La memoria e la storia locale 1. Le tradizioni memorialistiche
2.4 L‘offerta del libro al re
L‘Istoria di Crispomonti presenta un ricco apparato paratestuale, opportunamente allestito per ogni singolo volume393, sebbene il letterato non fosse riuscito a consegnare l‘opera alle stampe. La lettera, le dediche e gli altri elementi che ne compongono il paratesto sono riportati nella ricca tradizione manoscritta giunta fino a noi e dimostrano apertamente che le storie locali circolarono negli ambienti colti della città, dove furono accolte con grande interesse dagli eruditi del secolo successivo. Le dedicatorie, in particolare, documentano che lo scrivente aveva allacciato i rapporti con importanti personalità del tempo, cui probabilmente avrebbe - o aveva - chiesto anche un finanziamento per la pubblicazione dei tre volumi.
Nel primo libro si susseguono tre dediche attraverso le quali l‘erudito può consolidare molteplici relazioni ed esprimere diversi messaggi ideali. Egli si rivolge ai magistrati «presenti e futuri» e, con un epigrafe, dedica le sue fatiche storiche alla patria cittadina di cui si riconosce figlio diretto («Claudio Crispo Monti suo figliuolo in segno di vera gratitudine alla patria ad eterna memoria questi suoi scritti dedica e consacra»). La prima dedica è rivolta, invece, a Filippo IV, re di Napoli.
Intitolare un libro al sovrano si era rivelata una preferenza cui i letterati ricorsero costantemente nella prima età moderna: è «un atto da cui può dipendere tutta l‘esistenza.
392 BPAq, ms 1 bis, c. 4r. Questo è l‘unico esemplare autografo dell‘Istoria, relativo proprio al secondo volume.
Accettando o rifiutando la dedica, il sovrano ha la prerogativa di dare legittimità, o, al contrario, di squalificare un‘opera»394 e, in alcuni casi, di condizionare profondamente la carriera dello scrittore.
Eppure, la scelta di Crispomonti costituisce un unicum nel panorama delle storie locali abruzzesi scritte tra XVI e XVII secolo, segno evidente che gli eruditi della regione non allacciarono alcun rapporto diretto con la corte spagnola. Nel Cinquecento essi si legarono soprattutto alle autorità locali – governi cittadini, vescovi e signori delle città – che avevano incentivato la produzione memorialistica, ritenendola un valido strumento di dialettica politica e di legittimazione del proprio potere. A partire dal Seicento, invece, gran parte degli autori delle storie locali si pose al servizio delle maggiori casate abruzzesi e di alcune tra le più rilevanti famiglie straniere, che controllavano ampie aree feudali nella regione e avevano stabilito la propria residenza nelle capitali del potere, soprattutto Roma e Napoli. Presso quelle corti gli uomini di lettere erano, prima di tutto, funzionari impegnati a gestire il sistema fiscale e amministrativo dei feudi abruzzesi. Gli esponenti di questi casati ricoprivano cariche importanti nelle sfere ecclesiastiche e nella struttura burocratica del Regno napoletano, e potevano garantire agli eruditi protezione, libertà e benefici notevoli, in cambio della loro fedeltà. Per questo motivo, anche la pratica memorialistica rappresentava uno strumento utile a testimoniare la totale subordinazione degli uomini di corte. Se, dunque, l‘idea di indirizzare le storie locali al monarca era ancora lontana, lo si doveva soprattutto allo stretto legame che gli eruditi avevano allacciato con il ceto nobiliare e che li spingeva a rivolgere ai suoi esponenti gli esiti del proprio otium letterario, specie dal momento che si descrivevano luoghi ad essi soggetti.
Diversamente, nel corso del XVIII secolo, l‘offerta delle memorie patrie al sovrano costituì anche in Abruzzo «uno dei migliori modi di accattivarsi la benevolenza reale»395. Non venne meno la dedica alle autorità locali e agli esponenti dei casati maggiori, che ancora nel Settecento potevano garantire protezione e favori agli uomini di lettere; al tempo stesso furono numerosi gli eruditi che preferirono allacciare un discorso diretto con la figura monarchica. Le ricorrenze ufficiali costituivano delle opportunità uniche per omaggiare il sovrano e riuscire a trarne vantaggi; per questo le commemorazioni, le visite, gli anniversari furono il momento più proficuo per la composizione di opere indirizzate all‘autorità regia.
