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1.5 La costruzione del sapere: un problema di etichetta

1.5.1 Paradigmi ed approcci

In questa sede si adotta la denominazione Antropologia del paesaggio, già precedentemente trattata, che sta a sottolineare la prospettiva e l’orizzonte epistemologico in cui si colloca il seguente lavoro di tesi; in stretta connessione con la prospettiva della Geografia umana. A questo proposito occorre specificare che “le idee teoriche non si creano totalmente dal nulla in una ricerca: come ho detto, si traggono da ricerche affini e, raffinandole nel corso della ricerca, si applicano a nuovi problemi interpretativi”.91

Da tale angolazione l’approccio geografico trova un punto di contatto essenziale con quello antropologico nell’idea di senso del luogo, cioè “dipendente sia dai lineamenti propri di un territorio, […] che dalla connotazione che tali lineamenti assumono nel vissuto di ciascun individuo”92, i quali sono inestricabilmente imbricati in quella di identità del luogo.93

Il tema dell’identità in antropologia è una questione altamente problematica poiché si tenta di storicizzarne la semantica per svincolare il concetto dall’ingenua contrapposizione dicotomica di due o più visioni del mondo e concezioni cosmogoniche e dei corpi, in cui si cercano di installare dei paletti al fine di costruire un insieme di differenze in grado di far esaltare delle caratteristiche da contrapporre tra noi e loro.94 In sede di questo lavoro, esplicito che ogni volta in cui accennerò alla questione identitaria, sarà in riferimento alla costruzione culturale del radicamento e del sentirsi

89 Questo elenco fa riferimento alla comprensione di specifiche situazioni in cui si può trovare l’etnografo. L’esempio

fornito da Geertz e ripreso da Ryle è il seguente: «Considerate, dice, due ragazzi che contraggono rapidamente la palpebra dell’occhio destro. Nel primo caso, questo è un tic involontario; nell’altro, un segnale di intesa ad un amico. I due movimenti sono come tali identici: un’osservazione di tipo meramente “fotografico”, “fenomenico”, non è sufficiente per distinguere un tic da un ammiccamento, e neanche per valutare se entrambi o uno dei due siano tic o ammiccamenti. […] Chi ammicca sta comunicando, e in un modo molto preciso e particolare: a) intenzionalmente, b) con qualcuno in particolare, c) per trasmettere un particolare messaggio, d) secondo un codice socialmente stabilito, e) senza che il resto dei presenti lo sappia. […] Vi è qui tutto questo: un briciolo di comportamento, un granello di cultura e – volià – un gesto», in (nota): Geertz, C., Interpretazione di culture, op. cit., p.12.

90 Geertz, C., Interpretazione di culture, op. cit., p.14. 91

Ibidem, p.37.

92 De Fanis, M., Geografie letterarie, op. cit., p.38.

93 «L’identità del luogo è l’insieme complesso dei diversi attributi di un’area: i suoi elementi fisici, i caratteri simbolici

e le attività messe in pratica dal gruppo sociale insediato», Relph, E., 1976, cit. in: Ibidem, p.38.

94

Per approfondire la questione dell’ “identità” in antropologia segnalo: Remotti, F., Contro l’identità, Laterza, Bari, 2008 e Fabietti, U., L’identità etnica. Storia e critica di un concetto equivoco, Carocci, Roma, 2008.

appartenere ad un luogo (al di là della sua estensione) in riferimento alla percezione di sentirsi presso una comunità; un’identità dialogica, relazionale e negoziata cioè “frutto di un incontro”.95 La Geografia umana differisce dalla Geografia tradizionale nell’approccio adottato, infatti l’accento viene spostato sulla soggettività di quelli che normalmente vengono considerati gli attori territoriali. Si tratta di dare voce alle emozioni e sentimenti di persone e delle descrizioni di come esse vivono e sentono i luoghi vissuti.

Se da un lato la Geografia fisica “si occupa dello studio della struttura fisica dell’ambiente del nostro pianeta: la morfologia e l’evoluzione della superficie terrestre, i fiumi, i mari, i climi, le tipologie vegetazionali, i suoli e così via”96, dall’altro la Geografia umana “s’interessa allo studio della distribuzione degli uomini, dei loro insediamenti, dei loro modi di vita e delle forme di organizzazione economica e sociale, in relazione all’ambiente in cui essi vivono e di cui costituiscono parte integrante”.97

