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5.6 Le mappe dell’Aquila: rappresentazioni di una memoria storica

5.6.1 Una cronologia per immagini

Le prime immagini degne di nota sono contenute nell’opera del De Ritiis, risalenti alla metà del XV secolo e rappresenta L’Aquila in tre raffigurazioni diverse orientate in ordine cronologico: la prima nel 1254, la seconda evidenzia la distruzione operata da Manfredi nel 1259 e la terza mette in risalto, attraverso il concentrarsi del tratto sulle mura, la ricostruzione angioina. Ciò che risulta fondamentale mettere in evidenza è la suddivisione in quarti della città, già a partire dall’epoca della sua fondazione, con l’evidenza che il De Ritiis intende porre relativamente al disegno delle due strade (cardo e decumano), le quali intersecandosi individuano appunto i quattro spazi della città, divisi tra le due zone di pertinenza di Forcona ad est e Amiterno ad ovest. L’individuazione di queste zone all’interno della città provengono da una proiezione del contado esterno alle mura, in quanto “le direzioni della campagna venivano quindi riportate dentro la cinta muraria dove,

75 Intervista a Massimo Rossi, Fondazione Benetton Studi e Ricerche, Treviso, 17 novembre 2011. 76

Sconci, E., Il centro storico dell’Aquila, op. cit., p.16.

incrociandosi, individuavano rispettivamente due quartieri amiternini […] e due forconesi […]. I

quarti risultano così distribuiti: San Pietro e San Marciano (già San Giovanni) rientrano nella sfera

di competenza amiternina, mentre per quanto riguarda la zona forconese i quarti sono quelli di Santa Maria e Santa Giusta (già San Giorgio). È interessante notare come questa organizzazione fisica e simbolica dello spazio, si estenda anche al contado superando la cinta muraria della città, infatti “tale suddivisione, che risale all’età comunale […] ebbe a L’Aquila un’origine particolare, perché non fu il nucleo urbano ad essere diviso tramite linee ideali, bensì il contado, dove si trovavano le preesistenze amiternina e forconese”.78

Questo tipo di rappresentazione risulta estremamente interessante per analizzare l’espressione culturale della percezione della città aquilana e delle emergenze che si intende porre in evidenza e agli occhi del lettore. In questo senso, l’interpretazione storica di Sconci è estremamente stimolante: “le topografie medievali verranno a rappresentare la città come proiezione in terra di quanto è considerato simbolo di perfezione tra i corpi del cielo, e cioè la circolarità solare, […].”79

Tenendo presente il rapporto tra la città ed il contado, è fondamentale riconoscere il ruolo delle mura nelle rappresentazioni che si sono succedute nei secoli fino ai giorni nostri, inizialmente pensate per contenere una città più grande di Napoli.80 Questo filo conduttore presenta tutta la sua rilevanza già dalle primissime raffigurazioni, infatti a partire dal De Ritiis per giungere ai rilievi fotogrammetrici dell’Istituto Geografico Militare (IGM) del 1955, il segno delle mura indica il

limes omeostatico tra ciò che è dentro le mura e ciò che è fuori le mura dell’Aquila. Il rapporto tra

città e campagna, così immaginato, si snoda tra i meandri dei mutamenti storici, mantenendo tuttavia la relazione tra l’impostazione viaria della città rispetto all’apertura e chiusura delle porte di accesso, individuando una precisa connessione tra l’attività di pastorizia e agricoltura col ruolo commerciale e direttivo urbano. Nelle carte storiche, infatti, fino alla fine del XIX secolo è possibile notare come esistano “una serie di relazioni tra città e campagna evidenziate dall’asse est-ovest (attuale via Roma) che, passando per le due porte più importanti, porta Barete e porta Bazzano, taglia in due la città e si collega direttamente al contado. Da ciò si comprende come anticamente città e campagna vivessero in rapporto dialettico tra loro, e come ogni zona del contado contribuisse alla definizione dell’insieme”.81

Dunque la linfa cartografica non può prescindere dalla percezione del proprio territorio e se da un lato le mura che individuano la città sono l’espressione di un elemento simbolico in grado di creare

78 Ibidem, p.17. 79

Ibidem, p.16.

