Ad aprire il nuovo secolo subentrarono ulteriori eventi drammatici che segnarono duramente il territorio e la popolazione abruzzesi. Nel 1703 un violento fenomeno sismico, conosciuto come il ―Grande Terremoto‖, sconvolse la città dell‘Aquila. Fu certamente uno dei più brutali nella storia di questa regione, nota per la sua alta pericolosità sismica121, e paragonabile per proporzioni ad altri due terremoti che in epoche diverse hanno segnato drammaticamente queste terre – l‘uno avvenuto tre secoli prima, nella notte tra il 4 ed il 5 dicembre del 1456, l‘altro tre secoli più tardi nella notte tra il 5 e il 6 aprile 2009. Di fronte al devastante scenario di miseria e desolazione cui il Marchese della Rocca Marco Garofalo si trovò, appena giunto in città in qualità di Vicario Generale degli Abruzzi, non rimanevano che parole di sgomento, oggi più facilmente comprensibili alla luce dei recenti eventi tragici che hanno nuovamente segnato il capoluogo e la regione: «La città dell‘Aquila fu, non è; le case sono unite in mucchi di pietra, li remasti edifici non caduti stanno cadenti. Non so altro che posso dire di più per accreditare una città rovinata»122. Il marchese era stato inviato da Napoli, su decisione del Consiglio Collaterale, a dieci giorni dal sisma, per definire i primi provvedimenti da adottare a favore della popolazione, decimata di un terzo, e per la ricostruzione della città dilaniata123. Una relazione coeva a
119 A. BULGARELLI LUKACS, L‟economia ai confini del Regno, cit., pp. 57-77, in particolare p. 61.
120 E. DI STEFANO, Vie di transito, cit., p. 5. Sulle diverse reazioni che le due realtà, quella montana e quella collinare-marittima, hanno avuto nella lunga fase di recessione che caratterizzò il XVII secolo, si vedano A. BULGARELLI LUKACS, Economia rurale e popolamento, in M. COSTANTINI e C. FELICE (a cura di), Abruzzo e Molise. Ambienti e civiltà nella storia di un territorio, in «Cheiron», 1993, 19-20, pp. 151-194; P. PIERUCCI, L‟economia abruzzese nella crisi del Seicento, cit., pp. 27-40.
121 L. MAMMARELLA, L‟Abruzzo ballerino. Cronologia dei terremoti in Abruzzo dall‟epoca romana al
1915, Adelmo Polla, Cerchio 1990.
122 M. GAROFALO, Lettera al Viceré del Regno di Napoli, in Sulle ali dell‟Aquila: un viaggio nella storia
della città, Associazione culturale Territori, L‘Aquila 1999.
123 La letteratura intorno al sisma del 1703 si è arricchita nel corso dei secoli successivi di studi e pubblicazioni di fonti; se ne indicano solo alcuni: F. CAPPA, Sul terremoto che a‟ 2 di febbraio 1703 rovino
l‟Aquila e molti paesi di Abruzzo: memorie raccolte ed ordinate, Tip. Aternina, L‘Aquila 1871; G.
PARROZZANI, Notizie intorno al terremoto del 2 febbraio 1703, ricavate dai manoscritti antinoriani,
precedute da alcune notizie intorno agli attuali terremoti, B. Vecchioni, L‘Aquila 1887; T. BONANNI, Relazione del tremuoto del 1703 che distrusse la città dell‟Aquila e canzona inedita alla Vergine SS.a del Rosario, Grossi, L‘Aquila 1893; E. CENTOFANTI, La festa crudele: 2 febbraio 1703 il terremoto che
quegli eventi testimonia l‘operosità e l‘impegno che presto scossero l‘animo degli Aquilani, tentati in un primo momento di abbandonare definitivamente la città per spostarsi in altre terre del Regno o nel vicino Stato Pontificio:
«Si animarono gli smarriti Cittadini rendendoli coragiosi à non dishabitare dalla loro Patria, come havevano principiato a fare alcune famiglie. Fu creato il Governo della Città. […] Si aprirono alcune strade più principali al commercio, buttando a terra l‘avanzo delle muraglie, che minacciavano morte a‘ passeggeri. Si fabricarono più forni da cuocere il pane, essendo rimasti atterrati quelli che vi erano; […]. Furono accomodati gli acquedotti della Città»124.
