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L‘Aquila e i suoi miti

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1.4 L‘Aquila e i suoi miti

Agglomerati di recente fondazione, come Cittaducale e L‘Aquila, non potevano certo competere con le più antiche comunità abruzzesi e del resto della penisola, per collocare le proprie origini nel mondo classico degli dei e degli eroi greci; per questo era stato necessario attingere ai «canali dell‘antiquaria, con la quale molte città riuscivano a nobilitare la propria origine moderna, proponendola come ―rifondazione‖ dell‘antica e attribuendosi il pregio storico e la legittimità dei più insigni modelli»565.

Sebastiano Marchesi aveva fatto leva sulla vicinanza di Cittaducale a Lista e, soprattutto, a Cotilia, centro di antica memoria ben inserito nella maglia narrativa tracciata da Annio. Analogamente L‘Aquila sorgeva nei pressi di altre due città italiche, la sabina Amiterno e la vestina Forcona, e dunque anche in questo caso era stato un passo naturale quello di legare la storia della «magnifica citade»566 alla vetustas di quelle remote città, sorte nelle sue vicinanze in età preromana e di cui ora riaffioravano monumenti, reperti, ―tracce‖ che richiamavano la curiosità degli antiquari locali.

L‘edificazione della città aquilana fu compiuta in età tardo medievale, nel vortice dell‘ampio scontro esploso tra le due massime autorità politiche e spirituali per il controllo del Regno e dell‘Italia tutta. Nella lettera inviata il 7 settembre 1229 alle popolazioni del territorio di Amiterno e Forcona, il papa Gregorio IX condannava le «innumerevoli tribolazioni e amarezze infinite con le quali Federico, nominato Imperatore, nemico di Dio e della Chiesa, vi ha finora orribilmente afflitto per il tramite dei suoi ministri»567 e autorizzava «con grazia speciale» la costruzione della nuova città nella località di Accula. Problematiche di varia natura avrebbero posticipato l‘avvio dei lavori di venticinque anni, quando i protagonisti della grande scena acquisivano i volti nuovi di papa Innocenzo IV e del successore della casata sveva, Corrado IV. Un secolo più tardi Buccio di Ranallo,

565 F. TATEO, I miti della storiografia umanistica, cit., p. 80.

566 L‘espressione è del cronista Buccio di Ranallo.

567 Il passo è riportato in C. DE MATTEIS, Le origini, in ID. (a cura di), L‟Aquila, magnifica citade, cit. p. 11.

autore della prima cronaca aquilana, suggeriva che l‘iniziativa avesse preso lo slancio a seguito di un‘intesa raggiunta dai due ―Soli‖ danteschi, in un momento di tregua dal conflitto, nella prospettiva condivisa da entrambi di trarne ampli benefici. Ma al di là delle finalità perseguite nell‘immediato dalla politica, la nascita della città rispondeva alla mai sanata necessità di affrancarsi dal giogo baronale, diffusa d‘altronde anche in altre parti della penisola italiana e del continente europeo. L‘insofferenza delle popolazioni locali veniva posta in evidenza dal poeta Buccio di Ranallo che denunciava le vessazioni dei signori feudali e indicava nella figura di Iacopo da Sinizzo, alto funzionario della corte pontificia, il mediatore tra i due poli della politica italiana, essendo questi di origine forconese e dunque fortemente interessato alla nascita della città.

Ben oltre la coscienziosa ricerca del vero storico, la vivace proliferazione del mito postdiluviano non aveva risparmiato neanche la città aquilana, dove si scoprono scritture inedite che tentano di legare la storia locale al mito della dea Vesta, facendo riferimento al rinvenimento di iscrizioni e luoghi di culto a lei dedicati568. Del resto l‘autore del Breve

trattato delle città nobili del mondo e di tutta Italia ricorreva anch‘egli alla leggenda e

