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body problem

3.2.2 I limiti epistemologici dell’olismo

Per discutere dell’approccio olistico, mi sembra giusto prendere le mosse dalla famosa frase aristotelica: «l’intero è qualcosa di più delle parti»11. Questa frase viene considerata il principio fondamentale di ogni olismo (epistemologico, linguistico, ontologico, etc.), pur non esistendo il termine in quanto tale negli scritti di Aristotele12. Riguardo a ciò, bisogna dire che questa definizione dell’olismo viene

11 Aristotele, Metafisica, a cura di G. Reale, Bompiani, Milano 2000, Libro H, 1045 9-10. Aristotele si riferiva a «tutte le cose che hanno molte parti, e il cui insieme non è come un ammasso», ossia ciò che ha una sua organizzazione interna.

12 Il termine “olismo” lo si deve a Jan Smuth (1870-1950), evoluzionista e politico sudafricano. In Holism and evolution sostiene che l’evoluzione ha prodotto enti talmente complessi che non sono riducibili ai loro aggregati. Cfr. Corvi, R., Dall’olismo epistemologico al pensiero sistemico: un percorso possibile?, in Urbani Ulivi, L. (a cura di) (2010) Strutture di mondo. Il sistema sistemico come specchio di una realtà complessa, Il Mulino, Bologna, p. 175n.

125 invocata alle volte come un mantra magico, che dovrebbe teoricamente sciogliere qualsiasi genere di questione epistemologica e conciliare ogni problematica esplicativa, in nome della totalità. In realtà la situazione è più complessa, perché, come esiste un ‘riduzionismo spietato’13 che non rende ragione dell’eterogeneità della realtà, esiste anche un olismo superficiale che appiattisce ogni particolarità e livello al “soffitto dell’intero”. Cercherò dunque di evidenziare i limiti e i pregi di questa prospettiva.

Innanzitutto, per visione olistica intendo un approccio integrato ed integrante, in cui un’entità non esiste autonomamente fuori dall’intero; fino a qui l’assunzione di partenza sembra generalmente accettabile. Ad intuito sembra quindi attendibile che lo studio su un particolare tipo di evento debba sempre tener conto dell’insieme completo di relazioni che quest’ultimo tesse con il contesto in cui è situato. Di conseguenza, seguendo questa via, l’olismo epistemologico (cioè quello che prenderò in esame) sostiene che la giustificazione di un qualsiasi enunciato conoscitivo dipende dalle sue relazioni con tutti gli altri enunciati conoscitivi ad esso collegati. Tuttavia, radicalizzando questa tesi con le parole di Roberta Corvi: «in una data situazione epistemica, per comprendere qualche proprietà conoscitiva di una certa espressione è necessario aderire a tutti gli enunciati e a tutti i nessi inferenziali accettati da quella situazione epistemica, il che significa, in altre parole, che ogni proprietà conoscitiva di ogni espressione è inseparabile dalla totalità degli enunciati e dei nessi inferenziali impliciti»14. Secondo questa impostazione, l’olismo non sembra più così intuitivamente corretto e facile da accettare, perché implicherebbe l’invalidità di una qualsiasi asserzione particolare, se esclusa dall’intero da cui proviene; inoltre, non è chiaro come sia possibile definire in modo certo la completezza di un ‘insieme totale’ di conoscenze. Da qui pertanto, bisogna ammettere che non è possibile ricorrere ogni volta alla comprensione della totalità coerente degli enunciati di una data situazione epistemologica, per affermare qualcosa di particolare entro di essa. Ci si può accontentare di conoscenze non

13 “A Ruthlessly Reductive Account“. Cfr. Bickle (2003).

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esaustive in riferimento alla totalità di enunciati possibili e comunque avere una conoscenza comunicabile e comprensibile15.

Rinunciando dunque alla prospettiva più radicale, si potrebbe provare la via dell’olismo moderato, come venne teorizzato da Quine in Epistemologia naturalizzata: le verifiche e le falsificazioni non riguardano mai i singoli enunciati, né una totalità intera di conoscenze, piuttosto interessano «un blocco di teoria nel suo insieme» in cui, per ottenere delle conseguenze empiriche, è sempre necessario un gruppo di enunciati16. In questo modo, l’olismo moderato evidenzierebbe i limiti della sua versione radicale (l’impossibilità di dire alcunché senza avere tutto l’insieme di enunciati conoscitivi), così come i limiti del riduzionismo (il contenuto empirico non deriva da un solo enunciato, ma anche dalle sue relazioni con altri gruppi di enunciati). Eppure il concetto stesso di ‘olismo moderato’ può sembrare una sorta di un ossimoro, un όλος non veramente intero, quindi un olismo solo metaforicamente corretto, perché implica delle parti che si possano considerare come autonome rispetto ad un tutto più grande17.

In seguito a questa breve esposizione di tale approccio, sembra che l’olismo in quanto tale non possa essere la soluzione ai problemi epistemologici mostrati nel riduzionismo, o meglio, pur presentandosi come un’alternativa a questo, non è possibile nasconderne certi limiti e difficoltà. In particolare, per quanto riguarda il discorso inerente al mind-brain-body problem, anche in questa situazione riemerge il complesso rapporto tra la dimensione ontologica e quello epistemologica: nonostante, a mio avviso, l’olismo sia una prospettiva epistemologica più completa del riduzionismo, in quanto assume “la presenza di qualcos’altro” oltre al semplice agglomerato di parti, questo può comunque condurre a conseguenze ontologiche discutibili; infatti, a tale approccio è possibile affiancare addirittura una posizione

15 Cfr. ivi, p. 190.

16«Talvolta anche un’esperienza implicata da una teoria non ha luogo e allora, idealmente, dichiariamo falsa la teoria. Ma l’insuccesso falsifica solamente un blocco di teoria nel suo insieme, una congiunzione di molti enunciati. L’insuccesso mostra che uno o più d’uno di quegli enunciati sono falsi, ma non mostra quali». Quine (1969) p. 103. Cfr. anche Corvi in Urbani Ulivi (2010), p. 191.

17 Cfr. Ivi, p. 192-193. Roberta Corvi propone come soluzione alla questione autocontraddittoria dell’olismo moderato, un approccio sistemico, che più avanti esplicherò e svilupperò personalmente.

127 radicale come l’esistenza di una mente sostanziale, logicamente separata dal corpo, immateriale e indipendente18. Questa prospettiva dualista forte non è considerabile come una possibile soluzione19, ritengo che si tratti piuttosto di una radicalizzazione del problema stesso, così come il monismo fisicalista delle neuroscienze ne sembra, all’opposto, una risposta superficiale e riduttiva.

Un approccio alternativo, che funga da mediatore tra il punto di vista riduzionista e quello olistico, può essere rintracciato nel pensiero neurofilosofico di Northoff. Tuttavia, prima di affrontare la sua particolare posizione, ritengo sia utile esporre l’analisi presente in Minding the Brain, in cui vengono esaminate svariate posizioni ontologiche ed epistemologiche intorno al mind-brain-body problem. In questo modo, sarà possibile comprendere per contrasti la posizione generale di Georg Northoff stesso nei confronti delle più consolidate e famose teorie di filosofia della mente.