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Ricostruzione d’emergenza e trasformazione del paesaggio

Prima di iniziare la trattazione di questo argomento devo fare una precisazione: non esiste un modello unico di ricostruzione, come non esiste una ricetta risolutiva valida per tutti e ovunque. Ogni area colpita da un terremoto presenta caratteristiche ed emergenze che le sono proprie e perciò occorre, in prima analisi, comprenderle accuratamente, al fine di procedere nel migliore dei modi e col più ampio coinvolgimento, nella direzione da imprimere alla riabilitazione del territorio.

In secondo luogo la grande maggioranza dei discorsi pensati e predisposti per la ricostruzione, punta decisamente l’accento sull’aspetto ingegneristico della realtà, alimentando un ragionamento

sulla città e sulle zone colpite dal sisma, piuttosto che aprire un dibattito con i terremotati e con le

zone sinistrate. Il focus del discorso ricostruzione è così concentrato sulle cose e molto meno con le persone. Vorrei così integrare ed ancorare alcune osservazioni sul campo ad altrettanti nodi teorici propri delle scienze antropologiche e geografiche.

In tale sede sarà utile chiarire fin da ora che il progetto C.A.S.E. è destinato esclusivamente alla sistemazione dei terremotati del capoluogo abruzzese e di alcune delle sue frazioni, mentre per risolvere il problema dei senzatetto nei comuni dell’area del resto del cratere, si è ricorso a soluzioni che potremmo definire provvisorie e potenzialmente reversibili, meglio identificati con la sigla M.A.P.1, ovvero Moduli Abitativi Provvisori.2 Tuttavia, anche nell’area aquilana, in molte occasioni, lì dove non è stato possibile realizzare i moduli del progetto C.A.S.E., si è ricorsi all’impiego dei M.A.P.3 e, più precisamente, in ventinove località del Comune, dove trovano alloggio circa diecimila persone.4

Questa soluzione si pone, al contrario del progetto C.A.S.E., in continuità con le precedenti esperienze del Friuli e delle Marche e Umbria, non tanto sotto il profilo della modalità di costruzione, quanto piuttosto dal punto di vista che sottende l’idea di ricostruzione: cioè rendere disponibili degli alloggi, provvisori appunto, situati in prossimità dei centri terremotati in modo da poter essere smobilitati in futuro, parzialmente o totalmente, una volta completata la ricostruzione dei paesi ed eventualmente riutilizzati per altri fini di competenza del comune di collocazione, nonché consentire ai residenti di seguire da vicino il processo di ricostruzione dei rispettivi borghi e paesi.

Per quanto concerne il progetto C.A.S.E. nei fatti “si tratta di 4449 appartamenti di varia metratura localizzati su 19 aree del territorio comunale, e distribuiti in 185 palazzine a tre livelli costruite in prefabbricato vario (legno, cemento, ferro, cartongesso) poggiate su altrettante enormi piastre

1

L’elenco delle località del comune dell’Aquila dove sono stati collocati i M.A.P. è disponibile sul sito delle Protezione Civile: http://www.protezionecivile.gov.it/cms/view.php?dir_pk=395&cms_pk=17188

2 La sigla è spesso oggetto di rivisitazione semantica in chiave ironica e satirica. “Moduli Abitativi Permanenti o

Perenni” è un esempio di lettura caricaturale incentivata dal libero accostamente delle iniziali dell’acronimo con l’idea

di una ricostruzione a tempo indefinito.

3 «Sono 1.273 i moduli abitativi realizzati nel Comune de L'Aquila. Tra questi, 1.113 M.A.P. sono realizzati dalla

Protezione civile, 160 sono quelli donati», in: Protezione Civile, Il piano M.A.P. del comune dell’Aquila,

http://www.protezionecivile.gov.it/cms/view.php?dir_pk=395&cms_pk=17188, 02/04/2010.

4

Clementi, A., Fusero, P., (a cura di), Progettare dopo il terremoto. Esperienze per l’Abruzzo, UdA, SCUT, LIST Lab, UE, 2011, p.199.

antisismiche di cemento armato sospese su pilastri in metallo (fissati a loro volta su una base di cemento armato)”.5

Attualmente tenendo presente l’andamento variabile dell’occupazione dei nuovi alloggi, bisogna considerare che i “quartieri del progetto C.A.S.E. ospitano al momento circa 14.000 persone”.6 La questione che viene a porsi, a questo punto, è quanto siano separate o quanto vengano a coincidere le idee di “ricostruzione” rispetto a quelle di “costruzione”.