Amiterno diventava città fondata da Saturno, guadagnandosi un posto nella straordinaria volta della genesi umana, al pari di altre celebri città del mondo fino ad allora conosciuto. Intanto, tra Quattro e Cinquecento una nuova immagine leggendaria aveva preso il sopravvento nella memorialistica locale, secondo la quale sarebbe stato Federico II a promuovere l‘edificazione del capoluogo abruzzese. Il primo ad evocare la figura dell‘imperatore svevo era stato, sul finire del XV secolo, Pandolfo Collenuccio:

«Nel medesimo tempo essendo sparsi per le montagne de l‘Abruzzo tra Amiterno e Forcone, terre antiche e disfatte, li popoli di esse, [Federico II] comandò che raccolti tutti insieme edificassino una terra in un loco opportuno e le dimensioni del regno da quella banda chiamata Aquisa, e mutandoli il nome volse che per honore dell‘imperio fusse chiamata Aquila, sì come lui ne le sue epistole apertamente comanda. Così fu edificata l‘Aquila, la quale in poco tempo fece grandissimo augmento e oggi è reputata potentissima terra del regno […]»569.

Giuseppe Cacchi o chi per lui, nel Breve trattato, «si adattava a ripercorrere pressoché letteralmente»570 l‘iter collenucciano che includeva la realizzazione spontanea della conurbazione e la sua consacrazione solenne resa possibile grazie all‘intervento imperiale. A saldare insieme le due tradizioni sarebbe stato il vivace ambiente culturale formatosi intorno alla figura dell‘erede imperiale Margherita d‘Austria, sostenitrice di «una fase di

568 ASAq, Archivio di famiglia Dragonetti - De Torres, Sezione storica, busta 93, in 8°, cc. 48: Notizie varie

intorno a L‟Aquila e paesi viciniori, cc. 18r, 48r e 49r.

569 P. COLLENUCCIO, Compendio, cit., cap. IV, c. 54.

570 R. COLAPIETRA, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell‟Aquila, DASP, L‘Aquila 1984, p. 14.

recupero di prestigio culturale che [in quegli anni] la città aspirava a ricevere dal suo ―principe‖»571.

Così, nella sua Breve descrittione di sette città illustri d‟Italia, il letterato, geometra e architetto di corte Geronimo Pico Fonticulano si affidava alle parole di Beroso e Dionisio d‘Alicarnasso e collocava la data di fondazione dell‘antica Amiterno agli «anni cento e otto dopoi il diluvio»572. Parallelamente tutte le manifestazioni artistiche e culturali che gravitavano attorno a Palazzo Margherita, «laboratorio politico, simbolico e scenografico»573 dell‘Aquila spagnola, riallacciavano i legami con i miti del passato. L‘entrata stessa della Madama nel centro abruzzese era stata interpretata come «una rifondazione della città in chiave imperiale, sul nucleo originario della romana Amiternum»574 e le illustrazioni che coloravano le pareti del Castello parlavano di questo:

«Era in un dipinto Saturno che deduceva una colonia figurata in un pajo du buoj. Intendevano per la colonia, Amiterno fondati sull‘autorità di Beroso e di Dionisi di Alicarnasso che dicono Saturno, sabatio onde i Sabini erano i buoj tratti per una corda dall‘Imperador Friderigo secondo, il quale conficcava un‘asta avente l‘insegna imperiale sopra di un Colle, in cui erano molti in atto di cominciare i fondamenti della città dell‘Aquila col motto indicante che Amiterno fondato da Saturno era quivi tradotto e chiamato Aquila da Friderigo»575.