Uno dei modi di restituire la personalità e la biografia dei luoghi attraverso l’esperienza e il complesso di emozioni che scaturiscono dal viver-ci è certamente la descrizione impressa attraverso la scrittura, nella letteratura. Questo concetto è ben espresso nella tesi di dottorato di Stefania Bettinelli dove per Geografia Umana si intende: “infatti parlare del rapporto che intercorre tra la geografia tout court (o le varie geografie possibili, da quella fisica a quella storica, umana o culturale, seguite insomma da un qualche aggettivo volto ad incanalarle entro rami specifici della materia) e la letteratura (intesa in senso lato, includendo cioè, oltre alla letteratura tradizionale legata all’uso della scrittura, anche altre forme artistiche come appunto la musica, la pittura, la fotografia, il cinema, la tradizione orale, il folklore, ecc), in un’accezione che è sinonimo di termini come geografia letteraria o geoletteratura”.98 In tal senso la letteratura assume i contorni di una chiave di lettura “geografica”, che si propone di restituire la complessità della soggettività individuale del vivere e dell’abitare un territorio, in antitesi con l’idea che ciò significhi solo occupare una determinata posizione di spazio fisico.

Rimettere la soggettività al centro del rapporto uomo-luogo rappresenta esattamente quel tentativo di “puntare l’obiettivo sull’uomo che, proiettando sul territorio un bagaglio di emozioni, motivazioni e valori, ne opera la trasformazione”.99 Questa idea di “trasformazione” operata con-i-

luoghi, riporta indirettamente al concetto antropologico di “percezione del paesaggio”, connesso al

complesso lavoro sensoriale di plasmazione e saldatura delle strutture di sentimento ai luoghi, in

95 Fabietti, U., L’identità etnica, op. cit., p.134. 96

Dagradi, P., Cencin, C., Compendio di Geografia Umana, Pàtron, Bologna, 2003, p.14.

97 Ivi.

98 Bettinelli, S., Paesaggi di note: Bologna città della musica, Dottorato di ricerca in Qualità Ambientale e Sviluppo

Economico Regionale, Relatore: Lucchesi, F., Correlatore: Vallerani, F., Università degli studi di Bologna, Dipartimento di Scienze Economiche, 2007, p.21.

chiave fenomenologica.100 Anche in questo proposito, in contesto geografico la nozione di luogo si è affermata parallelamente agli influssi “soggettivisti” che a partire dagli anni sessanta e in misura crescente negli anni settanta hanno riassettato i precedenti assunti epistemologici, riferendosi ad uno stato “che rintraccia tradizionalmente un vissuto territoriale, costruito, sedimentato e riprodotto storicamente dagli individui e dalle loro società […]”.101

Occorre dunque dialogare con le persone che hanno subito il trauma del sisma, da un lato, e del ricollocamento abitativo dall’altro, ai fini di dare maggior peso nei processi decisionali di ricostruzione, gestione e ri-organizzazione spaziale post-sismica, tanto alle loro voci, quanto al contributo che possono dare le scienze sociali in merito all’aiuto nei processi suddetti e nel tentativo del pieno coinvolgimento della popolazione.

A questo proposito il tema dello spaesamento o displacement, nella Geografia umana e nell’Antropologia, ritornerà spesso nel corso di questo lavoro, poiché inestricabilmente connesso all’idea della perdita del senso del luogo cioè “dipendente sia dai lineamenti propri di un territorio - che nel loro insieme costituiscono ciò che viene definito l’identità del luogo – che dalla connotazione che tali lineamenti assumono nel vissuto di ciascun individuo”.102

Il bisogno di ritornare al più presto nelle proprie case, tanto all’Aquila, quanto nel Friuli del 1976, ha certamente a che fare con la ricostruzione ma ancor di più rispetto alla riabilitazione dell’assetto del «quotidiano», cioè dell’estremo bisogno di tornare a quella normalità cancellata dagli effetti del sisma. “A tutto questo, di fronte alla catastrofe del 6 maggio 1976, corrispose una particolare reazione psicologica che coniò il motto dov’era com’era103. “Una potente consolatoria dell’immaginario, un efficace scongiuro contro il maleficio di vedersi sfilare la terra sotto i piedi: ma che ora – a pensarci – sintetizzava perfettamente la chiave […], di quella che sarebbe, poi, effettivamente stata la ricostruzione friulana”.104

Non si può non notare un’assonanza, in tale contesto, tra il motto coniato in Friuli e il motto del capoluogo abruzzese Immota Manet.

100 Per approfondire l’influsso della fenomenologia nella Geografia si veda: Wright, J. K., “Terrae incognitae: the place

of imagination in geography”, in Annals of the Association of American Geographers, 1947, vol. 37; Tuan, Y., “Geography, phenomenolgy and study of human nature”, in The Canadian Geographer, 1971 vol. 3; Relph, E., “Humanism, phenomenology and geography”, in Annals of the Association of American Geographers, 1977 vol. 67; Dardel, E., L’uomo e la terra, Unicopli, Milano ,1986.

