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Storie di uomini illustri

La memoria e la storia locale 1. Le tradizioni memorialistiche

1.4 Storie di uomini illustri

In una lettera oggi conservata nella provinciale aquilana, Bernardino Cirillo discorreva con l‘amico Giuseppe dell‘idea da lui maturata diversi anni prima di «volere in una sala del Municipio collocare le immagini dei buoni cittadini, vissuti dalla fondazione dell‘Aquila ai suoi tempi, apponendovi delle iscrizioni»269. L‘alto prelato affermava di aver realizzato queste epigrafi in passato ma di averne perso le tracce durante un lungo periodo d‘infermità. Per questo, ormai anziano e affaticato, pregava l‘amico di cimentarsi egli stesso nella riproduzione di queste targhe commemorative, riconoscendo la sua grande versatilità in quel campo. Cirillo, dal canto suo, si era impegnato a stilare un elenco nel quale si ricordavano con rapidi cenni, in ventiquattro pagine, nomi e notizie relative alle personalità di spicco vissute nella città abruzzese. La Memoria sui cittadini più illustri

dell‟Aquila vissuti da un secolo e mezzo prima del Cirillo è oggi conservata presso la

Biblioteca Provinciale all‘Aquila; ad essere andata perduta è, invece, un‘opera più ampia e più impegnativa, gli Elogi degli uomini Illustri, di cui l‘erudito parla in un‘altra lettera, inviata al fratello da Roma:

«Ho appresso a lor scritto alquanto di ragionamento del nome della città patria nostra, del modo de nobilitarsi et che per fatighe si viene a gradi, della carità che si deve alla patria e del stato d‘essa et modo di rilevarla. Ho poi in lingua letteraria per più brevità et mio comodo ricordato le ruine di Amiterno, Forolo, Forcona et Ancidonia et li lochi da loro discesi con l‘origine e principio della città, et alcune persone insigni et capi di famiglie, molti dei quali ho appresentati con iscritioni, titoli ed epitaffi con intentione anche di ricordare delli altri piacendo al Sig. Dio di prestarmene tempo et facultà; vi ho anche nominati alcuni Sig.i et prelati miei benefattori con altri miei compagni et amici a causa che li lor nomi restino e sieno ricordati in casa mia da noi e dalla nostra posterità e successione, come benemeriti di essa, il che tutto ho fatto copiare et ridurre nel presente volume quale vi mando, et habiate cura di ben custodirlo e volendo altri vederlo, mostratilo volentieri, ma fate che non si porti fuora di casa, et vel raccomando strettamente»270.

268 Scrive l‘editore: «dietro a sìffatte ricerche Monsignor Antinori impiegò anni quaranta; per avere a un bisogno tutta la Storia di quelle Regioni, come in una dipinta tela, presente. Egli fu a cotali studj inclinato fin dalla prima sua gioventù [...]».

269 O. D‘ANGELO, Bernardino Cirillo e il suo epistolario manoscritto, Colaprete, Sulmona 1903, p. 17. La lettera fa parte del secondo volume dell‘epistolario (269-295).

Quest‘opera di Cirillo non sarebbe stata, dunque, mandata alle stampe perché ritenuta dallo scrivente insufficiente a rendere il giusto omaggio ai personaggi descritti. Posseduto alla metà del secolo successivo da Ferdinando Romanelli, parente di Cirillo, come testimonia l‘accademico dei Velati Girolamo Florido, e consultato nel ‗700 da Antinori, il manoscritto sarebbe presto andato perduto271. Tuttavia, le informazioni riportate in questa lettera ci aiutano a comprendere l‘interesse che l‘abruzzese nutrì in quegli anni per un filone della memorialistica che stava vivendo un periodo di forte ascesa nel panorama cinquecentesco italiano, e di cui certamente Cirillo aveva avvertito ben presto l‘importanza, vivendo in un polo culturale come Roma.

