Inevitabilmente la forte pressione fiscale e i danni di guerra assestarono duri colpi all‘economia abruzzese88, che fino ad allora era stata in espansione. A partire dal XV secolo gli interessi economici dei centri abruzzesi si erano allontanati dai traffici commerciali gravitanti attorno alla ―via degli Abruzzi‖ – asse viario cruciale da annoverare «tra i grandi itinerari commerciali, diplomatici, culturali e militari dell‘Italia trecentesca»89 –, per rivolgersi al cosiddetto ―Golfo di Venezia‖. Questo era l‘appellativo assegnato al mar Adriatico, dal nome di quella potenza che lungo tutta l‘età moderna ne avrebbe regolato i traffici commerciali, detenendo il controllo di gran parte delle coste occidentali della penisola balcanica e delle sue isole, disciplinando le città portuali dalle quali Roma e Napoli guardavano al mercato orientale, mantenendo il controllo di alcune basi nella regione pugliese. Porti abruzzesi come quelli di Giulianova, Pescara, Ortona, San Vito di Lanciano, Vasto90 consentivano di legare il commercio locale ai molteplici circuiti di traffici che, concentrici e sovrapposti, incorporavano l‘Abruzzo in un ampio ventaglio di mercati. All‘interno della regione una miriade di piccoli e medi centri fungeva da snodo commerciale, attirando nelle proprie fiere mercanti provenienti dall‘Italia centro-settentrionale impegnati nella compravendita dei prodotti locali e stranieri91.
Sul finire del Cinquecento sarà la fiera lancianese il nuovo punto di riferimento per l‘acquisto dello zafferano92, dopo il primato mantenuto dall‘Aquila negli ultimi decenni.
88 Sull‘economia abruzzese imprescindibile è il riferimento a M. COSTANTINI e C. FELICE, Abruzzo.
Economia e territorio in una prospettiva storica, Cannarsa, Vasto, 1998; A. BULGARELLI LUKACS, L‟economia ai confini del Regno: economia, territorio, insediamenti in Abruzzo (XV-XIX secolo), R.
Carabba, Lanciano 2006.
89 F. SABATINI, La regione degli Altopiani maggiori d‟Abruzzo, Azienda di soggiorno e turismo, Roccaraso 1960, p. 68. Sulla Via degli Abruzzi si è tenuto recentemente un importante convegno, promosso dalla Società Geografica Italiana insieme alla Deputazione di Storia Patria negli Abruzzi, Via degli Abruzzi. La
riscoperta di un itinerario storico per nuovi percorsi turistici e culturali nell‟Italia appenninica (28-29
maggio 2010), i cui atti sono in corso di pubblicazione.
90 C. FELICE, Porti e scafi. Politica ed economia sul litorale abruzzese-molisano dal Medioevo all‟Unità, Cannarsa, Vasto 1983, pp. 23-34.
91 Si registrano nella regione presenze cospicue di mercanti giunti «dallo Stato di Milano (Milano e Como), dalla Repubblica veneta (Venezia, Bergamo, Verona), dallo Stato pontificio, sia dall‘area umbra (Norcia, Cascia, Gubbio, Perugia, Spoleto), che da quella marchigiana (Ascoli, Fabriano, Camerino), nonché da Ragusa, dalla Germania e dalla Francia» (A. BULGARELLI LUKACS, L‟economia ai confini del Regno, cit., p. 279).
