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Il mito delle origini

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1.1 Il mito delle origini

La rievocazione delle origini cittadine ha rappresentato, nella storia di ogni tempo, un capitolo fondamentale per la costruzione dell‘identità collettiva, costituendo spesso «il distintivo della sua immagine, più che un elemento della sua storia»401. Nelle epoche antiche, la narrazione del passato della comunità era imperniata su due momenti storici ben precisi: il passato prossimo, dettagliatamente descritto grazie all‘abbondante quantità di fonti a disposizione, e la storia delle origini, per l‘appunto, per la quale esisteva un altrettanto vasto corredo di informazioni. Tra i due momenti s‘inseriva una ―cesura‖ netta, come se la distanza tra i tempi remoti e quelli più recenti fosse minima o comunque irrilevante402.

A ―ricordare‖ il passato, in mancanza della scrittura, erano i cosiddetti uomini-memoria, «―genealogisti‖, custodi dei codici reali, storici di corte, ―tradizionalisti‖»403, il cui supporto mnemonico diveniva essenziale per la salvaguardia delle tradizioni e del passato della comunità. La memoria collettiva si organizzava tendenzialmente attorno a tre poli d‘interesse: «l‘identità collettiva del gruppo, […]; il prestigio della famiglia dominante, che si esprime nelle genealogie; e il sapere tecnico, che si trasmette attraverso formule pratiche fortemente intrise di magia religiosa»404. Per questo:

401 F. TATEO, I miti della storiografia umanistica, Bulzoni, Roma 1990, p. 59. Clarisse Coulomb avvia il suo saggio Des villes de papier: écrire l‟histoire de la ville dans l‟Europe moderne riportando un brano di Pierre-Daniel Huet che, nel 1702, scriveva: «Quoyque la recherche des origines des villes soit un travail tres penible, il s‘est trouvé dans tous les temps de sçavans hommes qui s‘y sont appliquez avec soin, & qui en s‘y appliquant, ont rendu des services considerables à leur Patrie» (P. D. HUET, Les Origines de la ville de

Caen, Journal des Savants, 1702, p. 667). L‘autrice prosegue scrivendo: «L‘histoire de la ville est, en effet,

presque aussi ancienne que son sujet. [...] Des historiographes é taient chargés de les mettre en récit, tel ce Tiberius Claudius Anteros honoré à Athénes pour avoir, par ses oeuvres historiques, rendu ―plus glorieuse sa cité parmi les Grecs‖. Les historiens et hommes politiques romains écrivirent l‘histoire de la Ville, ses origines et ses antiquités, de Caton à Varron en passant par Denys d‘Halicarnasse» (C. COULOMB, Des

villes de papier: écrire l‟histoire de la ville dans l‟Europe moderne, in «Histoire urbaine», 2010/2 n° 28, p.

5).

402 J. VANSINA, Oral tradition as History, University of Wisconsin Press, Madison 1985, pp. 23-24 e segg.

403 J. LE GOFF, Storia e memoria, Einaudi, Torino 1982, p. 353.

404 Ivi, p. 354. Depositari della ―storia oggettiva‖, quale «serie dei fatti che noi ricerchiamo, descriviamo e stabiliamo in base a certi criteri ―oggettivi‖ universali», gli specialisti della memoria dovevano essere anche tesorieri di un‘altra storia, quella ―ideologica‖, rivolta unicamente alle vicende degli esordi e che si era tramutata presto in un «cantare mitico della tradizione» (p. 352). Il passo riportato da Le Goff è di S. F. NADEL, A black byzantium: the kingdom of Nupe in Nigeria, International African Institute, Oxford University Press, London 1969, p. 72.

«Prima di agire, l‘uomo antico avrebbe fatto sempre un passo indietro [...]. Egli avrebbe cercato nel passato un modello in cui immergersi come in una campana di palombaro, per affrontare così, protetto e in pari tempo trasfigurato, il problema del presente. La sua vita ritrovava in questo modo la propria espressione e il proprio senso. La mitologia del suo popolo non soltanto era per lui convincente, aveva cioè senso, ma era anche chiarificatrice, vale a dire dava senso»405.

Il mito, questa «antica massa di materiale»406 tramandata di epoca in epoca in racconti, e che non esclude un‘ulteriore rielaborazione, costituiva il precedente esemplare, la «storia fondante [...] raccontata per chiarire il presente alla luce delle origini»407; questa narrazione sacra rappresentava, per il popolo presso cui veniva elaborata, una realtà viva in cui credere veramente.

L‘avvento della scrittura permise di fissare in maniera indelebile la memoria collettiva. Veniva a mancare la creatività concessa alla memoria orale nel suo passare di generazione in generazione, dal momento che la parola scritta garantiva l‘inalterabilità della narrazione e, al tempo stesso, la possibilità di riesaminare quanto già raccontato. «Il mito delle origini cittadine, in quanto individuazione di un momento iniziale nel quale può riconoscersi, come in un simbolo, la città presente»408 non scompariva, anzi si rinnovava e continuava ad animare le tradizioni cittadine di ogni epoca.

