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Gli studi di storia a Chieti tra antico, sacro e presente

Nella lettera del 19 aprile 1640 Camarra confidava a Ughelli di aver raccolto una mole notevole di notizie e documenti relativi alla storia sacra della propria città; nello specifico egli affermava di essere alle prese con due opere, l‘Historia di S. Giustino Vescovo653 e il

De Comitibus Theatinis654, in merito alle quali chiedeva al cistercense ulteriori notizie «perché per la prima ho raccolte molte cose per non esser a‘ tempi nostri pervenuta notizia veruna degli Atti suoi, e così di questo Santo come de‘ Conti di Chieti, può facilmente essere a Lei capitata qualche notizia nel rivoltar i volumi che Le saranno stati necessarii per la bellissima opera sua». Dal voluminoso corpus di «cose sagre, appartenenti a questa città ed all‘Abruzzo» sarebbe nata, a distanza di anni, un‘opera interamente dedicata alla storia sacra della città. Infatti, nel ‘51, Camarra inseriva in appendice al De Teate antiquo, l‘indice di quello che chiamava il Teate Sacrum655, segno evidente che l‘opera era stata già redatta e sistemata; tuttavia, anche se gli eruditi successivi avrebbero seguitato a parlarne, ad oggi non vi è traccia del codice. Nella stessa lettera Camarra riferiva all‘abate di aver quasi completato il catalogo dei vescovi ed arcivescovi della cattedrale teatina e invitava Ughelli a confrontarlo con la propria serie, per compensare le lacune reciproche. Il cistercense aveva infatti ricevuto, già un anno prima, una copia della Series Episcoporum da Girolamo Nicolino, il primo tra gli storici di Chieti con cui avesse allacciato i rapporti. Tra i due intercorse una duratura corrispondenza, nel corso della quale reciproci furono gli scambi e le indicazioni. Soltanto dopo un decennio, nella cerchia degli eruditi teatini vicini all‘Ughelli, si fece largo Niccolò Toppi, eterno antagonista dell‘avvocato regio. Completati gli studi, egli si poté, finalmente, dedicare appieno ai suoi interessi eruditi, e il 6 aprile del 1647 contattò il bibliotecario barberiniano, offrendo la sua completa disponibilità per il recapito di notizie e fonti sulla propria diocesi, al fine di rettificare quanto comunicato da chi lo aveva preceduto. Nelle lettere successive si sarebbe mostrato più esplicito, fino ad affermare:

«So che il mio P. Abate et Pa.ne si per fare cosa degna d‘un suo pari, restituirà l‘honore dovuto alla S. di Sinibaldo Baroncini; come anco a quella di Lucio Camarra che sim.te havrà di pubblicare le cose sacre di Chieti, come pure per far grazia a me che sto ponendo in ordine la Topografia di tutta l‘Abruzzo citra et ultra e del Sannio antico, [...]».

La serie che Nicolino aveva inviato a Ughelli e che aveva pubblicato in appendice alla propria Historia della Città di Chieti, sarebbe stata, dunque, opera di Sinibaldo Baroncini,

653 La cui copia con tutta probabilità è quella inserita tra il primo e il secondo libro delle Notizie storiche di Del Giudice, autore di cui si riferirà nel prossimo paragrafo.

654 Il titolo di Conte della città spettava ai vescovi teatini dell‘undicesimo secolo.

655 Si veda G. PANSA, Catalogo descrittivo e analitico dei manoscritti riflettenti la storia d‟Abruzzo, in BDASP, XLVII-L, 1957-1960, p. 110 n. 249.

