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body problem

3.3 Gli approcci al mind-brain-body problem

3.3.2 Gli approcci fisici e funzionali

All’interno di questa categoria Northoff inserisce innanzitutto una serie di posizioni legate al fisicalismo (o materialismo), che descrive tutti gli oggetti del mondo, inclusa la mente, come costituiti di sola materia38; dunque, non c’è spazio per nessun genere di caratteristica mentale non fisica. Questa assunzione generale ha acquisito sempre più terreno in campo neuroscientifico, grazie all’aumentare della ricerca empirica sul cervello; le tecniche di neuroimaging, in particolare, offrono la sensazione che tutto ciò che si intende scoprire sulla mente sia da cercare tra i dati, le immagini e i colori ricavabili dalle scansioni cerebrali, dando la sensazione di poter fotografare direttamente la mente in azione.

Un tesi che riflette un approccio fisico estremo è il ‘comportamentismo metodologico’ (methodological behaviourism), che sostiene la non esistenza di stati mentali interni, ma solo dei comportamenti esterni osservabili39. Secondo questa prospettiva perde senso qualsiasi riferimento alla First o alla Second Person

Perspective: non possedendo vere rappresentazioni mentali, l’essere umano è ridotto

ad una sorta di macchina che funziona secondo la relazione stimolo-risposta, per cui ad ogni input corrisponde un output definito, senza mediazioni mentali. Questa prospettiva ricorda in parte l’idea che aveva Descartes nei confronti degli animali, il quale li considerava come una sorta di robot senza processi mentali coscienti (res

cogitans), che rispondevano semplicemente agli stimoli esterni secondo determinati

meccanismi40. Per quanto riguarda questa posizione, è vero che una serie di eventi e fenomeni psicologici possono essere compresi attraverso l’osservazione delle nostre

38 Northoff individua la nascita del materialismo ad alcune dottrine della filosofia greca antica, mentre congiunge l’inizio del fisicalismo con le teorie di Neurath e Carnap. Tuttavia, spiega anche che all’interno della discussione sugli approcci fisici i termini sono intercambiabili. Sarà così anche nella mia ricerca. Cfr. ivi, p. 156.

39 Northoff fa riferimento in particolare agli studi di John Watson (1878-1958), Burrhus Skinner (1904-1990) e Ivan Pavlov (1849-1936). Cfr. ivi p. 157-159.

40 «[…] se esistevano macchine siffatte, che avessero gli organi e la figura esteriore di una scimmia o di qualche altro animale privo di ragione, non avremmo alcun mezzo per riconoscere che esse non rivestono in tutto e per tutto la natura di questi animali». Descartes, R. (1637) Discorso sul metodo, Laterza, Bari 2007, p. 75.

135 risposte esterne agli stimoli, basti pensare agli importanti studi della psicologia sulle interpretazioni del comportamento; tuttavia, questo approccio esaurisce ogni possibilità esplicativa nei confronti delle sensazioni interne (se non possediamo stati mentali, come spieghiamo i fenomeni qualitativi in prima persona?) e del linguaggio comunicativo degli stati mentali (per un comportamentista, la parola “desiderio” non ha alcun senso, è una struttura costruita al di sopra dei meccanismi

input-output)41. Pertanto, è naturale che questo tipo di assunzioni ontologiche e metodologiche non possano coincidere con un approccio neurofilosofico, che tenta la delicata congiunzione delle tre prospettive di ricerca (FPP, SPP e TPP).

Sono veramente pochi i sostenitori del comportamentismo, a differenza di coloro che sostengono, a diversi livelli, la teoria dell’identità. Generalmente, si può dire che questa posizione filosofica implica l’identità tra stati mentali e cerebrali; diversamente dal comportamentismo, l’identità non è assunta come punto di partenza, ma come oggetto di dimostrazione empirica in fieri, in particolare tramite gli studi neuroscientifici negli ultimi decenni. Esistono determinate varianti della teoria dell’identità: l’identità dei tipi, che prevede che gli stati mentali non siano causati dagli stati cerebrali, proprio perché questi due tipi sono essenzialmente identici; per fare un esempio, secondo questa teoria la coscienza non è prodotta dall’attività coordinata di diversi pattern neuronali, ma è esattamente quell’attività, così come l’elettricità non è prodotta dal movimento degli elettroni, ma consiste proprio in quegli elettroni42; la conseguenza epistemologica di questa posizione forte dell’identità è la possibilità di ridurre tutto alle leggi neurobiologiche. L’identità di occorrenza, invece, comporta che un determinato evento mentale (lo stato mentale di “provare dolore”) sia identico ad un evento fisico (l’attivazione dell’area x del

41 «By explaining inner mental states like beliefs in purely behavioural terms, one cannot avoid either implicitly or explicitly using some kind of mental terminology. My action of buying an umbrella is propelled by my desire and urge not to become wet. Than in turn is to be traced back to my belief that it will rain. My belief that if will rain thus needs to be included in order to account for my behaviour. This means that a mental state like belief and my urge to not get wet needs to be included in the explanation of my behaviour. A purely behaviourist explanation of behaviour thus remains insufficient, which puts the validity of behaviourism into doubt». Northoff (2014c) pp. 159-160.

