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Le città nuove ed il progetto C.A.S.E.: dall’Inghilterra all’Aquila

129 Nimis, P. G., La ricostruzione possibile, op. cit., p.28.

130 Tentori, F., Introduzione, in: Nimis, P. G., «La ricostruzione possibile. La ricostruzione nel centro storico di

Gemona del Friuli dopo il terremoto del 1976», op. cit., p.11.

131

Ligi, G., La casa Saami, op. cit., p.126.

Per comprendere meglio l’origine ed il contesto che getta le basi delle città nuove decido di esplorare le fasi essenziali che hanno dato il via alla stagione urbanistica in Inghilterra a partire dalla prima meta del secolo scorso, al fine di indagarne i collegamenti con l’idea di new town in ambito di ricostruzione aquilana. Bisogna sempre e comunque tenere ben presente la differenza sostanziale tra le due scelte urbanistiche: l’esperienza inglese è il frutto di quasi vent’anni di incubazione e quindi figlia di un progetto ragionato e avallato da numerosi studi, mentre l’esperienza abruzzese è la conseguenza di un’emergenza in un contesto straordinario.

La nascita delle new towns inglesi è inquadrabile all’interno di un periodo storico ben preciso che inizia nel dicembre del 1947 e si spinge fino agli anni sessanta, per un totale di ventitre città nuove in tutta la Gran Bretagna (esclusa l’Irlanda del Nord).133

Entro il 1955 erano stati realizzati ben 38.000 alloggi per un totale di circa 240.000 persone, a cui si deve sommare la realizzazione di 140 nuove industrie.134

Le città nuove affondano le loro radici britanniche nell’idea tanto utopica quanto avveniristica di

città giardino proposta dal celebre urbanista inglese Ebenezer Howard il quale proponeva di

combinare i vantaggi della città alla salubrità delle campagne e quindi limitare lo sviluppo disarticolato e caotico delle maggiori città, Londra fra tutte, sostituendo “le grandi metropoli esistenti con un sistema di piccole città giardino aggregate, ciascuna con attività e popolazione diversa; ciascuna amministrata in modo autonomo e proprietaria della terra che occupa, limitata nelle dimensioni, e circondata da una fascia di verde agricolo”.135 Originariamente concepite come alternativa al caotico sviluppo urbano e malsano delle maggiori città dell’isola e la preservazione dell’abbandono delle campagne, a seguito della poderosa crescita industriale del XIX secolo che ebbe fra le sue più evidenti conseguenze l’aumento della concentrazione della popolazione in contesto urbano e il vertiginoso incremento delle dimensioni cittadine.

Alleggerire queste dinamiche incontrollate dell’inurbamento e ridare vivibilità, verde e salubrità ai congestionati contesti urbani, divenne una priorità nell’agenda di numerosi urbanisti e amministratori, i quali iniziarono a pensare seriamente ad una pianificazione urbanistica in grado di

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«Ve ne sono otto nella zona attorno a Londra; Harlow nell’Essex occidentale; Basildon nell’Essex Merdionale; Stevenage, Hatfield, e la città giardino di Welwyn a nord di Londra nel Hertfordshire, Hemel Hemstead a nord-ovest di Londra; Bracknell nel Berkshire; e Crawely nel Sussex, a sud. Inoltre vi sono cinque città indipendenti: Corby nel Northhamptonshire; Cwmbran nel Galles del Sud; Newton Aycliffe e Peterlee, entrambe nella Contea di Durham. Vi sono anche tre città nuove in Scozia: Glenrothes nel Fifeshire; East Kilbride, dieci chilometri a sud-est di Glasgow; e infine New Cumbernauld, la più recente tra le nuove città istituita nell’estate del 1955 e situata a venti chilometri a est di Glasgow», in: Rodwin, L., Le città nuove inglesi. Problemi ed implicazioni di una politica, Marsilio, Padova, 1964, p.67.