Un caso particolare riguarda le due storie redatte rispettivamente dai fratelli De Sanctis e dal canonico Di Pietro in occasione della visita di Ferdinando IV a Sulmona nel 1796, poco prima dei tumulti che, di lì a poco, avrebbero sconvolto la città ed il Regno396. I
394 R. CHARTIER, Cultura scritta e società, cit., p. 47.
395 Ivi, p. 43. Si veda la Tabella 1 (p. 113), relativa alle dediche.
396 Nel 1796 giunge in visita a Sulmona il re Ferdinando IV, preoccupato dell‘assetto militare della regione all‘alba dell‘imminente assalto dei Francesi e deciso a stabilire nella città peligna la base del sistema difensivo abruzzese. In questa occasione la città si mobilita per accogliere il monarca con le più degne celebrazioni.
fratelli Luigi e Francescantonio De Sanctis, avvocati di dubbia serietà professionale397, si affrettarono ad offrire in dono al monarca un contributo storico sulla città. Composero una
Lettera sopra il memorando avvenimento della gita di Sua Maestà nella città di Solmona e
nel giro di pochi mesi compilarono le Notizie storiche e topografiche, che riuscirono a dare alle stampe nello stesso anno. Piuttosto ondivaghi nelle loro idee politiche o per lo meno nella scelta dei governi da appoggiare, i due si sarebbero presto schierati dalla parte dei Francesi dopo le vicende del 1799, ma il loro percorso biografico era stato già segnato da scorrettezze e imbrogli compiuti a discapito della società sulmonese. La visita del monarca in città si presentava, ora, come un‘occasione irripetibile, grazie alla quale essi avrebbero potuto allacciare contatti diretti con la corte regale e ottenere benefici immediati o futuri. Gli «Umilissimi, e fedelissimi Vassalli» ribadivano la totale fedeltà e sottomissione da parte degli «Abitatori di una Città, che fin dal suo nascimento meritò il titolo di Fedelissima, dovendo combattere per la difesa della Fede, dello Stato, e del di loro amabilissimo Monarca, e Signore»398. Preoccupato dell‘assetto militare della regione all‘alba dell‘imminente assalto dei Francesi, Ferdinando IV era deciso a stabilire nella città peligna la base del sistema difensivo abruzzese. Quella dichiarazione di fedeltà acquisiva, quindi, un preciso significato in quel contesto, in nome della intramontabile captatio
benevolentiae.
In quella stessa occasione il canonico di San Panfilo, Ignazio Di Pietro, accolse il monarca nella Casa dei Filippini, dove tuttora se ne conserva un‘epigrafe. Come lo stesso erudito rivelava nella lettera dedicatoria, egli ebbe «il sommo onore di prestarmi al regal vostro servigio in esso pio luogo» e «in quel felice rincontro anche mi si concessero alcuni fortunati momenti di avvicinarmele e scorgere nell‘animo di VM che tra le altre nobili vostre cure vi è quella di mettere in vista i gloriosi fasti del felicissimo vostro Regno». Dunque, egli ebbe modo di parlare personalmente con il monarca e di metterlo al corrente delle ricerche che da anni stava conducendo sulla storia della città.
Nella lettera l‘erudito alludeva ad una sorta di parallelo tra il proprio legame con la città e quello del sovrano con il Regno. La «Città di Solmona», affermava Di Pietro, è la «mia
397 Sul finire degli anni Ottanta essi avevano portato al totale dissesto economico la Casa Santa dell‘Annunziata ed era stato Pietro Carrera, Amministratore del Real Ospizio dal 1789, a denunciarli e sollevarli dall‘incarico rispettivamente di avvocato, per Luigi, e procuratore del Pio Luogo in Napoli, per Francescantonio, mettendo in atto «regole di sana economia, intervenendo con risoluzioni alquanto drastiche laddove avevano regnato lassismo e malcostume» (R. CARROZZO, Carità ed assistenza pubblica a
Sulmona. Il Conservatorio di San Cosimo, Brandolini, Sulmona 2005, p. 32). Alberto Tanturri, in uno dei
suoi studi, definisce la figura di Pietro Carrera: «Di origini teramane (per l‘esattezza di Rosicano), Carrera aveva ricoperto, prima della direzione dell‘istituto sulmonese, importanti incarichi diplomatici e amministrativi. In particolare, era stato segretario dell‘Ispezione generale della Fanteria, nonché segretario d‘ambasciata a Londra e Parigi. Si era poi distinto per un quinquennio, quale Regio governatore di Cittaducale, ai confini con lo Stato pontificio» (A. TANTURRI, Tipologie dell‟assistenza nel Mezzogiorno:
la Ss. Annunziata di Sulmona (1320-1861), cit., p. 39 nota 74). La sua direzione dell‘Annunziata va dal
dicembre 1789 all‘agosto 1799, con una lunga interruzione dal 1793 al 1797 in cui fu accusato di malversazione, richiamato a Napoli e processato. Dimostrata la propria innocenza, tornò a dirigere la Casa Santa ma il suo prossimo schieramento filofrancese segnò la sua fine: al loro ritorno i Borboni lo destituirono nuovamente lasciandolo in difficili condizioni economiche.
