Il sisma che ha investito l’Abruzzo ha riaperto i temi caldi della legislazione antisismica la quale non è riuscita compiutamente a conciliare gli studi geologici e sismici con l’esigenza di costruire le abitazioni e predisporre i piani urbanistici. Il caso del quartiere costruito in prossimità della faglia di Pettino ne è un esempio tanto lampante quanto sconcertante. È da notare che il primo numero rilevante di edifici antisismici nella zona dell’Aquila (senza prendere in considerazione tutti gli elementi di critica che sono comunque stati fin qui delineati), è stato realizzato in seguito all’emergenza: si tratta appunto del progetto C.A.S.E.. Tale considerazione apre il presente capitolo che cerca di delineare il percorso delle prassi urbanistiche e di riconfigurazione del territorio disastrato, in stretta correlazione col disegno della città storica, alla luce degli sconvolgimenti innescati dal terremoto.
Eleonora Vianello definisce il terremoto come “un grande urbanista”1 e questa osservazione è particolarmente adatta se si prende in esame l’antropizzazione del territorio e la lettura del paesaggio, non solo della conca aquilana, ma dell’insieme dei borghi in relazione alla loro storia. “Gli effetti sismici nelle aree abitate non sono riconducibili solo a un’interazione fra energia del terremoto e strutture edilizie genericamente intese. Proprio perché il terremoto è accaduto, e accade, in un ambiente profondamente e anticamente antropizzato, […], nei suoi effetti c’è anche la storia delle possibilità economiche, delle scelte edilizie operate nel tempo, dei livelli di vulnerabilità degli edifici, delle decisioni amministrative e politiche, che caratterizzano le ricostruzioni”.2
Un esempio particolarmente evidente è la disposizione dell’edilizia nata in conseguenza all’emergenza poiché, se da un punto di vista prettamente architettonico (senza prendere in considerazione solamente la qualità antisismica), le new towns si possono definire efficenti dal punto di vista energetico e in parte eco-compatibili, dal punto di vista urbanistico creano certamente dei precedenti per soluzioni considerevolmente impattanti.
L’antropologo Antonello Ciccozzi è uno dei tanti studiosi che non può non notare come la dislocazione dei nuovi complessi antisismici vada a delineare abbastanza chiaramente “l’embrione di città diffusa intorno alle spoglie di una città ferita dal terremoto”.3 La disposizione delle nuove urbanizzazioni si configura secondo quel fenomeno denominato sprawl caratterizzato dalla dispersione dell’edificato rispetto ad un nucleo storico centrale ben consolidato, che già stava interessando visibilmente il capoluogo abruzzese a partire dal primo dopoguerra, quando l’espansione edilizia fuori dalle mura inizia a delineare i tratti di un paesaggio in profonda trasformazione. La sensazione è che questi nuclei di città diffusa fungano da urbanizzazioni «pioniere» per poi favorire giocoforza la frammentazione paesistica e consolidare la progressiva saldatura dei vari nuclei urbani sparsi, attraverso nuove e successive lottizzazioni di «riempimento» dei vuoti ormai inutili da un punto di vista agricolo.4 Sensazione che trova conferma anche nelle righe di Manuele Bonaccorsi quando asserisce che: “la città si espanderà fino a raggiungere il complesso edilizio esterno, sfruttando i vantaggi economici procurati dalla prima «colonia di cemento»”.5
1 Vianello, E., “L’Aquila bella me”, op. cit., p.106. 2 Ivi.
3
Ciccozzi, A., “Catastrofe e C.A.S.E.”, in:, Il terremoto dell’Aquila, op. cit., p.22.
4 Ai fini di salvaguardare e tutelare le aree agricole a ridosso dei centri urbani, per evitare una dispersione indefinita
dell’edificato si possono adottare alcune soluzioni estremamente interessanti come favorire l’esistenza della campagna periurbana attraverso il comparto agroalimentare biologico, agevolando l’acquisto di prodotti locali a chilometi zero e innestando nei vuoti urbani elementi di micro-agricoltura come gli “orti urbani”. A questo proposito segnalo: Donadieu, P., Campagne urbane, Donzelli, Roma, 2006 e la mia tesi di laurea triennale: Pasqualetto, G., Azioni territoriali tra
prassi individuale e scelte progettuali. Orti e campagne periurbane tra Mestre e Venezia, Università Cà Foscari di
Venezia, Facoltà di Lettere e Filosofia, Corso di Laurea Triennale in Conservazione dei Beni Culturali, Relatore: Vallerani, F., a.a. 2009/2010.
