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2. Neurofilosofie a confronto

2.1. La neurofilosofia riduzionista di Patricia Churchland

2.1.3 Il riduzionismo nella storia delle neuroscienze

17 Ivi, p. 286. Il tema dell’eliminazione della psicologia di senso comune è molto interessante e sarà approfondito in seguito.

18 «Il modello nageliano è infatti incapace di dar conto di quei casi di riduzione in cui la teoria ridotta è interamente falsa (come nel caso della teoria della combustione basata sulla nozione di ‘flogisto’). La riduzione nageliana è una deduzione ed è logicamente impossibile dedurre una teoria falsa da una teoria che si ritiene vera». Maraffa (2008), p. 153.

19 Esempio di riduzione lineare: la riduzione dell’ottica fisica alla teoria elettromagnetica di Maxwell. Esempio di riduzione accidentata: la riduzione della teoria del flogisto alla chimica dell’ossidazione. Esempio di riduzione mista: la riduzione della termodinamica classica alla meccanica statistica. Ivi, p. 154.

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Prima di proseguire con i successivi modelli, bisogna chiarire il ruolo che il riduzionismo ha coperto e tutt’ora copre all’interno delle neuroscienze. Innanzitutto sarebbe esagerato affermare che questo approccio sia il più utilizzato: gli stessi difensori del riduzionismo ammettono che il suo ruolo all’interno della ricerca concreta è più che altro sistemato in una posizione periferica come ideale regolativo (Kenneth F. Schaffner)21. Patricia Churchland stessa si muove fin da subito cautamente, confermando che la riduzione è posta solo se le condizioni prevedono una buon rapporto co-evoluzionario tra teorie22. D’altro canto, più recentemente John Bickle ha affermato che le migliori spiegazioni nella ricerca concreta sono quelle riduzionistiche, mentre le descrizioni dei livelli più alti avrebbero solo un valore euristico23; secondo l’autore inoltre la sua idea di ‘riduzionismo spietato’ non dovrebbe essere così scandalosa come sembra, perché si tratterebbe solo di un

reductionism-in-practice24. Nonostante questa cautela generale, a livello comunicativo

generale il riduzionismo è spesso il modello più utilizzato per spiegare le varie teorie e scoperte scientifiche; chiaramente non è tanto la ricerca neuroscientifica ad essere responsabile di ciò, quanto piuttosto un certo marinismo giornalistico a caccia della notizia eclatante e rivoluzionaria25. Ad ogni modo, al di là della complessa questione sul gap informativo costantemente presente tra scoperta scientifica e la sua relativa comunicazione, il riduzionismo rimane pur sempre un approccio tipico per determinate ricerche, in quanto si tratta del riflesso metodologico prodotto da una precisa base ontologica, sulla quale le neuroscienze si sono fondate.

Come ho già spiegato, la neuroscienza ha radici antiche, sicuramente più della neurofilosofia, in quanto l’interesse per il cervello dal punto di vista anatomico e cognitivo ha origine ancora nella storia antica dell’umanità. Tuttavia, i primi sviluppi di una ‘scienza del cervello’ rigorosa si possono riscontrare solamente a partire dal

21 Cfr. Craver, C. (2007) Explain the brain, Oxford University Press, New York, p. 233.

22 Cfr. Churchland (1986) p. 285-286.

23 Craver (2007) p. 234-235.

24 Cfr. Bickle, Mandik, Landreth (2012).

25 Con queste parole intendo la costante e spasmodica ricerca del sensazionalismo giornalistico (‘scoperto il neurotrasmettitore dell’amore’, ‘secondo le neuroscienze la coscienza non esiste’, ecc.). Marinismo, appunto, l’intento di crear meraviglia. Cfr. Legrenzi, Umiltà (2009).

59 XIX secolo26. Il termine ‘neuroscienze’ vero e proprio probabilmente è nato in America con Francis O. Schmitt nel 1962, attraverso il suo progetto di ricerca unitario

