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Costruire la storia

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2. Costruire la storia

2.1 Il Seicento abruzzese tra «storia sacra» e «storia profana»

La promulgazione della bolla papale Quod a nobis, nel 1568, rappresentò uno dei momenti salienti della Riforma tridentina, in cui furono revisionati i testi delle lezioni e si decretò l‘abrogazione delle liturgie locali che non fossero in vigore da almeno duecento anni. In realtà, la maggior parte degli ordini religiosi conservò il proprio breviario e i culti patronali non vennero abbandonati, anche se, al tempo stesso, la riforma sollecitò una febbrile attività agiografica nella penisola, che portò ad una reinvenzione della historia

sacra. La ventata di rinnovamento giungeva, come è ben noto, in un momento di grandi

tensioni che scuotevano la Chiesa di Roma sia dall‘interno, a causa dell‘ondata riformatrice dei protestanti, che dall‘esterno, a causa della minaccia ottomana598.

Finalmente, all‘indomani della vittoria di Lepanto, papa Gregorio XIII poteva commissionare a Egnazio Danti la realizzazione delle carte geografiche in cui ritrarre, sulle pareti della Galleria Vaticana, l‘Italia unificata dal cristianesimo. L‘impresa celava un preciso significato politico, in quanto «l‘atto stesso di disegnare carte aveva, da sempre, un altissimo valore simbolico: chi fa il ritratto di un territorio se ne impadronisce, sia nei fatti – perché conoscenza significa accesso, utilizzazione, governo – sia metaforicamente, perché chi possiede l‘immagine possiede l‘anima»599. Gli affreschi venivano realizzati tra

598 «L‘agiografia – scrive Spagnoletti – diventa in molte occasioni lo strumento che permette di difendere e legittimare il ruolo della propria città nel gioco di poteri delle gerarchie ecclesiastiche, nella contesa tra circoscrizioni vescovili limitrofe, tra quelle neoelette che vengono perennemente minacciate dalle diocesi d‘origine» (A. SPAGNOLETTI, Ceti dirigenti e costruzione dell‟identità urbana nelle città pugliesi tra XVI

secolo e XVII secolo, in Le città del Mezzogiorno, cit., p. 37). Ne costituisce un valido esempio la

pubblicazione della Vita del Glorioso Apostolo di Cristo S. Tomaso, con la Traslazione, et Miracoli in esso,

per virtù d‟Iddio, operati, uscita dai torchi fermani di Astolfo de‘ Grandi nel 1577, al termine di un periodo

di importanti cambiamenti per la diocesi di Ortona. Nel 1570 il pontefice Pio V aveva deciso di restaurare questa antica sede vescovile. La città farnesiana, che sin dal 1258 ospitava le reliquie dell‘apostolo San Tommaso, allora trafugate dall‘isola di Kios, aveva subito nell‘estate del 1566, durante l‘assalto dei Turchi, la profanazione dei sacri cimeli. La città era semidistrutta e la chiesa di San Tommaso era stata incendiata, e solamente grazie all‘immediato intervento di alcuni cittadini l‘edificio religioso era stato ricostruito e le spoglie riposte in un nuovo reliquiario. In quell‘occasione il nobile ortonese Giovan Battista De Lectis intervenne prontamente per recuperare le spoglie del santo e di lì a qualche anno maturò il desiderio di comporre un‘opera in cui ricostruire la storia locale, dando particolare attenzione alla figura del patrono della città, nel chiaro intento di difendere il prestigio della cattedrale ortonese. La scomparsa di Margherita d‘Austria, vissuta a Ortona nell‘ultima fase della sua vita, aveva ridimensionato l‘attenzione della politica nei confronti della città marittima, tanto più dal momento che i Farnese erano, ora, impegnati a concedere a Campli l‘elevazione a diocesi. La pubblicazione dell‘opera di De Lectis contribuì quindi alla difesa dell‘identità cittadina, consolidata dall‘autonomia della propria cattedrale, qualche anno prima che questa circoscrizione venisse unificata con la neoeletta diocesi di Campli (1600). Nuovamente De Lectis, che nei due decenni precedenti era stato eletto mastrogiurato (1570) e due volte sindaco (1586-87 e 1591-92) della città, si impegnò personalmente per difendere l‘autonomia della diocesi ortonese, ma non poté ovviamente contrastare l‘influenza esercitata dai Farnese su Roma.

