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Occorre innanzitutto esplicitare che non esiste un rapporto di proporzionalità diretta tra l’entità della scossa e il tasso di mortalità e di danni che questa provoca. Questo perché il contesto in cui va ad abbattersi l’evento sismico varia notevolmente sulla base di una serie complessa di fattori formati dall’intreccio di parametri ambientali ed antropici.

Ma cosa significa terremoto? Come si determinano le variabili fisiche del disastro? In Geografia fisica un terremoto è considerato “la conseguenza di un moto ondulatorio la cui energia cinetica

viene trasmessa attraverso gli strati superficiali della Terra in onde circolari che si allargano a partire da un punto di improvvisa emissione di energia, il focus.”1

Da un punto di vista strettamente fisico un terremoto è quindi il prodotto di uno scuotimento violento del suolo determinato da agenti naturali situati ad una certa profondità nel sottosuolo e suscettibile di essere misurato sostanzialmente attraverso l’impiego di due scale (l’una non esclude l’altra): la Scala Richter e la Scala Mercalli.

“La Scala Richter, di magnitudine2 dei terremoti, fu proposta nel 1935 dal sismologo Charles F. Richter, per indicare la quantità di energia rilasciata da un singolo terremoto. I valori numerici della scala variano da 0 a 9, ma non esiste un limite superiore, se si prescinde dallo stesso limite naturale dell’energia rilasciata”.3 Nel concreto si tratta di un metodo di misurazione dell’intensità della scossa di un terremoto attraverso la determinazione dell’ipocentro (luogo da dove si sprigiona l’energia del fenomeno tellurico) e grazie all’analisi della direzione delle onde sismiche e dei danni della zona colpita, alla determinazione di un epicentro. Come spiega il geografo fisico David Alexander: “Ha un errore di ± 0,3 rispetto ad ogni unità. È una scala logaritmica dell’ampiezza dell’onda più grande descritta da un sismometro Wood-Anderson di torsione ubicato a 100 km dall’epicentro (questo vuol dire che si deve interpolare dalle stazioni a raggio più vicino ai 100 km).”4

La Scala Mercalli, concepita dal vulcanologo e sismologo italiano Giuseppe Mercalli, a partire dalla fine del XIX secolo, a differenza di quella ideata da Charles F. Richter oltre trent’anni dopo, è di tipo «qualitativo», cioè si base sull’osservazione dei danni causati immediatamente dopo l’avvento di un sisma e incasellati in uno dei dieci gradi a seconda della portata dell’evento, e fu portata all’attenzione della comunità scientifica nel 1902.5 “La caratteristica della scala è quella di basarsi su osservazioni di testimoni oculari […]. I danni, infatti, variano in funzione della distanza dall’epicentro, dalla natura del terreno e dal tipo di materiali usati nella costruzione degli edifici”.6 L’entità, la qualità e la dimensione dei danni riportato agli edifici, tenendo presente le caratteristiche della scossa sismica sono date dall’ “ampiezza, la frequenza, la velocità, l’accelerazione e la durata dei tremori forti. Ogni sisma consiste in una combinazione unica di questi fattori. […]

1 Strahler, A. N., Geografia fisica, Edizione italiana, Pellegrini, G. B., Sauro, U., Zanon, G., (a cura di), Dipartimento di

Geografia dell’Università di Padova, Piccin, Verona, 1993, p.465.

2 Magnitudine è un termine coniato da Charles F. Richter e impiegato in campo astronomico per descrivere l’intensità

luminosa emanata dalle stelle: la magnitudo, appunto.

3 Strahler, A. N., Geografia fisica, op. cit., p.466. 4

Alexander, D., Calamità naturali. Lineamenti di Geologia ambientale e studio dei disastri, Pitagora, Bologna 1990, p.16.

5 La scala di Giuseppe Mercalli fu rinnovata e perfezionata nei decenni, con una prima modifica nel 1931 e poi ripresa

dallo stesso Charles F. Richter e infine ultimata nel 1956, quando arriva ad avere dodici gradi di misurazione degli effetti del sisma.