Se si prende in considerazione la logica della disposizione topografica degli insediamenti si può notare come la scelta iniziale di costruire una unica grande New Town sia stata immediatamente scartata. Così facendo, “ribadendo il no secco alla New Town, si sono volute collocare le nuove palazzine nei pressi delle frazioni, lontano dal centro storico, evitando il rischio di costruire una L’Aquila 2”.6 Far esplodere L’Aquila 2 in una miriade di nuovi quartieri obbliga a riconsiderare e ridimensionare l’appellativo mutandolo, sulla scia delle considerazioni di Ciccozzi, in nuovi
villaggi. Non si intende, con ciò, affermare la bontà del primo mega-progetto (nella tesi sono
presenti eventuali valide alternative che avrebbero potuto essere applicate), bensì evidenziare come la logica di costruire la nuova città dal nulla, si sia semplicemente dispersa come le schegge di una granata esplosa a pochi passi dal centro storico aquilano.
Come risulta evidente dalle immagini riportate “le aree di intervento sono disseminate su tutto il territorio comunale. Non sembrano seguire nessuna logica urbanistica se non quella della disponibilità immediata dell’area. […] Noncuranti della forma urbana, presupposto per ogni qualità della vita, le aree di intervento insistono su aree di aperta campagna, […] si pongono come saldatura fra due nuclei urbani esistenti, […], sono localizzate lungo le principali direttrici di accesso alla città centrale, avamposti di un futuro nastro urbano continuo […]7.
Inoltre il problema del consumo di suolo si lega conseguentemente alla questione delineata nell’introduzione, della percezione del paesaggio e della perdita di identità dei luoghi, con rilevanti fenomeni di spaesamento.
“Le alterazioni della mobilità hanno disegnato i contorni di una ben più grave alterazione, quella dell’identità e delle prassi sociali quotidiane, liquefatte dalla dispersione dei nuovi abitati nelle campagne. Gli scarsi luoghi di ritrovo sono anch’essi posizionati in ordine sparso e alla meno peggio. […] L’effetto di spaesamento della popolazione appare duplice: da un lato per chi si trova a vivere in un posto nuovo, dall’altro per chi in quel posto già viveva, e ora fa i conti con una realtà mutatasi nel binomio «locali» e «trasferiti»”.8 Così le logiche urbane si vanno ad inserire improvvisamente e irreversibilmente in un paesaggio rurale evoluto lentamente e stratificato storicamente, innestando una violenta riconfigurazione nella percezione del paesaggio, creando una sinestesia tra i caratteri propri della città e quelli peculiari della campagna, intaccando un equilibrio secolare che aveva contribuito alla determinazione dell’identità aquilana. Ciccozzi descrive efficacemente la nuova situazione che si sta venendo a creare: “Questi frammenti di città
6
Cerasoli, D., “Dell’Aquila non resta che il nome. Racconto di un terremoto”, in: Bulsei, G. L., Mastropaolo, A., (a cura di), Oltre il terremoto, op. cit., p.32.
7 Comitatus Aquilanus, L’Aquila, op. cit., p.18, http://www.scribd.com/doc/21872747/Comitatus-Aquilanus-L-Aquila-
Non-si-uccide-cosi-anche-una-citta-%C2%A0-2009
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Cerasoli, D., “Dell’Aquila non resta che il nome. Racconto di un terremoto”, in: Bulsei, G. L., Mastropaolo, A., (a cura di), Oltre il terremoto, op. cit., p.32.
postsismica, esplosi nei territori dei paesi, hanno deteriorato contemporaneamente sia la città sia la campagna, in un disordine urbanistico che, impoverendo la varietà degli habitat culturali, produce entropia a vari livelli”.9
Il fatto, come dichiarato nel volume dei Costruttori ForCase, di poter realizzare un tipo di edilizia antisismica che fosse sostanzialmente indipendente dal terreno su cui veniva costruita ha determinato le scelte di collocamento dei nuovi quartieri soprattutto seguendo logiche ortocartografiche (la vicinanza con le strade principali, la disponibilità immediata di terra libera, la vicinanza strategica rispetto a certe frazioni) e in secondo luogo «orografico» (il tipo di terreno, la qualità del pendio, l’esposizione del versante, la presenza di idrografia, ecc.).
Le aree su cui sorgono i nuovi Complessi Antisismici Sostenibili Ecocompatibili sono state così individuate dal Commissario delegato (Guido Bertolaso), in accordo con le amministrazioni locali (il sindaco Massimo Cialente) e il Presidente della Regione (Giovanni Chiodi che dal febbraio 2010 sostituisce Bertolaso in qualità di Commissario delegato), attraverso il decreto10 n.6 dell’11 maggio 2009.11