Si può affermare con certezza che Muzio Febonio fu l‘erudito che in maniera più significativa rinnovò la scrittura memorialistica abruzzese nell‘età della Controriforma. Appartenente ad una delle più influenti casate di Trasacco, si era presto inserito negli ambienti romani dove aveva svolto il consueto iter di formazione e istruzione che richiamava i giovani nobili dell‘Italia centrale nella capitale pontificia. La sua inclusione nei circoli culturali romani fu sicuramente facilitata dal suo legame di parentela con il cardinale Baronio, anche se non ci poté mai essere un confronto intellettuale diretto tra i due, considerando che Febonio aveva solo dieci anni alla scomparsa dello zio paterno. Altrettanto significativo dovette essere il legame di vassallaggio che la famiglia Febonio perpetuava da generazioni nei confronti del casato romano dei Colonna, feudatari della
612 Dopo la chiusura del Concilio di Trento il neoeletto vescovo Giambattista Milanesio attuò, per primo, quella che è stata chiamata la «rivoluzione amministrativa» della diocesi, accorpando chiese e benefici con l‘obiettivo di riuscire a realizzare un più razionale esercizio della cura pastorale. Fino ad allora la disciplina ecclesiastica era, invece, stata discontinua e difficile a causa delle interminabili liti tra le diverse chiese, delle polemiche sorte con gli ordini monastici e, soprattutto, a causa dell‘eterno scontro tra i vescovi della Marsica e i feudatari della zona, in particolare con i conti di Celano. Si veda A. MELCHIORRE, La diocesi dei Marsi
dopo il Concilio di Trento, in La terra dei Marsi. Cristianesimo, cultura, istituzioni, a cura di G. LUONGO,
Viella, Roma 2002, pp. 207-215.
613 G. MORELLI, Dei Santi Marsicani, cit., p. 205. Si vedano, inoltre, G. GALASSO, Santi e santità, in ID.,
L‟altra Europa. Per un‟antropologia storica del Mezzogiorno d‟Italia, Guida, Napoli 2009, pp. 75 e sgg.; S.
DITCHFIELD, Ideologia religiosa ed erudizione nell‟agiografia dell‟età moderna, in Santità, culti,
Marsica614: infatti, completati gli studi di teologia e addottoratosi in legge a Roma, nel 1626 Muzio fu nominato protonotario apostolico e, grazie all‘appoggio di Marcantonio Colonna (1603-1655), gran conestabile del Regno di Napoli, a distanza di pochi anni ottenne la carica di abate di San Cesidio di Trasacco (1631). Questa nomina consentiva al giovane marsicano di amministrare agevolmente le proprietà feudali dei Colonna e di dedicarsi liberamente ai suoi studi eruditi. Egli, infatti, si era ben presto accorto della notevole «ricchezza documentaria che poteva offrire la sua terra ad una attenta verifica personale, ben poco esplorata fino a quel momento, carente di qualunque tentativo di sintesi storica»615. Consapevole del ruolo di non secondaria importanza svolto dalla regio
IV augustea per la storia di Roma, si era quindi impegnato nella ricognizione diretta della
documentazione allora ancora esistente:
« [...] dopo aver cercato molte antiche scritture e memorie, sono stato anco in persona in quei luoghi dove la necessita dell‘opera mi astringeva, e con più lungo discorso, nell‘annotationi alla latina, che nella descrittione de‘ Popoli de‘ Marsi, che sta ora sotto la mia penna (piacendo a Iddio) si vedra approvato in tutto».
