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L’Aquila: una singolare armonia modellata tra conflitti e sismi

L’odierna città abruzzese presenta certamente un passato che la vede segnata e solcata in particolare da due tipi di fenomeni decisamente violenti, i quali più volte si sono venuti ad intersecare: le guerre e i terremoti. L’Aquila, fondata ex novo in fasi successive, tra l’inizio e la metà del XIII secolo, in piena contesa tra papato e impero, (dalla bolla papale di Gregorio IX al Diploma di

Federico II, per giungere all’opera di Corrado IV, figlio secondogenito dello stesso imperatore);

affonda le sue stesse radici in un periodo storico di forte tensione. Se, a cavallo tra storia e leggenda, si fa risalire alla coordinazione dei vari castelli e borghi circostanti il contributo della sua edificazione, il numero 99 ne è la testimonianza simbolica principale, scolpita e impressa nella pietra e nell’acqua della sua fontana principale52, così come nel suono dei novantanove rintocchi dalla Torre Civica.

Attraverso le vicende storiche e i mutamenti politici, è possibile identificare “tre momenti essenziali nella formazione della città, a ciascuno dei quali corrisponde una fase dell’evoluzione del modo di progettarla […]”.53 Queste tre fasi, tenendo presente che si tratta di categorie semplificative e riduttive, danno però l’idea della sedimentazione culturale delle città. “La prima fase sarà logicamente quella sveva, dalla fondazione della città fino alla sua distruzione nel 1259, la seconda dal 1266 al 1294 corrisponde al periodo della sua costruzione sino al Diploma di Carlo II d’Angiò, ed infine la terza che vede il compimento della città nella seconda metà del XIV”.54

Per quanto riguarda la prima fase, gli elementi in grado di illustrarla, giunti sino a noi, sono frammentari e attraversati da rilevanti dubbi. La distruzione portata a termine da Manfredi nel 1259

52 Il riferimento è la Fontana delle 99 cannelle. 53

Spagnesi, G., Properzi, P. L., L’Aquila. Problemi di forma e storia della città, Dedalo Libri, Bari, 1972, p.40.

e il susseguirsi dei terremoti non consente di rilevare la presenza di elementi architettonici nel tessuto edilizio urbano.55

L’incrocio tra fonti storiche e l’osservazione della forma urbana, consente di rilevare alcuni tratti culturali dell’epoca di Federico II, in particolare connessi “all’uso di due «patterns», che si vedrà essere complementari tra di loro: il primo, cardo-decumanico, come forma simbolica del classicismo federiciano, ed un secondo più complesso, derivato dalla espressione geometrica della raffigurazione dell’aquila imperiale”.56 Se la pianta urbana della città non può essere considerata casuale, il principio dei suoi lineamenti risiede in una “rinnovata «classicità», legata ad un programma di esaltazione dell’universalità dell’impero e dei suoi simboli […]”57, e “il segno caratteristico di questo momento storico-artistico riconoscibile dalla riutilizzazione di impianti figurativi antichi […], dalla ricerca di assetti spaziali controllabili attraverso le loro componenti geometriche […], ed infine da una conoscenza effettiva e concreta del mondo reale […]”.58 L’impostazione evidentemente geometrica dei tracciati viari principali, denuncia la non casualità dell’impostazione urbana e rivela l’origine in qualità di città nuova, poiché alla sua base vi risiede una precisa forma di progettualità. “Naturalmente la varietà orografica dei luoghi, se non ha impedito il tracciamento rettilineo dei vari percorsi, ha tuttavia portato ad una deformazione dello schema geometrico, più «compresso» ad ovest e più «dilatato» ad oriente”.59 Dunque, nonostante il susseguirsi delle trasformazioni urbane, “ciò che difficilmente può essere mutato sono i tracciati viari, sia per il loro valore funzionale di «percorso» e, soprattutto, perché determinano sempre i punti di forza del sistema dei confini della proprietà del suolo, […]”.60 L’impianto cardo- decumanico è riscontrabile nella cartografia storica come una peculiarità in grado di dare una sostanziale continuità all’impianto urbano dalle prime mappe, giunte sino a noi, di De Ritiis impregnate di un valore iconografico e risalenti alla meta del XV secolo, per giungere fino alla accentuata razionalizzazione degli spazi operata dei piani regolatori del XX secolo.

Ma tornando al periodo medievale, non trascorre nemmeno mezzo secolo che il primo grande terremoto si abbatte con inaudita violenza sulla città nel 1315, causando la distruzione della maggior parte dell’edificato e trasformandone l’assetto iniziale e l’orientamento degli assi direzionali. “Lungo il primitivo asse decumano vanno a distribuirsi […], prima gli edifici che

55 Ibidem, p.41. 56 Ibidem, p.44. 57 Ivi. 58 Ivi. 59 Ibidem, p.49. 60 Ibidem, p.45.

esprimono la podestà delle libertà comunali (torre civica, il palazzo del Comune e quello del Podestà), poi, ma solo molto più tardi il palazzo reale […]”.61

