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Rimappare lo spazio mutato: tra case e centri commerciali

Se, a due anni dal sisma, alcuni esercizi commerciali si riaffacciano, tra mille sacrifici, timidamente in alcune zone del centro storico dell’Aquila12, molti di coloro che riescono a portare avanti la propria attività hanno dovuto optare per trasferirsi all’interno dei centri commerciali.

Il ruolo dei centri commerciali dopo il terremoto è apparso subito importante per dare una continuità anche al piccolo commercio, improvvisamente catapultato fuori dal centro storico aquilano dopo il terremoto. Il paradosso della grande distribuzione in grado di ripigliare un posto anche per la piccola, benché storicamente significativa e simbolica per molti residenti, i quali identificavano alcuni piccoli esercizi quali bar e gelaterie come luoghi e tappe abitudinali delle passeggiate in centro, mi pare una osservazione estremamente interessante sotto il profilo dell’antropologia dello spazio. Questa particolare situazione che si è venuta a creare viene così riportata in un articolo edito nel portale AbruzzoWeb: “Il commercio aquilano prova a ripartire. Dopo l’inaugurazione del centro commerciale Quattro Cantoni a Bazzano, gli imprenditori del

9 Ciccozzi, A., Le ripercussioni antropologiche del progetto C.A.S.E., cit. in:

http://lacittanascosta.blogspot.com/2010/04/le-ripercussioni-antropologiche-del.html, 22/03/2010.

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Il decreto ha subito varie modifiche ed è stato integrato dal n. 3775 del 1° luglio 2009, n. 18 del 24 agosto 2009 e n. 26 del 1° ottobre, per giungere a definire le diciannove aree attuali.

11 Protezione Civile, Progetto C.A.S.E.,

http://www.protezionecivile.gov.it/cms/view.php?dir_pk=395&cms_pk=15861, 02/04/2010.

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Il celebre locale Ju Boss, punto di incontro e di aggregazione per numerosi cittadini e studenti del capoluogo, ma non solo, è stato uno dei primi a riaprire l’8 dicembre del 2009, a otto mesi dal terremoto.

centro storico aderenti a Confesercenti si organizzano in un altro complesso che oggi ha aperto i battenti. Si tratta della galleria commerciale Le 99 in via Savini, presso il Carrefour Market, non lontano da Trony. Nei locali ristrutturati della galleria trovano spazio quindici attività commerciali che prima del sisma avevano sede nel centro storico. Negozi di abbigliamento, per la casa, calzature, servizi, bigiotteria, una farmacia, un bar-gelateria, un’agenzia di viaggi. […]”.13

Il ruolo che i centri commerciali vengono ad assumere alla periferia dell’Aquila, almeno in una prima fase post-sisma, si configura nel porsi come nuovi poli di aggregazione e ritrovo, tanto per i residenti dell’Aquila quanto per quelli delle frazioni. In effetti se a questo si aggiunge la presenza di una parte dei banchi del mercato, collocati nel parcheggio del Centro Commerciale Le 99, è particolarmente rilevante notare come venga decentrata e frammentata l’abituale geografia dei luoghi e dei riferimenti quotidiani connessi ai luoghi di ritrovo, di lavoro, di svago e dell’acquisto di beni e servizi, nonché l’integrazione di questi elementi del normale svolgimento della vita quotidiana. Occorre infatti considerare che “Su un totale di 2.700 piccole imprese dislocate nei 57 comuni del cratere, circa un migliaio avevano sede all’Aquila. Sono oltre 850 le aziende che attendono ancora di poter tornare nelle loro sedi nel cuore della città, confinato in gran parte nella

zona rossa interdetta ai cittadini e sorvegliata dai militari per il rischio di nuovi crolli, […]. Tra le