L’accelerazione è molto importante per l’ingegneria anti-sismica perché essa influenza l’operazione delle forze statiche e l’inerzia delle strutture”.7

L’insieme di questi elementi fisici si è combinata in modo catastrofico, nell’attuale zona del cratere

sismico, il 6 aprile del 2009 alle ore 03:32 di mattina con un epicentro a sei chilometri a nord-est del

capoluogo. I dati relativi alla scala Richter (MI) segnano che la scossa principale ha toccato i 5,8

gradi8, mentre la magnitudo Momento, registrata dalle stazioni dislocate nella valle dell’Aterno, tocca i 6,3 Mw9; infine, per quanto riguarda la scala Mercalli, la stima è del VIII e IX grado10 che

corrisponde agli effetti di proporzione distruttiva e fortemente distruttiva. Tale scossa, della durata di una ventina di secondi circa, “viene avvertita distintamente in tutto il Centro Italia, a Roma, a Napoli, nelle Marche e lungo la costa abruzzese, da Pescara a Vasto, inducendo la popolazione a riversarsi in strada per la paura”.11

2.1.1 La dimensione geologica dell’area sismica

Dal punto di vista geologico l’area montuosa appenninica abruzzese, presa in esame, si colloca nell’ossatura orografica compresa tra il massiccio del Gran Sasso (la vetta principale del Corno Grande sfiora i tremila metri di quota), costituito prevalentemente da rocce calcaree compatte, sedimenti marnosi e dolomia e il gruppo di rilievi del Velino-Sirente, geo-litologicamente simili al Gran Sasso stesso e perciò con un terreno prevalentemente carsico. Da un punto di vista macroscopico l’area appenninica interessata dal sisma è formata da due vaste deposizioni di origine meso-cenozoica: la prima è rappresentata “dalle piattaforme carbonatiche mesozoiche (calcari e dolomie) […], che ha agito fino al Miocene medio. Il secondo è costituito da potenti depositi silico- clastici (argille ed arenarie) di avanfossa, databili all’intervallo Miocene superiore-Pleistocene”.12 Durante il Plio-Pleistocene la catena si innalza gradualmente innescando fenomeni intensi di erosione e deposizione a cui si sommano i depositi alluvionali di origine lacustre (la piana dell’Aquila era essa stessa in parte ricoperta da bacini lacustri) che hanno riempito i vuoti creati

7 Alexander, D., Calamità naturali, op. cit., pp.16-17.

8 Noto, A. G., 6 aprile 2009. “Il sisma abruzzese tra aspetti politici e riflessioni storiografiche”, in: 6 Aprile…, op. cit.,

p.89.

9

Ameri, G., Augliera, P., Bindi, D., D’Alema, E., Ladina, C., Lovati, S., Luzi, L., Marzorati, S., Massa, M., Pacor, F., Puglia, R., (a cura di), Strong-motion parameters of the Mw =6,3 Abruzzo Central Italy eatrhquake, INGV Sezione di Milano-Pavia, 2009, p.1, http://www.mi.ingv.it/docs/report_RAN_20090406.pdf

10 Noto, A. G., 6 aprile 2009. “Il sisma abruzzese tra aspetti politici e riflessioni storiografiche”, in: 6 Aprile…, op. cit.,

p.89.

11 Ivi.

12 Di Capua, G., Lanzo, G., Luzi, L,. Pacor, F., Paolucci, R., Peppoloni, S., Scassera, G., Puglia, R., (a cura di),

Caratteristiche geologiche e classificazione di sito delle stazioni accelerometriche della RAN ubicate all’Aquila,

Progetto S4: banca dati accelerometrica, giugno 2009, p.4,

dall’innalzamento della catena montuosa. Successivamente “Le fasi glaciali pleistoceniche hanno interagito con la dinamica del controllo tettonico, attraverso oscillazioni del livello di base fluviale e variazioni del regime morfodinamico predominante”.13

In mezzo la Valle dell’Aterno solcata dall’omonimo fiume, elemento principale di idrografia superficiale dell’area, è costituita da “depositi lacustri che formano una complessa sequenza deposizionale di unità limose e sabbioso-conglomeratiche, con frequenti variazioni laterali, soprastanti il substrato calcareo che si rinvengono al di sopra dei terreni meso-cenozoici e Pleistocenici, sono invece costituiti da alluvioni ciottoloso-sabbiose, da depositi detritici di versante, da depositi eluvio-colluviali con detriti immersi in matrice limoso-argillosa”.14 L’Appennino abruzzese si trova ad esser compreso nelle dinamiche geofisiche della Terra, all’interno di un più ampio contesto di placche o zolle in collisione tra loro, e su ampia scala è noto come la sismicità appenninica in generale sia il prodotto della collisione tra la placca africana a sud e quella euro- asiatica a nord dove la linea di faglia che divide le due placche taglia esattamente in due parti, longitudinalmente il Mediterraneo, dallo stretto di Gibilterra alla Turchia, passando tra la Sicilia e la Tunisia. Queste due placche tendono a muoversi l’una verso l’altra determinando nello scontro, l’orogenesi dei rilievi alpini di recente e appenninici in passato.