92 Cfr. C. MARCIANI, Il commercio dello zafferano a Lanciano nel 1500, in ASPN, LXXXI (1963), s. III, pp. 139-161. Il primo punto di riferimento economico nella regione fu Sulmona. Sede del Giustizierato, nel 1234 la città era stata proclamata da Federico di Svevia prima tra le sette fiere annuali del Regno e la sua progressiva crescita era stata supportata dalla ricchezza del territorio e dalla sua posizione strategica lungo la ―via degli Abruzzi‖. Il primato sulmonese venne presto soppiantato dai mutamenti politici in corso e dall‘avanzata della vicina e neoedificata L‘Aquila, che con le due grandi fiere annuali, quella del Perdono ad agosto e quella di San Matteo a settembre – cui si aggiunse una terza, di San Massimo, a maggio – divenne presto il nuovo polo di attrazione dei mercanti italiani e stranieri. Le modifiche apportate da Ferrante d‘Aragona all‘allevamento ovino abruzzese segnarono definitivamente l‘economia di questo territorio: per invogliare i pastori dell‘Aquilano a dirottare le proprie greggi verso i pascoli del Tavoliere pugliese, ponendo fine definitivamente allo spostamento annuale nelle distese erbose laziali, il sovrano concesse loro l‘esenzione dai dazi e dai veti previsti lungo quel percorso; importò dalla Spagna pecore di razza superiore per ottenere la fabbricazione di lane migliori e presto L‘Aquila ottenne il primato sulla città peligna nella
La natura di «fiera franca» concessa alla città frentana dal governo napoletano ne intensificava, infatti, la forza di attrazione poiché le merci vi arrivavano in franchigia da dazi e gabelle. Pertanto essa acquisì presto un peso di tutto rispetto nei circuiti commerciali locali, adriatici ed europei93. Situata nelle vicinanze della costa adriatica, Lanciano aveva inizialmente beneficiato della presenza del porto ortonese ma, già dalla fine del XIV secolo, costruì sul lido di San Vito un proprio molo e si aprì definitivamente al traffico «sottovento» dell‘Adriatico, sotto il rigido controllo della Serenissima, «che le aveva accordato la sua protezione e che la utilizzava quale porta di immissione dei suoi prodotti in tutto il Mezzogiorno»94.
Il legame con Venezia favorì l‘inserimento della cittadina nei circuiti commerciali della cultura europea, se si considera che essa figura tra le quattro fiere librarie europee rilevanti per la circolazione delle stampe, insieme a Francoforte sul Meno, Lione e Medina del Campo95. Lanciano divenne l‘emporio abruzzese delle mappe, delle carte, dei libri e dei
produzione di panni e, coadiuvata dall‘apporto di numerose tintorie collocate in tutta la conca aquilana, mantenne questa posizione di rilievo per tutto il XV secolo, fino ai primi decenni del Cinquecento. Il pagamento delle tasse alla corte reale avveniva mediante la consegna di panni e analogamente si comportavano i «castelli extra» nei confronti della città: «la corte, costretta dalle dissestate finanze, fece sempre buon viso a cattivo gioco degli aquilani; del resto i panni ricevuti erano esitati facilmente, impiegandoli a vestire le genti d‘arme» (P. GASPARINETTI, La “Via degli Abruzzi” e l'attività
commerciale di Aquila e Sulmona nei secoli XIII-XV, in BDASP, LIV-LVI (1964-1966), pp. 5-103, p. 45).
Ma nell‘ampia gamma di merci che il mercato aquilano offriva, sicuramente il prodotto ritenuto più pregiato era lo zafferano. Preziosa per le difficoltà di produzione che la caratterizzano e fortemente richiesta per la varietà di usi cui si presta, questa spezia attirava nei mercati e soprattutto nelle fiere aquilane numerosi acquirenti fiorentini, veneziani e specialmente tedeschi che prediligevano la pianta abruzzese, mentre Lanciano e soprattutto Venezia ne rappresentavano i principali centri di diffusione sul mercato europeo e mondiale. Sul commercio dello zafferano nelle fiere della regione cfr. P. PIERUCCI, Il commercio dello
zafferano nei principali mercati abruzzesi (secoli XV-XVI), in M. COSTANTINI E C. FELICE (a cura di), Abruzzo. Economia e territorio, cit., pp. 161-224; si veda, inoltre, M. R. BERARDI, I monti d‟oro: identità urbana e conflitti territoriali nella storia dell‟Aquila medievale, Liguori, Napoli 2005.