soluzioni più adottate vi è la sistemazione nei nuclei industriali periferici o nei centri commerciali dell’hinterland aquilano, che poco hanno a che vedere con la bellezza e la vivacità delle vie cittadine, fulcro vitale dell’economia locale e luogo di socializzazione e formazione dell’identità collettiva”.14 Si tratta, quindi, non solo di un ricollocamento topografico dei posti di riferimento, bensì di un vero e proprio riposizionamento delle geografie dei luoghi ai quali erano saldate determinate abitudini legate in particolare al centro dell’Aquila. Se si considera l’insieme di queste riflessioni come una analisi più ampia sullo spazio vissuto, allora da un punto di vista geografico la problematizzazione dell’argomento passa attraverso il rapporto tra distanza e spazio. Se prendiamo come punto di riferimento epistemologico le articolazioni di questo nodo riportate da Frémont si possono affiancare alla nozione di spazio, oggettivabile e misurabile con parametri quantitativi: “la distanza-tempo, che tiene conto della possibile velocità di spostamento; la distanza affettiva, che considera l’affetto provato per i luoghi incontrati e che modifica l’impressione di lunghezza; la distanza ecologica, che valorizza o meno, come se fossimo in un prisma che scompone e seleziona la luce nei singoli colori, ogni aspetto e peculiarità dell’ambiente circostante […]”.15 All’interno dell’idea di spazio vissuto, analizzandone le nozioni che lo arricchiscono di un nuovo spessore, ho

13 AbruzzoWeb, Centro Commerciale “Le 99”, così L’Aquila prova a ripartire,

http://www.abruzzoweb.it/contenuti/centro-commerciale-le-99-cosi-laquila-prova-a-ripartire/5593-302/, 21/07/2010.

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Commissario per la Ricostruzione, (a cura di), Noi Abruzzo, n.3, 05/05/2010, p.3.

provato a cooptare questi concetti della Geografia umana nella ricerca sul campo, individuando alcune osservazioni sia rispetto a chi scrive, sia rispetto alle persone che ho incontrato e nel rapporto col paesaggio. Sotto il profilo antropologico ho focalizzato la mia attenzione sul secondo aspetto: la distanza affettiva.

La trasposizione di questa sensazione comporta un lavoro emotivo sul sottoscritto decisamente sconvolgente e che deriva in prima istanza dalla mia volontà di vedere L’Aquila. E proprio in auto, il giorno in cui vi sono giunto per la prima volta, mi perdo seguendo i numerosi sensi unici in cui la città ha visto reimpostare la propria mobilità a causa del terremoto, rallentando, involontariamente, sgomento e raggelato innanzi ai palazzi di Via XX Settembre e della zona di Via Roma e Via Vicentini. Ma una prospettiva motocentrica è riduttiva. Il motto dell’Aquila, Immota Manet, sembra essere un destino beffardo, almeno tanto quanto è in grado di riunire il desiderio di restare, resistere e risorgere. Se il sisma fa collassare gli edifici e i punti di riferimento della percezione dello spazio, l’interdizione per motivi di sicurezza di una parte consistente del centro storico, congela la situazione innescata dalla scossa del 6 aprile. La zona rossa che riunisce, in realtà, un vasto insieme di zone rosse che si estendono a macchia di leopardo sulla città, così come sui borghi e gli altri paesi colpiti dal sisma rientranti nel cratere, per evidenti motivi di sicurezza ridefinisce la geografia degli spostamenti, dei luoghi di ritrovo, di studio e di lavoro, riposiziona o impedisce i percorsi abituali, allontana o almeno disturba gli sguardi sulle macerie e sui vistosi danni agli edifici.

La combinazione dell’evento sismico e dell’interdizione16 di buona parte della città storica rappresenta un significativo shock per i cittadini. Come scrive Vianello “nella loro abituale stabilità le cose, le case, le pietre, le strade, le persone, i monumenti sono così presenti da risultare irrilevanti, sono così ovvie da diventare facilmente frugabili”.17