Da un punto di vista tecnico si parla di “zone di subduzione”15 quando una delle due placche scorre sull’altra e questo è proprio il motivo alla base del fenomeno naturale e fisico dei terremoti, che segue il modello della “tettonica a placche”16 che a partire dagli anni sessanta rivoluziona le Scienze della Terra e segna un passo importante per capire l’origine dei fenomeni sismici su scala globale e non più solo localizzata in singole aree.

Dal punto di vista geo-litologico un’ampia porzione del capoluogo abruzzese si trova ad essere edificata, come nei casi di Avezzano nei pressi della Piana del Fucino e una parte di Ovindoli sugli

13 Ivi.

14 Di Capua, G., Lanzo, G., Luzi, L,. Pacor, F., Paolucci, R., Peppoloni, S., Scassera, G., Puglia, R., (a cura di),

Caratteristiche geologiche …, op. cit., p.6,

http://esse4.mi.ingv.it/images/stories/Classificazione_Sito_Stazioni_RAN_AQ.pdf

15 Le zone di subduzione possono essere di due tipi: A e B. «La subduzione, detta di tipo A (da Ampferer, nome del

geofisico che la ipotizzò), avviene con maggiore difficoltà, in un regime marcatamente compressivo in cui la crosta continentale di una placca si spinge a forza sotto l’altra placca, introducendosi nell’astenosfera. Due continenti si saldano, così, assieme, e lungo la sutura la crosta, di spessore quasi raddoppiato, si deforma smembrandosi in scaglie spesse chilometri che si accavallano e si ripiegano», «Circa il 90% dell’energia sismica liberata dai movimenti della litosfera proviene dai cosiddetti margini attivi o convergenti […]. Questo può avvenire liberamente solo se almeno uno dei due margini di placca è costituito da crosta oceanica; essa, orami raffreddata nel lungo percorso di allontamento dalla dorsale, densa e pesante, tende a sprofondare nella sottostante astensofera, […]; tale fenomeno è detto di subduzione di tipo B (da Benioff, che individuò il fenomeno)», cit. in: Walker, B., I terremoti, Hobby & Work Italiana Editrice, Milano, 1998, pp.72-74.

16

A sua volta questo modello si innesta nella celebre teoria della «deriva dei continenti», coniata dal meteorologo tedesco Alfred Wegener, sulla base dell’osservazione della dislocazione delle catene montuose e del fatto che le coste orientali e occidentali rispettivamente del continente sud americano e africano combaciavano. «Nel 1912 Alfred Wegener formulò la sua risposta elaborando una teoria conosciuta come “deriva dei continenti”, secondo cui la superficie della Terra non era statica ma dinamica e i continenti e gli oceani erano in costante movimento», cit. on: Walker, B., I terremoti, Hobby & Work Italiana Editrice, Milano, 1998, p.87.

Altipiani delle Rocche, sopra i depositi continentali plio-quaternari, che nel caso dell’Aquila sono compresi tra due faglie17: nella parte sud-ovest da “faglie normali”18, e in quella sud-est da “sovrascorrimenti”,19 mentre intervallate da un sistema di faglie che appartengono alternativamente alle due classi sopracitate20, che si sviluppano sostanzialmente in modo parallelo tra loro in direzione Nord-Ovest/Sud-Est, si trovano soprattutto depositi di rocce carbonatiche meso- cenozoiche.21 In questo contesto “il terremoto è stato generato dall’azione di una faglia dell’estensione di circa 15 km con movimento in direzione NO-SE ed immersione SO, parallelamente all’asse della catena appenninica, corrispondente in superficie alla localizzazione della faglia di Paganica, e ha presentato una profondità dell’ipocentro pari a 8,8 Km […]”.22

La zona del bacino aquilano, situata su un terreno di origine lacustre, ha caratteristiche simili per formazione a quello della vicina città di Sulmona, poiché presenta una conformazione di un “tipico bacino di natura tettonico-sedimentaria, originatosi per successivi depositi di strati geologici”.23 La particolare formazione di queste conche di origini quaternarie suddivise, a est in depositi pleistocenici e a sud-est dell’Aquila, olocenici, unita alla vicinanza con il gruppo delle faglie dell’alta Valle dell’Aterno (M. Pettino, M. Marine, Capitignano e San Giovanni)24, ha infatti amplificato l’entità fisica dell’evento sismico del 6 aprile 2009. “Non è un caso che queste conche, […], siano state colpite da terremoti che hanno danneggiato di solito, i paesi costruiti sugli ampi altopiani e lungo le zone di confine con le montagne, lasciando pressoché immuni, o poco danneggiati, gli insediamenti montani”.25 Non è esagerato definire le zone costruite in quota come aventi una maggiore capacità di resistenza nei confronti dei sismi, cioè caratterizzate da una sorta di

immunità sismica.26 Con ciò non si vuole affatto affermare che non siano presenti danni nei borghi storici o nei piccoli paesi arroccati sulle montagna, tuttavia non si può non constatare in molti casi,