101 De Fanis, M., Geografie letterarie, op. cit., p.22. 102

Ibidem, p.38.

103 «[…] la prima parola d’ordine suggerita dalla stampa provinciale, laica e cattolica. Anche la Chiesa, infatti svolse un

ruolo importante nella costruzione di questo messaggio. Il significato restaurativo del messaggio voleva avere azione compensativa sulla sindrome, diffusa, del tutto perduto e della sfiducia insorta, generalmente, verso le istituzioni e verso lo Stato. […] Raffigurò l’ideale congelamento, rassicurante del fantasma patrimoniale della città e la conservazione dell’unico riferimento probante di fronte all’astratta indecifrabile (inattendibile) rappresentazione catastale (i piani stessi venivano diffidati, rifiutati e respinti se non segnalavano a distanza che nulla, o quasi nulla, nei termini patrimoniali, sarebbe stato modificato)», in: Nimis, P. G., La ricostruzione possibile. La ricostruzione nel centro

storico di Gemona del Friuli dopo il terremoto del 1976, Marsilio, Venezia, 1988, p.25.

A consolidamento dell’idea di senso del luogo, potente collante che unisce l’uomo al suo ambiente e viceversa, vi è un altro contributo, estremamente prezioso, introdotto dal geografo Armand Frémont: il concetto di spazio vissuto. Scrive Frémont: “Gli uomini che vivono in società costruiscono il proprio territorio, il loro spazio geografico, in base alle esigenze del singolo e della collettività. Non si comportano come semplici oggetti spinti dal desiderio di soddisfare i propri bisogni economici di sussistenza o dall’adattamento all’ambiente naturale […]. Essi hanno il loro spazio, di cui si appropriano, con i loro percorsi, le loro percezioni, le loro rappresentazioni, i loro segni, le loro pulsioni e passioni, tutto quello che fa dell’uomo un soggetto in tutto il suo spessore”.105

Lo spessore della nozione di spazio vissuto è notevolmente interessante poiché in grado di dare una densità maggiore all’idea di paesaggio, così come questo è percepito da chi ne fa esperienza. Questa espressione è in grado di restituire una visione ai fini di una comprensione del senso di

spaesamento sia rispetto alla difficoltà del non comprendere più lo spazio circostante, a seguito del

profondo sconvolgimento dovuto al sisma, sia il malessere che ne consegue. Afferma Frémont: “Non si tratta però del semplice paesaggio descritto, analizzato, formalizzato o persino informatizzato, quanto piuttosto di quello di ogni individuo, con la sua sensibilità, le sue fantasie creative e ricreative”.106

La descrizione dell’idea di luogo come spazio vissuto, dagli accesi connotati fenomenologici, va precisata se ci si trova innanzi ad apparenti sinonimi come l’idea di territorio. Per non creare confusione sarà utile chiarire che per territorio si intende “un’estensione che ha assunto una fisionomia particolare che scaturisce dalla proiezione di un preciso sistema socio-culturale”.107 Troveranno inoltre posto, a complemento e coerentemente con le argomentazioni e tenendo presente le considerazioni espresse fin qui rispetto alle modalità di denominazione disciplinari, cenni di antropologia dei disastri, antropologia delle sensazioni e antropologia dello spazio.

Considerando che le precedenti affermazioni e critiche circa le modalità di definizione disciplinare, per analogia, valgono anche per altre forme di produzione di conoscenza, si cercherà di instaurare, nei limiti del contesto preso in considerazione, un dialogo inter-disciplinare con materie quali l’architettura, la geografia fisica e l’ingegneria.108

A titolo personale, l’interdisciplinarietà e la collaborazione tra forme di saperi, rappresenta il primo passo per poter superare proprio quei recinti tra forme di costruzione del sapere che si fondano su

105

Frémont, A., Vi piace la geografia?, Carocci, Roma, 2011, p.83.

