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Il ruolo critico e fondazionale della filosofia concettuale

1.3 Un modello teorico di neurofilosofia

1.3.2 Il ruolo critico e fondazionale della filosofia concettuale

La filosofia, checché ne dicano i suoi detrattori, inizia e finisce con l’esperienza: come è stato spiegato precedentemente, anche la teoresi più astratta trova il suo punto di partenza nell’empiria, poiché non v’è modo di iniziare da un punto diverso rispetto a quello in cui ci si trova immersi. Allo stesso modo deve “concludere” la sua riflessione tornando ad uno stretto riferimento con l’esperienza, altrimenti la riflessione rischia di allontanarsi troppo dalla realtà e di perdersi in un “mondo altro”, astratto e formalistico54. Ritengo che la filosofia non abbia il compito né di ricevere passivamente i dati empirici (che è il pericolo per la filosofia sperimentale), né di negare la loro validità o importanza (che è il pericolo per la filosofia in poltrona); la filosofia deve piuttosto mediare l’esperienza immediata con l’elemento del pensiero e promuovere una vera e propria trasformazione del dato empirico, cercando di liberarlo dai suoi stessi limiti; in altre parole, l’analisi filosofica (si veda per esempio la filosofia della scienza in generale) prende in considerazione i presupposti su cui si fonda la ricerca empirica, frutto di una scienza che necessariamente contiene al suo interno degli assunti non giustificati: presupposti come la contingenza del risultato di una ricerca individuale o di un’osservazione personale e soggettiva; oppure l’immediatezza dell’oggetto meramente quantitativo,

54 Può essere utile la suggestiva metafora utilizzata da D. Gilles e G. Giorello per descrivere le teorie scientifiche come palloni aerostatici, legati a terra dagli asserti osservativi del mondo empirico e che senza peso volerebbero verso la metafisica. Cambiando il soggetto e il significato della metafora, si potrebbe dire che la riflessione filosofica ha il compito di mantenere il giusto equilibrio tra i pesi che tira il pallone aerostatico (la neurofilosofia stessa) verso terra (la plausibilità empirica) e la gestione dell’aria calda che spinge verso l’alto (la teoresi speculativa). Se venisse a pesare troppo, cadrebbe a terra, perdendo il suo valore di oggetto volante; se si togliessero tutti i pesi, perderebbe ogni riferimento con il terreno, volando oltre le nuvole. Cfr. Gilles, D., Giorello, G. (1993), La filosofia della scienza nel XX secolo, Laterza, Bari 2010, p. 180.

47 spesso astratto dalle relazioni che intesse con altri dati “trascurabili” da parte dello scienziato; oppure ancora l’interpretazione a volte eccessivamente indirizzata a trovare nella ricerca empirica ciò che si desidera, ma soprattutto l’utilizzo di concetti sui quali la scienza non riflette. L’esperienza che si ricava da questa attività di mediazione filosofica è decisamente rinnovata e più solida nei confronti dei presupposti che prima la invalidavano; un’esperienza che attraverso la filosofia si è affrancata, almeno in parte, dai presupposti significa nella migliore delle ipotesi che il dato, ora concettualizzato, non dipende più da qualcosa d’altro, come possono essere la parzialità dell’osservazione o l’utilizzo acritico di concetti e modelli teorici.

Si possono prendere in considerazione numerosi temi e problematiche inerenti alle neuroscienze dove la filosofia può svolgere proprio questo ruolo di giustificazione e di chiarificazione: ad esempio nell’utilizzo di concetti come coscienza, identità personale, pensiero, libertà rapportati ai fenomeni riscontrabili a livello di attività cerebrale; nella questione inerente al valore epistemico del neuroimaging e ai suoi limiti per quanto riguarda le inferenze deducibili da questo metodo; nell’analisi critica del rapporto tra descrittivo e normativo all’interno degli studi neuroscientifici e sperimentali in genere; nella problematica della fallacia mereologica, ossia l’attribuzione di caratteri che sono proprietà dell’intero a parti dell’organismo (il cervello “pensa, ragiona, prova emozioni”, i lobi frontali “decidono”).

