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La sismicità e la crisi delle certezze: una presa di coscienza

Forse non si tratta di un puro caso, quando nel settembre del 1887, a L’Aquila si tiene il Primo

Congresso Geodinamico Italiano al quale partecipò, in qualità di segretario, Cosimo De Giorgi.1

1 «Cosimo De Giorgi era nato nel Salento e precisamente a Lizzanello in provincia di Lecce, nel 1842. studiò medicina

e chirurgia all’università di Pisa prima e a Firenze poi. Esercitando la professione medica, contemporaneamente si dedicò agli studi di sismologia, meteorologia, geologia, paletnologia, geografia, storia, archeologia, agraria e igene,

Figura di spicco a cavallo di due secoli, De Giorgi fondò l’Osservatorio di Lecce, per quanto riguarda la meteorologia e la rete termopluviometrica salentina. Essendo una persona estremamente preparata, curiosa ed interessata ai temi cari alle scienze naturali dell’epoca, tuttavia non perde di vista la complessità delle situazioni che si trova di volta in volta ad affrontare, mettendo sempre in evidenza il ruolo dell’uomo nelle strette relazioni con i fenomeni naturali come i terremoti, ponendo in risalto l’apporto storico.

Così risulta estremamente interessante osservare le dinamiche dialogiche su cui si istaura il campo della storia delle norme antisismiche (di livello locale e nazionale) in stretta relazione, non tanto con le scoperte scientifiche che nel tempo hanno segnato la storia della sismologia e della geofisica, quanto piuttosto sull’epistemologia di queste scienze e la volontà politica di recepirle e tradurle in termini legislativi.

Sicuramente, in epoca contemporanea, uno dei primi tentativi a livello nazionale di sintetizzare le più moderne conoscenze scientifiche in ambito sismico con le normative in grado di far fronte alle conseguenze potenziali di un terremoto, scaturiscono proprio da quel congresso del 1887; dove De Giorgi intende dare un contributo concreto spiegando il ruolo pragmatico della sismologia e delle sue dirette applicazioni. Nemmeno trent’anni dopo il suo intervento a quel congresso, all’inizio dell’anno che vedrà l’Italia prendere parte alla Prima Guerra Mondiale, nella Marsica, lo scatenarsi di un terremoto causò circa trentamila morti e, in relazione alla rilevazione dei danni, venne classificato dell’XIesimo grado della scala Mercalli. Così, in epoca contemporanea, la relazione tra avvento dei sismi e legislazione antisismica vede il loro continuo intreccio reciproco, anche se occorre constatare che, nella maggior parte dei casi, gli scuotimenti tellurici più disastrosi hanno dettato la calendarizzazione nelle norme in materia di sicurezza antisimica. All’inizio del secolo scorso, questo discorso vale, tenendo comunque presente il lavoro del Primo Congresso

Geodinamico Italiano, per l’Abruzzo quando il comune dell’Aquila fu dichiarato a rischio sismico,

proprio in seguito al sisma della Marsica. Poco più di dieci anni dopo e precisamente “nel 1927 furono introdotte le classi (ovvero zone) sismiche e l’area dell’Aquila posta in classe 2, come quasi tutti i comuni dell’area”.2

La normativa verrà approfondita in seguito ma ora, tornando a De Giorgi, occorre esplorare brevemente il suo apporto agli studi sismologici al fine di sottolinearne la metodologia e l’approccio, innovativo ed essenziale nella storia degli studi. Egli illustra il ruolo e gli scopi degli studi sismologici: “Essa si è volta alle scienze affini, alla Geologia, alla Fisica terrestre ed alla acquistando una elevata conoscenza e competenza per quel tempo, diventando così una delle personalità scientifiche più poliedriche», in (nota): Di Giangregorio, M., I terremoti aquilani. Un escursus storico, Brandolini, Chieti, 2009, p.103.