106 Ivi.

107 Isnard, H., 1981, cit. in De Fanis 2001: 27.

108 Non si intende in questa sede compiere “invasioni di campo”, quanto piuttosto gettare le basi per una discussione più

ampia dei problemi e tentare di coglierne le diverse sfaccettature nella loro complessità, in realzione ai rispettivi diversi ambiti.

differenti approcci, paradigmi e orizzonti epistemologici, i quali spesso sono funzionali solo al mantenimento di determinate situazioni, conflitti o forme di potere. Ciò risulta meglio comprensibile nella misura in cui la citazione precedentemente trascritta, di Freeman Dyson, viene riportata nella sua interezza come segue: “In tutte queste visioni c’è però un elemento comune: la ribellione contro le restrizioni imposte dalla cultura localmente dominante, occidentale o orientale che sia. […] La scienza appartiene a tutti coloro che si sforzano di impararla”.109

In tal senso la costruzione del sapere antropologico così come la sua autorità, si forma dall’esperienza dell’esser stato là. Ciò significa mettere in atto un profondo lavoro sulla soggettività personale e sulla produzione di conoscenza, lì dove il laboratorio è il campo e la sperimentazione consiste in un esperimento di esperienza attraverso la trasformazione di quest’ultima in scrittura. La metodologia consiste nell’analizzare l’ambiente socio-culturale110 del contesto prescelto in un’ottica interdisciplinare che contribuisca a creare saperi integrati, cioè creando i presupposti per tentare di afferrare l’idea di complessità nei diversi piani su cui si articolano gli approcci che aggrediscono quell’argomento, resistendo alla tentazione del riduzionismo semplificatore.

Riduzionismo che affiora, per esempio, già nella voluminosa opera pubblicata da i Costruttori

ForCase111, dove la ricostruzione viene considerata esclusivamente dal punto di vista dell’aspetto strettamente fisico e ingegneristico, come risulta in modo eloquente dal titolo di un intervento: “Il tema qui è solo una sfida di ingegneria”.112

Si potrebbe obiettare che a ciascuno il suo sapere e a ciascuno la sua competenza, ma l’intento di questo lavoro di tesi è anche quello di mettere in discussione questo assetto della produzione di conoscenza, poiché un asserto come quello appena riportato, si può facilmente trasformare in un assioma da impugnare per mettere a tacere qualsiasi critica che non provenga direttamente dalla sfera disciplinare in cui si è circoscritto il campo del dibattito, vale a dire dai “non addetti ai lavori”, direttamente coinvolti.

All’interno delle scienze fisiche e naturali si contano, lungo il loro cammino implementativo, alcuni punti di contatto significativi in accordo con quelle sociali. In particolare coerentemente con l’analisi della situazione del sisma, occorre affrontare brevemente la questione dell’approccio sistemico, al fine di introdurre i concetti di non linearità e vulnerabilità.

109 Freeman, J. D., Lo scienziato come ribelle, op. cit., p.19. 110

«La costruzione di questa espressione, spesso abusata in contesto mediatico, è puramente arbitraria e funzionale a unire due sfere di significato: da un lato la sfera “sociale” che inquadra elementi come le strutture di parentela, i ruoli e i gruppi sociali; dall’altro la sfera “culturale” che inquadra catene di giudizi, sistemi di valori e aspetti simbolici», appunti del corso di Antropologia Sociale tratti dalla lezione del prof. G. Ligi del 20/09/2007.

111

“Costruttori ForCase” è un insieme di imprese che si sono occupate della realizzazione del Progetto C.A.S.E. attraverso l’istituzione del Consorzio ForCase. Benchè la questione venga ripresa nei seguenti capitoli, per ulteriori approfondimenti si veda il sito: http://www.costruttoriforcase.it/

112 Calvi, G. M., “Solo una sfida di ingegneria”, in: Turino, R., Calvi, G. M., (a cura di), L’Aquila. Il progetto C.A.S.E.

Complessi Antisismici Sostenibili ed Ecocompatibili. Un progetto di ricostruzione unico al mondo che ha consentito di dare alloggio a quindicimila persone in soli nove mesi, Iuss Press, Galli Thierry, Milano, 2010, p.16.

Con il taglio che ci siamo prefissati i caratteri, di una tale impostazione, sono da riferirsi tanto ai “sistemi naturali”, quanto ai “sistemi sociali”. A titolo esemplificativo è importante comprendere che “fin dagli albori della civiltà, ogni nostra forma di conoscenza si fonda su “immagini” della realtà, cioè su modelli interpretativi che rendono più facile la descrizione e la comprensione dei fenomeni che si analizzano”.113 È noto come questi modelli mutino nel tempo, poiché adattati via via da successive rotture epistemologiche le quali fanno interagire questi stessi modelli in chiave

sistemica. Non intendo entrare nel merito di un dibattito teorico sulla teoria dei sistemi, poiché il

dibattito scientifico in merito è molto acceso, tuttavia mi limito a cooptare una brevissima parte di quanto scritto in merito, per contestualizzarlo nella seguente riflessione.