Porre questioni filosofiche in seno alla struttura della ricerca scientifica non comporta la svalutazione dell’esperienza, ma piuttosto la comprensione della natura dell’empirico nei suoi limiti e possibilità epistemici. Sembra che il fisico e premio Nobel Richard Feynman una volta abbia affermato che «la filosofia della scienza è utile agli scienziati quanto l’ornitologia agli uccelli». In verità a me sembra che le scienze dure, senza la collaborazione di una rigorosa analisi filosofica, rischino una chiusura dogmatico-positivistica che può condurre in direzione opposta alla scientificità, dove per scienza si intende il confronto e la resistenza di una teoria a più approcci di ricerca. Da questa prospettiva la filosofia non ha certo il compito di spiegare alla scienza come lavorare, come neppure la scienza ha il compito di offrire

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consigli filosofici ai filosofi55; secondo questo discorso, la filosofia ha in definitiva il compito di rendere ragione dei concetti irriflessi della scienza, che quest’ultima non può e non sa spiegare, dato che per progredire ha bisogno di presupporre il proprio oggetto come dato. La filosofia deve pertanto comprendere l’attività scientifica e rendere ragione del “noto” delle scienze, ossia dei concetti assunti come presupposti nelle ricerche empiriche56.

Sembra proprio che la produzione filosofica concettuale sia lontana dall’essere scalzata da teorie empiriche o da nuovi movimenti della filosofia sperimentale: le scienze empiriche hanno necessariamente bisogno di un costante accompagnamento filosofico, che articoli e problematizzi il non detto del loro campo di studi; d’altronde ritengo che una filosofia sperimentale che pretenda di scalzare l’analisi concettuale della realtà solamente attraverso dati contingenti ricavati empiricamente non sia degna di essere chiamata tale. La filosofia piuttosto ha come compito essenziale quello di analizzare, tradurre, relazionare assieme ciò che nella realtà è dato per assunto e per noto (soprattutto dalle scienze dure), allo scopo di mostrare inoltre che non vi è un’unica spiegazione scientifica esaustiva ed esclusiva dei fenomeni. Da questo punto di vista la filosofia non si pone e non deve porsi in nessun modo come se fosse l’unica prospettiva degna di essere utilizzata per comprendere il mondo. Per un giusto rapporto epistemologico nei confronti delle scienze dure si dovrebbe situare al di sotto e al di sopra di queste: al di sotto svolgendo il ruolo di fondazione delle condizioni di possibilità delle scienze (come filosofia della scienza) attraverso la concettualizzazione dei metodi e degli oggetti di studio scientifico; al di sopra

55 Cfr. Williamson (2007), p. IX.

56 Questo intende Heidegger quando afferma che la «scienza non pensa e non può pensare»: la scienza, per il suo fine di ricerca, non riflette sui concetti che utilizza ed accoglie il suo oggetto di studio come già dato. La fisica per esempio non si pone la questione su “che cosa si intenda per natura”, ma accoglie un insieme scelto di fenomeni denominandolo come “il naturale”. Che cosa è la fisica non lo può dire la fisica, ma è assunta come oggetto noto dalla scienza per poter lavorare attraverso di esso. Cfr. Heidegger, M. (1954) Che cosa significa pensare?, in Saggi e Discorsi, Milano, Mursia, 1976: «La scienza non pensa. Non pensa perché - in conseguenza del suo modo di procedere e dei suoi strumenti - essa non può pensare; pensare, intendiamo, nel modo in cui pensano i pensatori. Che la scienza non sia in grado di pensare non è per nulla un difetto, ma un vantaggio. Solo in virtù di questo la scienza può dedicarsi alla ricerca sui singoli ambiti di oggetti e stabilirsi in essa. La scienza non pensa. Questa, per la mentalità comune, è un'affermazione scandalosa».

49 invece, come punto di vista più ampio e distaccato rispetto agli assunti necessari delle scienze dure, che possa accogliere entro sé la moltitudine di spiegazioni scientifiche, al fine di darne una comprensione concettuale in continua crescita e ri-articolazione consapevole dei presupposti su cui è collocata.