2

Meletti, C., Stucchi, M., (a cura di), Pericolosità sismica, normativa e zone sismiche nell’Aquilano, INGV,

Meccanica; ma queste sono restate in silenzio o le hanno dato soltanto delle ipotesi. Sicché all’odierna sismologia rimane il solo compito modesto di raccogliere i fatti, esaminarli attentamente, compararli fra loro, sottoporli al crogiolo dell’esperimento per vedere quale delle ipotesi emesse meglio risponda al fatto ed alle sue molteplici manifestazioni”.3

De Giorgi non sfugge all’atmosfera carica di positivismo e determinismo dell’epoca, tuttavia è da rilevare la volontà di attingere conoscenze da saperi certamente più stratificati della neonata sismologia, in modo da creare qualcosa di molto simile ad un dialogo interdisciplinare che abbia lo scopo di studiare e comprendere la complessità di un fenomeno piuttosto che limitarsi nei recenti disciplinari di un singolo punto di vista. Lo scopo, in questo caso, non è semplicemente lo studio dei terremoti fine a se stesso, bensì lo sforzo di trasporre questi saperi per prevenire le conseguenze degli scuotimenti tellurici. “Ma se arduo è l’esame della cause generatrici dei terremoti, la sismologia è almeno in grado di porgere all’arte edilizia qualche norma sicura per menomare, se non per impedire gli effetti funesti dei terremoti?”.4 Se non è possibile, allo stato attuale, prevedere i terremoti, ciò non significa restare passivi e impotenti di fronte agli eventi, bensì occorre tentare di indirizzare le conoscenze attuali verso la prevenzione delle possibili conseguenze sismiche, agendo cioè su quella che in antropologia si definisce vulnerabilità sociale. Nell’impegno del De Giorgi ciò significa, concretamente e prima di tutto, intervenire nella legislazione antisismica poiché nel farlo è necessaria la coordinazione e integrazione di più forme di sapere, così come spiega egli stesso: “Da ciò conseguono alcune norme pratiche generali che riguardano la costruzione degli edifici nei luoghi più soggetti a terremoti; norme che abbiamo discusso lungamente in Firenze nel maggio or decorso in un modesto convegno di fisici, di geologi e di architetti, ed ora nel nostro congresso aquilano. Queste norme formano il nostro Codice edilizio per i luoghi più soggetti a terremoti, testè approvato dall’Assemblea e che speriamo venga pure sanzionato dal senato della scienza, cioè dal Congresso geologico italiano, che si adunerà in Savona tra qualche giorno e dove pure sarà presentato”.5

Dunque il compito che si propone il nostro sismologo è quello di applicare alla terra aquilana le norme di questo codice, i cui articoli essendo di carattere generale, devono essere poi, nella prassi, contestualizzati e calati nell’ambito in cui si intende intervenire. Ecco dunque che subentra il modus

operandi, o meglio il modo di produrre tale conoscenza nell’ambito locale, ai fini di applicare e

rendere operative le norme del suddetto codice. “Ho incominciato dal raccogliere tutti gli elementi sismici esistenti nelle cronache aquilane. E mi è grato qui ringraziare il Prof. Enrico Casti, altrettanto dotto quanto cortese Bibliotecario di questa città. In questo medesimo tempio del sapere

3 De Giorgi, C., 1887, cit. in: Di Giangregorio, M., I terremoti aquilani, op. cit., p.104. 4

Ivi.