Sostanzialmente ignorato dalla cultura medievale, il filone degli Elogia aveva conosciuto una rapida affermazione nella penisola italiana a partire dall‘inizio del XIV secolo. La rinnovata attenzione nei confronti dell‘uomo e delle sue capacità, la riflessione sul concetto di virtù quale nuovo carattere nobilitante dell‘essere umano, secondo le recenti tendenze ideali che animavano i dibattiti negli ambienti colti dell‘età umanistica, portarono a riaccendere l‘interesse per questo filone, largamente praticato dagli autori della classicità. Dopo i primi contributi incentrati principalmente sul ruolo delle personalità di primo piano nella storia generale, l‘attenzione degli scrittori si sarebbe presto focalizzata sull‘idea della preminenza di quei singoli individui che si erano distinti nella scena storica cittadina, sulla scia del Liber de originibus civitatis Florentiae et eiusdem famosis civibus di Filippo Villani e del De viris illustribus di Bartolomeo Facio. Occorre inoltre tener conto della felice fioritura che vissero, nel corso dell‘intera età moderna, le opere monografiche: scritti in cui si tracciava la vita del santo patrono e che puntualmente venivano introdotti da una più o meno corposa premessa di carattere storico sulla città che ancora ospitava le reliquie del santo e testi elaborati per celebrare le glorie di personalità influenti nella scena pubblica locale, vissute nelle epoche passate e al tempo presente.

Come si è già detto, quasi tutte le storie cittadine erano corredate da cataloghi di uomini illustri che potevano occupare lo spazio di un capitolo o di un libro. La scelta di inserire queste ―rubriche‖ nelle storie locali stava ad indicare lo stretto legame che significativamente l‘autore intendeva siglare tra la memoria della città, ―Madre Patria‖, e i suoi più celebri ―figli‖, degni di nota e di riconoscimento in virtù delle gesta eccezionali con le quali concorrevano ad accrescere la magnificenza della propria città d‘origine. Al tempo stesso queste scritture andavano ad integrare quella letteratura celebrativa con cui si intendeva garantire una legittimazione culturale all‘autorità cittadina coeva. Infatti, in questi testi ricorrevano i nomi dei governanti della città, dei loro avi, e dei signorotti e degli alti prelati sotto la cui protezione gli scrittori avevano potuto dedicarsi apertamente all‘otium letterario, accedere agli archivi locali e a quelli della capitale, altrimenti difficilmente accessibili, e godere di benefici e favori. A incoraggiare l‘elaborazione delle storie di uomini illustri fu, in molti casi, il vivace clima degli ambienti accademici, «nel cui

271 G. FLORIDO, I fulmini dell‟Aquila fedelissima ministra del Gran Giove austriaco risposta apologetica al

signor conte Galeazzo Gualdo priorato di don Girolamo Florido. Nell‟Accademia de‟ Velati detto l‟Occulto,

ambito il concetto di virtus si complicò di spessori morali in sintonia con i rigorosissimi dettami della Controriforma»272. Successivamente, e fino a tutto il Settecento, nel risveglio culturale che investì gli interessi di poeti e prosatori, e anche di storici, filosofi e scienziati, le accademie si animarono di nuovi interessi ma l‘attenzione rivolta allo studio delle biografie degli uomini virtuosi non accennò a sbiadire, e anzi si rinnovò.

La pubblicazione del De Viris Illustribus Marsorum liber singularis spalancò, nel 1712, le porte dell‘Arcadia all‘allora ventiseienne Pietro Antonio Corsignani. Già iscritto a numerose accademie letterarie italiane, egli si apprestava allora a stringere con l‘istituto romano e con le varie ―colonie‖ fondate in buona parte della penisola un rapporto duraturo, ravvivato dal suo costante impegno letterario e storico. Nelle pagine introduttive dell‘opera il giovane letterato illustrava le ragioni che avevano mosso la sua penna:

«Nulla etenim gloriae cupidinis [sic] adductus, nullaque ingenii ostentatione permotum [sic] hoc suscepisse negocium [sic] confirmo, sed tantum ob bene de me meritam Patriam, extinctorum Civium meorum gloriam, qua possem laude, non schematum luminibus, non verborum ornamentis, non sententiarum leporibus prosequerer, quibus eo magis non utor, quanto maiorum sunt horum gesta, quae nisi nuda expositione non egent».

