La memoria e la storia locale 1. Le tradizioni memorialistiche

1.3 Storie di popoli

L‘attenzione per la storia cittadina non accenna, dunque, a scemare lungo l‘età moderna e anzi è destinata ad acquisire una valenza semantica diversa nel corso del XIX secolo, a seguito della formazione delle amministrazioni municipali, decretate negli anni del Decennio francese. Ma già a partire dalla prima metà del Seicento, emerge negli eruditi abruzzesi l‘esigenza di estendere la propria ricerca al di là delle mura urbane, perseguendo una visione d‘insieme che consenta di collocare il passato della propria città in un quadro storico-geografico più ampio. Accanto alle tradizionali storie di città fanno, quindi, a poco a poco il loro ingresso in questo filone della memorialistica altre tipologie di scrittura, in

primis quelle che abbiamo definito ―storie di popoli‖235. Protagoniste di questi testi sono, infatti, le genti italiche, che vissero nella regione sin dall‘età preromana236. Esse tornano ad imporsi all‘attenzione degli eruditi locali, i quali identificano in quella storia l‘immagine originaria cui fare riferimento nella costruzione della memoria collettiva. Le élites cittadine

234 A. A. RUBINI, Descrittione della Terra d‟Opi, a cura di G. TARQUINIO e N. NOTARANTONIO, Vitaura di Aureli e Vitale s.n.c., Pescasseroli 2002, p. 15.

235 Questo interesse aveva già avuto le sue prime manifestazioni nel corso del Cinquecento, con la riscoperta umanistica dell‘antico, e il nome di un aquilano in particolare, Mariangelo Accursio, si era sopraelevato rispetto al panorama regionale, riscuotendo apprezzamenti nei poli culturali della penisola. Tuttavia è a partire dalla prima metà inoltrata del Seicento, in virtù del rinnovamento metodologico cui si stava assistendo, che questa ricerca assumeva connotati nuovi, divenendo più approfondita ed elaborata. In merito si veda A. PASQUALINI, Gli studi epigrafici in Abruzzo e il contributo di A.L. Antinori, in Antinoriana.

Studi per il bicentenario della morte di Antonio Ludovico Antinori, DASP, I, L‘Aquila 1978, pp. 71-125. Le

carte dell‘Accursio sono oggi conservate nel fondo manoscritto della Biblioteca Ambrosiana a Milano (Iscrizioni latine e greche, disegni e osservazioni epigrafiche raccolte da Mariangelo Accursi nel territorio

de L‟Aquila: D 420 inf, cc. 266r-295v).

conoscono a fondo queste tradizioni e si dichiarano eredi di quel passato glorioso, che può solo inorgoglire la propria comunità.

Le spiegazioni leggendarie sulla fondazione delle città tendono a rivestire, in questi testi, un ruolo ridimensionato e ne occupano i paragrafi introduttivi solo in virtù della loro funzione elogiativa e per testimoniare la continuità tematica con le opere delle epoche precedenti. I loci storico-letterari, in cui gli autori della latinità avevano fotografato l‘immagine valorosa dei Marrucini, dei Peligni, dei Pretuzi, dei Vestini, dei Marsi, dei Frentani e degli altri popoli italici, non erano passati nell‘indifferenza agli occhi di coloro che, nel risveglio umanistico degli interessi per la cultura classica, avevano ispezionato minuziosamente la produzione storico-geografica degli auctores latini. Quegli stessi passi continuano a costituire il filo rosso che ancora avrebbe attraversato e sorretto la maglia narrativa di gran parte della memorialistica moderna, sia nella produzione locale delle numerose città abruzzesi e altrettanto nelle historie generali del Regno di Napoli.

Tuttavia, a partire dai primi decenni del Seicento, gli eruditi cominciano a valorizzare una rinnovata gamma di fonti, costituita dalle ―tracce‖ del passato che sono state custodite nelle chiese e nei palazzi cittadini o che ancora riaffiorano nelle prossimità dei centri abitati. Sicuramente «il concetto di storia e di storiografia [...] era ancora assai lontano dall‘essere definito con chiarezza di metodo»237, ma l‘operato di questi eruditi risulta essenziale perché ha permesso di conoscere un corpus epigrafico notevole, in parte oggi ritenuto perduto. I contributi più significativi sono individuabili all‘avvio della seconda metà del XVII secolo. In queste opere, la lettura dei testi epigrafici rinvenuti proietta lo sguardo dello storico verso il territorio adiacente, oltre che sulla propria città, e la rappresentazione prende forma attraverso la descrizione di luoghi antichi e moderni, di città distrutte, sepolte e riportate alla luce e di piccole e grandi comunità ancora esistenti, tratteggiate nella loro evoluzione tra passato e presente, che conservano ancora nella toponimia le tracce della storia italica.