599 M. MILANESI, Le ragioni del ciclo delle Carte geografiche, in L. GAMBI - M MILANESI - A. PINELLI, La Galleria delle Carte geografiche in Vaticano. Storia e iconografia, F.C. Panini, Modena 1996, pp. 73- 98, in particolare p. 80. In relazione alle dimensioni delle carte la Milanesi scrive: «Era un atteggiamento nuovo, prodotto dall‘avvicinarsi della carta al territorio che essa rappresentava: tanto maggiore

il 1578 e il 1580, sotto la supervisione del cardinale Cesare Baronio, impegnato in quegli anni a redigere il primo volume degli Annales Ecclesiastici. Costituivano la «risposta autorevole» con cui la Chiesa cattolica intendeva frenare l‘interferenza degli scrittori protestanti, che negli ultimi anni avevano diffuso un‘accanita polemica antiromana, giunta al suo culmine con la pubblicazione delle Centurie di Magdeburgo. Roma aveva, quindi, incentivato «gli studi storiografici che, condotti al lume di una nuova metodologia, basata su originali e rigorose ricerche documentarie»600, sfociavano nella pubblicazione di opere monumentali che avrebbero segnato in maniera indelebile la cultura italiana. La decisione di adottare il modello annalistico rientrava «in un atteggiamento antiretorico basato su una comunicazione scarna, spoglia, verosimilmente ispirata»601, con la quale Baronio intendeva tracciare, in linea antitetica rispetto agli autori d‘oltralpe, le nuove fondamenta della storiografia ecclesiastica. Si mirava a costruire una storia universale della Chiesa, che però, «esauritosi l‘impulso che agli studi sacri era venuto dal Cenacolo della Vallicelliana»602, finì per rimanere un‘impresa impraticabile, che progressivamente cedette il posto al culto della storia locale diocesana, esortata dall‘«esaltazione dei singoli ordini religiosi e della loro particolare agiografia»603. Questo interesse per la storia locale s‘intensificò e fu incalzato dalla preparazione di un‘altra importante opera, l‘Italia Sacra di Ferdinando Ughelli, edita in nove volumi fra il 1644 e il 1662604. Si tratta del primo contributo completo di storia ecclesiastica italiana ed è il risultato di un grande lavoro di cooperazione che l‘abate cistercense intraprese insieme ai vescovi e soprattutto agli eruditi delle Chiese locali della penisola. Nella regione abruzzese erano numerosi i letterati desiderosi di apportare il proprio contributo nell‘imponente impresa, offrendo indicazioni, documenti e

la scala, tanto più stretta l‘aderenza della carta alla realtà, tanto più immediata la sua utilizzabilità pratica, tanto più significativo il suo possesso» (Ibidem). Si vedano, inoltre: F. FIORANI, The marvel of maps. Art,

Cartography and Politics in Renaissance Italy, Yale University Press, New Haven and London 2005; M. B.

BETTAZZI, Le città dipinte, Tesi di dottorato di ricerca in Storia dell‘Architettura e della Città, XIX ciclo, Università degli Studi di Napoli ―Federico II‖, Facoltà di Architettura, tutor C. De Seta, a. a. 2007/2008.