42 Cfr. Churchland, P. S. (1994) Can Neurobiology Teach Us Anything about Consciousness?, in Proceedings and Adresses of the American Philosophical Association, Vol. 67, No. 4, Jan., p. 30.

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cervello), senza condurre necessariamente ad un’identità unitaria di cervello e mente; in altre parole, non si possono raggiungere vertici di identità così generali (ossia, tra tipi), piuttosto si può affermare che il tipo psicologico è realizzato dal tipo cerebrale, tuttavia i singoli eventi (occorrenze) mentali e cerebrali vengono definiti come identici. Secondo questa prospettiva, elaborata in particolare da Donald Davidson, nonostante la mente sia ontologicamente identica al cervello (gli eventi mentali causano degli eventi fisici e viceversa), diviene impossibile la riduzione dei vari livelli di descrizione ad un gruppo unico di ‘leggi psicofisiche’, per cui si può parlare di una sorta di fisicalismo non riduzionista43.

A tal proposito, Northoff espone inizialmente la critica di Kripke alla teoria dell’identità, cercando di dimostrare la falsa identificazione tra il dolore e la stimolazione delle fibre-C44: in Nome e Necessità, Kripke spiega che il concetto di dolore non è un ‘designatore rigido’, ossia non si riferisce allo stesso oggetto in tutti i mondi possibili. Per questo motivo, la relazione tra stimolazione delle fibre-C e dolore non può essere un’identità necessaria, come invece avviene per il riferimento tra calore e movimento molecolare, che è vero in tutti i mondi possibili45; infatti, chiunque può pensare all’attivazione delle fibre-C, anche in assenza di dolore e al contempo è possibile descrivere uno stato di dolore senza necessariamente implicare la stimolazione delle fibre-C46.

Nonostante la potenza concettuale della dimostrazione di Kripke, che aprì un dibattito enorme tra filosofi della mente negli anni successivi alla pubblicazione di

Nome e Necessità, per lo sviluppo neurofilosofico questo argomento non è sufficiente

a decretare in modo definitivo la non identità di eventi mentali ed eventi cerebrali. Forse per un filosofo l’argomento può essere considerato valido e sufficiente, anche

43 «Un simile monismo blando, non corroborato da leggi di correlazione o da economie concettuali, non sembra meritare il termine “riduzionismo”». Davidson, D. (1980) Azioni ed eventi, Il Mulino, Bologna 1992, p. 293.

44 Cfr. Northoff (2014c) pp. 163-164.

45 Come già visto, questo implica l’esistenza di un’identità necessaria a posteriori, come quella tra acqua e H2O. Cfr. supra, p. 33.

46 A differenza del calore, che non lo si può pensare se non come aumento dell’energia cinetica delle molecole.

137 di fronte alla notevole quantità di casi empirici in cui è stato possibile riferire un preciso stato mentale ad uno cerebrale. A differenza del filosofo, per un neuroscienziato vale molto di più un eventuale numero di ripetizioni sperimentali in cui sia possibile ipotizzare un’identità tra stati47. Invece, per un neurofilosofo, spiega Northoff, sono necessarie sia ‘l’identità contingente’, basata sull’empirico, che ‘l’identità necessaria’ in senso logico-concettuale48. Infatti, l’identità empirica rimane pur sempre condizionata da un’induzione continua e asintotica, ma contingente, mentre l’identità logica produce una necessità che non è detto corrisponda alla dimensione naturale attuale.