Ecco che “il paradigma sistemico legge i singoli fenomeni, anziché isolati, come parte di un tutto. Perciò il sistema è definito come un sistema di parti interagenti”.114 Tale definizione mette subito in evidenza alcuni elementi che caratterizzano un sistema complesso115, riassumibili nella presenza di una molteplicità di componenti o parti in stretta correlazioni tra loro integrate da una condizione autopoietica identificabile come “proprietà emergente che caratterizza i sistemi complessi”.116 In accordo con Gianfranco Bologna, per sistemi complessi si intendono “tutti i sistemi assimilabili a un organismo vivente”117, i quali posseggono la caratteristica di essere auto-organizzati cioè “che si mantengono lontani dall’equilibrio, concentrando ordine al proprio interno ed espellendo disordine all’esterno”.118

La domanda che si vuole porre a questo punto è: si può considerare il terremoto e il contesto sul quale vanno ad incidere le risposte sociali, come un insieme complesso di fenomeni correlati tra loro? Se lo sono, entro che misura si compenetrano? Che risposte può dare l’approccio fin qui delineato, nel campo delle scienze sociali?

Questa disquisizione apparentemente del tutto speculativa è utile, nei capitoli successivi, per comprendere sotto il profilo teorico la trattazione nel suo complesso, cioè per comprendere ed individuare l’orizzonte epistemologico sul quale si fondano le analisi nonché le interrelazioni tra i temi trattati nei successivi capitoli, i quali non intendono essere barriere tra argomenti diversi, bensì artifici per introdurre altri elementi al complesso della struttura della tesi, uniti alle chiavi di lettura proposte.

113 Bologna, G., Manuale della sostenibilità, Edizioni Ambiente, Milano, 2005, p.120. 114 Ivi.

115

In questa sede è sufficente accennare ai risvolti che l’approccio sistemico ha condotto, com’è noto, nella termodinamica, riscontrabili nel primo e nel secondo principio della termodinamica e nella tripartita classificazione dei sistemi in aperti, chiusi e isolati.

116 Bologna, G., Manuale della sostenibilità, op. cit., p.125. 117

Ivi.

A livello sistemico fisico, quindi rispetto ad una riflessione sviluppata all’interno delle «scienze dure», l’analisi è giunta “a una constatazione all’apparenza elementare: nel mondo che ci circonda, la «storia» è importante”.119

Ma in che senso la storia è importante? La risposta della fisica è che “È importante […] ricostruire tutti gli antecedenti – anche all’apparenza marginali – di un fenomeno perché ciascuno di essi, in una logica di complessità, può essere stato determinante nel configurarne l’identità finale”.120

Così se da un lato “l’ideale del positivismo dei giorni nostri è […] costituito dalla conoscenza come scienza universale formulata in termini matematici e deducibili da un numero possibilmente ridotto di proposizioni verificabili”121, dall’altro questo stesso metodo “esteso alla società, bandisce dalla scienza qualunque concezione del mondo, qualunque giudizio di valore”.122

Dunque occorre riposizionare le persone direttamente interessate dal sisma al centro del discorso e porre la seguente questione: in che termini la storia è importante per l’approccio delineato per questo lavoro di tesi? Cooptando la risposta dei fisici, e introducendo gli opportuni strumenti di analisi dell’antropologia e delle geografia, si propone di inserire il concetto di local knowledge, unito a quello di sapere ecologico nativo.123

Con queste affermazioni si vuole spostare il focus dell’attenzione, dalla prevedibilità espressa in maniera deterministica, universale e generale di un terremoto, alle misure da adottare per far fronte ad un terremoto sulla base di un attento studio della stratificazione storica e del palinsesto territoriale che ne reca i segni. In altre parole, lo sforzo scientifico di concentrarsi quasi esclusivamente sulla capacità di prevedere i fenomeni naturali, si scontra inevitabilmente tanto sugli assetti epistemologici che dovrebbero condurre alla eventuale capacità di previsione in generale e di un sisma in particolare, quanto rispetto ai conflitti interpretativi all’interno dei medesimi paradigmi scientifici “duri” adottati per comprendere i fenomeni sismici. Da qui emerge la necessità, in questo ambito, per le scienze sociali, di “fare posto a modelli che valorizzano invece la complessità”.124

Questo tipo di ragionamento riporta a considerare gli spunti riflessivi proposti a sostrato di questa tesi, fra cui la critica mossa alla capacità o meno di prevedere fenomeni come i terremoti, utilizzando solamente gli strumenti delle scienze “dure”, senza prendere in considerazione un