L‘amore per la patria e gli exempla degli autori antichi avevano spronato lo studioso nell‘accurata ricerca di tutti gli illustri conterranei che nel tempo si erano distinti per la propria virtus, ricerca che Corsignani si riprometteva di completare in un‘opera successiva, di più vasto contenuto, quale sarebbe stata la Reggia Marsicana ovvero Memorie

topografico-storiche di varie Colonie, e città antiche e moderne della Provincia dei Marsi e di Valeria, compresa nel Vetusto Lazio, e Abruzzi, colla descrizione delle loro Chiese, e Immagini miracolose; e delle Vite de‟ Santi, cogli Uomini Illustri, e la Serie de‟ Vescovi Marsicani, edita in due voluminosi tomi nel 1738273.

Superato il capitolo iniziale che riveste il ruolo di Prefatio, in cui si descrive l‘entourage nel quale si era alimentato l‘interesse per questo genere storiografico, nei successivi capitoli si sviluppa il «minuzioso repertorio dei figli della Marsica che nel passato prossimo e remoto riuscirono a segnalarsi nei vari campi dell‘agire e del pensare»274. Gli elementi virtuosi che contraddistinguono gli uomini illustri presentati in questi testi sono scanditi da una tradizione ben consolidata: il valore nelle lettere, nella santità, i titoli, la dignità contraddistinguono i volti dei più noti marsicani vissuti nel corso delle varie epoche e conferiscono loro nobiltà. Dopo le conclusioni e il congedo dal lettore, Corsignani porge i tradizionali ringraziamenti a Filippo Sacripante, avvocato concistoriale presso il quale lo scrivente aveva svolto l‘attività forense, ai familiari e agli amici eruditi.

272 V. ESPOSITO, Corsignani scrittore e l‟età dell‟Arcadia, in Pietro Antonio Corsignani nel terzo

centenario della nascita (1686-1986). Atti del Convegno Celano, 8-9 novembre 1986, DASP, Japadre,

L‘Aquila, 1987, p. 84.

273 P. A. CORSIGNANI, De viris illustribus, A. De Rubeis, Roma 1712, p. 286.

A chiusura del volume si espone una raccolta di iscrizioni dedicata al nobile romano Prospero Mandosio, che aveva dato l‘approbatio canonica al testo, a conferma di quell‘intreccio semantico posto in evidenza tra la virtus umana e la vetustas del passato collettivo, documentato dalla ricerca antiquaria.

La scelta di adottare il latino non sorprende, considerando il ruolo predominante ricoperto nel corso del XVIII secolo da questa lingua nella cultura ufficiale, negli scritti scientifici e nell‘insegnamento universitario, e Corsignani si impegna, quindi, a redigere la sua trattazione sull‘esempio dei «migliori modelli pagani e cristiani, con l‘aggiunta d‘un forte debito allo stile ―ecclesiasticus‖ d‘impronta medievale»275, conferendo alla propria opera un ineccepibile alone di autorevolezza e prestigio. Presto il giovane prelato avrebbe avviato un «lungo carteggio»276 con Ludovico Antonio Muratori, polo della cultura erudita settecentesca, la cui produzione, non a caso, fu in larga parte scritta in lingua latina. A lui, il 24 aprile 1724, Corsignani chiese di inserire il De viris illustribus nell‘imminente pubblicazione dei Rerum Italicarum Scriptores, insieme all‘Historia Marsorum di Febonio, già prevista nel palinsesto muratoriano. In realtà l‘opera seicentesca era stata data alle stampe a Leida l‘anno precedente da Pietro Burmann, nel nono volume del Thesaurus

antiquitatum et historiarum Italiae di Giovanni Giorgio Graeve e Muratori aveva, dunque,

dirottato Corsignani verso il curatore del progetto editoriale olandese. Burmann, dal canto suo, si accingeva a concludere l‘opera e alla richiesta di Corsignani non poté far altro che rispondere con un nuovo proposito da avanzare all‘editore Pietro Van der Aa, per la realizzazione di un decimo volume in cui presentare un appendice di testi al Thesaurus e includere eventualmente il De Viris.