Tre anni più tardi, nel 1706, la storia si ripeteva e un nuovo terremoto colpiva la vicina Sulmona. Il tragico evento, avvertito da uno storico della generazione successiva come traccia «ultionis Domini»125, segnò il culmine di un progressivo declino in cui la città si era lentamente abbandonata nel corso dell‘età moderna: incapace di rinvigorire la propria economia, la comunità peligna aveva ceduto definitivamente il proprio mercato a Lanciano, era stata ripetutamente travagliata da carestie e pestilenze, ed ora il sisma giungeva ad assestare il colpo letale. I due cataclismi, che a distanza di tre anni avevano martoriato il cuore dell‘Abruzzo appenninico, rappresentavano l‘ultimo freno devastante alla stabilità della regione126.
Di lì a poco si avviava una lenta e parziale tendenza alla ripresa demografica, sociale ed economica che arrivò solo a metà Settecento. Fino alla prima età moderna, sarebbero state inimmaginabili le grandi città europee senza l‘operosa collaborazione delle fiere del Mediterraneo e la dinamica collaborazione dei mercanti attivi tra Foggia, Lanciano, L‘Aquila, Sulmona, Barcellona e Siviglia. Quando si cominciarono a cercare e poi a preferire nuovi materiali, altre relazioni e ulteriori circuiti commerciali, gli empori europei vissero un duro colpo e si avviarono verso un percorso più circoscritto e ridimensionato127. Si andò consolidando allora un commercio stabile, basato su botteghe e negozi rivolti ad rovesciò L‟Aquila: dopo tre secoli: che accadde? che ne resta?, Gruppo tipografico editoriale, L‘Aquila
2003. Nel 2004 la Deputazione Abruzzese di Storia Patria ha organizzato un convegno interamente dedicato al terremoto aquilano, i cui atti sono stati pubblicati nel 2007 (R. COLAPIETRA - G. MARINANGELI - P. MUZI (a cura di), Settecento abruzzese: Eventi sismici, mutamenti economico-sociali e ricerca storiografica, Atti del convegno L‘Aquila 29-30-31 ottobre 2004, DASP, Colacchi, L‘Aquila 2007).
124 Ragguaglio su l‟essere della Città dell‟Aquila, e delle cose più notabili succedute nella medema, e nelli
luoghi della provincia per li terremoti occorsi nel mese di gennaro e febraro 1703 anno corrente, Castrati,
L‘Aquila 1703. Il testo è in parte riportato in W. CAPEZZALI, L‟Aquila, in L‟Abruzzo nel Settecento, Ediars, Pescara 2000, p. 294.
125 I. DI PIETRO, Memorie storiche della città di Solmona, Raimondi, Napoli 1804, p. 356. Si veda E. MATTIOCCO, Sulmona, in L‟Abruzzo nel Settecento, Ediars, Pescara 2000, pp. 351-374.
126 R. COLAPIETRA, L‟incidenza dei terremoti del 1703 e 1706 nella storia sociale, culturale e artistica del
Settecento abruzzese, in A. A. VARRASSO (a cura di), I terremoti e il culto di Sant‟Emidio, Vecchio Faggio,
Chieti 1989, pp. 335‐354.
127 Le fiere abruzzesi vissero una rinnovata fioritura dopo la crisi del Seicento quando tornarono a vivere una nuova e inevitabilmente diversa stagione: si fecero più numerose sul territorio e, orientandosi ora su una durata inferiore (al massimo di tre o quattro giorni) per ciascuna manifestazione, raddoppiarono gli appuntamenti andando a coprire anche i periodi fino ad allora trascurati.
un mercato localizzato e ben delimitato. Una delle protagoniste di questa nuova forma di economia fu sicuramente Chieti, in cui tutte le famiglie immigrate fra il XVI e il XVII secolo accrebbero la propria attività economica e mirarono ad avanzare nei ranghi alti della società teatina. Famiglie straniere come quella degli Zambra128, dei Taultino, dei Nolli129 consolidarono la loro presenza in città e, incrementando le proprie attività, passarono dal rango di ―publici mercatori‖ al ceto nobiliare teatino. Arricchita di un apparato di magistrati, funzionari e militari, Chieti era, dunque, ancora nel Settecento, uno snodo politico, economico, burocratico di grande rilievo nel reame, vera e propria calamita per chiunque nel circondario volesse aspirare ad una significativa scalata sociale e professionale.