80 «[…], le mura dell’Aquila sorsero su un sito che segnava il confine tra le due diocesi contese di Amiternum e

Forcona. […] Secondo gli scritti di G. Leosini esse erano larghe ben sei palmi con ottantasei torrioni, correvano intorno alla città quasi per quattro miglia ed inizialmente erano fornite di dodici porte che in seguito, come verifichiamo nei grafici, furono notevolmente ridotte», in: Ibidem, p.42.

un’identità urbana in stretta relazione anche conflittuale con l’esterno, è altrettanto significativa la percezione identitaria studiata, durante l’emergenza del 2009, da Vianello quando scrive: “Le 99 piazze, le strade, i monumenti, i palazzi, in rapporto con il tessuto connettivo fatto di case e percorsi secondari, sono rappresentati con finalità simboliche secondo un giudizio di identificazioni fra la città che si descrive e gli elementi che la compongono. […]. I modelli di rappresentazione di una città raccontano spesso in maniera elementare, anche con errori nella visualizzazione di elementi primari come monumenti ed edifici, l’unicità della propria città e delle proprie emozioni”.82 Inserire il seguente inciso di carattere personale, credo sia importante per comprendere la percezione del paesaggio urbano in contesto di terremoto. Per motivi di ricerca mi sono spesso recato all’Aquila a fare fotocopie di alcuni testi e ho avuto modo di conoscere il negoziante che mi ha aiutato nel fotocopiare i libri. Egli un giorno di agosto, trovandosi di fronte ad una fotocopia di una moderna ortofoto dell’Aquila commenta il tipo di rilievo affermando che non si può capire cosa sia successo all’Aquila col terremoto, semplicemente osservando una simile rappresentazione, poiché vista così pare che non sia successo quasi niente!83 Impossibile dargli torto, infatti “le moderne cartografie, […], forniscono tutti i limiti che una rappresentazione planimetrica comporta rispetto alla realtà storico-fisica. Si perdono cioè sia quei rapporti tridimensionali (ad es. le prospettive a volo d’uccello) che caratterizzavano qualitativamente le antiche rappresentazioni, che i contenuti culturali della carta in quanto figurazioni della città e del territorio”.84

Tornando alla riflessione sulla cartografia storica ed il suo rapporto con la città e le sue trasformazioni a seguito del susseguirsi dei sismi e dei conflitti, è interessante notare che: “col Rinascimento questa riproduzione in forma simbolica e con indicazioni sintetiche rapidamente scompare e il disegno della città viene indicato generalmente con il termine di topografia, che è un modo di raffigurare la città stessa in prospettiva o in planimetria. Nasce così un nuovo modo di prendere coscienza della città nella sua storia, negli elementi principali che ne caratterizzano la forma urbana”.85

82 Vianello, E., “L’Aquila bella me”, op. cit., p.77.

83 Purtroppo questo dato etnografico risiede nella mia memoria di campo, non avendolo ingenuamente riportato nel

diario ma essendosi impresso bene nel ricordo.

84

Sconci, E., Il centro storico dell’Aquila, op. cit., p.16.

Fra gli autori86 più importanti certamente occorre ricordare Pico Fonticulano (1541 – 1596) che nel 1575 disegna una delle più antiche mappe dell’Aquila giunte ai giorni nostri, raffigurata nel suo trattato matematico denominato Geometria, edito postumo. Per il matematico abruzzese, che riceve in pieno XVI secolo diversi incarichi urbanistici e progettuali a L’Aquila, lo studio della forma urbana si rivela in tutta la sua importanza nella carta da lui prodotta. “Il Fonticulano, rappresenta la città come il prodotto di un tessuto viario ed edilizio a maglie quadrate ed orientata in direzione Ovest-Est: in tal modo senza tener conto della effettiva realtà, l’autore volle schematizzare l’impianto urbano in forma di città ideale del Rinascimento”.87

Il problema dell’aderenza della rappresentazione alla cosiddetta «realtà» è un falso problema poiché per definizione una rappresentazione anche moderna di una determinata porzione di territorio, sia essa topografica o cartografica, è pur sempre una riproduzione ridotta, simbolica e in scala della cosiddetta realtà che essa vuole rappresentare. È importante rilevare cosa il cartografo voleva dirci attraverso quella carta e capire quali fossero le emergenze significative per la cultura di quel periodo.

