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La dedica al signore

La memoria e la storia locale 1. Le tradizioni memorialistiche

2.1 La dedica al signore

Nel 1690 fu dato alle stampe a Fermo il Compendio istorico dell‟antichissima terra del

Vasto in Abbruzzo Citra nel Regno di Napoli. Si tratta della prima storia locale edita, dal

momento che alla metà del secolo il prelato Nicol‘Alfonso Viti aveva lasciato manoscritta una Memoria dell‟antichità del Vasto e solamente nel 1856 l‘archeologo Luigi Marchesani, amico di Mommsen, ne avrebbe curato l‘edizione340.

Autore del Compendio è Tommaso Palma (1650-1704), figlio del brindisino Giovanni, ricordato da Toppi per la sua discreta produzione poetica, giunta solo in minima parte alle stampe «per le continue, e gravi occupationi della propria carica»341. Giovanni era stato, infatti, nominato segretario maggiore di Diego d‘Avalos, marchese del Vasto e di Pescara e principe di Isernia, e per adempiere appieno ai suoi compiti aveva dovuto lasciare San Giovanni Rotondo, dove si era sposato e dove lo stesso Tommaso era nato, e trasferirsi definitivamente a Vasto al servizio del marchese.

Nel corso del Seicento le residenze in provincia, in primis quelle di Vasto e di Pescara, erano divenute, infatti, agli occhi degli esponenti del casato i luoghi deputati a trasmettere un‘immagine di potenza e di supremazia del lignaggio, che si esprimeva nell‘imponenza delle biblioteche, nella maestosità dei palazzi, degli armamenti, nell‘eleganza degli arredi342. Diego incoraggiò significativamente l‘edilizia locale e mantenne la piccola corte istituita dal padre, in cui la cultura era chiamata ad offrire il suo contributo nella costruzione dell‘immagine gloriosa del casato. Tommaso Palma seguì le orme paterne anche per quanto riguarda la carriera, ponendosi al servizio del marchese in qualità di segretario, e volle destinare a quel lignaggio anche i frutti del suo otium letterario. In particolare, con il Compendio l‘erudito si rivolgeva al giovane Cesare Michelangelo, terzogenito di casa D‘Avalos e ultimo esponente della famiglia deciso a mantenere la propria residenza nella città abruzzese:

340 L. MARCHESANI, Esposizione degli oggetti raccolti nel Gabinetto Comunale di Vasto fatta per tavole e

noticine da Luigi Marchesani, Vella, Chieti 1856, pp. 25-60. Delle storie più antiche, invece, - il De Istonii Antiquitatibus e il De situ et varia fortuna Bucae et Istonii, redatte entrambe in età umanistica

rispettivamente da Virgilio Caprioli e da Lucio Canacci - rimane solamente la memoria e pochi riferimenti precisi, tramandati dalla tradizione storiografica successiva.

341 N. TOPPI, Biblioteca, cit., p. 121, 351 (da cui si riporta la citazione). Si veda, inoltre, F. S. QUADRIO,

Della storia e della ragione d‟ogni poesia, Vol. II, Parte I, F. Agnelli, Milano 1741, p. 305 e un breve

riferimento in C. JANNACO – M. CAPUCCI, Storia letteraria d‟Italia: Il Seicento, F. Vallardi, Milano 1966, p. 298.

342 Nel corso del XVI secolo gli esponenti del casato furono impegnati in prima linea sui principali fronti bellici del Vecchio Continente e consolidarono il legame con il potere centrale, acquisendo titoli e benefici attraverso i quali rinvigorire il proprio status sociale. Tuttavia, già ai primi del Seicento, Innico III D‘Avalos (1578-1632), padre di Diego, decise di stabilizzare la dimora familiare nel piccolo centro costiero di Vasto, feudo ottenuto più di un secolo prima (1497) da Innico II, che ne era stato proclamato primo marchese.