Dunque, è chiaro che tale unitarietà di dimensioni sia più semplice a dirsi che a farsi, anzi si potrebbe dire che la corrispondenza di teoria filosofica e prova empirica sia il Sacro Graal della ricerca interdisciplinare. La problematica dell’identità tra cervello e mente all’interno della discussione tra dimensione logica ed empirica mi permette di riflettere sul ruolo determinante che la neurofilosofia potrebbe ricoprire in ambiti come questi. Senza porsi come risolutrice definitiva del rapporto tra dominio empirico e logico, il suo approccio interdisciplinare può mostrare nuove vie di accesso alla problematica, che evitino una sterile antitesi: nel caso dell’identità, si possono individuare nuovi termini che spieghino l’importanza delle attivazioni neuronali per la determinazione degli stati mentali, senza necessariamente cercare un’identità stretta tra tipi; allora si può ampliare il vocabolario scientifico comune, introducendo concetti come ‘correlato neuronale’, ‘prerequisito neuronale’ e ‘predisposizione neuronale’49, che prevedono legami importanti, abilitanti e necessari all’attuazione di quelli che comunemente intendiamo per “processi mentali coscienti”, ma che non risolvano interamente l’esplicazione di tali fenomeni.

Un altro esempio di approccio fisicalista, ma non riduzionista, è ravvisabile nella già discussa teoria della sopravvenienza, per cui la mente è ontologicamente un oggetto fisico, ma a livello esplicativo la sua analisi concettuale non è riducibile.

47 Ad ogni modo, ci sono anche prove empiriche che mostrano come ad una attivazione delle fibre-C non corrisponda la sensazione di dolore. Cfr. Northoff (2014c) p. 166.

48 Cfr. ivi, p. 165.

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Northoff, invece di soffermarsi sulle conseguenze della posizione in quanto tale, cerca di mostrare le aporie legate al fisicalismo che sta all’origine di questa teoria e di molte altre, in particolare al ‘principio di chiusura causale del mondo fisico’50. Il termine ‘fisico’ può riferirsi o alle questioni della scienza fisica (materia, misura, peso, forza, ecc.) oppure al senso comune, ossia agli oggetti considerati generalmente come fisici (rocce, alberi, case, ecc.). Nel secondo caso non ci sono molti problemi, poiché l’assunzione comune della fisicità della maggior parte degli oggetti, rimane un livello descrittivo necessario al nostro accesso epistemico al mondo, come ho già avuto modo di mostrare, eppure non è sufficiente a fondare teorie ontologiche solide51. Se con fisicalismo intendiamo il primo caso, allora c’è da dire che il principio che il mondo fisico sia completo è una semplice assunzione empirica, che in verità dipende dal contesto storico-scientifico e dallo status attuale scientifico52. La completezza della scienza fisica è, di fatto, epistemologicamente postulata per buoni motivi, come la possibilità di una ricerca a tutto campo, ma, dal punto di vista neurofilosofico, diventano inefficaci le deduzioni logiche o le generalizzazioni empiriche basate su questo assunto di partenza. Oltretutto, ritengo sia necessario ricordare che determinati studi neuroscientifici a volte siano ancora legate ancora ad un concetto di fisica classica, fondato su un forte determinismo meccanicista. A tal proposito, Brigitte Falkenburg afferma che i fenomeni denominati con l’espressione di “meccanismi neuronali” non siano riducibili ai modelli deterministici della fisica classica, ma che obbediscano piuttosto alle leggi della termodinamica, dell’elettrodinamica e della biochimica; e i processi termodinamici non sono riducibili ad una prospettiva deterministica, poiché sono irreversibili e essenzialmente non deterministici53. Nonostante ciò, il paradigma di fondo di alcuni studi neuropsicologici, come quelli basati sul rilevamento dati da neuroimaging,

50 Northoff (2014c) p. 169.

51 Northoff afferma inoltre: «such a notion of the physical in the sense of physical (o) [il secondo significato che ho delineato qui] seems to be especially presupposed in the earlier concepts of physicalism, including the mind-brain identity theory». Ivi, p. 170.

52 Cfr. ivi, pp. 169-170.

53 Cfr. Falkenburg, B. (2012) Mythos Determinismus. Wieviel erklärt uns die Hirnforschung?, Springer, Berlin – Heidelberg, p. 257.

139 implicherebbero la possibilità di analizzare i processi neuronali proprio in virtù della loro riproducibilità e di costruire relazioni causali necessarie e sufficienti tra processi cerebrali e mentali. Invece, paradossalmente, se il fisicalismo venisse preso alla lettera, ossia seguendo le più recenti teorie della fisica quantistica, metterebbe seriamente in difficoltà i principi di chiusura causale del mondo, il determinismo causale e l’inesistenza di elementi non fisici; con le parole di Northoff:

«Le considerazioni derivate dalla fisica come scienza procurano alcune evidenze empirica abbastanza forti contro il fisicalismo inteso come una teoria metafisica della relazione mente-cervello. […] Il paradosso consiste ora nel fatto che l’evidenza scientifica stessa potrebbe essere utilizzata contro un approccio puramente fisicalista della mente e della sua relazione con il cervello. Questo significa che il fisicalismo della teoria mente-cervello potrebbe non essere empiricamente plausibile, come è spesso assunto. Dunque, anche se fosse plausibile in senso logico-concettuale, potrebbe fallire il test della plausibilità empirica»54.