Ma soprattutto che implicazioni e quali conseguenze socio-culturali possono avere, sul territorio e la popolazione, questi due modi di intendere la rinascita di una comunità e dei rispettivi luoghi di residenza?

Alla base di ogni considerazione c’è la profonda disarticolazione fisica, simbolica e percettiva dello spazio, che si traduce nella perdita improvvisa e repentina di gran parte dei punti di riferimento e orientamento precedentemente incorporati. La profonda trasformazione delle aree colpite dal terremoto non è che il primo importante sconvolgimento dello spazio vissuto a cui segue quello inevitabile voluto o meno, comunque conflittuale, relativo alla localizzazione e alla modalità di ricostruzione.

Se si considera che il comune dell’Aquila è nei primi dieci Comuni italiani per estensione, con circa quattrocentosettanta chilometri quadrati di territorio, e una popolazione di circa settantamila persone (le presenze giornaliere possono arrivare fino a centomila persone), se si esclude il centro storico del capoluogo, è evidente come la densità sia relativamente bassa se rapportata alle cifre del consumo di suolo. In questo contesto, il progetto C.A.S.E. inserendosi per la maggior parte, nei dintorni delle frazioni, espone il territorio comunale ad un aumento della pressione antropica su quei terreni che fino al giorno prima del terremoto erano sostanzialmente a destinazione agricola. Questo elemento è colto da Ciccozzi che lo riassume così: “Oggi il territorio comunale deve affrontare - proprio a causa del dove sono stati localizzati questi insediamenti - un processo di spaesamento che si manifesta doppiamente perturbante: per gli abitanti deportati lontano dai loro luoghi di origine, e per i borghi deturpati da edifici inappropriati”.7

Sul piano delle considerazioni generali risulta evidente, anche osservando la disposizione sparsa sul territorio comunale, come i quartieri del progetto C.A.S.E. vadano ad impattare e amplificare un contesto di città diffusa, con un elevato tasso di frammentazione territoriale degli ambiti agricoli periurbani e di quelli prossimi alle aree rurali. A questo proposito, benché si riferisca alla realtà

5

Ciccozzi, A., “Catastrofe e C.A.S.E.”, in:, Aa.Vv, Il terremoto dell’Aquila. Analisi e riflessioni sull’emergenza, Osservatorio sul terremoto dell’Università degli Studi dell’Aquila, Università degli Studi dell’Aquila, L’Una, L’Aquila, 2011, p.22.

6 Ivi. 7

Ciccozzi, A., Le ripercussioni antropologiche del progetto C.A.S.E., cit. in:

veneta, il fenomeno dell’occupazione delle campagne da parte di una frammentazione diffusa dell’edificato nella piana aquilana, che mi appresto a descrivere, può esser efficacemente introdotto dalle parole di Francesco Vallerani: “Il ben distribuito formarsi della campagna urbanizzata ha frantumato la tradizionale opposizione con la città, producendo un senso di incomprensione e illeggibilità dei nuovi assetti territoriali”.8 Si assiste così al delinearsi di alcuni rischi non immediatamente avvertibili in un contesto emergenziale, ad esempio un “rischio è legato ai carichi insediativi: gli insediamenti nuovi vanno ad affiancare nuclei periferici o frazionali, di solito esigui. Un esempio: a Cese di Preturo, una frazione de L’Aquila a 12 km dal capoluogo con 306 abitanti prima del sisma, è stato realizzato un nuovo insediamento capace di ospitare 2166 nuovi abitanti”.9 Queste cifre servono a dare l’idea delle proporzioni del disastro e della risposta messa in atto, così dal punto di vista geografico, una valutazione è esprimibile nel merito di un modello così inteso di ricostruzione il quale, se da un lato può avere il merito di dare una risposta sul breve o medio periodo all’esigenza di un tetto per gli sfollati, dall’altro ha portato ad “un totale di 400 ettari di nuovi terreni edificati nella piana de L’Aquila!”.10

I frammenti di questa new town si sparpagliano in un tessuto territoriale che si presta così, grazie all’intensificarsi della maglia urbana, all’incentivo di ulteriori costruzioni supportate dalla necessaria istanza di nuovi collegamenti infrastrutturali di vario genere.

Nota Domenico Cerasoli: “L’aspetto più evidente è di carattere geografico: gli insediamenti sono distanti dalla città fino a 18 km e tra loro possono raggiungere una distanza di circa 30 km”.11

Tale dislocazione determina la conformazione di una più ampia New Town diffusa la quale, per il suo carattere definitivo, implica di conseguenza l’aggiornamento e la costruzione di nuove strade e infrastrutture al fine di aggiornare il sistema viario precedente che si avvia progressivamente a diventare obsoleto, nonché a colmare la carenza di servizi di calibro urbano in contesti, precedentemente, di tipi rurale.