segretario dell‘arcivescovo Samminiato (1592-1607)656. Nella sua impegnata opera di rinnovamento della Chiesa teatina, il vescovo lucchese aveva infatti commissionato al canonico la ricostruzione della cronotassi dei vescovi e arcivescovi di Chieti, assieme alle memorie cittadine, da cui anche Camarra aveva attinto buona parte delle sue informazioni sui monumenti e sulle iscrizioni dell‘antica Teate. Alla data in cui si rendeva esplicita l‘accusa di Toppi (25 maggio 1658), Camarra era già scomparso, ma anch‘egli aveva espresso in passato evidenti riserve sull‘operato di Nicolino, confidandosi a Ughelli in questi termini: «Io mi sento mortificato a scriver di quest‘huomo. Piaccia al Signor ch‘egli acquisti quel lume che desidera, per consolation commune»657. Diffusa era, dunque, in questi anni la notizia del plagio. Tuttavia Ughelli evitò di entrare personalmente nella polemica e si limitò a rettificare la paternità della cronotassi teatina nell‘edizione del tomo VI dell‘Italia Sacra: «Ex veteribus membranis Teatini tabularii concinnavit [sottinteso: la cronotassi] vir antiquarum rerum peritissimus Sinibaldus Baroncinus Ariminensis,

Canonicus Teatinus, quam nuper è [sic] latino in vulgarem sermonem translatam sibi astruere conatus est vir bonus Hieronymus Nicolinus in sua Teatinae civitatis Historia»658. Eppure, confrontando le due cronotassi, è stato possibile verificare che esse presentano molteplici discordanze, dalle quali risulta evidente che, seppure Nicolino avesse tratto spunto dall‘opera di Baroncini, come probabilmente fece per quanto riguarda la ricostruzione delle vicende storiche della città, egli svolse comunque una individuale ricerca sui singoli pastori succedutisi alla guida della diocesi teatina659.

Ciò nonostante, la denuncia di Toppi non rimase sottaciuta nella corrispondenza privata con Ughelli, e fu, invece, resa nota al pubblico più ampio, attraverso la pubblicazione di una lettera intitolata Punture Pietose660 che Ravizza, quasi due secoli più tardi, non avrebbe definito «piena di frizzi indecenti e puerili»661. Toppi esprimeva apertamente le

656 Questi attuò i propositi della Riforma Cattolica, svolgendo un‘intensa opera pastorale e dedicandosi ad un‘incessante attività di rinnovamento spirituale e materiale della Chiesa teatina. Accolse con entusiasmo nuovi ordini religiosi in città, favorì la costruzione di nuove chiese, e soprattutto s‘impegnò nella più importante ristrutturazione della cattedrale di San Giustino, che arricchì di una sala per i canonici e di un prezioso fonte battesimale in porfido di Verona.

657 Chieti, 19 aprile 1640.

658 F. UGHELLI, Italia Sacra, VI, cit., col 672. È da notare che l‘Ughelli è l‘unico ad affermare che Baroncini fu originario di Rimini e non di Camerino, come sostenuto da tutti gli altri storici coevi e posteriori.

659 M. SPADACCINI, Cronotassi episcopale teatina tra tardo antico ed alto medioevo, tesi di laurea, Università degli Studi ―G. D‘Annunzio‖, Facoltà di Lettere e Filosofia, Chieti, relatore L. Pellegrini, a. a. 2005/2006, pp. 13-26.

660 Punture Pietose. Censura del Sign. Tefilago Pasinfoco, scritto per ravvenimento del dottor Girolamo

Nicolino su l‟Historia della città di Chieti, coll‟aggiunta: Il Nicolino difeso da Ippolito Coni, Roma [Napoli]

1657. La replica alle accuse di Toppi sopraggiunse a distanza di pochi mesi con Le sferzate amorose del

Dottor Nicolino al signor Niccolò Toppi, 4 aprile 1658. Tuttavia l‘avvocato decise di non pubblicare il testo,

poiché rischiava di mettere in cattiva luce altre personalità del tempo, che aveva nominato all‘interno della lettera. Toppi, da parte sua, omise il nome di Nicolino nella sua Biblioteca. Si comportò diversamente Giuseppe Toppi, cugino di Niccolò, che dedicò all‘avvocato un‘ode intitolata Epitafio al Dottor Girolamo

Nicolini, la cui penna ha dato fuori molte opere nella sua raccolta poetica Furti virtuosi al tempo (1683).