134

Rodwin, L., Le città nuove inglesi, op. cit., p.71.

tenere presente tutte le esigenze dei cittadini superando la prassi di erigere rapidamente ampi quartieri dormitorio dedicati ad ospitare i nuovi operai, in particolare attorno alla capitale Londra. Uno dei primi esempi messi in cantieri prende il nome di Letchworth Garden City, voluta e costruita da Raymond Unwin durante la Prima Guerra Mondiale, si trova a circa quaranta chilometri a nord di Londra. In effetti, l’idea allora preminente di pianificare nuove cittadine confortevoli, a bassa densità e fitte di spazi verdi, per alleggerire i sobborghi e le periferie londinesi, consisteva nella realizzazione non più di nuovi quartieri dedicati solo ad alloggi, bensì di veri e propri centri abitati dotati di ogni servizio degno di una città.

Il contesto sociale, politico ed economico muta alla fine della Grande Guerra e alla morte del celebre ispiratore delle città giardino, avvenuta nel 1928, si acuisce soprattutto a Londra, la crisi delle abitazioni. “La crisi degli alloggi che seguì la prima guerra mondiale spinse il Governo ad avviare una politica di aiuti, per incoraggiare l’attività edilizia da parte degli imprenditori privati e degli enti locali. […] Anche se queste iniziative non si dimostrarono sempre efficaci al fine di ridurre la crisi degli alloggi e migliorare il modo di abitare, di fatto esse dettero origine a chilometri di tetri edifici, spesso sorti senza tener conto dell’ubicazione dei luoghi di lavoro e delle attrezzature per lo svago, delle scuole, dei negozi e degli altri servizi”.136

Il sostanziale fallimento di queste iniziative volte invece a migliore la qualità dell’edificato e restituire vivibilità ai centri abitati nonché alle periferie, naufraga in buona parte poiché manca un quadro di riferimento che riunisca e dia un senso globale e un genius loci alle politiche degli interventi edilizi. “I poteri di pianificazione urbanistica erano troppo suddivisi - ricadevano infatti sotto la giurisprudenza di 1441 Country Councils (Consigli di Contea)137, Country Borough

Councils (Consigli di Borough Comitale)138 e autorità locali delle zone rurali - ed erano a mala pena coordinati tra loro”.139

Tra le due guerre le maggiori città, Londra in testa, si espandono a ritmo vertiginoso magiandosi ettari di campagne fertile suscitando le ire degli agricoltori, creando un tessuto suburbano che accelerava la sua trama sulla scia dello sviluppo dell’automobile che richiedeva una rete di strade capillare e sempre più ampia per rispondere all’aumento del bisogno di spostarsi conseguente

136 Ibidem, p.33.

137 È l’istituzione corrispondente alle contee amministrative. Sono formate da un presidente, un vicepresidente,

consiglieri e assessori (1/6 dei consiglieri) i quali variano a seconda della dimensione della contea.

138 È un’istituzione costituita dal 1889 dal regnante, dal Consiglio della Corona e dal Ministry of Housing and Local

Government, al fine di individuare dei distretti urbani di una certa importanza, indipendenti dal controllo del Consiglio

di Contea. A seguito di una serie di riforme amministrative tra il 1972 ed il 1986, per il governo locale vengono individuate quattro forme di Distretto articolate in 326 (Districts) inquadrati in 9 regioni, a cui per legge spetta la pianificazione del territorio: 32 London boroughs, 36 metropolitan boroughs, 201 non-metropolitan districts, 55 unitary

authorities, a cui si aggiungono le isole Scilly. Il livello minimo di amministrazione locale è costituito dal Civil Parish

retto da un Parish Council o Meeting, con poteri, però, ristretti e limitati alle zone rurali, infatti non eisistono Parish

Council nella regione di Londra.