Bernardino Cirillo aveva intrapreso invece un percorso storiografico differente, nel corso di una vita trascorsa prevalentemente lontano dalla propria patria cittadina, vincolato da incarichi di primo piano nella temperie controriformistica del secondo Cinquecento. I suoi Annali della città dell‟Aquila giunsero alle stampe nel 1570. Il letterato si era trasferito ormai da quindici anni a Roma: qui, grazie al forte ascendente esercitato sulla madre del neoeletto papa Gian Pietro Carafa – l‘aquilana Vittoria Camponeschi – e sui suoi nipoti, aveva subito acquisito un incarico provvisorio presso la Cancelleria Apostolica, cui ben presto fece seguito la nomina a canonico di Santa Maria Maggiore. La sua grande apertura intellettuale e il consistente favoritismo di cui beneficiava negli ambienti della Curia gli avevano consentito di accedere, nel 1556, alla prestigiosa carica di Commendatore dell‘Ospedale di Santo Spirito, che mantenne fino all‘anno della sua morte, avvenuta nel 1575.

571 S. MANTINI, Introduzione a L‟Aquila spagnola, cit., p. 14. Della stessa autrice si veda Società e cultura

all‟Aquila nell‟età di Margherita d‟Austria (secc. XVI-XVII) in F. REDI (a cura di), Guida della città dell‟Aquila, Pacini, Pisa 2008, e ―Ad reprimendam audaciam aquilanorum”: identità e percezioni del regime spagnolo negli scritti e negli scrittori aquilani d‟età moderna, in C. CREMONINI – E. RIVA (a cura di), Il Seicento allo specchio. Le forme del potere nell‟Italia spagnola: uomini, libri, strutture, Bulzoni, Roma

2011.

572 G. PICO FONTICULANO, Breve descrittione di sette città illustri d‟Italia (1582), a cura di Mario Centofanti, Textus, L‘Aquila 1996, p. 51.

573 S. MANTINI, Introduzione, cit., p. 13.

574 S. MANTINI, L‟Aquila spagnola, cit., p. 117.

L‘impegno storiografico rivolto alla propria città aveva preso avvio molti anni prima, all‘incirca intorno al 1533, quando egli stava ricoprendo la carica di arciprete della Santa Casa di Loreto576. Dal suo monumentale corpus epistolario traspare, infatti, «la figura di questo buono e studioso prete, il quale ebbe sempre, in ogni momento di vita, un culto affettuoso per le memorie patrie»577. Uno stimolo letterario poteva essere arrivato dal maestro Giovan Battista Lepidi, «dotto oratore e retore della città», autore di un Poema

sulla edificazione, sito e bellezza di Celano e del lago Fucino e delle loro circostanze, diretto ad Alfonso II Piccolomini duca di Amalfi, mai edito e andato perduto. Ma quasi

certamente il principale stimolo alla pratica memorialistica scaturì dal difficile momento storico che la città stava attraversando da alcuni anni e che Cirillo aveva vissuto in prima persona. Nel 1530 il religioso aveva dovuto lasciare il precedente incarico di vicario di Cittaducale per difendere al cospetto del coetaneo Carlo V la città aquilana dall‘accusa di ostilità nei suoi confronti. L‘intento era quello di ottenere il recupero dei contadi sottratti alla città all‘indomani degli ultimi atti di ribellione degli Aquilani. L‘incontro bolognese non era andato a buon fine e Cirillo era stato inviato a Napoli a consegnare al viceré Pompeo Colonna la lettera in cui si confermava l‘assoggettamento della città, con le relative implicazioni già disposte da Filiberto d‘Orange nel 1529. Di lì a poco il prelato avrebbe cominciato a redigere le memorie patrie, includendo nella ricostruzione anche gli anni di cui era stato testimone. La fonte principale cui l‘erudito attinse fu il nutrito corredo di cronache che quasi ininterrottamente aveva accompagnato la storia dell‘Aquila dalla metà del ‗300 fino ai primi decenni del XVI secolo. Qui la ―memoria partecipe‖ dei letterati locali si era manifestata molto presto, a partire da quel già ricordato Buccio di Ranallo che, a meno di un secolo dalla fondazione della città, si era impegnato a ricostruire, in milleduecentocinquantasei strofe tetrastiche di alessandrini, gli avvenimenti della storia aquilana dalle origini (1254) al maggio 1362, nella ferrea convinzione del ruolo didascalico della storia. Cirillo fu il primo a dare «forma di storia» a quegli scritti cronachistici e, dunque, svincolandosi dalla «troppo ovvia toponimia locale»578, abbandonò del tutto l‘ostinazione a legare le origini della città allo Svevo e, intrecciando un filo diretto con Buccio, collocò la data di edificazione «nel fin del pontificato d‘Innocentio IIII. In tempo di Corrado figliuolo di Federigo Imperatore»579.