Conservato nella Biblioteca Nazionale di Napoli, il testo autografo delle Sferzate amorose è stato pubblicato in G. MORELLI, Lettere inedite di storici abruzzesi a Ferdinando Ughelli, cit., pp. 30-43.

sue accuse dalla lontana Napoli, in cui si era definitivamente trasferito nel ‘47, per tutelarsi e prendere le dovute distanze da quel clima burrascoso che si percepiva, ormai da anni, a Chieti, e di cui alcuni esponenti della sua famiglia portavano, come vedremo, la responsabilità. La stessa corrispondenza con Ughelli era stata avviata da Niccolò direttamente all‘indomani della sua sistemazione nella capitale partenopea, dove l‘avvocato aveva allacciato una fitta rete di rapporti con le personalità più influenti, ottenendo la direzione dell‘Archivio Regio. Negli anni precedenti, a Chieti, egli «aveva raccolto le opere inedite riflettenti in maggior parte istorie particolari delle città del regno; ma queste, insieme alla copiosa Biblioteca e col palazzo di famiglia, furono incendiate nei moti popolari del 1647»662. Tuttavia, a Napoli, l‘avvocato poté raccogliere un‘ampia mole di documenti sulla regione abruzzese e sulle sue diocesi, cui si aggiunsero tutte le carte che l‘amico Camarra volle cedergli, avendo espresso questo desiderio all‘Ughelli in punto di morte663. Progressivamente le ricerche dell‘«Archivario» si estero a tutto il Mezzogiorno, in virtù di quelle sollecitazioni culturali che egli recepiva dagli ambienti partenopei, frutto del dibattito che si era acceso negli anni ‘90 del secolo precedente ed era proseguito fino ai primi decenni del ‗600, in cui si intendeva fissare l‘identità della nazione napoletana, patria non solo cittadina664.

Nei primi cinque volumi degli Scritti varii665, oggi conservati nella Biblioteca della Società di Storia Patria Napoletana, si intrecciano piste tematiche diverse: l‘erudito trascrive le cronotassi abruzzesi tratte dall‘Italia Sacra, elenca i papi, gli arcivescovi, i vescovi e gli altri prelati della regione, ricostruisce la vita di San Giustino vescovo e patrono della città di Chieti e quelle dei più vetusti Giustino e Giusta, martirizzati a Bazzano, trascrive le bolle di Celestino V e Gregorio XIII. Parallelamente raccoglie i privilegi delle principali famiglie abruzzesi, tra le quali quelle dei Castiglione, degli Acquaviva, dei Torricella, riproduce le principali iscrizioni dell‘antica Histonium, di Penne; altrove il suo sguardo si sofferma su altre aree del Reame, e in particolar modo sulle famiglie nobili e sulle diocesi campane. Purtroppo, però, questa ponderosa produzione era destinata a rimanere allo stato di pura raccolta documentaria, senza che lo scrivente riuscisse a dare alla materia epigrafica, storica ed ecclesiastica una coerenza organica. Quantunque le notizie relative alla diocesi di Chieti e a quella pennese occupassero uno spazio molto ampio nel primo e nel quinto volume degli Scritti, è evidente che Toppi non fu in grado, neanche in questo caso, di elaborare adeguatamente quel materiale documentario in vista di una sua personale scrittura storica. In quella varietà di testi, abbozzi e trascrizioni di documenti e di scritti precedenti emergeva l‘incapacità dell‘erudito seicentesco di dare forma organica alle proprie ricerche, diversamente da quanto, invece, egli aveva saputo magistralmente dimostrare nelle opere edite, e soprattutto