L‘economia generale della regione continuava, invece, a vivere una fase di stagnazione che fu più volte sottolineata dal Ministro Tanucci, il quale denunciava lo stato di miseria e di stenti in cui i ―poveri abruzzesi‖ vivevano130. Secondo l‘uomo di fiducia dei Borboni, la causa principale di questo malessere era da ricercare nella presenza dilagante del fenomeno del contrabbando, praticato congiuntamente alle popolazioni dello Stato pontificio, che consentiva, come d‘altronde era avvenuto nei secoli precedenti, il traffico illegale di grano, riso, tabacco, lana, sale e di altre provvigioni, anche grazie alla collaborazione degli ufficiali doganali131.
I resoconti di viaggio di Giuseppe Maria Galanti e di quanti, nel corso di questo secolo, visitarono la regione testimoniano e rimarcano «il contrasto tra potenzialità e arretratezza dell‘agricoltura teramana e chietina»132, sebbene se ne riconoscessero anche alcuni segni di rinnovamento, soprattutto nelle zone di Vasto e Penne. La denuncia del Galanti collimava pienamente con il progetto riformatore di Melchiorre Delfico, esponente della nobile famiglia teramana il cui pensiero si era forgiato nel vivace clima culturale dell‘illuminismo
128 L‘inventario dell‘Archivio Zambra è stato pubblicato in Mercanti, Nobili, Santi. La Famiglia Zambra di
Chieti, fra il XVII ed il XX secolo, Archivio di Stato di Chieti, Tinari, Chieti 1995.
129 I Taultino erano appaltatori di opere di fortificazione delle Piazze di Civitella del Tronto e di Pescara. Dopo aver subito la condanna per aver condotto i lavori negligentemente, si trasferirono a Chieti e qui si inserirono proficuamente nel tessuto sociale ed economico della città «poiché in poco tempo acquist[arono] feudi e terreni e diede[ro] a mutuo somme vistose, trattandosi nobilmente, occupando le prime cariche della città e imparentando colle prime famiglie chietine» (G. RAVIZZA, Appendice alle notizie biografiche degli
Uomini Illustri della Città di Chieti, Grandoniana, Chieti 1834, III serie, pp. 106-108), e, infatti, i membri
della famiglia ricoprirono per ben dodici volte, tra il 1588 e il 1646, la carica di Camerlengo della città. I Nolli, mercanti anch‘essi come i Taultino di origine bergamasca, consolidarono la propria posizione a Chieti acquisendo importanti uffici fiscali e offrendo il prestito ad interesse, e finalmente, nel 1774, ottennero il titolo baronale mediante l‘acquisto del feudo di Tollo. Sull‘élite della città di Chieti nel XVIII secolo, si veda: E. SPEDICATO IENGO, L‟élite cittadina nella Chieti del Settecento, in «Itinerari», Studi sul ‗700 abruzzese, IX (1985), nn. 1-2-3, pp. 221-241.
130 R. MINCUZZI (a cura di), Lettere di Bernardo Tanucci a Carlo III di Borbone (1759-1776), Istituto per la Storia del Risorgimento italiano, Roma 1969, pp. 340-342.
131 G. INCARNATO, In margine all‟elevato dibattito sull‟eversione della feudalità nel Regno di Napoli:
prassi e realtà dell‟amministrazione degli allodiali d‟Atri alla vigilia della devoluzione della feudalità,
Centro abruzzese ricerche storiche, Torino 1986, pp. 66-71. In particolare, Incarnato ha individuato, sul finire del XVIII secolo, un particolare aumento del fenomeno lungo il confine con le Marche, in particolar modo nella zona di Nereto che aveva assunto un ruolo centrale nel commercio del grano.