93 Oscurata definitivamente L‘Aquila nella compravendita dello zafferano, l‘antica Anxanum si distinse anche per il commercio di cristallerie e addirittura di schiavi turchi; significativa dovette essere la cospicua presenza di Ebrei in città, confermata anche dagli storici locali. Sul ruolo della fiera di Lanciano nei traffici commerciali tra Medioevo ed età moderna cfr. C. MARCIANI, Lettres de change aux foires Lanciano au
XVIe siècle, S.E.V.P.E.N., Paris 1962 (École pratique des Hautes Études), poi in ID., Scritti di storia,
Carabba, Lanciano 1974, pp. 119-136; ID., Le relazioni tra l‟Adriatico orientale e l‟Abruzzo nei secoli
XV-XVI e XV-XVII, in «Archivio storico italiano», CXXIII (1965), pp. 14-47; ID., Scritti di storia, Carabba,
Lanciano 1974, Voll. II, pp. 7-85; F. CARABBA, Lanciano. Un profilo storico dalle origini al 1860, Botolini, Lanciano 1995; A. BULGARELLI LUKACS, «Alla fiera di Lanciano che dura un anno e tre dì»:
caratteri e dinamiche di un emporio adriatico, in «Proposte e ricerche», 1995, n. 2, pp. 116-147; ID., Da fiera a città: sviluppo fieristico e identità urbana a Lanciano tra XIV e XV secolo, in Atti dell‘Incontro di
studio ―Attività economiche e sviluppo urbano nei secoli XIV e XV‖, 19-21 ottobre 1995, Archivo de la Corona de Aragon in Barcellona, Napoli 1996, ampliato e ripubblicato in ID., L‟economia ai confini del
Regno, cit. pp. 79-112. Sulla fiera lancianese e sugli altri centri fieristici abruzzesi cfr. anche V.
MILLEMACI, Le attività fieristiche e altri aspetti di economia abruzzese, in L‟Abruzzo dall‟Umanesimo
all‟età barocca, cit., pp. 55-74.
94 A. BULGARELLI LUKACS, Introduzione a ID., L‟economia ai confini del Regno, cit., p. 11. Dalla Sicilia, dall‘Egitto, dalla Siria e dalle isole greche giungevano spezie, zucchero, tessuti, sete, pelli, tappeti che nelle fiere lancianesi venivano scambiati con i manufatti tessili e i metalli, grezzi o lavorati, importati da numerose città dell‘Italia settentrionale, quali Venezia, Genova, Firenze e Milano, e dell‘Europa continentale. Rivolto verso Est, l‘altro vettore mercantile guardava alla «perla dell‘Adriatico», Ragusa. ―Emporio della Turchia balcanica‖, questa città fungeva da tramite tra i mercanti di Istanbul e quelli occidentali, convogliati sul percorso commerciale che da Ancona passava per Firenze e in ultimo giungeva a toccare Londra.
codici, e qui gli eruditi locali ebbero la possibilità di essere aggiornati sulle novità culturali dettate dall‘editoria veneziana.
Quando le navi nord-europee cominciarono ad approdare direttamente sulle coste del Levante, evitando la costosa mediazione dei piccoli e medi centri affacciati sull‘Adriatico, l‘economia di queste terre, anche quella di Lanciano, subì una forte battuta d‘arresto. Contribuirono a questo indebolimento altri due fattori: in primis i violenti attacchi dei pirati e, in secondo luogo, l‘affermarsi nel panorama europeo di due nuovi centri del commercio globale, Spalato e Livorno. La prima soppiantò il ponte interadriatico eretto tra Ragusa ed Ancona, rinforzando il tragitto terrestre; la città toscana, invece, divenne il principale scalo marittimo di riferimento tra i porti dell‘Europa settentrionale ed il Mediterraneo.