Il senso di spaesamento è avvertibile e da soggetto esterno non è certamente paragonabile con quello degli abitanti di questa città. Da quando arrivo in Abruzzo, quasi ogni giorno mi reco nel capoluogo per i più diversi motivi, ma ci vuole del tempo per iniziare a rendersi conto di quanto sta per seguire. Innanzitutto la modifica della viabilità, dovuta al terremoto, rende quasi del tutto inutile l’orientamento attraverso le comuni mappe cittadine e stradali nonché attraverso lo stesso navigatore satellitare. Noto curiosamente che sul piano automobilistico giungo a sviluppare una percezione dei percorsi urbani attraverso i continui errori stradali che, in un contesto di sensi unici, mi obbliga a ripercorrere ogni volta la medesima strada, fino ad individuare una rete di vie che riempiono le zone buie del puzzle viabilistico. Così per arrivare vicino al centro dell’Aquila e

16 L’allontanamento fisico dai luoghi della catastrofe, per motivi di sicurezza e soccorso e la militarizzazione dell’area è

una prassi consolidata a livello internazionale, nella gestione delle emergenze. La zona rossa all’Aquila viene istituita con l’Ordinanza 06/09/P.M.

parcheggiare in Viale Francesco Crispi nei pressi della Villa Comunale, seguo via XX Settembre, momentaneamente a senso unico, passando, senza mai abituarmi, accanto alla Casa dello Studente e alla zona di Campo di Fossa. Da qui, verso il centro storico, si prosegue solo a piedi. È il 9 agosto e ho appena terminato di fotocopiare la bibliografia di questa tesi. Lascio Viale Crispi per Viale Federico II: la locandina del cinema Massimo alla mia sinistra conserva la pubblicità annebbiata e sbiadita del film di Pupi Avati, Gli amici del bar Margherita; era uscito nelle sale appena tre giorni prima del sisma. I portici sono in gran parte inagibili e la polvere, insieme a qualche calcinaccio, hanno le sembianze di una foto in bianco e nero di quella notte; il congelamento dell’esperienza e l’arrestarsi di una prospettiva mi fa raggelare insieme al pensiero che da oltre due anni non un paio di scarpe abbiano camminato sui quei gradini tra quelle colonne fratturate. Piazza Duomo è lì a nemmeno duecento metri. La via si assottiglia per un breve tratto a causa di un puntellamento, accelero timidamente il passo nei pressi di un blindato dell’esercito e procedo verso il centro. La visione di questo inestimabile vuoto urbano è straordinariamente sconvolgente, si apre come una radura nella foresta di strade e vicoli che non lasciano spazio all’orizzonte ma questo impeccabile gioco urbanistico trova la sua massima espressione nella perfezione di questo rettangolo accecato dai riflettori nei giorni immediatamente successivi al sisma. Sulla sinistra la fasciatura della cupola della Chiesa delle Anime Sante, è tanto vistosa quanto tristemente famosa, mentre in fondo alla piazza, sul lato corto, il Duomo, a guardia degli ingressi della Zona Rossa, tenta di ingannare se stesso almeno quanto un osservatore superficiale, a causa dell’integrità della sua facciata. In mezzo alla piazza, leggermente spostato verso il duomo, si erige un tendone blu marino, recante uno striscione, in cui una scritta su campo bianco riporta la frase «Ricostruiamo l’AQ». Proseguo per Corso Emanuele fino all’incrocio con via San Bernardino, la quale conduce all’omonima basilica a poco più di cento metri, e via Roma sulla sinistra che conduce ai portici puntellati e interdetti della biblioteca Salvatore Tommasi e più avanti, in piena zona rossa, verso le sedi universitarie. Continuando nella direttrice di Corso Vittorio Emanuele si giunge alla splendida fontana Luminosa a pochi passi dall’imponente maniero spagnolo celato da una fitta e confortevole vegetazione. I palazzi e gli edifici che si affacciano su questo percorso danno la sensazione di pazienti incamiciati in attesa di un’operazione: i puntellamenti con il legno e i tubi innocenti, i giunti e le travi in acciaio che ingabbiano i fabbricati sono le cosiddette messe in sicurezza, realizzate al fine di evitare ulteriori crolli e cedimenti e la cui necessaria vistosità aggrava la sensazione della tragedia.