17 «Una faglia è una frattura nelle rocce superficiali della crosta terrestre, che rappresenta la conseguenza di spinte

ineguali. […] Le faglie si attivano con improvvisi spostamenti di masse rocciose che originano i terremoti, le cui vibrazioni ondulatorie si diffondono dalla zona di massima intensità fisica», cit. in: Strahler, A. N., Geografia fisica, op. cit., p.462.

18 «Una faglia normale presenta un piano di faglia inclinato o quasi verticale. Il movimento avviene soprattutto in

direzione verticale e comporta il sollevamento relativo di uno dei due blocchi e l’abbassamento dell’altro: l’effetto morfologico è una scarpata di faglia ripida e rettiliena, la cui altezza dà una misura approssimata dell’entità del rigetto verticale», cit. in: Strahler, A. N., Geografia fisica, op. cit., p.462.

19 «un sovrascorrimento […] comporta un movimento prevalentemente orizzontale, ma il piano di faglia giace in una

posizione suborizzontale per cui il blocco roccioso sovrascorre su quello sottostante», cit. in: Strahler, A. N., Geografia

fisica, op. cit., p.463.

20

Donatelli, A., Terremoto e architettura storica. Prevenire l’emergenza, Gengemi, Roma, 2010, p.33.

21 Ivi.

22 Noto, A. G., 6 aprile 2009. “Il sisma abruzzese tra aspetti politici e riflessioni storiografiche”, in: 6 Aprile…, op. cit.,

p.89.

23

Donatelli, A., Terremoto e architettura storica, op. cit., p.35.

24 Galdini, F., Messina, P., Sposato, A., Tettonica quaternaria dell’Appennino centrale e caratterizzazione dell’attività

di faglie nel Pleistonce superiore-Olocene, CNR, Istituto di Ricerca sulla Tettonica Recente, Roma, s.d.,

http://www.osservatorioapuano.org

25

Donatelli, A., Terremoto e architettura storica, op. cit., p.35.

l’apprezzabile diversità nei danni riportati dagli edifici di fondovalle o di pianura, rispetto ai primi. È evidente che in una valutazione come questa entrano in gioco numerosi altri fattori come la qualità architettonica dell’edificato, il periodo di costruzione, i materiali impiegati, gli eventuali restauri, l’altezza in termini di piani, eccetera; tuttavia “in modo particolare, poi, su terreni di recente formazione alluvionale e non profondi, in corrispondenza dei fianchi montani, dove esiste un netto distacco dalle rocce, l’onda sismica, passando da un mezzo compatto e omogeneo ad un altro denso ma incoerente, non solo cambia direzione, ma risulta particolarmente favorita”.27

Sono milioni gli scuotimenti tellurici che hanno colpito nei secoli, con cadenza quasi annuale, il capoluogo abruzzese dalla sua fondazione ad oggi, così come i borghi più antichi della regione. Tuttavia, ai fini di una ricerca bibliografica, verranno presi in considerazione i sismi documentati storicamente e, fra questi, i più rilevanti sulla base delle fonti storiche che li hanno tramandati fino ad oggi.

Dai dati storici a disposizione, senza considerare le scosse telluriche suscettibili di essere percepite ma non i grado di creare danni rilevanti, è piuttosto probabile che mediamente “ogni due-tre secoli i parossismi si fanno distruttori […]”.28

Il ruolo della storia nell’approccio e nello studio dei terremoti emerge in tutta la sua importanza e dovrebbe essere maggiormente preso in considerazione, poiché se da un lato è ben noto che l’appennino Abruzzese sia uno dei luoghi a più alto rischio sismico, dall’altro si può ben notare questo fattore nella storia archeologica e documentaristica della città, dalla sua fondazione ad oggi. Lo studio storiografico della cadenza, geologicamente regolare e documentata archivisticamente, dei sismi dovrebbe essere uno dei principali “capisaldi, punti fissi di riferimento come strumenti interpretativi imprescindibili della vicenda storica, insediativa, costruttiva ed architettonica locale”.29 La storia, perciò, è il primo elemento di prevenzione antisismica che bisognerebbe prendere in considerazione.