Lungo il confine – che, lo ricordiamo, era regionale e statale – con lo Stato della Chiesa vigevano rapporti di compravendita, scambio e cooperazione mai tramontati. La demarcazione delle ripartizioni politiche e amministrative era superata in virtù di una condivisione di pratiche, usanze, tradizioni e consuetudini che da secoli avevano accomunato la vasta macroarea sovraregionale dell‘Italia centrale, compresa tra Marche, Umbria, Lazio ed Abruzzo, in cui le cittadine del Regno poste lungo il confine non avevano mai smesso di interagire vivacemente con le limitrofe comunità pontificie, in particolare con quelle della Sabina e dell‘area marchigiana. La montuosità del territorio ha indubbiamente «influito in modo determinante sulla storia e sull‘economia delle sue popolazioni»96 ma senza ostacolare interazioni e scambi; al contrario essa costituì, tra Medioevo ed età moderna, un «elemento di sutura che moltiplic[ò] contatti e relazioni […] ove alla viabilità antica si congiung[evano] via via nuovi sentieri, valichi e snodi funzionali»97.
Nonostante esistesse uno specifico ufficio, la cosiddetta ―grassa‖, preposto al controllo del sistema doganale lungo i confini del Regno, la maggior parte dei rapporti economici tra lo Stato Pontificio e il Reame napoletano si svolgeva quasi sistematicamente fuori dal controllo governativo, soprattutto nell‘Aquilano, tra Leonessa, Accumoli, Civita Reale, le ville di Amatrice e Tagliacozzo. Questo sistema era conosciuto e anzi supportato dalle forze locali, politiche ed ecclesiastiche, che facevano la loro parte incoraggiando la corruzione delle istituzioni.
La forza magnetica che attirava questa ―regione centrifuga‖ verso le aree limitrofe rendeva più difficile la costruzione di un mercato abruzzese uniforme ed omogeneo che riuscisse a coordinare le città delle due province dell‘Abruzzo Citeriore e dell‘Abruzzo
96 P. GASPARINETTI, La «via degli Abruzzi» e l‟attività commerciale di Aquila e Sulmona nei secoli
XIII-XV», cit., p. 5. Sull‘organizzazione e sull‘economia dell‘Appennino nell‘Italia centrale cfr. A. G. CALAFATI
– E. SORI, Economie nel tempo. Persistenze e cambiamenti negli Appennini in età moderna, Franco Angeli, Milano 2004; P. PIERUCCI (a cura di), Tra Marche e Abruzzo. Commerci, infrastrutture, credito e industria
in età moderna e contemporanea, Atti del convegno di San Benedetto del Tronto, 28 ottobre 2006, in
«Proposte e ricerche. Economia e società nella storia dell‘Italia centrale», n. 58, a. XXX, 2007 e numerosi altri studi pubblicati in questa rivista.
97 E. DI STEFANO, Vie di transito ed economia mercantile-manifatturiera nell‟Appennino centrale. Linee di
Ulteriore. Di fatto l‘intero Regno di Napoli era carente di un sistema commerciale compatto, in grado di armonizzare i singoli mercati delle città del Mezzogiorno: i traffici maggiori erano quelli orbitanti intorno al Tavoliere delle Puglie, a seguito dell‘istituzione della Dogana voluta da Alfonso d‘Aragona, a metà Quattrocento, e delle fiere di Foggia, punto di riferimento per i mercanti regnicoli e stranieri.
I rapporti economici con la capitale del Regno erano fondati sul pagamento dell‘annona. Grano, cereali e gli altri prodotti della terra erano inviati, assieme al bestiame, nella città partenopea dove la domanda era progressivamente aumentata nel corso del Cinquecento, seguendo la curva direttamente proporzionale dell‘incremento demografico. Il tragitto praticato era quello che da secoli i mercanti fiorentini, i sovrani meridionali e i loro eserciti, le compagnie di artigiani lombardi avevano percorso: la ―via degli Abruzzi‖. Questa grande arteria viaria che, tra Medioevo ed età moderna, aveva costituito l‘asse portante dell‘economia peninsulare, congiungendo la capitale partenopea a Firenze e, attraverso i maggiori centri marchigiani, all‘Italia settentrionale98, stimolò vivacemente la vita economica dei piccoli e medi centri produttivi e fieristici dell‘Italia centrale, situati tra la costa adriatica e il massiccio appenninico.