all’incremento della distanza tra il luogo di lavoro e la propria residenza. Ma la mancanza di servizi, di aree verdi, l’inquinamento e la congestione delle vie di comunicazione, insieme alla maggiore vulnerabilità rispetto al rischio di una guerra aerea esposta da numerosi strateghi militari, diedero l’impulso definitivo allo sviluppo delle città nuove e nel contemporaneo intento di porre un limite fisico all’espansione delle città. Così comprendere le dinamiche socio-economiche dello spropositato incremento demografico con conseguente inurbamento di intere fasce della popolazione, divenne una priorità del governo Chamberlain che istituì un’apposita commissione140 con lo scopo di porvi rimedio. La Commissione Barlow (dal nome del suo referente Sir Montagu Barlow) elabora un rapporto che verrà pubblicato nel 1940 nel quale, in buona sintesi, si evidenziava il nesso tra l’industrializzazione e l’urbanizzazione che aveva dato luogo a “fenomeni di congestione ed aveva ridotto il rendimento dei lavoratori, aumentando la fatica ed i lunghi viaggi fra residenza e luogo di lavoro […]”.141 Il rapporto elaborato dalla Commissione Barlow diviene dunque il fondamento su cui si ispira e realizza la politica urbanistica nel dopoguerra, che prende il via nel 1946 attraverso l’approvazione da parte del Governo del New Town Act.

Il fenomeno che subisce l’Inghilterra non è tuttavia isolato e benché sia peculiare all’isola, nel continente un processo di urbanizzazione analogo avviene anche in Francia, dove non a caso inizia “alla fine degli anni ’50 il grande programma delle villes nouvelles”.142

È interessante notare come il problema della mobilità venga da subito inserito, tra gli elementi critici da risolvere, poiché si radica nell’idea stessa di città giardino, essenzialmente caratterizzata da una bassa densità che lascia molto spazio alla realizzazione del verde e del sistema viario, accorciare quando non azzerare la distanza tra l’alloggio ed il luogo di lavoro.

Infatti la concentrazione delle zone produttive e la scia dell’espansione urbana incontrollata e scoordinata, implica la fatica crescente negli spostamenti. “La necessità di essere sempre in viaggio per raggiungere il lavoro era considerata da Howard, e da altri, come uno dei principali fattori che degradavano le condizioni di vita dell’uomo. […]. È perciò facilmente comprensibile la reazione di Howard a favore di comunità che abolissero la congestione e ponessero la residenza ad una distanza dai luoghi di lavoro tale da essere percorsa facilmente a piedi”.143 Ecco perché la pianificazione delle città nuove non è mai disgiunta dalla realizzazione non solo del verde necessario ad elevare la qualità della vita urbana, bensì anche dalla creazione dei servizi necessari alla vita quotidiana, come le scuole, i negozi, i servizi per i cittadini e le industrie. Il fattore fondamentale che le caratterizza è il limite: circondate da zone agricole stabili e ben delineate, queste città, in grado di ospitare poche

140 Royal Commission on the Distribution of the Industrial Population. 141 Rodwin, L., Le città nuove inglesi, op. cit., p.36.

142

Benevolo, L., L’Italia da costruire. Un programma per il territorio, Laterza, Bari, 1996, p.44.

decine di migliaia di residenti,144 non possono espandersi ulteriormente poiché il loro scopo è alleggerire la pressione sulla metropoli londinese e poche altre voluminose realtà.

Se mobilità e viabilità sono intimamente intrecciate il fattore che ai tempi di Howard aveva appena iniziato a farsi sentire era costituito dall’introduzione su larga scala dell’uso dell’automobile. È sufficientemente noto come, oggi, questo fattore sia in realtà determinante nella pianificazione del territorio e che le infrastrutture, soprattutto legate agli spostamenti su gomma, rappresentano l’indice di un capitolo sempre presente nella lettura del paesaggio. Questo capitolo a seguito del terremoto ha visto la stesura di nuovi paragrafi connessi alla realizzazione delle new towns, ma che affondano le radici nella distensione e dispersione della maglia urbana a partire dal dopoguerra fino ai giorni nostri.

Dal punto di vista della prassi, le dinamiche politiche, sociali e burocratiche che hanno condotto alla realizzazione delle new towns inglesi seguono uno schema ben preciso che segna una svolta nella storia dell’urbanistica contemporanea: “La città non era più il risultato accidentale di innumerevoli decisioni private prese tenendo conto del mercato, in vista di altri fini; ma al contrario essa costituiva la struttura entro cui dovevano essere prese le altre decisioni, e presumibilmente doveva rappresentare la forma di organizzazione più economica possibile”.145

Il primo problema da risolvere consiste nel formare un organismo che possieda le competenze ed i poteri per predisporre il terreno alla realizzazione dei progetti delle città nuove, che il governo, attraverso il Ministry of Housing and Local Government, concretizza attraverso la formazione di

Corporations pubbliche. Dunque il New Town Act autorizza “la creazione di Corporations per la

pianificazione, la costruzione, e – per un certo periodo – l’amministrazione di ciascuna delle città nuove […]”146, le quali inizialmente non vengono fissate, cosa paradossale, in un numero massimo da parte del Governo; ma sono da intendersi realizzabili attraverso un parametro puramente economico: un budget iniziale di cinquanta milioni di sterline stanziati per i primi 5 anni147.