Padria»: il senso di appartenenza avvertito dallo scrivente rimaneva, quindi, circoscritto alla sfera cittadina. Di Pietro tornava a ribadire unicamente la propria fedeltà alla figura del monarca, facendo riferimento al Regno come ad un‘entità astratta e distante dal suo sentimento patriottico, proprio come avevano fatto tutti gli storici abruzzesi nel corso dell‘età moderna:
«Io adunque penetrato in questo Sagro ritiro da una divota e filíale confidenza con cui le ne rendo i più umili e vivi ringraziamenti pieno di rispetto e di fedeltà al vostro Regal Trono mi do la gloria di umilmente inchinarmi».
Per ingraziarsi la benevolenza regale, il letterato interpretava il proprio studio sulle memorie sulmonesi come l‘ennesimo tassello, utile a comporre il puzzle della storia del «felicissimo vostro Regno», e per questo degno di apprezzamento da parte del monarca stesso:
«Quindi mediante la vostra benefica mano avendo VM fatti disotterrare e raccogliere tanti monumenti di antichità arricchì la Storia di quelle notizie che per molti Secoli nella densa caligine del tempo eran sepolte lo pure secondando questo vostro genio di gloria mi sono accinto colla debolezza de miei talenti a tessere le memorie della Città di Solmona mia Padria. Ah! sì che formano anch‘esse una qualche parte della Storia del Regno e perciò sarebbe ben desiderabile che altri ugualmente vaghi di riandare i monumenti delle molte Città di cui questo è composto si potesse in seguito da tali particolari lumi dare alla luce una Storia generale più degna ed esatta Ma essendosi VM benignata di accettare la dedica delle MEMORIE STORICHE DELLA CITTÀ DI SOLMONA grazia che darà ad esse sommo lustro sarà nel tempo stesso questo tratto di vostra sovrana munificenza di emulazione ad altri per occuparsi seriamente alla compilazione di tante altre Storie particolari. Non è poi da mettersi in dubbio che i fasti di questa Città traggano la loro origine da piú rimoti Secoli per cui mi lice sperare che la MV voglia degnarli di un qualche sguardo regale anche in mezzo alle altissime cure che forman la felicità del vostro Regno. Io adunque penetrato in questo Sagro ritiro da una divota e filíale confidenza con cui le ne rendo i più umili e vivi ringraziamenti pieno di rispetto e di fedeltà al vostro Regal Trono mi do la gloria di umilmente inchinarmi»399.
Dunque, ancora una volta, tornava ad instaurarsi «il cosciente scambio fra onore e utile, fra grazia e convenienza»400. Il monarca costituiva la più alta personalità cui si potesse intitolare la propria opera e lo scrivente gli assicurava la sua eterna fedeltà attraverso questa prova letteraria. Era trascorso più di un secolo dall‘omaggio che Tommaso Palma aveva rivolto a Cesare Michelangelo D‘Avalos, e di nuovo uno storico abruzzese
399 I. DI PIETRO, Memorie storiche degli Uomini Illustri della città di Solmona, A. Raimondi, Napoli 1804, dedica.
400 C. MOZZARELLI, Introduzione a G. F. Commendone, Discorso sopra la Corte di Roma, Bulzoni, Roma 1996, p. 56.
esprimeva lo sforzo di apparire adeguato ad un compito tanto grave, da cui avrebbero tratto beneficio sia il monarca stesso, sia la comunità cittadina. Non sappiamo se Di Pietro riuscì ad ottenere un finanziamento dalla corte reale per la pubblicazione dell‘opera. Essa fu comunque pubblicata a Napoli, nella stamperia di Andrea Raimondi, diversamente da quanto accadde, due anni più tardi, per le Memorie storiche degli Uomini illustri della città
di Solmona, edite all‘Aquila e intitolate ad un familiare dell‘oratoriano, il cardinale
Michele Di Pietro. A lui il canonico esprimeva la propria gratitudine per aver sostenuto presso il papa Pio VII una sua richiesta, la traslazione delle reliquie sacre di Santa Igina Martire nella Chiesa di San Filippo.
Questi ultimi due esempi confermano l‘importanza delle pagine introduttive e in particolare di quelle dedicatorie, così come in generale degli apparati paratestuali per comprendere le motivazioni intellettuali degli autori delle storie locali, la loro autopercezione circa il compito che sentivano di svolgere a vantaggio della ricostruzione di una memoria patria; permettono al tempo stesso di testare la tenuta – pur nel modificarsi del fenomeno nel tempo – del rapporto tra cultura e potere politico.