A far sì che la ―vivacità economica‖ della montagna appenninica tendesse a calare in età moderna contribuirono molteplici fattori, dalla formazione degli Stati regionali, al rafforzamento del commercio marittimo su quello terrestre e anche all‘allargamento del mercato globale. Infatti, l‘Abruzzo e tutto il Regno napoletano subirono in prima linea le conseguenze dello spostamento del baricentro dell‘economia-mondo dal Mediterraneo all‘Atlantico; ma si può osservare una reazione dicotomica tra l‘area della montagna interna e quella della collina litorale. Nei primi decenni del Seicento si registra, infatti, una «―tenuta‖ complessiva dell‘Appennino centrale»99 per quanto riguarda i dati demografici ed economici, che prosegue fino al Seicento inoltrato, quando le piccole comunità si concentravano sulla produzione destinata all‘autoconsumo e cercavano di superare la congiuntura adeguandosi alla necessità di far ricorso ad un più ampio ventaglio di scelte lavorative100. Diversamente «la collina subappenninica e litoranea, la cui produzione era rivolta verso l‘esportazione, è quella che per prima risente della caduta della domanda
98 La «via degli Abruzzi» era stata migliorata ed ampliata grazie all‘intervento degli Angioini che avevano reso più facilmente percorribili le strade che fino ad allora erano state solo mulattiere e sentieri pedonali. Il trasferimento della capitale del Regna da Palermo a Napoli (1266-1268), l‘alleanza tra Firenze e la corte angioina avevano favorito l‘intensificarsi delle relazioni tra Italia centrale e settentrionale e la pluralità dei centri economici abruzzesi aveva rappresentato un punto di forza per questa regione. Da Napoli arrivava fino a Popoli, «chiave dei Tre Abruzzi», e da qui aveva due diramazioni: l‘una, attraverso la valle dell‘Aterno, proseguiva fino in Umbria e in Toscana e l‘altra, attraverso la valle del Pescara e lungo la costa adriatica, si spingeva verso le Marche e il settentrione.
99 E. DI STEFANO, Vie di transito, cit., p. 4; si veda anche A. GROHMANN, Introduzione, in A.G. CALAFATI – E. SORI (a cura di) , Economie nel tempo, cit., pp. 15-17.
100 Riprendendo le parole con cui J.C. Scott descrive la realtà vissuta dai contadini del sud-est asiatico, e ponendola in parallelo con quella delle montagne abruzzesi, Alessandra Bulgarelli Lukacs scrive: «Se l‘economia di sussistenza entra in crisi […] i contadini faranno tutto il possibile per restare a galla» (in
adriatica»101. I mercanti stranieri che avevano animato il vivace commercio delle fiere aquilane e di quelle lancianesi si decidevano ad abbandonare quelle piazze, in cui la decadenza era ormai «vistosa e repentina»102. Lanciano, proiettata ancora in contesto limitato rispetto alle nuove coordinate su scala intercontinentale, risentiva della stagnazione economica del «Golfo» di una Venezia ormai in crisi e perdeva inesorabilmente la floridezza del secolo precedente: «La fiera ―era discaduta assai dalla grandezza sua‖, sia per le forti imposizioni fiscali, che gravavano sulle transazioni commerciali, sia per le intromissioni dell‘autorità regia, che attraverso il governatore mirò a ridurre i privilegi di cui godeva, sia a causa delle incursioni dei Turchi, le cui imbarcazioni infestavano l‘Adriatico»103.