La scelta di organizzare delle Corporations, organismi sostanzialmente di carattere pubblico, è funzionale alla risoluzione e controllo di eventuali problemi come ad esempio la speculazione sul prezzo dei terreni148, la scelta dei siti sui quali si andrà a costruire (che deve partire necessariamente

144 «La maggior parte delle città è relativamente piccola, con un numero di abitanti che va dalle 35.000 alle 60.000

persone e che rappresenta la dimensione tipo di questi nuovi insediamenti», in: Rodwin, L., Le città nuove inglesi, op. cit., p.72.

145

Rodwin, L., Le città nuove inglesi, op. cit., p.61.

146 Ibidem, p.62. 147 Ivi.

148 «I paesi europei più progrediti stavano mettendo in pratica l’acquisto pubblico temporaneo delle aree da trasformare,

per elimiare il sovrapprezzo speculativo sulla casa e per rendere progettabile correttamente il nuovo paesaggio costruito», in: Benevolo, L., L’Italia da costruire, op. cit., p.44.

dagli enti pubblici locali o centrali149) nonché la progettazione e realizzazione delle costruzioni e infrastrutture occorrenti. Le Corporations rispondono essenzialmente al problema di ricomporre la frammentazione dei poteri e delle competenze in campo urbanistico poichè “molti degli enti locali esistenti non avrebbero infatti accettato o non sarebbero stati in grado di assumersi le nuove e più impegnative responsabilità che il programma comportava”.150

Per dare un’idea delle difficoltà e complessità stante alla base della progettazione e realizzazione di una new town, occorre considerare che le Corporations devono, in fase preliminare, confrontarsi e “assicurarsi l’approvazione dei Local District Councils circa i regolamenti edilizi, i progetti di fognatura, le aree libere e talvolta l’acquedotto. Devono seguire la stessa procedura con il Country

Council per i programmi stradali, le regolamentazione delle acque, le scuole e le attrezzature

sanitarie; con gli «imprenditori autorizzati» per servizi particolari come gli impianti del gas e l’elettricità; con il Board of Trade per lo sviluppo industriale; con il Ministry of Labor ed il Ministry

of Works per la manodopera e l’acquisto dei materiali; con l’Agricultural Land Commissioner e i Country Agricultural Executive Committees per i problemi agricoli e così via”.151

Questi ambiziosi progetti trascinano seco, già dalla seconda metà degli anni quaranta, gli embrioni dei temi che oggi si fanno particolarmente sentire su scala nazionale e, contestualmente, anche in ambito aquilano, cioè il consumo di territorio e il problema del rapporto tra città e campagna e con i paesi vicini che implica il tema dell’identità.

Ci sono, dal punto di vista progettuale, essenzialmente due visioni del problema inerente alle urbanizzazioni: la questione della densificazione urbana per evitare che la città si allarghi in modo disordinato sul territorio e la bassa densità dell’edificato corrispondente ad un aumento dell’uso di suolo che, se non controllato, può comportare fenomeni di sprawl urbano. È chiaro che tale nodo concettuale introduce un più ampio problema ovvero di come deve essere pensata e realizzata una città.