In relazione alle origini di una comunità o di una città, la funzione principale riconosciuta alla mitologia continuava ad essere la stessa: il mito ―fonda‖. Non nasceva per soddisfare una curiosità scientifica, bensì per riportare in auge la realtà dei tempi primitivi, e, in particolare, il mito fondativo portava a rivivere il tempo primordiale della creazione della comunità. Non prendeva forma in virtù di un chiarimento, di una spiegazione, ma per fissare «un precedente che è ideale e garanzia del proseguimento»409 perché, per il narratore di miti, l‘―originarietà‖ coincideva con la ―verità‖.

In età umanistico-rinascimentale non viene meno l‘esigenza di prelevare dal testo classico «i loci particolarmente significativi, in grado di suscitare nel lettore una serie di echi di notevole rilevanza e di porlo in silente comunicazione con lo scrittore, grazie a rimandi e allusioni alla cultura comune»410. Com‘era accaduto nel corso dell‘età antica, in cui «les mythes de fondation ont été utilisés […] pour exalter le sentiment civique, mais aussi pour valoriser la ville face à ses concurrentes»411, dal Rinascimento in poi essi tornano ad essere «strumento di dialettica politica, come argomento di prova di

405 H. BLUMENBERG, Elaborazione del mito, trad. it. a cura di B. Argenton, Il Mulino, Bologna 1991, p. 18. Precisa infatti Le Goff: «La sfera principale in cui si cristallizza la memoria collettiva […] è quella che dà un fondamento – apparentemente storico – all‘esistenza di etnie o di famiglie, cioè i miti d‘origine» (p. 351).

406 Ivi, p. 15.

407 J. VANSINA, Oral tradition as History, cit., p. 27

408 F. TATEO, I miti della storiografia umanistica, cit., p. 61.

409 C. G. JUNG – K. KERENYI, Prolegomeni allo studio scientifico della mitologia, Boringhieri, Torino 1966, p. 20.

410 N. BAZZANO, Introduzione, in Il libro e la piazza, cit., p. 14.

comprovata identità, di inattaccabile legittimità, all‘interno di una lunga e condivisa tradizione letteraria e retorica»412.

Nelle cronache abruzzesi gli storici tendono a celebrare la propria città facendo leva su un passato doppiamente illustre: per prima cosa in relazione al mito di fondazione, che nelle diverse città della regione segue tradizioni e orientamenti diversi, a seconda delle tendenze culturali che influenzano gli scrittori e della particolare condizione storica e politica in cui quelli scrivono. In secondo luogo, le glorie del passato sono legate, come si è detto, al valore e alla forza che avevano distinto i popoli italici preromani - Marrucini, Frentani, Marsi, Vestini, Peligni, Pretuzi -, specialmente nel confronto con Roma. Attraverso queste due ―invenzioni‖, l‘uso strumentale del passato si prepara, dunque, a costituire anche nella regione abruzzese il filo rosso che percorrerà la produzione memorialistica dell‘intera età moderna, dal Rinascimento al pieno Ottocento.

Primo intento degli storici locali è dimostrare la netta superiorità delle proprie comunità, insistendo sulla vetustas di un passato che si ricongiunge ai racconti mitologici, e al tempo stesso, sul valore bellico e morale delle genti che avevano popolato queste terre. Verificare l‘attendibilità di queste narrazioni storiche alla luce degli odierni criteri di indagine storiografica porterebbe solo a errate conclusioni. Occorre, invece, accostarsi a questa tipologia di scrittura in un‘ottica diversa: queste testimonianze storiche devono essere lette ―in contropelo‖413, perché «scavando dentro i testi, contro le intenzioni di chi li ha prodotti, si possono far emergere voci incontrollate»414. E, dunque, non sarà importante denunciare l‘inattendibilità delle varie fondazioni mitiche, quanto piuttosto occorrerà soffermarsi sui rispettivi ―momenti di vita‖ di queste rievocazioni storiche, in rapporto «agli ambienti che le sostenevano, attribuendo loro specifici valori, collegandole a specifiche esigenze»415. Servirà riflettere sui motivi che hanno spinto una comunità e la sua

intellighenzia a ricostruire il passato collettivo, proiettando il proprio racconto nella «selva

dei rapporti tra finzione e verità»416, ricorrendo talvolta addirittura al falso.

412 S. LAUDANI, Il mito delle origini nelle “storie” di alcune città siciliane in età moderna, in F. BENIGNO e N. BAZZANO (a cura di), Uso e reinvenzione dell‟antico nella politica di età moderna (secoli

XVI-XIX), cit., p. 27.

413 C. GINZBURG, Rapporti di forza. Storia, retorica, prova, Feltrinelli, Milano 2000, pp. 47, 87-108. L‘espressione dello «spazzolare la storia contropelo» è di Walter BENJAMIN.

414 C. GINZBURG, Introduzione a ID., Il filo e le tracce. Vero falso finto, Feltrinelli, Milano 2006, p. 10.

415 E. FEDERICO, Il Nostos di Idomeneo: un mito greco fra Creta ed il Salento, Arte tipografica, Napoli 1997, p. 260.

1.2 Annio e le città abruzzesi