Questo precedente assottiglia le distanze tra il capoluogo e le sue frazioni, andando a delineare il profilo di una inevitabile conurbazione con un consumo di suolo senza precedenti. Ciò è particolarmente evidente nel progetto C.A.S.E. di Bazzano, dove il contesto dei nuovi insediamenti si aggiunge a quello del nucleo industriale omonimo, che si snoda lungo la strada statale 17, creando un continum edificato di considerevole estensione.

A livello generale la nuova trasformazione del territorio si rispecchia in un mutamento della percezione del paesaggio, traducibile e riassumibile attraverso il dispiegamento di tre

8 Vallerani, F., “La perdita della bellezza. Paesaggi veneti e racconti dell’angoscia”, in: Vallerani, F., Varotto, M., (a

cura di), Il grigio oltre le siepi, Nuovadimensione, Portogruaro, 2005, p.162.

9 Clementi, A., Fusero, P., (a cura di), Progettare dopo il terremoto, op. cit., p.194. 10

Ibidem, p.196.

caratteristiche: “la rapidità, che non ha lasciato il tempo di capire cosa stesse avvenendo; la tendenza a non esaurirsi ma anzi a crescere esponenzialmente; la irreversibilità delle trasformazioni”.12 Fra tutte le considerazioni possibili in merito a questo tema, isolo due caratteristiche, secondo quanto ho avuto modo di esperire, che reputo estremamente importanti: un’analisi geo-topografica e un’analisi dei comportamenti e delle abitudini di vita. Entrambe recano le caratteristiche di un esame qualitativo rispetto ai fenomeni osservati, ponendo l’accento sulla percezione del mutamento, tanto attraverso chi scrive, quanto attraverso i dialoghi con le persone coinvolte. Per quanto concerne la prima, è importante avvalersi di una rappresentazione dell’evoluzione urbana delle zone terremotate, nonché di una raffigurazione dell’alterazione dello spazio e dei suoi punti di riferimento. Posto che il processo di frammentazione del territorio, considerate le dovute differenze di contesto, è assimilabile per le dinamiche evolutive ad un trend che ha coinvolto diversi ambienti della penisola italiana, con una notevole accelerazione negli ultimi quindici anni; mi avvalgo di un modello elaborato nella provincia di Treviso, nel territorio di Conegliano, per illustrare anche quella che è stata una delle mie prime impressioni appena giunto all’Aquila.13 Tenendo presente la qualità soggettiva delle mie osservazioni e tuttavia cercando di problematizzarne le sensazioni visive legate alla spazializzazione, non ho potuto non notare alcune assonanze col trend edificativo in atto nel Veneto e analizzato nella tesi di laurea triennale. In particolare la tendenza allo sprawl in grado di fare da cerniera tra le varie località è constatabile in buona parte della piana aquilana e recentemente avvertibile nelle località tra Poggio Picenze e Fossa, nonché lungo la statale 17 tra l’abitato di San Gregorio e Bazzano e ancora in prossimità dello svincolo autostradale L’Aquila ovest. Segnato dallo stupore e dalla forte emozione nel rivedere quei territori colpiti dal sisma a distanza di così tanti anni dalla mia prima visita, in un pomeriggio umido e carico di pioggia ho così riportato nel mio diario di campo le primissime sensazioni: “Vedere L’Aquila è come far visita ad un parente malato in una corsia per lungodegenti…[…]. La

capannonizzazione sembra prendere il sopravvento nelle periferie, forse sull’onda della

ricostruzione. Forse bisognerebbe de-mitizzare o ripensare quel termine poiché reca con se gli ideali sviluppisti e calca l’onda della tragedia cambiandone i connotati, riproponendo un modello che di fatto si basa sul consumo di suolo”.14

12

Castellucci, G., (a cura di), La memoria nel paesaggio, Ricerche & redazioni, Teramo, 2011, p.11.

13 Benchè lo studio della frammentazione paesistica faccia riferimento a tre assunti metodologici iniziali (qui di seguito

riportati), sarà preso in considerazione soltanto il primo: «Il primo riguarda la distinzione delle forme di alterazione della matrice rurale del paesaggio […], secondo la quale è possibile articolare la fenomenologia della trasformazione. Il secondo è relativo alla distinzione dei fattori territoriali in base alla loro geometria spaziale dominante e in base alla complessità delle configurazioni paesaggistiche che concorrono a generare. Il terzo indica l’opportunità interpretativa di distinguere le condizioni di stato dai rischi di frammentazione del paesaggio», cit. in: Paolinelli, G., Dalla

frammentazione ambientale alla frammentazione paesistica, in: LOTO Landscape Opportunities, Frammentazione

paesistica: permanenze ed interferenze nel territorio di Conegliano, Arti Grafiche Venete, Treviso, 2005, p.91.