A sollecitare la scrittura di un‘opera sistematica in cui condensare il frutto delle proprie ricerche fu Cesare Becilli616, medico personale di Baronio, entrato a far parte dell‘Oratorio di San Filippo alla morte del cardinale. I due si erano conosciuti proprio nell‘ambiente oratoriano e Becilli, convinto delle buone capacità dell‘abruzzese, lo aveva presentato a Ferdinando Ughelli, che dal 1637 si era definitivamente stabilito a Roma. Ne nasceva un‘amicizia che si sarebbe rivelata duratura e proficua, consolidata nel corso dei soggiorni romani di Febonio e attraverso una fitta corrispondenza epistolare, di cui rimangono solo cinque lettere617. Il vicario fornì a Ughelli le indicazioni a sua disposizione sulla serie dei vescovi marsicani, altre volte chiese conferme o precisazioni a riguardo618 e al tempo stesso si rivolse al cistercense per ottenere un giudizio sul proprio lavoro:
«La confidenza che ho con V.S. Ill.ma mi astringe a sottoporla prima al suo giudizio, acciò con l‘ingenuità solita, mi favorisca dirmene quello ne sente, so che li è
614 Si veda, G. MORELLI, Muzio Febonio: la casata, l‟itinerario biografico, in Muzio Febonio nel quarto
centenario della nascita, cit., p. 14-19.
615 M. BUONOCORE, Muzio Febonio storico dell‟antichità e la sua «incorrupta fides», in Muzio Febonio
nel quarto centenario della nascita, cit., p. 104.
616 Sulla figura di questo attento studioso si veda T. BULGARELLI, Becilli, Cesare, in DBI, 7 (1965), pp. 515-517, e i rimandi bibliografici segnalati nel testo.
617 La stima provata dall‘abate nei confronti del nostro veniva pubblicamente espressa nell‘Italia Sacra, dove si legge: «Hodie huic Ecclesiae prae est, sub Abbatis titulo, Mutius Phoebonius amicus noster eruditus homo, atquae Patriae suae antiquitatum bene peritus, a quo multa accepimus tum de Marsis, tum de vita S. Rufini» (F. UGHELLI, Italia Sacra, cit., I, col. 888).
618 Come si legge nella lettera inviata da Pescina il 27 febbraio del ‘60: «Ho per sincero che quello [S. Elpidio] sia stato vescovo dei Marsi, perché il corpo fu tolto dalla Chiesa del suo nome, in Cicoli, nella terra detta anco S. Elpidio, et credo che a quei tempi quel paese fusse anco compreso nella diocesi de‘ Marsi non essendo più lontano di otto miglia o diece, e S. Marco Galileo, che fu Vescovo di Atina, predicò alli equicoli, come nel martirologio. Mi faccia gratia farci riflessione».
incommodo, e come la lettura sia dissagiata le serrà tediosa, ma il compatire l‘imperfetioni è proprio delle amici e padroni»619.
Negli ambienti romani Febonio ebbe la possibilità di tessere rapporti proficui anche con altre figure eminenti della Roma papale, tra cui Leone Allacci e Luca Holstenio, con il quale intrattenne una lunga corrispondenza epistolare620. Scorrendo le dieci lettere che Febonio inviò al filologo e a noi pervenute, appare evidente che tra i due si fosse instaurato un rapporto di reciproca stima e di scambio intellettuale, in cui il marsicano aggiornava l‘interlocutore dei suoi progressi e nel campo agiografico e nello studio delle antichità621. Egli non rinunciò ad aiutare personalmente l‘amico durante la sua permanenza a Sulmona nell‘ottobre del 1648, impegnato ad esaminare per conto di Nicola Heinsio alcuni codici di Ercole Ciofano. A quella data Febonio ricopriva la carica di Vicario Generale della diocesi e ne aveva approfittato per svolgere ampie ricognizioni dirette su quell‘area, trascrivendo numerose epigrafi relative ai Peligni. L‘esperienza si ripeté quando nel ‘51 dovette recarsi all‘Aquila, in attesa che venisse eletto il successore di mons. Clemente Del Pezzo. Come confidava apertamente a Holstenio, Febonio non incontrò nell‘Aquilano «alcuno che habbi curiosità di quelle cose che importano alla patria, et [...] uno che pigli la penna per la difesa, hor pensi che ci serrà alcuno che voglia scrivere l‘antichità delle quali abonda il paese»622. Impegni personali e professionali frenarono per alcuni anni la ricerca; poi, a partire dal ‘52 Febonio si decise a riprendere il lavoro avviato, come egli stesso confessava in una lettera a Holstenio, e finalmente l‘8 gennaio del 1661 poté chiedere all‘abate cistercense un giudizio sulla sua opera, appena terminata. Ughelli dovette esprimersi positivamente, stando alla risposta compiaciuta che Febonio gli inviò nel giugno dello stesso anno623: aveva finalmente compiuto un‘opera monumentale sulla storia dei Marsi, in cui, rivolgendo lo sguardo oltre le mura della propria città natale, aveva esteso la ricerca a tutto il territorio marsicano e ad altre aree della regione, un tempo popolate dai Peligni, dagli Equi, dai Vestini e dai Marrucini, basandosi principalmente sulla ricognizione diretta del corredo epigrafico allora esistente.