662 M. SPADACCINI, Niccolò Toppi e gli Scritti varii, cit., p. 235.

663 F. UGHELLI, Italia Sacra, VI, cit., col. 670.

664 Si veda quanto detto nel secondo capitolo, a p. 7.

665 Il sesto e ultimo volume è stato redatto da un altro autore, cui si potrebbe attribuire, secondo una delle ipotesi, la sistemazione di tutto il corpus degli Scritti.

nella Biblioteca, modello eccezionale nella produzione repertoriale di questo secolo. Probabilmente il limite dell‘avvocato subentrò nel momento in cui egli decise di dare vita all‘Apparato degli Annali del Regno666, perché, estendendo la ricerca a tutto il territorio nazionale, non ebbe più il tempo e la capacità di organizzare la considerevole quantità di notizie e materiale raccolti.

Dunque né Camarra né Toppi riuscirono a consegnare alle stampe il proprio contributo all‘erudizione sacra locale, e l‘opera di Nicolino avrebbe costituito l‘unico riferimento storiografico accessibile ad un pubblico più vasto. L‘ampio spazio riservato alla storia ecclesiastica di Chieti consentiva all‘erudito di descrivere integralmente «la gloriosa vita passata»667 di Chieti: attraverso la cronotassi dei vescovi e la descrizione, nel terzo e ultimo capitolo, delle fondationi di tutte le Chiese de‟ Religiosi, Et altri luoghi sacri della

Città, con le loro Inscrittioni, e Epitaffi, che vi sono, Reliquie, e Corpi di Santi, et altre opere pie, che vi si fanno; E degli Huomini Illustri Religiosi, così in Santità di vita, come in lettere, ch‟ in esse son fioriti, Nicolino aveva voluto ripercorrere i momenti salienti in

cui la città teatina aveva rappresentato, per lo spazio locale, e anche per quello regionale, un punto di riferimento incomparabile nell‘opera di cristianizzazione della collettività e nella salvaguardia del culto cattolico. Analogamente a quanto aveva fatto per le origini della città, proiettate nella lontana era del mito, Nicolino non rinunciava ad assegnare a questa Chiesa locale una vetustas altrettanto remota, e dunque degna di memoria: la storia di San Giustino, primo vescovo della cattedrale teatina, costituiva l‘elemento fondante dell‘identità cittadina e, in mancanza di una documentazione storica precedente, essa veniva ricostruita attraverso l‘insieme di passiones affiorate nel corso del XV secolo. Al tempo stesso, il letterato non escludeva che la storia diocesana fosse cominciata molto prima, all‘indomani dell‘opera di evangelizzazione attuata dai discepoli di Gesù:

«[...] si come è verisimile, e probabilissimo, che fin dal tempo de gli Apostoli, e vivendo ancora S. Pietro, la Città di Chieti ricevesse l‘Evangelio, così anche per necessaria conseguenza ne seguirà, che le fosse concesso il Pastore che governasse la novella grege; come chiaramente consta essere stato fatto in quel principio della nascente Chiesa Universale in altre Città delle parti Occidentali»668.

Tutta questa attenzione per il sacro dimostrava quanto fosse radicata la presenza religiosa nella vita cittadina; per questo essa poteva costituire anche il tributo che Nicolino indirizzava alle rappresentanze della Chiesa locale, e in particolare all‘arcivescovo Stefano Seuli (1638-1649), che si era mostrato «di singolarissimi costumi» e, soprattutto, aveva

666 C. DE LAURENTIIS, Manoscritti di scrittori chietini presso l‟Archivio di Stato, le Biblioteche e i privati

di Napoli, in RivAbrTeramo, 12 (1897), p. 3.

667 Dal titolo del saggio di F. F. GALLO, “La gloriosa vita passata”. Storiografia e lotta politica a Siracusa

tra XVI e XVII secolo, in Il libro e la piazza, cit., pp. 319-336.