Ritornando all’esplicazione del modello precedentemente proposto, carta alla mano, consente di analizzare e comprendere il tipo di frammentazione paesistica di una determinata porzione di spazio, tenendo presente le caratteristiche della matrice, ovvero degli attributi formali pre-esistenti alla trasformazione. Su questa analisi basata sullo studio cartografico, è interessante installare l’osservazione etnografica del mutamento della percezione del paesaggio. È evidente come un territorio sia in continuo mutamento, tuttavia, tenendo presente le tre caratteristiche sopracitate che descrivono per sommi capi il fenomeno della recente accelerazione dell’antropizzazione post- sismica e del consumo di territorio, (rapidità, tendenza a non esaurirsi e irreversibilità), si possono compiere le seguenti considerazioni in merito ai processi di alterazione dello spazio identificabili in cinque stadi del processo15:

- “Perforazione: i processi spaziali producono trasformazioni del mosaico paesistico puntuali e pertanto discontinue, perforandone la matrice; possono essere causate da edifici e gruppi di edifici isolati, come la dispersione urbana nelle aree rurali con buone condizioni di permanenza strutturale. - Suddivisione: i processi spaziali producono trasformazioni del mosaico paesistico a prevalente sviluppo lineare, continue e generalmente costituenti reti molto estese, dividendone la matrice; possono essere causate da strade, ferrovie, canali di bonifica ed infrastrutture in genere.

- Frammentazione: i processi spaziali producono trasformazioni profonde e continue del mosaico paesistico, frammentandone la matrice; dovute alla diffusione dell’insieme delle trasformazioni citate (I e II), danno luogo a effetti generalizzati di alterazione del paesaggio, con incremento dell’artificialità, perdita di equipaggiamento vegetale e di funzioni ecologiche, perdita di permanenza storica e di identità semiologica.

- Riduzione: l’incremento della diffusione ed intensità delle condizioni di frammentazione produce una riduzione di alcuni tipi di componenti e sistemi del mosaico paesistico, con conseguenti possibili cali della diversità biologica, storica e semiologica, e complessivamente con profonde e diffuse alterazioni del paesaggio.

- Progressiva eliminazione: la progressione dei processi di riduzione della presenza di alcuni tipi di componenti e sistemi del mosaico paesistico ne produce l’eliminazione, con conseguenti possibili perdite di diversità biologica, storica e semiologica, come talvolta di caratteri di rilevante interesse intrinseco, alterando completamente il paesaggio”.16

Se nello spazio si intersecano il mutamento e la trasformazione del paesaggio, il contesto del terremoto interviene nella percezione di questi elementi in maniera del tutto significativa.

15 La successione degli stadi non deve intendersi univoca e sempre valida. Alcuni di questi stadi in contesti diversi

possono essere sorpassati oppure una determinata situazione può stabilizzarsi ad uno dei primi stadi senza necessariamente giungere alla saturazione. Ciò che in questa sede è importante dimostrare è la tendenza che le situazioni hanno, in ambito post-sismico, nell’evolversi rapidamente.

Come scrive Nimis: “il terremoto non crea l’occasione propizia per fare ciò che non si può fare nelle situazioni normali; il terremoto non è una rivoluzione francese, né una rivoluzione d’ottobre; il terremoto è piuttosto una forza involutiva (reazionaria) che mette a nudo le negatività del sistema e le accresce, tanto da rendere necessario acconciarsi a operare, scopertamente, con esse”.17

Così il modo di concepire e intendere la ricostruzione non è esente dal porsi la problematica inerente al futuro su cui andrà ad incidere, nonostante l’emergenza imponga improvvisamente il soddisfacimento di quelli che sono considerati i bisogni primari per la popolazione.