Neurosciences Research Program (NRP)27, che si poneva come obiettivo della ricerca l’indagine multidisciplinare delle basi cerebrali del comportamento e della mente. La determinazione della neuroscienze come disciplina scientifica trova in quel periodo fondamento nel naturalismo filosofico americano. Durante il XX secolo infatti, in particolare negli Stati Uniti d’America, il fisicalismo è divenuto uno dei principi fondanti del movimento naturalista, che a sua volta formò il paradigma di riferimento delle scienze naturali. Alcune caratteristiche basilari del naturalismo sono il primato ontologico del materialismo, la validità e applicabilità universale del metodo scientifico, l’unicità della conoscenza (quella della scienza naturale), il principio di chiusura causale del mondo fisico28. A queste si aggiunga l’idea che l’epistemologia debba essere naturalizzata, ossia che si debba concentrarsi sulle teorie della conoscenza fondate sui processi biologici in generale, piuttosto che su degli studi filosofici. A partire dalla loro fondazione, le neuroscienze hanno seguito la via del naturalismo fisicalista ed è dunque normale che si siano sviluppate proprio delle posizioni epistemologiche come il riduzionismo o il materialismo eliminativista29. Pertanto, anche se al giorno d’oggi il riduzionismo non è più l’unico approccio utilizzato nello studio del cervello, la posizione filosofica del naturalismo sembra rimanere inevitabilmente legata al cuore dell’impostazione neuroscientifica, in quanto ne fonda in parte i principi di ricerca e la prospettiva generale. A tal proposito, il fatto che il riduzionismo sia un metodo utilizzato dagli scienziati non lo rende di conseguenza il più giusto e veritiero. Anzi a volte sembra proprio che si voglia argomentare l’efficacia del riduzionismo attraverso l’evidenza di una sua

26 Cfr. Oliverio (2011).

27 Cfr. Adelman, G. (2010) The neurosciences research program at MIT and the beginning of the modern field of neuroscience, J Hist Neurosci;19(1):15-23.

28 Cfr. Nunziante, A. M. (2012) Lo spirito naturalizzato. La stagione pre-analitica del naturalismo americano, Verifiche, Trento.

29 Cfr. Gaiani, A. (2014) Riduzionismo e neuroscienze: il dibattito filosofico recente, Etica & Politica / Ethics & Politics, XVI, 2.

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pragmatica funzionalità nelle ricerche scientifiche; tuttavia questo è un ragionamento che conduce inevitabilmente ad una petitio principii30.

Riprendendo ora il modello teorico costruito nel capitolo precedente, si può dire che nel progetto di Patricia Churchland la filosofia ricopra solo in parte il compito che le sarebbe assegnato in una ricerca neurofilosofica epistemologicamente equilibrata: sembra esserci una preponderanza della sezione dedicata alle “neuroscienze della filosofia”, intesa come l’utilizzo di prove neurologiche a rinforzo o smentita delle teorie filosofiche (morali, epistemiche, ontologiche, ecc.). Mentre della “filosofia delle neuroscienze” c’è ben poco, se non questa visione dall’alto, che dovrebbe connettere insieme i risultati scientifici delle neuroscienze e trovare le soluzioni alle sue grandi questioni; infatti i problemi concettuali e linguistici, di metodo, di fondazione epistemologica non hanno molto spazio, anzi, come cercherò di mostrare, a volte sono dominio esclusivo delle neuroscienze31. In un programma interdisciplinare pluralista e complementare di neurofilosofia il rapporto tra le due discipline non dovrebbe mai essere dato una volta per tutte, poiché altrimenti sarebbe facile cadere o nell’estremismo neuroscientifico, in cui è preponderante il dato empirico, o in quello filosofico, in cui le ricerche in campo cerebrale sono utilizzate solo quando sono utili. Per di più ritengo che oltre a possedere un ruolo di visione generale, la filosofia debba essere presente in diversi punti e prospettive nel lavoro neurofilosofico: al di sotto con puntuali questioni epistemologiche, al di sopra con integrazioni e riflessioni extraempiriche, all’interno con la discussione dei metodi di ricerca. In confronto a questo progetto, la neurofilosofia della Churchland sembra una filoneuroscienza32, in cui il paradigma neuroscientifico domina sia a livello ontologico che epistemologico.

30 Afferma Gaiani, evidenziando la debolezza degli assunti del ‘riduzionismo spietato’ di Bickle: «Non basta dire: il riduzionismo funziona perché gli scienziati sono riduzionisti, gli scienziati scoprono cose interessanti, e dunque il riduzionismo è una buona opportunità, anzi la migliore, anzi l’unica percorribile. Non basta assumere la plausibilità del riduzionismo come un dato di fatto, altrimenti si cade in una petitio principii: difendo un approccio di un certo tipo presupponendo che questo approccio rappresenti in realtà l’unica via praticabile». Cfr. ivi (2014), p. 51.

31 Al momento opportuno analizzerò gli aporetici concetti di “neuroepistemologia”, “neurotrascendentale” ed “epistemologia naturalizzata”.

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