Il XIV secolo si rivela particolarmente sventurato se nemmeno quarant’anni dopo, nel 1349 un altro grave terremoto si abbatte sull’Aquila. Tra le conseguenze da annoverare, nel secolo in cui la città assume i suoi connotati formali definitivi, vi è “il rafforzamento della direttrice ovest-est, come orientamento prevalente della città; […] la scelta culturalmente cosciente, di matrici formali a maglie quadrangolari regolari, in relazione a ciascun «quarto», per le «lottizzazioni» di completamento all’interno della struttura viaria esistente; infine la codificazione, esplicitata negli statuti del 1315 dell’ordinamento della città”.62

L’organizzazione del tessuto urbano si struttura attorno alla configurazione dei «quarti», che tutt’ora rappresentano una particolare forma di built enviroment63 composti da precise forme di built

forms che divengono le unità di base della disposizione topografica e percettiva della città e non

solo l’espressione delle disposizioni politiche ed economiche angioine. “In tal modo i «quarti» si delineano come il supporto amministrativo di un regime politico oligarchico, tuttavia condizionato dal nuovo potere regio […]”.64 Dall’importanza della trasposizione sul territorio urbano dei contenuti fiscali e dei modelli di tassazione, è necessario mettere in evidenza la particolare forma di controllo concretizzata nell’organizzazione spaziale. “Propri di questo aspetto della costruzione del «quarto» sono i singoli momenti, gerarchicamente relazionati che se ne possono trarre immediatamente: dalla unità modulare (maglia murata), alla prima e più piccola aggregazione (residenze), sino alla formazione dei singoli isolati ed alla loro reciproca relazione che definisce, per esempi successivi, la figurazione degli spazi urbani (vie - piazze) […]”.65

Nonostante i terremoti e la peste che sembrava in grado di cancellare definitivamente il volto della città dal XIV secolo, il secolo successivo vede L’Aquila in piena espansione demografica ed economica e la densificazione razionale degli spazio all’interno delle mura in particolare nelle zone centrali della città, mentre quelle esterne più vicine alle mura come ad esempio la zona di Campo di

Fossa, restano vuoti urbani fino al XX secolo. Così “a sottolineare il fiorire del commercio nel

corso del XIV e XV sec. può essere utile ricordare che, per apportare un miglioramento estetico alle vie e alle piazze, fu necessario rimuovere nel settembre del 1456 le numerosissime panche e costruzioni di legno lungo le vie che portavano alla Piazza Grande. Queste, forse in parte costruite al tempo del terremoto, stavano a testimoniare soprattutto l’aumento di popolazione e l’infittirsi di botteghe, le quali, con l’accrescersi dei traffici e delle industrie, andavano sempre più occupando

61 Ibidem, p.50. 62 Ibidem, p.54.

63 Per la distinzione tra built enviroment e built forms si veda: Ligi, G., La casa Saami, p.119. 64

Spagnesi, G., Properzi, P. L., L’Aquila, op. cit., p.169.

questa parte centrale della città piuttosto che le aree periferiche, rimaste invece per lungo tempo vuote”.66

Credo sia importante focalizzare l’attenzione su questi brevi lineamenti di storia urbana aquilana alla luce delle odierne modificazioni dell’assetto territoriale, a seguito del terremoto, le quali si traducono, da alcuni decenni ad oggi, in una «distensione» della città verso le frazioni, a cui si somma l’interposizione di nuclei pionieri di nuove costruzioni che agevolano, insieme all’infrastrutturazione, la saldatura dei nuclei abitati. Questo fatto esprime, in epoca contemporanea, il delinearsi di un nuovo rapporto tra città e campagna così come tra città e frazioni, messo ancora più in evidenza dal decentramento, spesso necessario, delle funzioni, dei servizi e delle attività che, a causa del sisma, dal centro storico hanno dovuto trovare una nuova collocazione fuori dalle mura cittadine. La ricodificazione delle categorie percettive che identificavano la campagna e la città in qualità di due ambienti costruiti diversi ma comunicanti, in epoca contemporanea, e ancor più a seguito degli sconvolgimenti sismici, è una questione da non sottovalutare. Se le mura, esempio di

forma costruita, segnano quel limite tra la costruzione culturale di una precisa idea di città (da

distinguere dalla campagna esterna), in un epoca vicina a noi è evidente la crisi di questa dialettica, la quale aveva mantenuto il suo equilibrio almeno fino alla prima metà del XX secolo, è un nodo storico e antropologico fondamentale per comprendere le odierne trasformazioni urbane a seguito del sisma del 2009.

Qual è dunque il nuovo rapporto che si sta instaurando tra la città e il suo esterno? Quali sono le conseguenze dell’edilizia d’emergenza, del decentramento (sia esso momentaneo e necessario o meno) delle funzioni e dei servizi prima collocati nel centro del capoluogo e quali le implicazioni della ricostruzione, rispetto al radicale mutamento della percezione del territorio attorno all’Aquila e in rapporto allo stesso centro urbano?

Queste domande risultano tanto importanti quanto complesse e in questa tesi cerco di delinearne alcuni dei tratti che ho potuto esperire sul campo e dagli studi condotti, tuttavia non pretendo e non intendo dare delle risposte deterministiche e definitive, quanto piuttosto dare il via ad una riflessione che contenga gli elementi essenziali della teoria e della pratica connessa.