Paradossalmente uno dei fattori di rischio, in grado di predisporre la vulnerabilità sociale, è insito nel processo di ricostruzione medesimo. “L’urgenza che sempre accompagna i processi di ricostruzione dopo una calamità naturale, ha determinato alcuni rischi che è utile evidenziare […]. I rischi del Piano C.A.S.E. – […] è legato all’individuazione delle aree: la fretta con la quale si sono dovute scegliere, mediando tra indicazioni di tecnici comunali, funzionari della protezione civile e proprietari dei terreni, ha portato a soluzioni che in alcuni casi appaiono poco comprensibili, soprattutto in ragione della capacità dei nuovi insediamenti di potersi, con il tempo, integrare con i contesti territoriali in cui sono stati inseriti”.18

Inoltre “Considerando che gran parte degli sfollati abitava a L’Aquila, nella città dell’Aquila, questo pone gravi dubbi su due ordini di questioni: prima di tutto gran parte di chi viveva in territorio urbano sarà costretto a una deportazione lontano dalla città, poi di conseguenza i territori rurali subiranno l’impatto di un’edilizia che non manifesta armonia nei confronti delle peculiarità qualitative dei luoghi in cui verrà imposta”.19 Questi due temi posti da Ciccozzi, hanno la conseguenza di inaugurare un dibattito sul futuro della città e delle sue frazioni, poiché allo stato attuale della situazione, con la fine dell’emergenza ed il ritorno progressivo della responsabilità della gestione della città nella mani delle amministrazioni, pone oltre al problema della ricostruzione vera e propria della città storica e dei nuclei delle frazioni, anche la questione di che cosa fare delle nuove urbanizzazioni.

Tali osservazioni sono confermate anche a livello nazionale rispetto ad altri ambiti colpiti dai sismi ed in particolare “dal secondo dopoguerra, […], in seguito ad ogni terremoto si è assistito ad un picco d’incremento di consumo di suolo […]”.20 Il tema del “consumo di suolo”21, apparentemente

17

Nimis, P. G., La ricostruzione possibile. La ricostruzione nel centro storico di Gemona del Friuli dopo il terremoto

del 1976, Marsilio, Venezia, 1988 op. cit., p.18.

18 Clementi, A., Fusero, P., (a cura di), Progettare dopo il terremoto, op. cit., p.194.

19 Ciccozzi, A., Il piano C.A.S.E. e la distruzione dell’identità, cit. in: http://www.abruzzo24ore.tv/news/Il-Piano-

CASE-e-la--distruzione-dell-identita/11144.htm

20 Ciccozzi, A., “Catastrofe e C.A.S.E.”, in: Aa.Vv., Il terremoto dell’Aquila, op. cit., p.14.

21 «L’indice del consumo è definito come quantità di spazio insediato pro capite di suolo», cit. in: Comitatus Aquilanus,

L’Aquila. Non si uccide così una città?, L’Aquila, settembre 2009, p.9,

http://www.scribd.com/doc/21872747/Comitatus-Aquilanus-L-Aquila-Non-si-uccide-cosi-anche-una-citta-%C2%A0- 2009

legato esclusivamente ad analisi di tipo quantitativo, presenta in realtà aspetti che si prestano fortemente ad una visione sul piano qualitativo, poiché richiama la questione inerente alla percezione del paesaggio sulla base della sua trasformazione e mutamento, innescando processi di confronto rispetto alla memoria geografica del territorio da connettere all’idea di rischio sismico e vulnerabilità, fin qui descritti. Il consumo di suolo è solo uno dei tanti problemi che può comportare uno sviluppo edilizio-urbanistico, non solo a causa del progetto C.A.S.E. o dei M.A.P.. Infatti la dispersione del nuovo edificato implica un acuirsi della vulnerabilità derivata in primo luogo dall’aumento di superficie concessa all’edificabilità soggetta a rischio sismico e, in molti casi, anche idrogeologico, su di un territorio che vede frammentare e spezzettare una parte della ricostruzione.

Un esempio, contestuale alla trattazione, per avere un’idea di ciò che si intende esporre, riporto un ordine di grandezza nel quale inquadrare il fenomeno: “Il dato è questo: se noi facciamo uguale a uno tutto quello che è stato costruito in Italia dal V secolo a.C. fino alla metà del XX secolo, quindi se poniamo l’edificato di 2500 anni, dai templi di Agrigento fino al foro Mussolini dell’Eur uguale a uno: tutto quello che è stato costruito dal 1950 ad oggi è uguale a nove”.22

Ecco perché il repentino mutamento del paesaggio domestico non è esente da conseguenze i cui risvolti sono avvertibili solo all’interno delle persone, così come spiega Vallerani: “La psicologia ambientale e la geografia umanistica sono prodighe di informazioni circa l’importanza di poter disporre di una quotidianità ambientale affidabile e riconoscibile, ove sia possibile tutelare e incoraggiare il senso di appartenenza alla comunità, nutrendosi di valori identitari, trovandovi infine valide opzioni per il tempo ricreativo in un ambiente salubre”.23

Ma come prende avvio e si manifesta questa trasformazione del territorio, da un punto di vista geografico? Quali sono le dinamiche sottese e quali le spinte più o meno carsiche?