L‘estro letterario di Cirillo sarebbe emerso solamente nella ricostruzione etimologica del nome della città, attraverso la vis di un‘immagine che in realtà era stata già delineata, oltre un secolo prima, nella non citata Italia Illustrata di Flavio Biondo:

576 Nonostante le continue richieste dei concittadini e l‘insistenza del Magistrato aquilano che, nel 1547, gli domandò espressamente in una lettera gli abbozzi degli Annali, garantendo il sostegno economico necessario alla messa in stampa dell‘opera, il Cirillo preferì sottoporre il testo a numerose revisioni, apportandovi ulteriori migliorie e correzioni.

577 O. D‘ANGELO, Bernardino Cirillo e il suo epistolario manoscritto, cit., p. 2.

578 R. COLAPIETRA, Spiritualità, coscienza civile e mentalità collettiva nella storia dell‟Aquila, cit., p. 15.

579 B. CIRILLO, Annali della città dell‟Aquila, con l‟historie del suo tempo, A. Forni, Bologna 1974 (rist. anast. dell‘edizione del 1570), c. 5r.

«Fondata questa città dunque nel fin del pontificato d‘Innocenzo IIII, in tempo di Corrado figliuolo di Federigo Imperadore vacando l‘Imperio per la disposition sua nel Concilio (come si disse) di Lione, circa il 1254. Dell‘anno del Signore, et fu intitolata Aquila, non che la forma del sito di essa rappresenti il corpo, et le membra di questo ucello (come han pensato, et scritto alcuni) ne che fosse dal nome di questo ucello chiamata per observatione del buon augurio, essendo insegna imperiale, come altri dicono, ne che Federigo, ò Corrado volessero che dalle insegne imperiali havesse questo nome, ne anco dalla villa Acquile che dentro di essa fu inclusa, ne meno come Pandolfo Colunuccio scrive nell‘epistole di Federigo, et il pontano nel libro delle guerre nel libro delle guerre di Napoli, che fu chiamata Acquila, ma fu nominata Aquila da premeditato giudicio di coloro che la edificarono, che sicome l‘Aquila è reina de gl‘altri ucelli, cosi la lor città havesse da esser capo di tutti quei popoli, et genti del contorno, et che come capo, più degna, et più potente havesse a dominarle»580.

Consapevole del fatto che da sempre L‘Aquila si era mostrata una comunità forte, incessantemente pronta a riconquistare la propria autonomia, Cirillo era ora deciso «ad inculcare – attraverso quest‘opera – negli Aquilani il senso del savio e circoscritto sfruttamento delle proprie risorse naturali, a spingere il ceto intellettuale a guadagnare le prime fila non più con l‘appassionamento politico ma con la riflessione dottrinaria e l‘elaborazione trattatistica»581, messaggio che sarebbe stato accolto ed elaborato dai giuristi del secondo Cinquecento. Prevaleva, nelle parole del commendatore di Santo Spirito, la convinzione che l‘infeudamento del comitatus costituisse un‘operazione inevitabile nella «concordia ordinum di cui la città finì col godere sotto le ali protettive dell‘aquila spagnola»582; tuttavia non mancava «un moto di commiserazione e di pietà per la sorte dell‘infelice città, ridotta allo stremo e senza più protezione alcuna»583, e in queste prime pagine, anzi, trionfava «la funzione intima, intrinseca, di preponderanza, che la città, fin della sua programmatica intitolazione originaria medesima, esercita[va] su un contado che le si [era] voluto perciò innaturalmente e forzatamente sottrarle»584.