132 M. COSTANTINI, Economia, società e territorio nel lungo periodo, in M. COSTANTINI e C. FELICE (a cura di), Storia d‟Italia. Le regioni. L‟Abruzzo, Einaudi, Torino 2000, p. 81.
napoletano, grazie all‘incontro con Antonio Genovesi e Gaetano Filangieri. Dai loro insegnamenti, Melchiorre aveva ereditato la dura condanna del regime feudale che opprimeva la società meridionale, e più intensamente quella abruzzese133, considerando che se nel Regno i due terzi della popolazione erano sottomessi all‘autorità dei baroni, in Abruzzo il rapporto si faceva più stretto e quattro sudditi su cinque dipendevano dai grandi signori locali. Inoltre, delle centotrentuno famiglie nobili che detenevano proprietà feudali nella regione, di cui alcune appartenenti al Napoletano, come i Caracciolo, i d‘Avalos, e le altre provenienti dalle diverse parti della penisola (in primis i Farnese e i Medici), solamente nove controllavano più della metà della popolazione134. «Il togliere alle proprietà quella qualità, che per loro natura devono avere, cioè di essere in libero commercio e contrattazione, il sottrarle in tutto o in parte da quella legittima e giusta contribuzione consacrata alla conservazione e al benessere dello stato, il favorire l‘accumulazione della proprietà o della ricchezza nelle mani di pochi» impedivano «i liberi progressi del commercio e dell‘agricoltura»135 e ancoravano la società ad una stasi economica, sociale, e da ultimo generale.
La voce di Melchiorre e del suo circolo, cui aderivano i suoi fratelli, Gian Berardino e Gian Filippo, e numerosi altri esponenti della società teramana, si innalzava in un clima di grande polemica. Già dall‘inizio del secolo, infatti, si condannava la Dogana foggiana e la protesta si protrasse fino a quando, nel 1806 i francesi ne decretarono lo scioglimento, ponendo fine ad un‘istituzione che per molti secoli aveva rappresentato il pendolo dell‘economia meridionale136.
Parallelamente, la denuncia degli «stucchj, specie di supplemento al Tavoliere della Puglia, che [nelle province di Chieti e di Teramo] somministrano poco pascolo alle piccole greggi»137, si accompagnava alla necessità di rinnovare l‘agricoltura abruzzese attraverso lavori di bonifica, recinzione, costruzione di nuove strade e nuovi porti sulla costa «per inserire l‘Abruzzo settentrionale adriatico in un orizzonte di sviluppo economico, quale si poteva scorgere appena al di là del confine, nel vicino Ascolano»138, guardato da Delfico e
133 G. BRANCACCIO, In Provincia, cit., pp. 121-143. Sulla figura di Melchiorre Delfico si rimanda a: V. CLEMENTE, Rinascenza teramana e riformismo napoletano (1777-1798). L‟attività di Melchiorre Delfico
presso il Consiglio delle Finanze, Edizioni di storia e letteratura, Roma 1981; G. DE FILIPPIS-DELFICO, Della vita e delle opere di Melchiorre Delfico, 2 Voll., Angeletti, Teramo 1836.
134 M. COSTANTINI, Economia, società e territorio nel lungo periodo, cit., p. 84.
135 M. DELFICO, Riflessioni su la vendita dei feudi, G.M. Porcelli, Napoli 1790, pp. 5-6.
136 La transumanza aveva accusato già, nella prima metà del ‗700, una grande battuta d‘arresto a causa di molteplici eventi che ne avevano accelerato il moto discendente: i mercati di Siviglia e di Foggia erano stati, infatti, soppiantati dal grande successo degli immensi allevamenti sudamericani e australiani; a ciò si aggiungeva la ripresa demografica che, dopo la crisi secentesca, era tornata in attivo e, nella necessità di soddisfare il fabbisogno alimentare di una popolazione in aumento, spronava a sottrarre terre ai pascoli. Di fatto, la pratica della transumanza fu esercitata ancora fino al ‗900 e continuò a rappresentare il motore dell‘economia e della politica abruzzese attraverso i volti del ricco ceto di proprietari di gregge che dalla fine dell‘Ancien Régime aveva sostituito la nobiltà cittadina ed ecclesiastica ormai in buona parte estinta e in altra allontanatasi dal potere.