619 Lettera inviata da Pescina, l‘8 gennaio 1661.
620 Questi era determinato a svolgere una ricognizione diretta del territorio abruzzese per scrivere un‘opera sull‘assetto viario di epoca romana e realizzare un‘edizione critica dei testi geografici della classicità. Per questo lavoro l‘Holstenio aveva ritenuto indispensabile la ricognizione diretta del territorio e nel clima bellicoso del ‘47 masanelliano esplorò l‘Abruzzo, in buona parte sotto la guida di Febonio.
621 Come si legge nella lettera inviata dall‘Aquila il 27 gennaio 1652: «Ho una iscritione bona, ma non è cavata fedelmente, la farò riscontrare per poterla inviare anco una Bolla di pp. Stefano X della riunione del vescovato de‘ Marsi; mi sono copiate molte scritture antiche concernenti l‘Abbadia di Bominaco, credo ne habbia curiosità per essere dell‘Em.mo Barberino, et le procurerò per inviare le copie. [...] La vita de‘ Santi so che V.S.Ill.ma brama l‘estratto de‘ manoscritti et non le stampate, et ne anderò procacciando. [...] Il P. Cesare Preccilli, che sia in gloria, mi fece pigliare l‘impresa di descrivere li Marsi, et ne volse vedere il principio, et [...] in questo devo supplicare V.S. Ill.ma di farmi quelle gratie di communicare i suoi appunti delle cose che ha sovrabbondanti».
622 La lettera è datata «Aquila, li 27 genn. 1652».
623 Il 18 giugno dello stesso anno, in un‘altra lettera, Febonio si mostra contento del giudizio positivo espresso dall‘abate cistercense.
Le cariche ecclesiastiche da lui ricoperte e la protezione dei Colonna gli avevano consentito di accedere liberamente ai luoghi del sapere e di visionare di persona le sessantotto iscrizioni che progressivamente avrebbe inserito nella sua Historia. Questa sua ricerca pionieristica deve essere chiaramente ricondotta alle metodologie seguite in quegli anni, le inesattezze storico-antiquarie sono facilmente documentabili624, tuttavia esse restano nella penombra di fronte alla profondità del contributo apportato dall‘ecclesiastico abruzzese. Finalmente si introduceva una metodica distinzione tra le fonti primarie e le fonti secondarie e gli antiquari cominciavano ad usare regolarmente le «testimonianze non letterarie per ricostruire fatti legati alla religione, alle istituzioni politiche o amministrative, all‘economia: ambiti non toccati dalla storiografia, tendenzialmente orientata verso la storia politica e militare, e verso il presente»625. Il contributo di Febonio, come quello del già ricordato Francesco Brunetti, si preparava a divenire essenziale per aver trasmesso ai posteri fonti altrimenti ignote. Ne è una conferma il fatto che, nella metà inoltrata del secolo successivo, uno studioso aquilano di alta levatura come Francesco Saverio Gualtieri possedesse una copia dell‘Historia, «nella quale aveva avvertito la necessità di operare alcuni emendamenti ed ampliamenti epigrafici, senza mai, tuttavia, accanirsi [...] contro le evidenti incongruenze testuali di Febonio dovute alla totale ―ignoranza‖ tipografica»626. Analogamente Mommsen aveva piena consapevolezza del prezioso lavoro svolto dall‘abruzzese e avrebbe a più riprese difeso il suo operato, annoverandolo negli «itinera difficillima et fructuosissima» della regio IV627. Inoltre non lo avrebbe mai segnalato tra gli autori di inscriptiones falsae, come invece farà per alcuni eruditi del secolo successivo, tra i quali Pollidori e Romanelli. Lo studioso tedesco si limitò ad indicarne gli errori di trascrizione delle epigrafi che, per l‘appunto, erano quasi tutti riconducibili all‘esercizio tipografico e di chi curò l‘edizione dell‘Historia.