668 G. NICOLINO, Historia della città di Chieti, cit., Lib. II, p. 66. In merito a San Giustino, proseguiva Nicolino nelle pagine successive egli era riconosciuto primo vescovo di Chieti perché ne era «molto celebre la memoria» e per una serie di testimonianze, tra le quali un catalogo dei vescovi rinvenuto nella sala arcivescovile, in cui il santo «prima degli altri si trova» (p. 71).

contribuito attivamente alla revoca dell‘infeudamento. Come si è detto nel capitolo precedente, la premura di dare alle stampe l‘Historia era divenuta impellente per l‘avvocato regio dal momento in cui egli aveva deciso di denunciare apertamente gli intrighi di cui era stata vittima la città, dietro i quali si celavano gli interessi dell‘antica feudalità abruzzese e quelli della Capitale, preoccupata di saldare i propri debiti con il re di Polonia, Ladislao VII, e sua sorella, la principessa di Neoburg, mediante la vendita delle città demaniali. Nicolino fu il solo a delineare la storia a lui coeva, dedicando alla vicenda dell‘infeudamento l‘intero quinto capitolo del primo libro. La descrizione di quell‘avvenimento acquisiva sfumature e contorni quasi apocalittici, in uno scenario naturale agitato che ne annunciava la drammaticità:

«[...] Comparve su le due in tre hore di notte delli 15 di Decembre 1645, nella publica piazza d‘essa Città, un postiglione, in tempo tanto piovoso, e tempestoso, ch‘imperversava il Cielo a‘ danni de‘ mortali. Era costui mandato dall‘Eccellenza del Regno, diretto alla Regia Udienza provinciale, acciò che partisse da essa Città, dando prima il possesso di quella ai ministri del Duca nuovo patrone. All‘arrivo, a pena sonò la cornetta che quasi che quel suono fusse presagio di assai più infelici avvenimenti, rovinò parte d‘una camera principale del Regio Palazzo, onde le guardie de‘ soldati ch‘in quello erano di sentinella e storditi da‘ folgori, da i tuoni, dalle continue piogge, dall‘ulular de‘ venti, e dal suono della cornetta dubitando si diero a tirar dell‘archibugiate, ponendo il tutto in maggior confusione, e scompiglio»669.

Dall‘estate del ‘47 le inquietudini che scuotevano la popolazione da mesi si sarebbero intrecciate «con le rivolte popolari, di marca masanelliana»670. Il caos generale, scatenato dalla serie di tumulti che a macchia d‘olio sconvolsero a poco a poco l‘intero Regno, procurò non pochi problemi anche allo stesso Nicolino, che dovette sopportare un prolungato ritardo per la pubblicazione delle sue opere671. Tuttavia lo storico non esitò a descrivere l‘impeto e il rancore che spinsero i suoi concittadini a compiere i gesti più inconsueti, senza arrivare mai ad esprimere un giudizio negativo sulla violenza di quelle giornate:

«[...] ma partitosi egli [il duca Caracciolo], e continuando i suoi ministri lo stesso modo di procedere rigoroso, succeduti i tumulti della Città di Napoli, e del Regno, e dubitando il Duca d‘Arcos Viceré della rivolta anche di Chieti ordinò al Preside della provincia D. Michele Pignatelli, acciòche conferitosi in Chieti, havesse a quei Cittadini promesso il Regio Demanio, quando da essi si fusse dimandato, e veduto

669 G. NICOLINO, Historia della città di Chieti, cit., Lib. I, p. 18.

670 A. DE CECCO, “...acciò non siamo vassalli”, cit., p. 510.

671 Ancora il 10 dicembre del ‘49 avrebbe scritto all‘Ughelli: «L‘opera mia, tanto dell‘Historia quanto della Prattica, si sarebbe a quest‘hora visto qualche cosa, ma gl‘impedimenti de l‘Auditore Lutio Figliola, e chi sta con esso da S.E., perché fu necessitato, sei mesi sono et più partire da qua per la volta di Campli et Teramo, insieme con il Preside D. Michele Pignatelli contro i banditi; et di presente, detto Auditore Figliola risiede anco in Campli, spero che presto ritornarà, come me havea certificato con lettera».

