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2. Neurofilosofie a confronto

2.5 Un confronto concreto tra neurofilosofie: il rapporto tra psicologia del senso comune e neuroscienze

2.5.3 The explanatory gap problem/argument

«Christof: Io ti conosco meglio di te stesso. Truman: Non ho una telecamera nella testa!» The Truman Show, film (1998)

È stata finora esposta la proposta riduzionista ed eliminativista dei Churchland nei confronti della psicologia comune e sono stati successivamente evidenziati i limiti e le aporie interne al progetto: in generale, sembra sussistere una sorta di irriducibilità degli stati psicologici ingenui alle correlazioni neurobiologiche; infatti, anche modificando il vocabolario scientifico e/o quotidiano legato a queste rappresentazioni mentali, non sembra sia possibile sostituire completamente la sensazione personale legata a tali stati con delle teorie scientifiche.

Questa irriducibilità è in parte legata al cosiddetto problema/argomento (a seconda del punto di vista) della lacuna esplicativa (explanatory gap). La definizione del problema come tale avviene negli anni ’80 del XX secolo169, ma è espressione di una questione che da molto più tempo è oggetto di discussione tra filosofi e

fenomeni e proprietà che è necessario trovino posto (opportunatamente reinterpretati) anche nel quadro della immagine scientifica dell’uomo. Per Sellars, cioè, se anche l’immagine manifesta è radicalmente insufficiente nello spiegare la realtà, tuttavia può svolgere un ruolo significativo quando contribuisce a disegnare l’explanandum, il quadro dei fenomeni che la scienza è tenuta a spiegare e conoscere in modi finalmente adeguati». Cfr. Gabbani, C., Scienza e senso comune: un primo sguardo d’insieme, in Lavazza, Marraffa (2016) p. 15-16.

168 «Per sommo fine della filosofia è da considerare il produrre, mediante la conoscenza di questo accordo, la conciliazione della ragione cosciente di sé con la ragione quale è immediatamente, con la realtà». Hegel, G. W. F. (1830) Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in Compendio, a cura di Croce B., Laterza, Roma-Bari, 2002, p. 9.

169 Levine, J. (1983). Materialism and qualia: the explanatory gap, in Pacific Philosophical Quarterly, 64: 354-361.

109 scienziati: di fronte a qualsiasi tipo di spiegazione scientifica empirica, oggettiva e impersonale sembra sussistere un salto esplicativo nei confronti di un livello psicologico ingenuo, ma anche fenomenologico, caratterizzato da privatezza personale e qualità non misurabili quantitativamente.

Questa lacuna tra spiegazione scientifica e stato fenomenologico qualitativo viene spesso utilizzata come cavallo di battaglia da parte di chi intende difendere l’autonomia di discipline come la filosofia (in questo caso la fenomenologia) e la psicologia (non cognitiva). Esistono a riguardo diversi argomenti volti a difendere l’irriducibilità delle spiegazioni dei fenomeni alla neurobiologia e, più in generale, l’impossibilità dell’identità di tipo tra stati cerebrali e mentali: l’esperimento mentale di Mary la neuroscienziata ad opera di Jackson o argomento della conoscenza, il “what is like to be a bat argument” di Nagel o argomento dell’incommensurabilità, l’argomento delle fibre-C di Kripke e quello degli zombie di Chalmers, assieme anche al suo hard problem della coscienza, per fare solo qualche esempio170. Alcuni di questi argomenti accusano un gap epistemico (non si dà un’implicazione necessaria dalla spiegazione fisica alla spiegazione fenomenologica) e dunque sono la vera esemplificazione dell’explanatory gap problem, altri invece evidenziano addirittura un

gap ontologico (non si dà un’implicazione necessaria dal fisico al fenomenico) e

quindi sono più legati al mind-brain-body problem. Non è possibile discutere qui e ora tutti gli esperimenti mentali citati, ma mi soffermerò brevemente sul problema della lacuna esplicativa affrontato nell’argomento di Mary, la neuroscienziata; ad ogni modo, altri esempi avranno modo di presentarsi nel proseguire di questa ricerca.