600 G. MORELLI, Muzio Febonio e gli studi eruditi a Roma nel '600, in «Strenna dei Romanisti», XLVIII (1987), p. 401. Sul peso che la Riforma tridentina ha esercitato sull‘erudizione sacra si vedano S. BERTELLI, Storiografi, eruditi, antiquari e politici, in E. CECCHI – N. SAPEGNO (a cura di), Storia della

letteratura italiana, V, Il Seicento, Garzanti, Milano 1967, pp. 321-414; ID., Ribelli, libertini, ortodossi nella storiografia barocca, La Nuova Italia, Firenze 1973; S. DITCHFIELD, Liturgy, Sanctity and History in Tridentine Italy. Pietro Maria Campi and the preservation of the particular, Cambridge University Press,

Cambridge 1995. Sul clima di grande fervore culturale che si respirava a Roma in questi anni si veda A. ROMANO, Rome, un chantier pour les savoirs de la catholicité post-tridentine, «Revue d‘Histoire Moderne et Contemporaine», 2 (2008), n. 55-2, pp. 101-120.

601 C. GINZBURG, Descrizione e citazione, in ID., Il filo e le tracce, cit., p. 34.

602 M. A. RINALDI, Le storie ecclesiastiche, in Il libro e la piazza, cit., p. 217.

603 S. BERTELLI, Ribelli, libertini, ortodossi nella storiografia barocca, cit., p. 91. Il rinnovamento della storiografia ecclesiastica era infatti sostenuto, oltre che dalla resistenza alla cultura protestante, da una «polemica» interna alla Chiesa cattolica, in cui «le tradizioni locali vennero a conciliarsi e ad integrarsi in una visione generale di validità universale all‘interno del mondo cattolico» (S. DITCHFIELD, Erudizione

ecclesiastica e particolarismi tra tardo medioevo e prima età moderna, in S. GENSINI (a cura di), Vita religiosa e identità politiche: universalità e particolarismi nell‟Europa del tardo medioevo, Pacini, Pisa

1998, p. 480). Si veda, inoltre, P. PRODI, Storia sacra e Controriforma, in «Annali Istituto storico italo-germanico in Trento», 3 (1977), pp. 75-104.

604 Sull‘opera dell‘Ughelli si veda G. MORELLI, Monumenta Ferdinandi Ughelli, Barb. lat. 3204-3249, in «Miscellanea Bibliothecae Apostolicae Vaticanae», IV, Città del Vaticano 1990, pp. 243-280.

notizie varie sulla propria terra d‘origine605. Ughelli, dal canto suo, esercitò una notevole influenza sulla scrittura dei suoi collaboratori, che non consistette unicamente nei rimandi e nelle citazioni di cui i singoli eruditi arricchivano i propri scritti: con gli abruzzesi, in particolare, l‘abate instaurò solidi rapporti umani, alimentati dalla reciproca stima e da un costante e aperto confronto sulle tesi storiografiche, antiquarie e agiografiche.

I dettami della cultura controriformistica entrarono, quindi, prepotentemente negli studi di storia municipale, in relazione alla quale ogni scrittore si impegnò a «documentare come il cristianesimo fosse stato sempre vivo, nel corso dei secoli, in ogni regione, in ogni città, in ogni piccolo villaggio»606. La ricerca storica divenne il locus perfetto in cui si fondevano «la cultura individuale, la mitologia cittadina o nazionale, in cui si evidenziava l‘ideologia politica o religiosa, e soprattutto la morale civile, [...] bisogno sociale di cui necessita[va] ogni nuova comunità che intend[esse] costruirsi su una base ideale, morale e civile»607. Nella società cristiana, plasmata dalla cultura postridentina, «l‘elemento civile e quello religioso si intreccia[va]no e si sorregg[eva]no reciprocamente, integrandosi in stretta unità»608; allo stesso modo, negli studi locali, la ricostruzione della ―storia profana‖ poteva essere accostata allo studio della ―storia sacra‖, di una diocesi e dei suoi protagonisti. Nello specifico, l‘attenzione predominante nei confronti della storia antica, precedente alla nascita del cristianesimo, non suscitava alcun contrasto rispetto al culto del sacro. Al contrario, la storia delle popolazioni che originariamente avevano abitato le proprie terre suscitava nel lettore una particolare attenzione, perché spesso interpretata come prefigurazione della storia successiva.