137 Relazione geografica-economica del tratto di paese marittimo dal Fortore al Tronto, scritta a Teramo il 7 ottobre 1784 da Melchiorre Delfico a Michele Torcia, pubblicata in G. BRANCACCIO, In Provincia, cit., pp. 138-143.
da Galanti con ammirazione ed approvazione. Inevitabilmente sul finire del Settecento, nella regione e nell‘intero Regno, «il grosso di quei problemi rimase insoluto»139 e prevalse l‘adesione a quel sistema di potere feudale che assicurava alle élites di poter aspirare ancora ad un‘ascesa politica ed economica, supportata dall‘insieme di privilegi che il possesso della terra e l‘assunzione di cariche istituzionali garantivano.
Alcuni tentativi di riforma erano stati proposti già nei primi decenni del ‗700, quando, esaurito il predominio di Madrid sulla penisola, il ramo austriaco di Casa Asburgo si era insediato sul trono di Napoli. In quegli anni (1707-1734) si tentò di sottrarre la giurisdizione criminale ai baroni, ma questa come altre proposte furono puntualmente bloccate140. Sotto il governo dei Borboni, subentrati in Spagna al casato degli Asburgo, il potere centrale fu rafforzato e vennero ridimensionate le strutture amministrative periferiche, nel tentativo rinnovato di limitare se non di abolire del tutto la giurisdizione della feudalità meridionale141. Nel 1740-41 fu avviata la realizzazione del catasto ma non si riuscì ad estenderla a tutto il territorio nazionale e, soprattutto, la sua applicazione fu ostacolata dalle inefficienze del sistema, dalla inadeguata distribuzione delle imposte e soprattutto dall‘insieme di privilegi ed esoneri riservati al ceto feudale. Nobiltà e clero continuarono a controllare ricchezze e potere nonostante fosse in atto l‘estinzione di numerose casate nobiliari, mentre il ceto civile e quello professionale si affermavano sempre di più come classe di governo.
I duchi di Atri, gli Acquaviva, si estinsero nel 1757: il loro immenso feudo, che si estendeva su buona parte della regione abruzzese, dalle pianure del Teramano all‘area appenninica dell‘Aquilano, passò sotto il controllo dell‘amministrazione regia, e così accadde in numerose altre località del Regno. A Teramo, negli anni ‘60, entrava in crisi il sistema governativo del quarantottismo, dal momento che anche in questa città erano diminuite le famiglie oligarchiche che componevano il Consiglio e gli altri gruppi cittadini reclamavano il diritto di partecipazione all‘amministrazione comunale. Il vecchio patriziato cedeva il posto al nuovo ceto civile, mentre quello popolare, dopo vari tentativi, riconosceva la propria mancanza di esperienza e competenze nell‘arte di governare. Nel 1789, fu eletto sindaco Giovanni Filippo Delfico, fratello di Melchiorre e portavoce del nuovo patriziato illuminato: era stato lui a rappresentare vent‘anni prima gli «interessi antagonisti al vecchio Patriziato teramano nella intricata controversia del quarantottismo nelle corti di Giustizia di Napoli e presso la Corona»142.
139 G. GALASSO, Il Mezzogiorno nella storia d‟Italia, Mondadori, Milano 1984, p. 298.
140 A. M. RAO, Nel Settecento napoletano: sulle ali dell‟aquila imperiale: 1707-1734, Electa, Napoli 1994, pp. 80-101; cfr. anche ID., L‟«amaro della feudalità». La devoluzione di Arnone e la questione feudale a
Napoli alla fine del „700, Guida, Napoli 1984; A. MUSI, Il feudalesimo in Europa, cit., pp. 253-254.
141 G. GALASSO, La riforma della giurisdizione feudale e delle delegazioni ai Banchi, in Il Regno di Napoli.
Il Mezzogiorno borbonico e napoleonico (1734-1815), in Storia d‟Italia diretta da G. GALASSO, Vol. XV,
Tomo IV, UTET, Torino 2007, pp. 68-71.