dell’Atene Aprutina, dove oggi ci onoraste di vostra presenza, v’è una ricca miniera di notizie storiche, scientifiche ed artistiche riguardanti l’Abruzzo in generale e più particolarmente questo capoluogo”.6 Insieme all’analisi e lo studio storico delle vicende sismiche in relazione alla forma e della residenzialità aquilana, De Giorgi va sul campo ad osservare personalmente, accompagnato da colleghi ricercatori, i segni dei terremoti e l’architettura delle forme urbane: “Senonchè è dovere di cortesia l’accennarvi che in questa escursione ci furono guida sicura il Prof. Michele Stefano de Rossi, […], il quale avendo visitato altre volte queste lesioni prodotte sugli edifizii aquilani dai terremoti poté mostrarcele tutte nella loro orientazione; ed il Canonico Prof. Enrico Signorini, […]. Questi, conoscendo bene tutte le tracce lasciate dai due più volenti terremoti su mentovati, ci guidò maestrevolmente, per vicus et angiportus, fra le 99 chiese (oggi in parte distrutte) che la pietà di 99 villaggi o castelli, eresse nel medio evo nell’interno di questa città, al tempo della potente signoria degli Hohenstaufen”.7 Questa fase, integrata da De Giorgi con le comparazioni e i contributi di altri studi di livello nazionale ed internazionale completa il quadro epistemologico entro il quale il sismologo salentino intende portare avanti una forma di prevenzione sismica da applicare alle norme edilizie.

Così da un’avanzata, considerato il periodo storico, analisi del sottosuolo, De Giorgi traccia le linee guida su cui si fonda il Codice edilizio: “Se dovete scegliere l’area più opportuna per fabbricare un nuovo quartiere della città, preferite sempre di fondare gli edifizii su rocce e su terreni compatti, ed evitate quelli più recenti a base di argilla, di sabbia e di conglomerati sciolti. È questo il primo precetto, sanzionato da una lunga e dolorosa esperienza di terremoti avvenuti in Italia e fuori, in questo e nei secoli scorsi”.8 È significativo notare come sia straordinariamente attuale sia l’analisi del sottosuolo in rapporto all’amplificazione degli effetti sismici, sia la connessione che può avere sull’indebolimento e la maggiore vulnerabilità dell’edificato. Queste considerazioni sono valide tutt’oggi, ed anzi spesso sono state trascurate o non tenute debitamente presenti.

Ecco dunque che proprio come è accaduto dopo il terremoto del 6 aprile 2009, sempre all’Aquila ma centotrentadue anni prima si trovavano sul piatto gli stessi scottanti temi. Così il Congresso

Geodinamico diventa occasione per affrontare il problema del come edificare in relazione alla

consapevolezza sismica, e quindi per De Giorgi è il momento di discutere dei principi della proposta di Codice edilizio che dovrebbero essere assorbiti nelle normative antisismiche future. Le considerazioni circa l’ubicazione delle nuove fondazioni derivano sia da osservazioni storico- empiriche sia dai primi studi scientifici di geologia. Quindi dalla scelta del terreno su cui edificare (che per l’epoca rappresentava una proposta decisamente all’avanguardia) e che oggi si potrebbe in

6 Ibidem, p.111. 7

Ibidem, p.106.

parte superare ma mai ignorare del tutto anche tenendo presente le nuovissime tecnologie costruttive antisismiche, come quelle impiegate nel progetto C.A.S.E., emerge il nesso tra l’entità del danno, l’intensità della scossa ed il contesto in cui si situa l’insediamento. A ciò di devono aggiungere le considerazione di tipo economico relative alla gestione del territorio, le quali entrano in pesante contraddizione con le basilari precauzioni antisismiche. Questo filo rosso corre sulla lama delle conseguenze dei sismi e al potenziale aggravarsi della portata e degli effetti di un processo sismico, ed è associabile alla vulnerabilità sociale. Se nel 1877 De Giorgi pone questo problema in relazione al rapporto borghi montani - economia montana rispetto ai centri di fondovalle con relativo sistema economico di stampo urbano e commerciale, nemmeno un secolo dopo, nel gennaio 19819, il geografo politico-economico Francesco Compagna, affronta lo stesso tema in termini, però, prettamente economici in connessione al sisma che colpì l’Irpinia.