605 Tra le 1300 lettere circa raccolte negli otto volumi del fondo Barberiniano Latino nella Biblioteca Apostolica Vaticana (Barb. lat. 3239-3246) sono state individuate 32 lettere indirizzate all‘Ughelli da parte degli eruditi abruzzesi: nello specifico 5 sono di Girolamo Nicolino, 12 di Niccolò Toppi, 1 di Giuseppe Toppi, 1 di Lucio Camarra, 2 di Francesco Brunetti, 1 di Giangiacomo Bucciarelli, 2 di Carlo De Lellis, 1 di Gaspare De Simeonibus, 1 di Giuseppe Perrella. Esse sono state integralmente pubblicate in G. MORELLI,

Lettere inedite di storici abruzzesi a Ferdinando Ughelli, in «Abruzzo. Rivista dell‘Istituto Studi Abruzzesi»,

12 (1974), pp. 73-102. I rapporti intrecciati tra gli Abruzzesi e Ughelli testimoniano l‘apertura dei confini culturali della regione. In età moderna l‘Abruzzo è «una regione aperta con frontiere tutt‘altro che insormontabili, anzi, per così dire, invisibili» (G. OLIVA, Le frontiere invisibili. Cultura e letteratura in

Abruzzo, Bulzoni, Roma 1982, p. 11).

606 G. MORELLI, Muzio Febonio e gli studi eruditi a Roma nel „600, cit., p. 401.

607 M. SPADACCINI, Niccolò Toppi e gli Scritti varii: Chieti e Penne, in QFIAB, 90 (2010), p. 226. Il mito fondativo non accennava affatto a scomparire, rimanendo agli occhi dei lettori coevi un‘immagine fortemente suggestiva che gli autori non rinunciavano a collocare in apertura dei loro testi. Lo stesso Ughelli inseriva nella propria opera i racconti leggendari ricostruiti dagli amici abruzzesi. Infatti, nelle pagine dedicate alla Metropoli teatina, dove l‘autore fa riferimento ai testi di Camarra, Nicolino e Toppi, si legge: «Etenim alii in

fictam Titeam, quam Vestam vocant, eius retulere principium, & nomen, postea in Teate derivasse quod hodie vulgus appellat Teti & frequentius Chieti. Alii ab Hercule, vel ab eius sociis, aut à Graecis è Tege Arcadiae oppido appulsis ante Trojanum bellum DLX annis, vel paulo ante Illi excidium à Thetide Achillis matre, vel paulo post ab ipsomet Achille in matris honorem conditam fuisse, & nomen accepisse volunt» (F.

UGHELLI, Italia Sacra, Vol. VI, S. Coleti, Venezia 1720, col. 669).

608 La citazione è tratta da uno studio relativo ad un‘epoca successiva: D. MENOZZI, Tra riforma e

restaurazione. Dalla crisi della società cristiana al mito della cristianità medievale (1758-1848), in Storia d‟Italia, Annali 9, La Chiesa e il potere politico dal Medioevo all‟età contemporanea, Einaudi, Torino 1986,

Non a caso Muzio Febonio avviò il primo libro della sua Historia Marsorum soffermandosi sul fatto che l‘antico nome dei Marsi era stato ereditato unicamente dalla Chiesa locale:

«Sed à Principum partitione Marsorum hic ager excidit, nec Regioni nec Provinciae nomen dedit, sed confusa in dominatione tulit alter honorem. Sola enim Romana Apostolica Sedes, sivè in Provinciarum erectione, sivè in Diaecesum distributione, Marsorum praefecit nomen, ampliores quidem in Provincia, quàm in Diaecesi terminos [...]».