La struttura irregolare della pianta cittadina, a dispetto della pianificazione iniziale, si configura sulla ricercata bassa densificazione dell’abitato152 e la chiara suddivisione dei quartieri residenziali delle zone commerciali, produttive e dei servizi. “Questa densità permette di avere molte aree per i giochi dei bambini e dei giovani, vasti campi per il cricket, il football, e il tennis, e generalmente una fascia agricola che circonda la città. […] Quasi tutte le case hanno un giardino recintato, che

149 «Per legge, la responsabilità della scelta del terreno ricadeva sul Ministero, anche se di fatto sono le Corporations ad

esercitare gli effettivi poteri d’acquisto. Poiché la legge stabilisce che l’area deve essere scelta prima che di istituire la

Corporation, il Ministero traccia di solito uno schema generale del piano, che serve di guida per l’acquisto delle aree»,

in: Rodwin, L., Le città nuove inglesi, op. cit., p.63.

150 Ibidem, p.115. 151 Ibidem, p.116. 152

«In nove delle città nuove esse variano da 30 a 35 edifici per ettaro; nelle altre città vanno da 40 a 45 edifici per ettaro», in: Ibidem, p.74.

serve per piantare fiori e ortaggi, e alcuni di essi sono abbastanza ampi per potervi giocare”.153 La bassa densità entra in relazione con il numero contenuto della popolazione, dal momento in cui la maggior parte delle abitazioni non supera i tre piani d’altezza fuori terra e il tentativo di densificazione basato sulla verticalizzazione dell’edificato è stato in gran parte respinto dagli stessi neo-residenti, e ciò dimostra la volontà di non essere assimilati alle peculiarità architettoniche che disegnano una metropoli, da cui è evidente l’impronta che si stampa nel territorio e caratterizza i nuovi paesaggi.

Nonostante la funzionalità e la razionalità progettuale nonché le presenza positiva e notevole di una distesa di verde urbano che individua gli atolli residenziali da quelli legati ai servizi “le città mancano di calore, di attrattive piacevoli, di novità, di sorpresa, di stimoli e di drammaticità. I tentativi fatti di conseguire questi effetti, salvo qualche eccezione – come la piazza nel centro di Harlow – sembrano artificiosi e solo in parte riusciti. […]. C’è poco che valga la pena di conoscere e visitare. […]. Poche appaiono ricche di vitalità, variate nelle prospettive, con un paesaggio stimolante. Non si coglie una netta divisione tra città e campagna; […]. Odori e suoni sono monotoni; rozzi e senza attrattiva i negozi; le insegne, gli svaghi, la vita culturale sono addirittura «spartani». […]. Nelle città nuove, […], si colgono poche idee; le città in sostanza sono noiose”.154 Ho tenuto la quasi totalità della lunghezza di questo commento dell’autore155 in merito ai primi anni di vita delle new towns, appena partorite dai fogli di progetto e cucite sulla campagna inglese, poiché mi pare che vengano messi in risalto alcuni nodi essenziali. In primo luogo, apparentemente banale, sarebbe il chiedersi cosa fa di una città una Città? Quali sono le caratteristiche in grado di trasformare quell’articolo indeterminativo in determinativo? Cosa rende Crawely nel Sussex diversa da Corby nel Northhamptonshire, o Cwmbran nel Galles del Sud diversa da Glenrothes nel Fifeshire e East Kilbride? È sufficiente una risposta basata sulla cartografia e la demografia? Possono queste considerazioni essere rifratte nel tempo e nello spazio in un’imitazione che aggiunge i caratteri antisismici ma in un contesto privato degli altri elementi fin qui descritti e in una configurazione territoriale che contamina invece di alimentare i caratteri del costruito con gli elementi di naturalità e ruralità?

A queste domande si somma una considerazione in merito all’analisi di Rodwin: benchè il progetto delle new towns, per quanto ambizioso e impattante, sia riuscito solo in parte a perseguire gli obiettivi iniziali, nonostante la serrata pianificazione e la perfetta organizzazione, c’è da chiedersi perché queste città risultino ai suoi occhi “noiose”? Perché odori e suoni sono monotoni e le città

153 Ivi.

154 Rodwin, L., Le città nuove inglesi, op. cit., p.132. 155

Bisogna tenere presente che queste righe, scritte da Lloyd Rodwin, risalgono al 1956, nemmeno dieci anni dopo l’inizio della realizzazione della prima new town.

sono senza attrattive? Tali questioni rimandano inevitabilmente al nodo antropologico posto a scheletro della tesi: la percezione del paesaggio.