così di placare sotto la Regia promessa ogni futuro disordine. [...] quando la mattina seguente primo d‘Agosto s‘andò in palazzo per stipularsi, natavi una differenza che non poteva risolversi da‘ depurati senza il Consiglio, mentre che questo si voleva unire, la plebe voltata tutta l‘allegrezza in minaccie, corse all‘arme, fece toccar la campana, si divise in squadre, e con discortese modo di vendetta, in poche hore ridusse in cenere sopra venti sei case de‘ Cittadini a loro sospetti d‘haver aderito al nuovo Barone fra le quali su la casa del sudetto Erario, al quale di più tagliarono gli arbori delle sue possessioni e poca mancò, che non vi restasse ammazzato il Governador Baronale, Gioseppe Capece Scondico con Tomaso suo fratello, che con la sua fuga scamparon la vita. Fu dalla stessa plèbe ripigliato il palazzo Regio, & ancorche ivi si fusse conferito il Preside con la nobiltà della Città, & attualmente stipulato il contratto del Demanio promettesse a tutti il perdono générale in nome di S. E. non fu possibil frenar il furor délla plèbe armata, che non commettesse più esecrandi eccessi di molti homicidij di tutti coloro ch‘a loro sospetti poterono haver nelle mani, fino al levar i moribondi feriti dalle mani de‘ Confessori, esibirli d‘occidere dentro delle Chiese & avanti gli altari del Santissimo, benche il detto Preside uscito doppo di persona per le piazze, hor con piacevoli parole hor con comandi sotto rigorose pene, trattenuto havesse il lor furore»672.

Fu, dunque, in quell‘occasione che venne incendiata la casa dello zio di Niccolò, Tommaso Toppi, il quale aveva avuto parte attiva nelle trattative con il duca di Castel di Sangro, e per questo nel ‗45 era stato nominato erario della città673. Il nipote si era ormai trasferito definitivamente a Napoli, dove ricopriva un ruolo di grande prestigio; Camarra seguitava ad avere contatti continui con la città natale ma aveva trovato anch‘egli una sistemazione stabile nella capitale pontificia. Nicolino era rimasto a Chieti. Egli era preoccupato che la città potesse perdere il ruolo predominante che ricopriva da anni nella struttura amministrativa, politica ed economica nella regione, e, nello specifico, che perdesse una volta per tutte la sede della Regia Udienza presso la quale egli stesso lavorava. Come appare evidente dalla lettura, l‘erudito interpretava quell‘accanimento popolare come la risposta giustificata alla violenza morale con cui una parte del patriziato cittadino, insieme alla grande feudalità, aveva colpito la comunità teatina. Quella reazione aggressiva si sarebbe spenta solamente quando la città avesse recuperato il demanio regio. Solo allora la popolazione sarebbe tornata festante, riconoscendo nell‘evento l‘intervento benevolo del santo patrono:

«Si diede in tanto dal Pignatello per corriero a posta aviso a S.E. del contratto stipulato, e dell‘indulto generale conceduto alla Città, & in pochi giorni se n‘hebbe la

672 G. NICOLINO, Historia, cit., Lib. I, pp. 20-21.

673 Come è noto, la vicenda ebbe un epilogo tragico, in quanto Nicolino fu assassinato nel primo pomeriggio del 15 settembre del 1664. In fin di vita egli riconosceva in Alessandro Santillo de Liberatore l‘esecutore materiale di un‘aggressione ideata dalla famiglia Toppi, e in particolare da Tommaso Toppi. I documenti dell‘indagine rimangono tutt‘oggi manoscritti e sono conservati presso la Biblioteca Provinciale ―De Meis‖