Corsignani apportò le variazioni richieste, arricchì la sua opera di aggiunte e ne inviò una copia a Leida ma il progetto non andò a buon fine, molto probabilmente a causa della morte dell‘editore olandese, e la nuova redazione del De viris rimase inedita277. Comunque, nell‘arco del decennio appena trascorso, l‘opera aveva già riscosso, nella penisola e oltralpe, un notevole successo di critica. A un anno dalla sua pubblicazione il

Giornale de‟ Letterati ne aveva presentato una lunga recensione, «dovuta alla penna dello

stesso Corsignani – come era allora normale consuetudine – dove si fa[ceva] una descrizione minuziosa dell‘opera»278 e se ne sottolineava il notevole spessore culturale. Nel 1717 il testo passava al giudizio dei lipsiensi Acta Eruditorum che sottolineavano il rapporto di continuità con l‘Historia Marsorum, e successivamente nuovi interventi avrebbero dimostrato l‘interesse che l‘opera aveva destato nel panorama culturale italiano ed europeo.

275 Ivi, p. 92.

276 P. A. CORSIGNANI, Reggia Marsicana, cit., Vol. I, p. 469.

277 A testimoniare questo dialogo tra autore ed editore restano tre lettere oggi conservate presso l‘Archivio Muratoriano annesso alla Biblioteca Estense di Modena, pubblicate da Giorgio Morelli in Ricognizione

bibliografica relativa alla vita e alle opere di P. A. Corsignani, in Pietro Antonio Corsignani nel terzo centenario della nascita, cit., n. 2-3-4-5, pp. 51-54.

278 Ivi, p. 61. La recensione (originariamente apparsa in «Giornale de‘ Letterati d‘Italia», XIII, Venezia 1715, pp. 309-321) è stata riprodotta da Enzo Esposito (Annali di Antonio De Rossi, stampatore in Roma

L‘altro importante contributo appartenente a questo filone e giunto anch‘esso alle stampe è il Catalogo di Uomini Illustri per santità, dottrina, e dignità, usciti in diversi

tempi dalla Città di Teramo, coll‟epigrafe Pauper aqua Tordine fluis, non pauper honore,

pubblicato presso la stamperia teramana di Giacomo Antonio Consorti e Antonio Felcini nel 1766. L‘autore, Alessio Tulli, apparteneva ad una rispettabile famiglia locale e in quegli anni si accingeva ad acquisire dai signori Caucci di Ascoli Piceno il feudo di Faraone, ottenendone il titolo di barone279. L‘erudito teramano partecipò laboriosamente all‘attività politica cittadina, insieme a Berardo Quartapelle280 e a Giovan Francesco Nardi, tutti legati al circolo culturale che faceva capo a Melchiorre Delfico e figure di primo piano nel tormentato gioco socio-politico di fine secolo.

Nel Catalogo, dopo aver rivolto la dedica «all‘amico concittadino», Tulli dava l‘avvio alla rappresentazione degli oltre cinquanta teramani illustri: come nella storia cittadina, da lui lasciata inedita e giunta alle stampe agli inizi del secolo scorso, l‘autore posizionava le coordinate temporali tra l‘età medievale e l‘epoca moderna, ponendo insieme le personalità più rilevanti vissute in quei secoli. Si prefiggeva, inoltre, di non tralasciare la descrizione dei più ragguardevoli protagonisti della scena politica e intellettuale a lui coeva, primo fra tutti l‘amico Melchiorre Delfico. A lui e a Muzio Muzii, Tulli dedicava un ampio spazio, riconoscendo nelle loro opere un prezioso contributo, utile a consolidare la memoria collettiva teramana.