Scrive De Giorgi: “Io comprendo che ciò può esser doloroso per quella potente attrazione che le valli esercitano sui monti e più delle valli le strade ferrate, veri veicoli del commercio e della civiltà moderne. Ma dinanzi ad un pericolo certo, e con tanta frequenza di terremoti è dovere di una pubblica amministrazione il seguire strettamente le norme dettate dalla scienza e dalla triste esperienza del passato”.10 Lo stesso tema, benché in un contesto e in un periodo differente è così trattato da Compagna: “impostando il discorso sulla ricostruzione edilizia in termini di conservazione dei vecchi siti, anche per paesi di crinale interamente distrutti, o quasi interamente distrutti, si è dimenticato che le occasioni di lavoro da coltivare, e alle quali gioverebbe avvicinare le residenze, sono quelle rinvenibili e ravvisabili nei fondovalle”.11 Accostare questi due visioni, assimilabili a due paradigmi legati all’approccio in ambito sismico, implica mettere in evidenza alcuni elementi problematici: certamente da parte del De Giorgi si scorge la volontà, considerate le sue premesse e la sua formazione di medico e naturalista, di mettere in primo piano la sicurezza della popolazione rispetto ai benefici, presunti o reali e comunque economici, di un insediamento concentrato nel fondovalle. Benchè non fosse ancora stata teorizzata, a livello antropologico, una possibile lettura che se ne ricava ha a che fare certamente con un principio di prudenza relativa all’aumento delle condizioni di vulnerabilità, che si avrebbe in un contesto di terreni «soffici» e tenendo presente che le costruzioni12 non erano ancora dotate di apposite tecnologie antisismiche.13

9

In un articolo riportato nel mensile L’economico intitolato: “Il dopo terremoto: anche economico”.

10 De Giorgi, C., 1887, cit. in: Di Giangregorio, M., I terremoti aquilani, op. cit., p.123.

11 Compagna, F., “Il soffitto basso”, in: Mazzetti, E., (a cura di), Dal terremoto alla ricostruzione, Edizioni Scientifiche

Italiane, Napoli, 1981, p.46.

12

In merito alle costruzioni antisismiche «è interessante notare che già alla fine dell’Ottocento furono proposte, da chi iniziava a porsi attivamente il problema di costruire edifici sicuri contro il terremoto, diverse tecnologie di isolamento sismico (una delle quali concettualmente simile agli isolatori adottati all’Aquila). […]. Si ricordino Joule Toullian che nel 1870 brevetta una soluzione concettuale in cui gli edifici, allora tipicamente in muratura, poggiano su di una doppia serie di “ciotole” contrapposte con interposta una sfera metallica, e Jackob Bechtod, che nel 1907 brevetta l’idea di costruire un “earthquake proof building” interponendo sotto le fondazioni uno strato di sfere (di ghisa) del tutto simile a

Nel caso dell’approccio di Compagna, se da un lato è innegabile la complessiva situazione di abbandono dei borghi montani, delle zone appenniniche e del sistema economico connesso, è pur vero che ciò implica anche delle conseguenze non trascurabili. L’abbandono e l’incuria dei centri minori con conseguente grave riduzione della cura del territorio montano (boschi, terrazzamenti, patrimonio edilizio storico) che presenta una doppia occasione di incremento di vulnerabilità: la mancata cura del territorio, il quale era mantenuto attraverso il lavorio di generazioni in base al suo modello economico, può, nel tempo, generare fenomeni di aumento del rischio idrogeologico (frane, smottamenti, alluvioni), le cui conseguenze si ripercuotono giocoforza anche e soprattutto nelle valli, oltre che aggravare le potenziali conseguenze di rischio sismico a cui si può sommare la mancata cura e manutenzione dell’edilizia storica in contesto di paesi montani, nei confronti dei restanti residenti. A ciò si deve aggiungere che, senza specificare l’importanza dell’individuzione di un sito adatto a costruire, in contesto di fondovalle, e tenendo presente le dovute norme antisimiche nel campo edilizio, non si farebbe altro se non andare a riprodurre gli stessi fenomeni in grado riproporre in altro luogo il rischio sismico.