Era stato il vescovo dei Marsi, Ascanio De Gasperis, a esortare Febonio a pubblicare «le vite Dei Santi Marsicani a completamento dell‘Historia Marsorum che aveva appena ultimata»609, e l‘autore stesso, nel Proemio alla sua prima opera edita, la Vita delli gloriosi

Martiri S. Cesidio Prete e S. Rufino Suo padre primo Vescovo de‟ Marsi, aveva

preannunciato la propria intenzione di dare alle stampe questo ampio progetto storiografico610. Purtroppo la sua inaspettata scomparsa, avvenuta il 3 gennaio del 1663, gli impedì di curare personalmente la pubblicazione di entrambe le parti. Inoltre, a distanza di qualche mese, il 23 maggio, giungeva la lettera di Pier Francesco de Rossi alla richiesta che un «Reverendissimo» gli aveva rivolto per ottenere l‘imprimatur per la pubblicazione delle Vite dei Santi. Il Promoter affermava che il lavoro «pativa del mal comune di hoggi, cioè essere scritto con stile romanzo da penna poco pratica nel portare con purezza le Vite de‘ Santi» e che, inoltre, la Congregazione non autorizzava la pubblicazione di alcune biografie perché non inserite nel Martirologio Romano, negli Annali Ecclesiastici e in nessun altro autorevole repertorio agiografico. Poco dopo anche De Gasperis venne a mancare (16 agosto 1664) e il suo successore, mons. Didaco Petra, si impegnò perché i manoscritti del Febonio non andassero perduti. Incapace di recuperare la raccolta feboniana611, completata e corretta dall‘autore poco prima della sua scomparsa, il vescovo consegnò allo stampatore Tinassi un plico di carte posseduto dal fratello Asdrubale, e finalmente nel 1673 uscì alle stampe la Vita di S. Berardo Cardinale del titolo di S.

Grisogono e di altri Santi della Diocesi de‟ Marsi. L‘opera comprendeva solo una minima

parte della produzione agiografica compilata da Febonio; tuttavia, la premura di rendere

609 G. MORELLI, Dei Santi Marsicani, in Muzio Febonio nel quarto centenario della nascita (1597-1997), Atti del Convegno, Avezzano 9 maggio 1998, DASP, Colacchi, L‘Aquila 2000, p. 208.

610 Scrive Febonio nel proemio all‘opera agiografica: «Per la quale [mia Collegiata] dopo haver cercato molte antiche scritture e memorie, sono stato anco in persona in quei luoghi dove la necessità dell‘opera mi astringeva, e con più lungo discorso, nell‘annotationi alla latina, che nella descrittione de‘ Popoli de‘ Marsi, che sta ora sotto la mia penna (piacendo a Iddio) si vedrà approvato in tutto. Le quali annotationi con il compendio della vita medesima e altri antichi documenti, ha avuto da me il Sig. Francesco Brunetto di Campoli, che scrive le antichità del Regno di Napoli, e per le mani d‘un mio amico, con un breve discorso volgare di questi paesi, fatto anco da me, sono pervenuti in Napoli in potere di altro scrittore, che è per darle alle stampe».

611 Successivamente la raccolta entrò a far parte del ms 2375 (cc. 77-167) della Biblioteca Casanatense di Roma, dove esso è ancora oggi conservato. Giorgio Morelli l‘ha pubblicata negli Atti del convegno Muzio

pubblico il frutto di queste ricerche era divenuta incalzante all‘indomani della chiusura del Concilio di Trento, quando la diocesi dei Marsi aveva raggiunto un suo assetto strutturale definitivo612. Inevitabilmente, come in tutto il Mezzogiorno, la celebrazione della sacralità passava attraverso il culto del santo locale, e la figura del Febonio assumeva un ruolo di primo piano nella legittimazione culturale di questa Chiesa locale, avendo egli lavorato con scrupolosità e devozione, cercando di «documentare il costante ideale di santità propagatosi nei primi secoli del Cristianesimo durante e dopo le invasioni longobardiche nella terra dei suoi avi»613.

Il rafforzamento dell‘identità culturale della comunità marsicana giungeva al suo massimo attraverso il recupero della tradizione italica, considerata il privilegiato elemento fondante della memoria collettiva e, di conseguenza, integralmente assorbita dalla cultura ecclesiastica. Per questo, a distanza di quattro anni, lo stesso Didaco Petra avrebbe garantito la pubblicazione dell‘Historia Marsorum, destinata a costituire, da quel momento in avanti, la pietra miliare per la conoscenza della storia preromana e romana della Marsica.