«Ecc.mo Principe, chi potrà mai ridire le glorie della real Casa di V. Eccellenza, della qual essendo ella degnissimo germe risplende come il sole frà gl‘altri Pianeti? Le Virtù, che le coronano, la generosità, che nacque con lei, la bontà de‘ costumi, e l‘intelligenza de‘ suoi nobilissimi pensieri, chi potrà appieno ristringere tali pregi in breve giro di parola? Chi conosce un Principe di così sovrani talenti, egli è d‘uopo, che le tributi non solo gl‘ossequij, ma in olocausto il Cuore. Io gliele consegnai fin da suoi primi vagiti, ed in altro non riposa l‘animo mio riverente, chi in venerarla, godendo nel Ciel della grazia dell‘E. V. quei favorevoli influssi, che mi rendono invidiabile à chi che sia».

Nel preambolo elogiativo lo scrivente introduceva le premesse di «quel ―linguaggio della fedeltà‖ che costituisce uno dei più delicati sistemi comunicativi interrelazionali della società di antico regime»343. Consapevole di quanto fosse sbilanciato in quegli anni il rapporto tra la politica e la cultura, Palma non poteva far altro che asservire il proprio impegno letterario al suo signore, in virtù di un‘«adorazione del potere in quanto tale»344. Egli celebrava la grandezza del lignaggio avvalendosi del supporto delle testimonianze storiche e dei monumenti del passato345, e si apprestava a ricostruire la storia della città, in cui il contributo dei D‘Avalos si era dimostrato sempre di primaria importanza per il bene collettivo.

Anteposta al corpus dell‘opera, l‘epistola dedicatoria «è zona paratestuale che proviene dal modello manoscritto, dal codice»346. Nel libro medievale essa si era affermata piuttosto tardi, ma conteneva già «il rituale omaggio al dedicatario e le indicazioni sulla relazione che intercorre tra questi, l‘opera e l‘autore»347. Quest‘ultimo era spesso rappresentato sui frontespizi dei codici «in ginocchio, nell‘atto di offrire al principe, assiso in trono e dotato degli attributi della sovranità, un libro riccamente rilegato»348. Si tratta di un‘iconografia tradizionale che ricorre in tutte le arti figurative – dalle miniature, agli affreschi, alle vetrate dei palazzi – e rappresenta il rapporto di vassallaggio che lega il letterato al suo signore.

In alcuni casi gli scriventi interpretavano la dedicatoria «come doveroso contraccambio di benefici ricevuti, in altri invece essa [serviva] a porre il proprio lavoro sotto la

343 I. FOSI, All‟ombra dei Barberini. Fedeltà e servizio nella Roma barocca, Bulzoni, Roma 1997, p. 55.

344 G. BENZONI, Gli affanni della cultura. Intellettuali e potere nell‟Italia della Controriforma e barocca, Feltrinelli, Milano 1978, p. 89.

345 Scrive ancora Palma: «La sua Gran Casa dunque per continuazione di chiaro, e singolar splendore si scorge non meno da quello, che ne sian scritto gli Istorici antichi, e moderni, che nell‘intaglio de marmi, si come appare anche hoggi di nella lapide ritrovata nel pubblico Foro della Città di Calaspora nelle Spagne».

346 M. PAOLI, Ad Ercole Musagete. Il sistema delle dediche nell‟editoria italiana di Antico Regime, in M. SANTORO – M. G. TAVONI (a cura di), I dintorni del testo: approcci alle periferie del libro, Atti del Convegno Internazionale, Roma, 15-17 novembre 2004; Bologna, 18-19 novembre 2004, I, Edizioni dell‘Ateneo, Roma 2005, p. 152.