La riflessione sul riposizionamento orientativo implicato dall’interdizione della zona rossa, deve essere contestualizzata alla data del mio lavoro sul campo in quanto, mano a mano che le messe in sicurezza procedono e si avviano i lavori per la ricostruzione, alcune zone prima chiuse, vengono lentamente riaperte con specifiche ordinanze comunali. Tuttavia l’impressione complessiva che ne

ricavo è di una città spaccata letteralmente in due lungo la direttrice Corso Federico II e Corso Vittorio Emanuele. Le zone rosse, da un lato e dall’altro di questa linea ipotetica, costringono il percorso unidirezionale (in un senso o in quello opposto) che attraversa il centro cittadino in direzione est-ovest. In questo contesto e alla luce di questa descrizione, il ruolo della piazza Duomo, nonostante si mantenga in una posizione mediana rispetto alla parte accessibile, perde, in buona parte, la sua funzione baricentrica, mantenendo, tuttavia, quella simbolica.

La percezione che se ne desume è giocoforza legata ad una riduzione degli spazi fisici in cui potersi muovere e compiere delle azioni, in particolare quelle abituali legate al piccolo commercio, al lavoro, alla passeggiata, al ritrovo nei locali, ecc. L’Aquila sembra restringersi e assottigliarsi su se stessa mentre la zona rossa determina un limes vincolante e per sua stessa funzione, blindata, la quale pare creare un allontanamento artificiale, fisico e sensoriale rispetto alle aree in esso comprese, dal resto della città.

Ora inizio faticosamente a comprendere la sensazione di un disastro che per Simona e Concetta significa, tra i mille fasci di microtragedie emergenti dal prisma del disastro, anche il non poter più camminare per il centro gustando un gelato, un’azione fisica che si traduce in una percezione in grado di associare un’abitudine gioiosa ad una sensazione sensoriale in relazione allo spazio vissuto. In tal senso L’Aquila deve essere immaginata come un’estensione del primigenio spazio vissuto domestico, un’idea di casa che si snoda tra i vicoli ed i portici delle sue vie reticolari. Jean Gallais, illustrando l’idea di spazio vissuto, mette in connessione la nozione di distanza con quella di spazio.18 In questo senso la nozione di distanza affettiva (che riproporrò anche in seguito) prende in considerazione l’aspetto emozionale nel rapporto con i luoghi, evidenziando la variazione dell’impressione della lunghezza delle distanze. A tal proposito l’azione combinata degli effetti del terremoto unita alla creazione di un limes per la sicurezza dettato dalle zone rosse, sia nel centro storico del capoluogo sia nelle frazioni, impedisce o rende estremamente difficile, per vari motivi, l’accostamento e lo svolgimento di una forzata normalità producendo, come nel caso che ho potuto seguire a Bagno, un bisogno di allontanamento da un luogo reso irriconoscibile e improvvisamente

inabituale.

L’interruzione repentina e violenta del flusso dell’esperienza, unito al congelamento delle quotidianità, intesa come complesso di abitudini incorporate e consolidate nel tempo in grado di alimentare il processo esistenziale di una persona, viene a determinare una sorta di distanziamento

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«Le distanze sono universalmente misurabili in modo oggettivo, in metri e chilometri. Ma esse si complicano nel momento in cui si deve distinguere, secondo Jean Gallais: la distanza-tempo, che tiene conto della possibile velocità di spostamento; la distanza affettiva che considera l’affetto provato per i luoghi incontrati e che modifica l’impressione di lunghezza; la distanza ecologica, cha valorizza o meno, come se fossimo in un prisma che scompone e seleziona la luce nei singoli colori, ogni aspetto e peculiarità dell’ambiente circostante; e infine la distanza strutturale o sociale, che tiene conto delle divisioni, delle rotture o delle affinità fra gli uomini», in: Frémont, A., Vi piace la geografia?, op. cit., p.87.

emotivo del luogo colpito dal terremoto, mentre la distanza oggettiva, fisica e quantificabile delle distanze e dei percorsi resta indubbiamente inalterata.