Questa pubblicazione giungeva in un periodo cruciale per la vita politica della città. In quello stesso anno, «l‘ultimo teramano laureatosi in legge a Napoli era un ―cittadino‖ non

279 La produzione storiografica del Tulli è vasta e spazia tra le varie forme di scrittura interne al filone delle storie locali, avendo egli scritto, oltre al Catalogo, un‘opera in latino sulla vita del vescovo Giovan Antonio Campano (A. TULLI, Joannis Antonii Campani, Episcopi Aprutini vita a Michele Ferno Mediolanensi fusius

descripta nunc in epitomen redacta. Cui accesserunt notae ac vindicae varias Campani vitae conditiones illustrantes: necnon de eodem virorum doctorum elogia, et testimonia, Consorti e Felicini, Teramo 1765) –

insieme alla ripubblicazione del testo quattrocentesco, prima storia teramana –, un inno a San Berardo, una storia di Teramo limitata al periodo intercorso tra il regno di Ruggieri e quello di Ferdinando il Cattolico (Memorie storiche teramane dalla dominazione sveva alla fine della monarchia aragonese nel Regno di

Napoli (secc. XIII-XV), raccolte da A. TULLI e compendiate da G. F. NARDI nel secolo XVIII, con

prefazione di F. SAVINI, in RivAbrTeramo, XXVII (1912), 1, pp. 1-22) e, infine, un Sonetto per la città di

Teramo, edito sul giornale poetico di Venezia nel 1787, in occasione del ripristino del Tribunale Collegiato

in città al posto del Giudice Monocratico.

280 Quartapelle si impegnò sia nell‘attività didattica sia in quella dell‘economia agraria. Nel 1772 istituì a Teramo, tra difficoltà e malumori, una scuola d‘istruzione pubblica. Fu accusato per ben due volte di miscredenza, tuttavia tra il 1775 e il 1776 e nuovamente nel 1783 uscì indenne dalla condanna e poté essere eletto membro della neocostituita Società Patriottica di Teramo. Nel 1798 entrò a far parte della municipalità di Teramo, ma in seguito all‘allontanamento dei Francesi dalla città la sua casa, come quella del Tulli, fu saccheggiata e distrutta. Tra le sue opere ricordiamo: B. QUARTAPELLE, Memoria per la società

Patriottica di Teramo sulla maniera di preparare e di seminare il grano, Napoli 1796; ID., I principi della vegetazione applicati alla vera arte di coltivar terra per raccorre dalla medesima il maggior possibile frutto, Tomi 2, Teramo 1801-1802. Manca una biografia aggiornata su questo personaggio che ebbe un ruolo

rilevante negli eventi del 1799. Le poche notizie che di lui si sanno provengono da N. PALMA, Storia

Ecclesiastica e Civile, cit., Vol. 5 p. 240; G. PANNELLA, L‟abate Quartapelle e la coltura in Teramo, Napoli 1888; A. DE IACOBIS, Cronaca degli avvenimenti in Teramo ed altri luoghi d‟Abruzzo (1777-1822) in L. COPPA-ZUCCARI, L‟invasione francese degli Abruzzi (1798-1815), Vol. III, L‘Aquila

appartenente ai ―quarantotto‖»281. L‘evento scatenò subito ritorsioni, che però non poterono frenare l‘inevitabile declino di quel sistema governativo. Il 1° dicembre 1770 fu promulgato il dispaccio reale che definiva la riorganizzazione amministrativa dell‘universitas: esso «prendeva atto dell‘inesistenza di un ceto nobiliare forte e consistente in città – la cosiddetta ―nobiltà generosa‖ – e divideva tutti i cittadini in due ceti, civile e popolare, all‘interno dei quali il parlamento sceglieva i decurioni ―civili e popolari‖»282. Tulli difese con forza la posizione dei ―quarantotto‖ e da quel momento in avanti tentò in tutti i modi di limitare l‘accesso di homines novi alle cariche pubbliche. Insieme ai Delfico, ai Mezzucelli, ai Thaulero, ai Montani e ai Pompetti, i Tulli costituivano i maggiori esponenti di quell‘«élite di potere che controllò il consiglio comunale in questo ventennio [1770-1798]»283, nel tentativo di difendere i comuni interessi. La pubblicazione del Catalogo può, dunque, essere interpretata come la prima ―presa di posizione‖ sostenuta dal colto teramano, maturata proprio negli anni in cui il sistema del ―quarantottismo‖, attivo in città da tre secoli, cominciava a vacillare. Si tratta di un libro di piccole dimensioni, che probabilmente l‘erudito compilò in poco tempo, ma la cui pubblicazione poteva costituire la risposta della cultura alla crisi della politica locale. L‘ultima riflessione è dedicata alla Memoria di alcuni huomini celebri dell‟Aquila, che