Comprendendo i mutamenti delle intenzioni e dei modi di espressione culturalmente costruiti di una parte di spazio, è possibile notare il nesso tra il cambiamento sociale e la percezione del territorio da parte del cartografo, in un determinato periodo storico. Da questo punto di vista “con l’età moderna nascerà il concetto di proprietà privata del suolo, che diventerà l’elemento principale del nostro ordinamento fondiario, basato su un’economia di mercato”.88

Poco più di un secolo dopo è il turno del cartografo olandese Joan Blaeu, autore delle maggior parte delle carte raffiguranti le più importanti città olandesi, a realizzare da un incisione su rame fuori dal contesto italiano ovvero nei Paesi Bassi, e poco prima del terremoto, una carta dell’Aquila riportante i maggiori edifici esattamente in linea parallela alle vie.

Nemmeno un secolo più tardi, nel 1752 il bolognese A. Vandi realizza una pianta dell’Aquila inclusa con la carta del Contado e delle Diocesi, al testo intitolato «Difesa per la fedelissima città dell’Aquila» composto da Carlo Franchi. Col XVIII secolo è possibile notare progressivamente un cambiamento della concezione cartografica legata all’espressione culturale di un’epistemologia

86 «….Pare che la città in origine prendesse forma ed esempio dalla città di Gerusalemme. Il sito infatti non è molto

diverso da quello. Ha questo un torrente vicino come quello di Cedron, che radeva presso le mura della città santa. Il Monte Sion dentro la città, con la Rocca, e qui fu nel campo di Fossa in luogo più erto fabbricata una Cittadella per difesa della città, era in quella il monte Calavario verso Occidente luogo da giustiziare i malfattori, e qui è Monte Luco nello stesso sito, ove stà piantata la croce, in memoria di quello di Palestina santo onorato da quel legno, ove diete la vita per noi il Salvatore, è stato il nostro parimenti sempre luogo da dar la morte di giustizia, finalmente ivi erano 12 le Porte, e qui ancor 12 se ne vedono», Crispomonti, C., Historia dell’origine e fondazione della città dell’Aquila, 1629, p.133, cit. in: Sconci, E., Il centro storico dell’Aquila, op. cit., p.17.

87 «Così facendo doveva necessariamente dare maggior risalto proprio a quelle strade che di più contribuivano a dare

luogo a tali immagini, e che reciprocamente dovevano ancor essere sufficientemente forti, tanto da suggerirne la forma», cit in: Spagnesi, G., Properzi, P. L., (in nota) L’Aquila, op. cit., p.47.

rivolta alla scientificizzazione del disegno e della rappresentazione della terra. Infatti “nell’analisi si impone un’attenta riflessione sul nuovo linguaggio cartografico che nel ‘700, oltre a fissare definitivamente l’orientamento delle carte secondo i punti cardinali, imposterà planimetricamente la visione della città”.89

In questo caso risulta estremamente interessante notare come la cartografia storica possa essere d’aiuto nello studio dell’evoluzione della città a seguito del verificarsi dei terremoti. La carta del Vandi viene pubblicata mezzo secolo dopo il terribile sisma del 170390 e “dal confronto con le altre piante si nota anche come il terremoto del 1703 avesse abbattuto moltissimi edifici; la ricostruzione però non avvenne in tutte le parti della città con la stessa rapidità, inoltre non tutti i quartieri furono interamente ricostruiti nell’area primitiva”.91 Credo inoltre che lo studio sincronico e approfondito delle carte storiche possano, insieme ad una riflessione sulla città odierna, delineare una comprensione del rapporto tra le trasformazioni urbane e del contado in relazione al verificarsi degli scuotimenti tellurici. Analizzare in chiave interdisciplinare tali fenomeni e porsi nella singola postura osservativa privilegiata, può aiutare a mettere in evidenza alcune situazioni di vulnerabilità sociale storica che il tempo più o meno lungo di interconnessione tra un sisma ed il successivo, può aumentare o diminuire. Se unita allo studio «sul campo», l’analisi cartografica rappresenta uno strumento estremamente valido per la comprensione del paesaggio urbano e non soprattutto attraverso “l’estrapolazione degli elementi dalle varie cartografie finalizzata cioè all’interpretazione delle carte stesse su cui ogni volta ci si trova ad operare, senza escludere tuttavia la conoscenza storica che complessivamente si ha della città”.92 Sconci definisce questa operazione: metalinguistica, in quanto si tratta di un’analisi di un “linguaggio in seconda, un linguaggio cioè che opera su un altro linguaggio (le carte) che ha codificato nel tempo la città fisica, essa stessa rappresentazione di una società”.93