347 Ibidem.

348 R. CHARTIER, Cultura scritta e società, S. Bonnard, Milano 1999, p. 39. Si veda G. DUBY, Fondements

d‟un nouvel humanisme 1280-1440, Skira, Genova 1966, pp. 21-29. Scrive Gino Benzoni: «Lo scrivere

dilaga addirittura incontenibile nel ‗600 (―secolo colmo di scrittori‖ riconoscono unanimi i contemporanei) motivato soprattutto dalla dedica colla quale i letterati sciorinano la propria ―servitù‖. [...] c‘è l‘encomio servile nella speranza del compenso» (G. BENZONI, Gli affanni della cultura, cit., p. 89).

protezione di una riconosciuta autorità culturale»349; in altri ancora, il ricorso al sistema delle dediche era ritenuto «un mezzo sufficientemente sicuro per ricavare – nell‘immediato o in un futuro più o meno prossimo – un beneficio dalle proprie opere»350.

La dedicatoria del Compendio giungeva in una fase ancora prematura nell‘iter politico dell‘allora ventitreenne Cesare Michelangelo D‘Avalos, il quale si sarebbe presto mostrato «―onnipotente‖ non soltanto nelle terre d‘Abruzzo, ma [...] dalle coste dell‘Adriatico al Molise alla Capitanata e fino al Tirreno, con le isole di Ischia, Procida e Vivara»351. Tuttavia, la pubblicazione avveniva in concomitanza con un evento cruciale per la famiglia spagnola e per il futuro del rampollo: a soli diciotto anni scompariva l‘ultimo esponente di Pescara, Diego, figlio del fratello Francesco. Cesare Michelangelo, «ansioso di accrescere la sua grandezza e impedire il trasferimento dei beni presso altre famiglie»352, decideva allora di ricorrere alla consueta prassi sociale attuata in Ancien Régime dalla nobiltà italiana ed europea, ossia «il matrimonio con l‘ultima erede femmina dei parenti più prossimi»353. E, dunque, due anni più tardi convogliava a nozze con Ippolita, figlia di Giovanni d‘Avalos d‘Aquino, principe di Troia.

Attraverso questa dedica, Palma ribadiva la propria immutata fedeltà nei confronti del casato e, rivolgendosi direttamente al giovane aristocratico, esprimeva la propria gratitudine e riconosceva nella sua personalità l‘astro nascente della nobiltà locale («il sole frà gl‘altri Pianeti» appunto), prossimo erede dell‘intero patrimonio familiare e detentore di un potere smisurato nei propri feudi e presto anche nel panorama politico europeo:

«Ardisco bensì di dedicare alla di lei impareggiabil Protezione il Compendio dell‘Antichità del Vasto per un abbozzo del molto, che devo al sublime merito di V.E. alla quale umilmente mi prosto restando eternamente».

Cesare Michelangelo avrebbe presto dimostrato un grande interesse per la cultura: «degno cortigiano del tardo Seicento», avrebbe ritrovato nei suoi libri «con nostalgia il ruolo dei principi rinascimentali italiani e delle loro corti e soprattutto l‘autorità esercitata dalle famiglie patrizie nel governo dello Stato».354 La splendida biblioteca, «tutt‘altro che provinciale», rifletterà, ai primi del Settecento, «un contesto culturale che interagisce con l‘Impero, quasi anello di congiunzione tra Napoli e Venezia»355. Gli ottocentotrenta

349 P. FARENGA, Il sistema delle dediche nella prima editoria romana del Quattrocento, in A. QUONDAM (a cura di), Il libro a corte, Bulzoni, Roma 1994, p. 66.

350 M. PAOLI, L‟autore e l‟editoria italiana nel Settecento – Parte Seconda: Un efficace strumento di

autofinanziamento: la dedica, in «Rara Volvmina», 3 (1996), 1, p. 90.

351 F. LUISE, I D‟Avalos, Liguori, Napoli 2006, p. 42.

352 Ivi, p. 40.

353 Ibidem. Su questo tema si vedano i numerosi contributi di Gérard Delille, dal classico Famiglia e

proprietà nel Regno di Napoli (secc. XV-XIX), Einaudi, Torino 1988, all‘ultimo studio: Famiglia e potere locale. Una prospettiva mediterranea, Edipuglia, Santo Spirito 2011.