Nell‘ultima lettera a Ughelli, datata 22 marzo 1662, Febonio si mostrava desideroso di sapere se l‘abate avesse avuto la possibilità di presentare al nobile romano, Girolamo - Marcantonio era ormai deceduto - la minuta dell‘Historia di cui stava redigendo la stesura definitiva628. Ancora una volta, quindi, come in tutta la produzione coeva, cultura e politica trovavano un punto d‘incontro, così gli interessi eruditi del prelato marsicano si
624 M. BUONOCORE, Muzio Febonio storico dell‟antichità, cit., pp. 104-108.
625 C. GINZBURG, Descrizione e citazione, cit., p. 23.
626 M. BUONOCORE, Un‟inedita copia con note manoscritte dell‟opera «Historiae Marsorum libri tres» di
Muzio Febonio, in ID., Tra i codici epigrafici della Biblioteca Apostolica Vaticana, F.lli Lega, Faenza 2004,
p. 221.
627 È quello che fa opponendosi al giudizio negativo espresso dall‘epigrafista svizzero Hagenbuch in G.G. ORELLI, Inscriptionum Latinarum selectarum amplissima collectio, I, Turici 1828, p. 60 («Vix alium mihi ostendas, qui oscitantius descripserit, aut foedius corruperit vetera monumenta, quam PHOEBONIUS in
Historia Marsorum»): «neque assentior iniquae severitati Hagenbuchii, qui neque aetatis neque locorum
neque corruptelarum generis et naturae iustam rationem habuit» (CIL IX, p. 347).
628 Scriveva Febonio: («mi saria caro sapere se havesse havuto occasione di preponerla all‘Em.mo Colonna acciò possa pensare d‘indirizzarcela con la scorta et protettione de‘ favori di V.P. Rev.ma con supplicarla a darmene parte». Già precedentemente, nella lettera inviata il 18 giugno del ‘61, aveva scritto: «il più che ci desidero è d‘essere accreditata dalle attestazioni di V.S. Re.ma e stando in pensiero di indirizzarla all‘Ecc.mo Colonna a cui si deve per vassallaggio e servitù e perché si tratta di luochi soggetti all‘Ecc.mo Contestabile, mio rigale e mio padrone [...]».
intrecciavano al desiderio di omaggiare i Colonna, «a cui si deve per vassallaggio e servitù e perché si tratta di luochi soggetti all‘Ecc.mo Contestabile, mio rigale e mio padrone»629. È evidente che l‘opera di Febonio andò a soddisfare plurimi interessi nello scenario coevo. La ―reinvenzione‖ della tradizione italica, in particolare di quella marsicana, aveva consentito alla Chiesa locale di trovare anche sul piano culturale un supporto solido, utile a rinsaldare quell‘opera di rinnovamento che negli ultimi decenni aveva interessato la riorganizzazione interna della diocesi. Ancora fino al tardo Cinquecento essa era stata segnata da un forte malessere interno, generato dai conflitti tra le singole parti – chiese, ordini monastici – e solamente all‘indomani del Concilio di Trento aveva intrapreso un percorso più lineare. A distanza di qualche decennio Febonio ricompose la cronotassi dei vescovi marsicani, ricostruì la storia della diocesi, e parallelamente recuperò la tradizione italica: le due storie, simmetriche nell‘impresa editoriale progettata dall‘erudito, avrebbero esaltato il prestigio della diocesi, allontanando il ricordo delle ultime vicende negative. Al tempo stesso l‘opera del vicario era destinata a compiacere il casato romano dei Colonna, feudatario delle terre marsicane e protettore della famiglia Febonio da molto tempo. Nella scelta dedicatoria tornava la volontà di compiacere il proprio patrono e di esprimere riconoscenza per i privilegi ottenuti. Esaltare la storia di quest‘area feudale significava apportare fama anche al suo signore, che da quelle terre aveva ricavato titoli, profitto e ora un prestigio culturale.