A questo proposito credo che un primo punto su cui sia importante soffermarsi riguardi il rapporto tra vuoto urbano67 e città solida68, ovvero tra spazio costruito e spazio libero. A supportare queste considerazioni mi vengono in aiuto due elementi di riflessione: il ruolo delle mura e quello della piazza principale. Se da un lato il ruolo giocato dalle mura è quello di individuare la forma della

66 Sconci, E., Il centro storico dell’Aquila, op. cit., p.68.

67 «Va inteso per “vuoto urbano” quella parte di città non edificata che, all’interno della città muraria, […], stabilisce

nel tempo un rapporto variabile con la “città solida”», in: Sconci, E., Il centro storico dell’Aquila, op. cit., p.42.

68

«Per “città solida” si intende quella parte costruita della città, continua ed omogenea, la cui estensione è in rapporto al “vuoto urbano”», in: Ivi.

città, come una vera e propria infrastruttura in grado di fare da membrana omeostatica tra interno ed esterno assolvendo il compito di contornare il corpo urbano e di plasmare e ordinare le relazioni spaziali tra L’Aquila e il contando, il ruolo della piazza principale ovvero Piazza Duomo, raccoglie al suo interno un universo complesso ed evocativo di memorie, esperienze, pratiche e abitudini legate allo svolgimento dei mercati, la celebrazione di feste e infine come luogo di ritrovo o punto di riferimento per ordinare e referenziare gli altri luoghi abituali urbani.

Per svelare un tassello della densità della piazza come luogo vissuto e spazio performativo mi rifaccio alla descrizione di Costantino Dardi: “Pietra su pietra, mattone su mattone la comunità, con il concorso talvolta anche di volontà antagoniste o la sovrapposizione di progetti contradditori, non ha soltanto costruito la sua chiesa o il suo palazzo comunale, collocato la scalinata o la fontana, disegnato la pavimentazione o piantato alberi, innalzato il campanile o murato uno stemma, realizzato un monumento o acceso luminarie, disteso tende o aperto chioschi, ma ha essenzialmente costruito la figura spaziale che la identifica e in cui si identifica. Vivendo quotidianamente l’atmosfericità dei suoi spazi, praticandola a tutte le ore del giorno e della notte per i suoi ozii ed i suoi negozi, ricordandola con struggente nostalgia o ritrovandola con palpitante emozione, il cittadino dell’Italia delle cento, mille città rinascimentali e barocche, medievali e neoclassiche, gotiche, normanne, arabe o bizantine, riconferma il ruolo ed il significato della piazza storica”.69 La principale piazza aquilana acquista un nuovo senso nella città frammentata dalla zona rossa: luogo da cui fa ripartire il centro, la vita sociale e commerciale della città storica, luogo di protesta e di festa come quella della Perdonanza; la piazza non è solo il simbolo della rinascita bensì un luogo interattivo e di performance sociali, come la voglia di incontrarsi nel cuore di una città ferita e di riappropriarsi del suo destino.

Da un punto di vista antropologico “capire perché e come accada concretamente che in una data cultura un sistema di valori e una visione del mondo siano connessi a una specifica organizzazione fisica e simbolica dello spazio è un problema molto profondo”.70 Infatti, come continua ad illustrare Ligi: “L’analisi delle componenti spaziali della cultura può essere anche condotta integrando la prospettiva diacronica e quella sincronica; ossia studiando la storia sociale, economica etnica di una cittadina o di un villaggio, dal punto di vista del mutamento dell’organizzazione dello spazio attraverso i secoli. Il metodo è basato sul rilevamento e il confronto di diversi generi di fonti (documenti e dati etnografici) che attestino cambiamenti significativi nella forma e nell’uso di una o più abitazioni; delle diverse piante di un paese; di una rete viaria; delle attività produttive legate alle

69 Dardi, C., “Elogio della piazza”, in: Barbiani, L., (a cura di), La piazza storica italiana. Analisi di un sistema

complesso, Marsilio, Venezia, 1992, p.35.

caratteristiche ecologiche dell’ambiente naturale; dell’articolazione dei confini di un territorio o di proprietà fondiarie”.71

La Piazza principale (del Duomo o del Mercato) così come le piazze del centro storico aquilano rappresentano quell’insieme complesso di interazioni e relazioni che suscitano e che a loro volta instaurano e restituiscono quella densità identitaria e di spazio vissuto a quel determinato elemento urbano; integrando una funzione connettiva del tessuto urbano e sociale con una prospettiva rilevante e storica poiché le piazze “da sempre nella storia della città sono considerate elementi pubblici collettivi per eccellenza”.72

Se le forme costruite relative alle mura (o il perimetro che seguivano lì dove sono state demolite), perdono lentamente la funzione omeostatica nei confronti dell’esterno, dal momento in cui la campagna urbanizzata modifica le destinazioni economiche e acquista un diverso rilievo sociale, il centro aquilano assume una nuova connotazione simbolica, performativa e percettiva in qualità di cuore pulsante della città73, infartuato dal sisma.