354 Ivi, p. 46.

355 Ivi, p. 193. Flavia Luise dedica il quinto capitolo del suo saggio alle biblioteche di Cesare Michelangelo e Tommaso d‘Avalos (Libri, cultura, biblioteche nobiliari, pp. 193-208, in particolare si vedano le pp. 193-201 per la biblioteca di Cesare Michelangelo).

volumi, ordinatamente collocati nella stanza d‘angolo del palazzo di Vasto, abbracceranno ogni branca del sapere, dalla letteratura classica e moderna all‘antiquaria, alla teologia, alla trattatistica politica, dagli epistolari alle storie e alle descrizioni cinque-seicentesche del Regno di Napoli.

Offrendo il Compendio al suo protettore, il segretario di corte contribuiva, dunque, ad arricchire «le sue collezioni, a nutrire le sue letture e ad accattivarsi la sua benevolenza»356. Ma soprattutto, la scelta di indirizzare le memorie patrie al signore della città aveva anche lo scopo di consentire che il signore acquisisse una conoscenza storica completa del territorio da lui governato, doverosa prima ancora di approfondire qualsiasi altro genere di studi e di letture.

Occorre, inoltre, tenere in considerazione anche un altro aspetto, e cioè che fino all‘introduzione della stampa, la dedica dell‘opera coincideva con la dedica dell‘esemplare357. Il dono del codice costituiva un gesto attraverso il quale si intendeva instaurare o alimentare un rapporto interpersonale diretto e la lettera rimaneva un discorso privato tra lo scrivente e il destinatario.

Nell‘era di Gutenberg, invece, «la natura stessa del mezzo cui essa è ora affidata fa sì che [la lettera] acquisti valenze e funzioni che in precedenza le erano estranee»358. Infatti, «nel momento stesso in cui [l‘opera] viene diffusa in centinaia, o anche solo decine, di esemplari»359, l‘intimità della dedicatoria del singolo manoscritto cede il posto alla libera lettura di una lettera aperta, rivolta ad un pubblico ben più ampio, in cui l‘autore dichiara «con orgoglio la sua famigliarità col patrono (e magari i servizi a lui resi in precedenza), nonché la protezione che deriverà alla sua opera posta sotto il patrocinio, ma anche all‘interesse del dedicatario, la cui immagine risulta di norma accresciuta o confermata»360. Volendo, quindi, intitolare l‘edizione del Compendio ad una personalità importante per le proprie sorti e già influente nei giochi delle forze politiche locali, Tommaso Palma assegnava alla propria lettera una struttura retorica conforme alle regole che la trattatistica di Ancien Régime aveva prontamente redatto sul sistema delle dediche. In linea con quanto stabilito un secolo prima da Giovanni Fratta, in Della Dedicatione de‟ libri361, il segretario dei D‘Avalos articolava il suo discorso scandendo i punti salienti della sua impresa letteraria, «dalla dichiarazione dell‘importanza del tema trattato, al legame tra quel tema e il dedicatario e infine la celebrazione delle virtù e del prestigio del dedicatario stesso»362.

356 R. CHARTIER, Cultura scritta e società, cit., p. 48.

357 In francese le due pratiche sono designate generalmente da un unico termine, dédicace, perché entrambe consistono «nel fare omaggio di un‘opera ad una persona, a un gruppo reale o ideale, o a qualche entità di altro tipo» (G. GENETTE, Soglie, p. 115). Tuttavia, per segnalare la sostanziale differenza tra il dono del singolo esemplare e la dedica simbolica di un‘opera si ricorre a due verbi distinti, rispettivamente dédicace e

dédier (Ibidem).

358 P. FARENGA, Il sistema delle dediche, cit., p. 57.

359 Ibidem.

360 M. PAOLI, Il sistema delle dediche, cit., p. 153.

361 G. FRATTA, Della Dedicatione de‟ libri, G. Angelieri, Venezia 1590.