Ad esempio dalla carta del Vandi si notano alcune porzioni significative di spazi interni alle mura non edificate. “Le più vaste, rimaste sempre tali fin dalla fondazione della città, sono i due cunei che la cinta delle mura forma rispettivamente a S.O. e a N.O.. Nel primo, detto Campo di Fossa, si nota appunto la grande fossa che si era aperta fin dal 1352 nel territorio del locale di Bagno […]. Nell’altra area non fabbricata, racchiusa entro l’ansa fra le porte Rivera e Barete, non furono più ricostruite alcune chiese distrutte dal terremoto e un gruppo di case che si trovava presso S.ta Maria

89 Sconci, E., Il centro storico dell’Aquila, op. cit., p.24. 90

«La zona maggiormente colpita dal terremoto e che non fu interamente riedificata è quella del quartiere di S. Giovanni (S. Marciano), dal lato volto verso le mura; la ragione di ciò è forse dovuta al fatto che qui il pendio scende ripido e irregolare», in: Ivi.

91 Ivi. 92

Ibidem, p.29.

del Poggio”.94 La questione che pongo, rispetto a tali riflessioni che ho proposto, concerne la possibile connessione tra la rappresentazione della città nelle varie epoche storiche e le scelte urbanistiche, empiriche e progettuali, che ne hanno dettato la forma e l’irregolare densificazione. Riprendo il passo di un intervista ad Alessio in cui, ripercorrendo la storia fondativa dell’Aquila, mi narra la storia di Campo di Fossa, questo luogo entro le mura storiche della città: “Fontecchio Fossa e Onna, tre paesi di questa parte di qua e qualcun altro – non ricordo quali – dovevano costruire in una zona dove adesso c’è un parco, un giardino – non so se l’hai visto – la villa; e dove è stato costruito, in realtà, solo nel novecento. E perché era rimasta vuota questa zona, in realtà, questi paesi non avevano costruito? Perché mentre costruivano è arrivato il primo terremotuccio che ha fatto cadere San Bernardino, che non era finita ancora, e ha massacrato tutto quello che era stato costruito in questa zona della città che è rimasta, perciò, vuota. Se prendi la cartina – che c’è anche giù – quella del quattrocento/cinquecento fatta da Pico Fonticulano, quella zona è vuota, c’è solo una chiesa! Perché già allora avevano visto che non era adatta. Poi nel settecento col terremoto, hanno visto che era vuota e c’hanno buttato tutte le macerie della città: è una zona un po’ in pendio più le macerie, più sotto ci son delle grotte – mi pare – carsiche. Cosa han fatto nel novecento? Persa la memoria di tutto ciò ci han costruito.. era tutto libero, dentro le mura e via! Adesso è stata la zona più colpita.. […] Quando il terremoto è arrivato dalla valle e ha dato una botta, la casa si è sollevata.. quando è tornata giù il terreno era sparito! E quindi immaginati è come costruire su un pendio su dei materiali buttati lì così..”.95

A questo proposito l’area di Campo di Fossa, rimasta sempre sgombra da edifici come si può storicamente osservare, trova i preliminari della sua urbanizzazione nel corso del XIX secolo quando “l’asse principale della città che passa davanti alla piazza del mercato, cioè l’attuale corso Federico II, appare prolungato in quest’area fino alle mura, dove dal 1811 era stata aperta l’attuale Porta Napoli. Il primo passo per lo «sviluppo» in questa zona è ormai fatto: essa non è più un cuneo chiuso dalle mura”.96

Nel ‘900 la razionalizzazione del concetto di città plasmato sull’individuazione delle aree da destinare a specifici usi del suolo, in particolare legati all’edificazione, amplia il ventaglio delle modalità rappresentative concentrandosi però, per quanto concerne la scala cittadina, sulla cartografia di tipo tecnico-amministrativo particolareggiata. Ciò si traduce in una produzione fondata sulla zonizzazione del suolo secondo logiche riduttive e puramente quantitative, di carte riportanti la distinzione d’uso delle singole aree, ovvero “categorie che vanno sempre più deformando e svuotando di significato la città con la singolarità e specificità degli elementi che

94 Ibidem, p.24. 95

Intervista ad Alessio, Fontecchio, 28 luglio 2011.

compongono, […]”.97 Un esempio per tutti vale per l’adozione e l’approvazione dei piani regolatori, dove “la città viene quindi ridotta a «zone» (la zona direzionale, le zone abitative intensive, semi- intensive, estensive, economico-popolari, ecc.)”.98

97

Ivi.