Nel 1594 Salvatore Massonio pubblicava, a spese pubbliche, il Dialogo sull‟origine

della città dell‟Aquila, quando ormai la «questione della reintegra» era ormai stata

metabolizzata e archiviata da tempo. Egli apparteneva ad una di quelle famiglie emergenti che, in questo secondo Cinquecento, si stavano contendendo la scena pubblica accanto

580 Ibidem. Si legge nella versione volgarizzata dell‘Italia Illustrata del Biondo: «Non hebbe l‘Aquila questo nome da augurio alcuno, come usorono i gentili di fare, ma gliele posero per una certa somiglianza, sperando, che come l‘Aquila è signora, e piu potente de gli altri augelli, cosi havesse dovuto questa Città essere per l‘avvenire più potente, e di maggiore autorità, che niuna de le altre città a torno» (F. BIONDO, Roma

ristaurata et Italia illustrata, tradotte in buona lingua volgare per Lucio Fauno, D. Giglio, Venezia 1558, c.

210r).

581 R. COLAPIETRA, Storici municipali e regionali nell‟Abruzzo di età spagnola. Storiografia e

giurisprudenza del Cinque-Seicento all‟Aquila, in «Notizie dalla Delfico», a. XXII, 1/2008, pp. 6-7.

582 S. MANTINI, L‟Aquila spagnola, cit., p. 141.

583 C. DE MATTEIS, L‟Aquila Magnifica citade, cit., p. 62.

all‘aristocrazia tradizionale, grazie al «discreto potere economico e alla capacità di accedere alle cariche pubbliche»585 che avevano acquisito nel giro di pochi anni e che aveva garantito loro una notevole visibilità cittadina. Dopo aver terminato gli studi umanistici e conseguita la laurea in medicina, nel 1581 Massonio era rientrato in città, e qui si era presto dedicato alla raccolta antiquaria delle epigrafi dell‘antica Amiterno e alla ricostruzione della storia aquilana. Nel corso della sua ricerca fu essenziale il confronto con l‘opera di Cirillo586, ma questo non portò ad una riscrittura consenziente, affine alla linea narrativa già tracciata; al contrario, volontà chiaramente espressa da Massonio fu quella di offrire alla propria città un tributo storico rinnovato, che riuscisse a «sollevarla dal gravissimo peso di coloro i quali o a lei attribuiscono quel che non è o la scemano di quel ch‘è suo»587.

Secondo il medico aquilano, le diverse ipotesi sull‘etimologia del nome della città enunciate dai protagonisti della memorialistica degli ultimi secoli, quali Raffaele da Volterra, Biondo, Pontano, Scipione Mazzella e altri ancora, erano tutte da escludere e occorreva, invece, fare riferimento esclusivamente al privilegio di fondazione della città, attribuito ancora una volta a Federico II. In quel documento, scriveva Massonio, «chiaramente si vede questa Città essere stata chiamata Aquila, non per altro, che perché il ruolo, dove ella fù edificata, era ancor detto Aquila»588.

Alla domanda posta dal curioso Salvatore su come l‘immaginario interlocutore Massonio potesse legare insieme le due tesi secondo cui L‘Aquila fosse città fondata da Federico e al tempo stesso «terra antichissima senza sapersi il suo origine», l‘erudito replicava riconoscendo nell‘intervento imperiale la sistemazione di un agglomerato cittadino preesistente:

«Vi dirò che L‘Aquila fusse cinta di mura, ampliata di case, adorna di gran numero di Chiese, di piazze, et di fontane; e che finalmente ricevesse forma di Città ordinata, et che fusse fatta degna di tal nome al tempo di Federico Imperatore; ma non è poi da credere, che in questo luogo, dove è hoggi questa Città, non si ritrovasse per prima l‘Aquila, se ben non cosi magnifica, et ordinata, attesoche molti testimoni se ne trovano, come vi dirò appresso»589.