Frank Jackson nel 1986 elabora un esperimento mentale, con l’intenzione di evidenziare l’impossibilità di raggiungere una spiegazione completa ed esaustiva del mondo attraverso una prospettiva meramente fisicalista:

170 Per gli argomenti della conoscenza, dell’incommesurabilità e lo hard problem, cfr. Jackson, Nagel, Chalmers in De Palma, Pareti (2004), pp. 164-183, 234-270. Per l’argomento degli zombie, cfr. Chalmers, D. (2010), The Two-Dimensional Argument against Materialism, in The Character of Consciousness, New York and Oxford: Oxford University Press, pp. 163-165. Per l’argomento delle fibre-C, cfr. Kripke (1980) pp. 139-145.

110

«Mary è relegata in una stanza in bianco e nero, è istruita attraverso libri in bianco e nero e lezioni trasmesse da una televisione in bianco e nero. In questo modo, impara tutto quello che c'è da sapere circa la natura fisica del mondo. Conosce tutti i fatti fisici sul nostro conto e sul nostro ambiente. In un senso lato di ‘fisico’ che include tutto in una fisica, in una chimica, e in una neurofisiologia completa, e tutto quello che vi è da conoscere circa i fatti relazionali e causali che conseguono da tutto questo, inclusi naturalmente i ruoli funzionali. Se il fisicalismo fosse vero, allora ella conoscerebbe tutto quello che c'è da conoscere. Supporre altrimenti, infatti, è supporre che c'è da conoscere di più dei fatti fisici, e questo è quanto il fisicalismo nega. [...] Sembra, tuttavia, che Mary non conosca tutto il conoscibile. Quando è liberata dalla stanza in bianco e nero, o le è fornita una televisione a colori, imparerà cosa si prova a vedere, per esempio, un oggetto rosso. [...] Quindi il fisicalismo è falso»171.

L’obiettivo centrale dell’argomento è dimostrare che l’esperienza cosciente, dei colori in questo caso particolare, non appartiene alla spiegazione del mondo fisico. Questo argomento è stato in questi ultimi trent’anni discusso a più riprese, in particolare è stato criticato in più modi dai riduzionisti e invece difeso dai dualisti, ma anche da prospettive ontologicamente più moderate.

Non è mia intenzione affrontare ora la diatriba collegata a tale argomento, piuttosto vorrei mostrare quale posizione dovrebbe assumere, in tal caso, una neurofilosofia non riduzionista. Da questo punto di vista non è certamente possibile sposare l’idea che non si ponga alcun tipo di differenza tra la spiegazione scientifica, l’esperienza fenomenologica e la psicologia comune, pena lo slittamento in una posizione nettamente riduzionista. Tuttavia, se d’altro canto mi limitassi ad enumerare i problemi legati alla presunta necessità di eliminare il livello fenomenologico, assieme alla folk psychology, non mi comporterei diversamente da una qualsiasi posizione analitica che intende semplicemente rivendicare il primato e l’autonomia della sua disciplina nei confronti delle neuroscienze. Se, invece, il

171 La prima pubblicazione dell’esperimento mentale è avvenuta nel 1986, con il titolo “What Mary didn’t Know”. Cfr. Jackson in De Palma, Pareti (2004) pp. 181-188.

111 tentativo è quello di produrre riflessioni di stampo neurofilosofico, allora è necessario sviluppare una posizione che riconosca l’importante contributo delle scienze del cervello, senza sfociare nell’estremismo dell’eliminazione della psicologia del senso comune o della fenomenologia. Da questo punto di vista la neurofilosofia di Northoff cerca un punto di equilibrio in questa discussione. Per Northoff, infatti, sia il riduzionismo interteorico che la separazione, si può dire, “a tenuta stagna” tra discipline sono reciprocamente posizioni estreme non condivisibili per la sua neurofilosofia.

2.5.4 L’approccio non riduzionista di Northoff nei confronti