142 V. CLEMENTE, Città e provincia di Teramo nei primi anni di Niccola Palma, in Atti del quarto
convegno Niccola Palma nel II centenario della nascita, Teramo – Campli 8 e 9 ottobre 1977, Tomo I,
7. Il 1799 ed oltre
Con l‘allargamento dello status demaniale alle terre un tempo gestite dai duchi di Atri, «l‘Abruzzo Teramano avrebbe potuto essere un banco di prova eccezionale per una classe dirigente seriamente intenzionata a portare avanti una qualche politica di riforme»143. Tuttavia la cultura settecentesca non riuscì a superare il blocco di potere politico eretto da coloro che non volevano rinunciare ai propri interessi in virtù della ―pubblica felicità‖; sicuramente, però, il suo contributo fu alle radici della nuova stagione che si aprì alla fine del secolo. In questo clima di vivo interesse culturale e scientifico, lo sguardo degli eruditi tendeva a superare i confini della penisola e ad osservare, con particolare attenzione, i grandi eventi che sconvolgevano l‘Europa di fine Settecento e che potevano servire «di modello agli altri popoli»144. Preoccupato per il repentino evolversi del quadro politico italiano, Ferdinando IV aveva avviato un vasto processo di riforma delle forze armate e, come avevano fatto i suoi predecessori, era pronto a monitorare con un‘attenzione particolare le regioni poste lungo il confine. Nel 1796 Ferdinando si recò personalmente in Abruzzo per visitare le città situate all‘estremità del Regno e verificarne di persona l‘assetto difensivo. Sulmona accolse con grandi celebrazioni il monarca e le autorità locali, il clero e le famiglie più prestigiose ribadirono con convinzione la totale fedeltà degli «Abitatori di una Città, che fin dal suo nascimento meritò il titolo di Fedelissima, dovendo combattere per la difesa della Fede, dello Stato, e del di loro amabilissimo Monarca, e Signore»145. La città divenne la base del sistema difensivo abruzzese in virtù della sua posizione strategica, in prossimità dei principali assi viari della regione. Due anni più tardi, il 24 novembre del 1798, il Borbone si mosse con il suo esercito alla volta di Roma nel vano tentativo di fermare l‘avanzata militare dei Francesi, che avevano già preso possesso della capitale pontificia ed erano decisi a procedere verso Napoli. L‘esercito napoletano si dileguò presto in una fuga disordinata e la prossima occupazione della fortezza di Civitella del Tronto da parte dei Francesi segnò l‘avvio dell‘esperienza rivoluzionaria in Abruzzo146.
143 G. INCARNATO, Grano, riso... e riforme nel teramano nella seconda meta del secolo XVIII, in A. MASSAFRA (a cura di), Problemi di storia delle campagne meridionali nell‟età moderna e contemporanea, Dedalo, Bari 1981, p. 355.
144 P. VERRI, Alcuni pensieri sulla rivoluzione accaduta in Francia, in C. MORANDI, Pietro Verri e la
Rivoluzione francese, in «Archivio storico lombardo», LV (1928), 4, p. 536.
145 F. e L. DE SANCTIS, Notizie storiche e topografiche della città di Solmona (1796), cit., p. 5.
146 Per studi e approfondimenti sul 1799 in Abruzzo cfr. in primis U. RUSSO, R. COLAPIETRA, P. MUZI (a cura di), Il 1799 in Abruzzo. Atti del convegno, Pescara-Chieti, 21-22 maggio 1999, DASP, Colacchi, L‘Aquila 2001; e i lavori precedenti quali V. MOSCARDI, L‟invasione francese nell‟Abruzzo aquilano nel
1798-99, Tip. Aternina, L‘Aquila 1899; ID., L‟invasione francese nell‟Abruzzo Teramano nel 1798-99, in
BSSP, a. XII (1900), n. XXIII, pp. 125-149; G. RIVERA, L‟invasione francese in Italia e l‟Abruzzo Aquilano
dal 1792 al 1799, Prem. Tip. Aternina, L‘Aquila 1907; L. COPPA–ZUCCARI, L‟invasione francese negli Abruzzi, Vecchioni, L‘Aquila 1928, 2 Voll. e successive aggiunte (2 Voll.) edite presso la Tipografia del
Consorzio Nazionale a Roma nel 1939; B. COSTANTINI, I moti d‟Abruzzo dal 1798 al 1860 e il Clero, Stab. Poligr. Amoroso, 1960; L‟Abruzzo al tempo della Repubblica napoletana (1799): Teramo, Convitto
nazionale, aula magna, 18 dicembre 1998-28 febbraio 1999, Biblioteca provinciale ―M. Delfico‖, Teramo
«Si ripeteva, così, il dramma che lo Stato napoletano aveva conosciuto tre secoli prima al momento dell‘invasione del Regno da parte di Carlo VIII di Francia. Al pari di allora,