Dunque, agli occhi del letterato aquilano, il recupero della tesi di Collenuccio concorreva a dare dignità alla fondazione della città attraverso la simbologia imperiale; tuttavia, l‘autore

585 S. MANTINI, L‟Aquila spagnola, cit., p. 168.

586 Ricerche recenti riconoscono nell‘esemplare Cinq. Abr. A 2 (già Abr. S 339), oggi conservato presso la Biblioteca Provinciale ―Tommasi‖ dell‘Aquila, un‘edizione degli Annali di Cirillo al tempo posseduto dal Massonio. Lo confermerebbero le glosse poste in margine all‘opera e ora attribuite al Massonio grazie al confronto con altre annotazioni individuate nel manoscritto Ms. 56 (che porta il titolo In laude di Margherita

d‟Austria. Discorsi e poesie)e in alcune parti del Ms. 60 (Della miracolosa vita, gloriosa attività et felice passaggio al cielo del Beato Giovanni di Capestrano) e ricondotte con ogni probabilità alla sua penna.

587 S. MASSONIO, Dedica ai magistrati aquilani, in ID., Dialogo dell‟origine della Città dell‟Aquila, Isidoro e Lepido Facii, L‘Aquila 1594.

588 S. MASSONIO, Dialogo dell‟origine della Città dell‟Aquila, cit., p. 101.

tornava a ribadire la vetustas della città, che precorreva le attigue Amiterno, Forcona e gli altri antichi abitati sorti del circondario, perché L‘Aquila «(come dice il Biondo da Forlì nelle sue historie d‘Italia illustrata) è molto più antica, che forsi alcuni non credono»590. Incorniciato nell‘idillico scenario senza tempo in cui si delineano i profili dei due commedianti, intenti ad esplorare e contemplare le tracce dell‘antica Amiterno, il Dialogo

sull‟origine della città si inserisce in una produzione prevalentemente letteraria dell‘autore,

«dalle azioni sacre alle rime petrarchesche, dagli scritti medici assai pregevoli sulle acque termali e sull‘uso dell‘insalata alla biografia di Giovanni da Capestrano ed alla descrizione delle esequie di Margherita d‘Austria»591. Esponente di rilievo della prima istituzione culturale abruzzese – l‘Accademia dei Fortunati – l‘Avviluppato ne ricoprì la carica di Principe per ben sette volte consecutive e, avvalendosi della collaborazione di Amico Agnifili, Flaminio Antonelli e Baldassarre Cappa, diede un forte impulso alla temperie culturale del tempo. In questi raffinati ambienti, nobili giuristi ed eruditi promuovevano molteplici iniziative artistiche e si preoccupavano di intrecciare una significativa rete di relazioni all‘interno della città e con le capitali della cultura italiana. Il Dialogo stesso testimonia il vivo interesse con cui l‘opera fu accolta nei circuiti culturali aquilani, attraverso l‘ampio apparato paratestuale che lo contraddistingue: ad omaggiare l‘autore per la lodevole impresa con cui egli aveva onorato la propria patria concorrono i contributi poetici di amici ed eruditi appartenenti agli alti ambienti ecclesiastici e civili aquilani, l‘abate di Lucoli Amico Cardinale, il letterato Girolamo Catena, il canonico Vespasiano Pandolfo e il giureconsulto Lucrezio Agnifili. Massonio dedicava l‘opera ai Magistrati della città, ringraziandoli per averne consentito la pubblicazione a spese pubbliche. Al figlio Bernardino, Massonio raccomandava la dedizione verso la patria e le sue memorie. La prima dedica era, invece, destinata a Michele Bonelli, detto cardinale Alessandrino, nipote del papa Paolo V, lodato per aver offerto da diversi anni «la protettione di questa Città, la quale ha sempre hauto gran confidenza nella gravità del suo nome, & ha non meno dall‘autorità sua sperato segnalati favori»592. Diversamente, in una prima stesura dell‘opera, Massonio aveva designato un altro cardinale, Scipione Gonzaga, come