hanno scritto et dato in luce Libri di diverse professioni, pubblicata da Salvatore Massonio

nel 1594, in appendice al Dialogo sull‟origine della Città dell‟Aquila. A differenza delle altre storie cittadine che comprendono nella propria struttura la rubrica degli uomini illustri, quest‘opera riporta un frontespizio a sé rispetto al Dialogo, anche se comunque mantiene la stessa numerazione delle pagine precedenti.

La Memoria appartiene ad un genere, quello delle bibliothecae284, che avrà largo seguito tra Sei e Settecento, all‘interno del «processo di gestazione di una moderna historia

literaria, incardinata saldamente sul modello delle Vite, avviato in Italia con sfociata

consapevolezza dal Doni»285 a metà Cinquecento. Questi, consapevole della novità editoriale della sua Libraria, aveva impostato questo primo tentativo di storia letteraria come «un libro ―aperto‖ ad una collaborazione ideale con i lettori fin nella sua stessa veste editoriale»286, e inevitabilmente aveva fissato gli elementi fondamentali del canone di questo genere. Massonio, dal canto suo, confermava il criterio di ordinamento alfabetico

281 F. F. GALLO, Dai gigli alle coccarde. Il conflitto politico in Abruzzo (1770-1815), Carocci, Roma 2002, p. 27.

282 Ivi, p. 29.

283 Ivi, p. 35.

284 Per i riferimenti essenziali sulle historiae literariae si rinvia a A. SERRAI, Storia della bibliografia, Vol. III, Vicende ed ammaestramenti della historia literaria, Bulzoni, Roma 1991, pp. 313-317; L. BALSAMO,

Bibliografia. Storia di una tradizione, Sansoni, Firenze 1995, pp. 60-65; M. SANTORO – A. ORLANDI, Avviamento alla bibliografia. Materiali di studio e di lavoro, Bibliografica, Milano 2006, pp. 123-141.

285 A. ORLANDI, L‟incidenza del paratesto sui repertori bio-bibliografici italiani del Seicento, in M. SANTORO – M. G. TAVONI (a cura di), I dintorni del testo: approcci alle periferie del libro, Atti del Convegno Internazionale, Roma, 15-17 novembre 2004; Bologna, 18-19 novembre 2004, Vol. II, Edizioni dell‘Ateneo, Roma 2005, p. 609.

286 G. ROMEI – A. LONGO, Doni, Anton Francesco, in DBI, 41 (1992), pp. 158-167. Cfr. anche G. GETTO, Storia delle storie letterarie, Sansoni, Firenze 1969, pp. 9-14.

scelto dal fiorentino, eliminando dunque ogni classificazione di merito. Ad introdurre l‘opera vi è uno scambio epistolare tra lo scrivente e due intellettuali del tempo, Massimo Camello e Girolamo Catena. Questi, che aveva già omaggiato l‘autore con un componimento poetico preposto al Dialogo, si rivolge a Massimo Camello, intimo amico del Massonio, supplicandolo di sollecitare il nobile aquilano affinché scriva «un registro di tutti coloro dell‘Aquila, che in diverse professioni hanno scritto libri, et dato in luce, con qualche ragguaglio delle lor conditioni, et qualità, et mandarlomi à Roma». Il motivo che si cela dietro l‘insistenza di Catena è di rendere omaggio e compiacere Della Rovere, «che pochi Signori l‘avanzano in cortesia, et gentilezza, et s‘acquisterà l‘amor di questo Prelato,