In queste pagine l’obiettivo di Northoff è di destabilizzare il fisicalismo più rigido, non tanto attraverso una posizione filosofica antitetica, ma a partire dalle sue aporie latenti, da quell’insieme di assunzioni di positivistica memoria, che dovrebbero piuttosto fare i conti con il procedere indeterminato e imprevedibile della ricerca stessa.

Oltre agli approcci puramente fisicalisti, Northoff espone anche il ‘funzionalismo’ (anni ’70 e ’80 in particolare), la posizione filosofica che compara il rapporto cervello-mente a quello tra hardware-software di un computer: il cervello è la parte fisica che permette ai processi mentali di funzionare, come i vari programmi e applicazioni software sono eseguiti sulla base di un hardware. Secondo questa prospettiva, le caratteristiche mentali non sono una sostanza aggiunta alla materialità dei neuroni, altrimenti ci si sposterebbe in direzione di un netto dualismo; piuttosto,

54 Northoff (2014c) p. 170 (trad. mia). Si ritorna anche al discorso intorno alla possibile esistenza di elementi proto-mentali studiati dalla fisica quantistica.

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le cosiddette ‘funzioni mentali’ sono il prodotto della ‘relazione estrinseca’ in-out tra stimolo esterno, elaborazione interna e risposta comportamentale55. Ora, non è di mio particolare interesse confutare in queste pagine la posizione funzionalista, che, per quanto il paragone cervello-computer sia efficace a livello intuitivo, fatica a corrispondere alla realtà dei fatti56. È più interessante seguire la questione che Northoff introduce riguardo ai diversi punti di partenza dei vari approcci disponibili finora al mind-brain-body problem.

3.3.1.1 Prospettive computer-based, mind-based e

brain-reductive

Si può innanzitutto considerare l’approccio funzionalista, che Northoff definisce

computer-based, ossia basato sul confronto con le macchine computazionali. Invece, il

dualismo è chiaramente un approccio mind-based, che cerca di individuare il rapporto tra mente e cervello, proprio a partire dall’assunzione di una differenza di fondo tra i due concetti. A questo punto, è naturale immaginare che il fisicalismo appena affrontato sia costituito da un approccio brain-based, in opposizione al dualismo; tuttavia, Northoff spiega come buona parte delle varianti di questa posizione siano comunque annoverabili all’interno del punto di vista mind-based, pur non essendo un vero e proprio approccio mentale57: infatti, l’obiettivo del fisicalismo è capire come ridurre la mente al cervello, mentre l’approccio brain-based intende comprendere come il cervello generi la mente a partire dalle sue caratteristiche intrinseche; in altre parole, anche nel fisicalismo il punto di partenza, seppur in negativo, rimane la mente. Inoltre, attraverso una modalità epistemologica riduzionista (come nei lavori della Churchland), è facile assistere ad uno slittamento, dal punto di partenza

55 Cfr. Northoff (2014c), p. 173.

56 Una delle critiche più famose al funzionalismo è ‘l’argomento della stanza cinese’ di Searle, attraverso cui si dimostrava l’incapacità di tale posizione filosofica di spiegare come fosse possibile l’associazione tra significati e proprietà semantiche ai contenuti mentali, scivolando in una problematica manipolazione di simboli senza presenza di significato. Cfr. ivi, p. 179. Ricordo inoltre le critiche di Paul Churchland al paragone tra l’elaborazione dati di un computer e quella di un cervello. Cfr. supra pp. 100-101.

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based del fisicalismo alla posizione eliminativista brain-reductive; non c’è spazio per

una vera e propria prospettiva brain-based, poiché il movimento di ricerca parte dall’esterno (un’ipotetica mente), cercando di ricondurne tutte le caratteristiche, le funzionalità e le rappresentazioni al cervello, che a sua volta viene elevato a centro necessario e sufficiente delle attività umane. Ciò che un approccio neurofilosofico non riduzionista cerca è un punto di partenza brain-based, che ritenga importante e necessario lo studio dei processi cerebrali, ma che al contempo ne riconosca l’insufficienza per una ricerca completa e interdisciplinare.