L‘immagine che, con poche varianti, giunge fino a noi dalla lezione di Plinio, Livio, Cicerone, Silio Italico e di quanti per primi la descrissero è caratterizzata in primo luogo dal valore e dalla forza che avevano contraddistinto questi popoli, specialmente nel confronto con Roma. La Guerra sociale rappresenta un evento di grande solennità in queste terre, tanto più considerando che l‘antica Corfinio, «Metropoli della Provincia Peligna», fu eletta «come propugnacolo dell‘Italia tutta, e dei popoli italiani commune patria, onde la chiamarono Italica»238. Ciò amplifica il significato del conflitto e il valore del popolo peligno e degli altri popoli italici fedeli all‘impegno comune, e gli storici abruzzesi non si sottraggono al compito di sottolinearne l‘importanza per quel momento storico e per i posteri che vi guardano con rispetto e solennità: «Tra li popoli gloriosi d‘Italia molto celebri furono li Peligni, non tanto per la bellezza del sito […], quanto per le nobili, et

237 M. BUONOCORE, Un‟inedita copia con note manoscritte dell‟opera «Historiae Marsorum libri tres» di

Muzio Febonio, in ID., Tra i codici epigrafici della Biblioteca Apostolica Vaticana, F.lli Lega, Faenza 2004,

pp. 210-223, in particolare p. 210.

antiche loro città, e molto più per il valore di tanti Heroi che fecero di loro medesimi risonare la fama, non meno sullo studio strepitoso dell‘armi, che nell‘otioso combattimento delle lettere». Con queste parole il nobile sulmonese Emilio De Matteis avvia le sue

Memorie storiche delineando il profilo virtuoso dei Peligni, prefigurazione evidente di quel

ricco ventaglio di mirabili esempi che la città sulmonese avrebbe continuato a mostrare in età medievale e fino agli anni coevi all‘autore.

Di certo la memorialistica del XVII secolo non ha ancora maturato un proprio «statuto, codici disciplinari definiti»239, ma il contributo offerto da questi eruditi contribuirà a fissare le basi per la scrittura storica delle successive generazioni.

Attraverso le storie di popoli questi eruditi, per primi, pongono al centro della propria ricerca la storia ecclesiastica. Tra Medioevo ed età moderna le metropoli dei popoli italici sono divenute in molti casi sedi diocesane; le vicende di quelle popolazioni vengono recuperate come supporto e conferma della storia coeva. Le antiche ripartizioni del territorio abruzzese, tra Regio IV e Regio V, prefigurano in buona parte l‘assetto delle diocesi nel corso dell‘età moderna, per cui ciascuna cattedrale ritrova la sua legittimità nella storia delle antiche metropoli. Le variazioni subentrate nei primi secoli dell‘Antico Regime sarebbero state presto difese dagli storici locali e legittimate in virtù di quel lontano passato. Lanciano, contrappostasi a lungo alla vicina Chieti, era stata eletta diocesi nel 1515 da Leone X e promossa ad arcidiocesi nel 1562 da Pio IV. Il conseguimento dell‘autonomia giurisdizionale da parte della cattedrale lancianese trovava, agli occhi di Fella, la sua legittimazione nella vetustas della storia di quei Frentani che un tempo avevano collocato nell‘antica Anxanum la propria sede; analogamente questa tesi sarebbe stata riproposta, nel corso del XVIII secolo, da tre prelati legati alla città di Lanciano, Pollidori, Antinori e Romanelli.

E sono in prevalenza uomini appartenenti al mondo ecclesiastico, tra Sei e Settecento, a scrivere le storie di città e di popoli. Vescovi, abati - solo in qualche caso sacerdoti -, promossi alla guida di un territorio non sempre corrispondente alla propria terra d‘origine, continuano a coltivare studi di carattere storico-erudito sulla città nativa, o di quella che sono chiamati a presiedere, e si impegnano a tracciarne una descrizione che tenga conto della storia civile e soprattutto di quella ecclesiastica locale. Dietro questo lavoro di recupero e costruzione dell‘identità collettiva, emergono spesso, accanto alla passione per la ricerca, la volontà dell‘autore di supportare la propria affermazione personale o di omaggiare personalità influenti presso le quali si cerca protezione o da cui sono stati già ottenuti dei favori.

Un‘altra figura ricorrente tra gli autori delle storie di popoli è quella del letterato proveniente dal mondo delle professioni. Magistrati o avvocati, i forensi rappresentano gli astri emergenti della società moderna, dal momento che costituiscono il solo ceto che «riesca ad acquistare rilievo effettivo nei riguardi del baronaggio e a svolgere al servizio

del re un ruolo politico di primaria importanza»240. Nel concreto buona parte degli uomini reclutati dal potere centrale per confluire nelle magistrature e ai vertici della struttura statale è composta dagli esponenti delle famiglie più influenti del Mezzogiorno che consentono allo Stato di coordinare la vita amministrativa delle aree periferiche e ai nuovi forensi di avanzare nella loro ascesa sociale. Ne è un esempio il già citato Emilio De Matteis, nobile sulmonese, archivista pubblico, avvocato per la Real Camera della Summaria e luogotenente del Grande Ammiraglio per le Province d‘Abruzzo, nonché nipote del giureconsulto Fabrizio De Matteis.

Nel secolo successivo nuovi protagonisti della scena culturale della regione e del Regno si accostano allo studio delle origini italiche delle comunità abruzzesi grazie al nuovo approccio critico che interessa gli studi antiquari ed epigrafici. In aperto confronto con le scelte metodologiche adottate nel resto della penisola, questi eruditi verranno riconosciuti come precursori della storiografia tardosettecentesca.