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L’edilizia d’emergenza: dal Friuli all’Abruzzo

4.7 M.A.P e C.A.S.E

4.7.1 L’edilizia d’emergenza: dal Friuli all’Abruzzo

Come ho avuto modo di notare, e come risulta abbastanza palese, la ricostruzione degli ambiti periferici anche rispetto alle stesse frazioni, è tendenzialmente e relativamente più snella e sostenuta rispetto al processo di restauro e ricostruzione dei centri storici; anche per via della proprietà monofamiliare o bifamiliare dell’edificato. Questo processo che, a partire dal dopoguerra si è sommato alla massiccia emigrazione, ha di fatto innescato lo svuotamento dei centri storici e si ripercuote, nel suo trend, in maniera sensibile fino ai giorni nostri. Così, benché in maniera ricontestualizzata, anche nella conca aquilana si assiste ad una evoluzione nell’edificato post- sismico simile al caso friulano descritto da Nimis: “le periferie infatti risorsero più travolgenti di

174 «Ciò che manca alla megalopoli, almeno nella sua espressione di città diffusa o, più genericamente, di Enlarged city,

di città cresciuta senza forma e senza sentimento, come fosse un’unica sterminata periferia, germinata intorno a dei curoi urbani, è il senso dello spazio vivo e partecipato, della sua unità, della sua organicità, impoverita dalla perdita dei riferimenti identitari, quelli che un tempo potevano essere rappresentati dalla Piazza del Duomo di Milano o dei cuori storici delle diverse città padane, sempre più slegati dalle residenze della città diffusa e dagli stessi ritmi di vita che la megalopoli impone ai cittadini», cit. in: Turri, E., La Megalopoli padana, Marsilio, Venezia, 2004, p.24.

prima col passe-partout della ricostruzione in situ indipendentemente da ogni astratta, eventuale, residua progettualità urbanistica”.176

Ma in Friuli non sorsero nuove città, bensì “furono installati i prefabbricati per 20.000 alloggi provvisori, raggruppati in 350 villaggi”177, e grazie alla congiuntura politica178 che delegava di fatto agli enti locali il compito ed i finanziamenti per la ricostruzione, ci si limitò a seguire “le varianti di ricognizione dei piani regolatori vigenti, e passare direttamente ai piani particolareggiati”.179

Nel caso Friulano è particolarmente eloquente “l’uso dei piani particolareggiati, che non devono considerarsi strumenti ausiliari o sostitutivi dei piani regolatori generali, ma appunto strumenti esecutivi, entro limiti di tempo stabiliti”.180

Ciccozzi, in ambito di edilizia derivata dall’emergenza, mette in evidenza questo fenomeno affermando: “Così, se il progetto C.A.S.E. è stato imposto alla città con il pretesto dell’emergenza […], esso configura un embrione di sprawl181 urbano (ossia, appunto, di città disordinatamente diffusa in ambiti rurali) […]”.182

A ciò è da aggiungere che la sottolineatura del termine baracca veicola un concetto dall’accezione negativa e si corre il rischio di creare una scala di valori suscettibile di riflettere un’asimmetria nel trattamento dei terremotati. Di fatto rimane visibile il diverso approccio alla ricostruzione: i M.A.P., con tutti i loro limiti, stanno avendo il merito di mantenere la popolazione vicina ai rispettivi paesi per consentire e favorire il continuo e costante monitoraggio dei passaggi per la ricostruzione o il restauro della propria abitazione, cosa che invece il progetto C.A.S.E. difficilmente può assolvere. Non solo, come in Friuli, dove grazie alla collocazione dei prefabbricati nei pressi dei paesi colpiti “era avvenuta una immunizzazione a priori della tentazione fuorviante di intendere il terremoto come occasione propizia di chissà quali trasformazioni utopistiche […]”183, anche in Abruzzo il recupero della propria casa diventa una priorità che nemmeno il confort del progetto C.A.S.E. può sopire.

176 Nimis, P. G., Terre mobili., p.19. 177 Ibidem, p.61.

178 L’organizzazione della ricostruzione friulana si può riassumere in tra passaggi: “- Lo Stato elegge i singoli sinistrati

a depositari dei finanziamenti e delega alla Regione il compito di organizzare la spesa; - La Regione predispone la complessa casistica dei diritti al contributo dello Stato, e a sua volta delega ai Comuni la pianificazione, la progettazione e la programmazione della ricostruzione; - I Comuni inaugurano una lunga primavera di autonomia e, non disponendo di livelli inferiori delegabili di responsabilità, istituiscono la più ampia forma di partecipazione mai prima verificatasi nel paese”, cit. in: Nimis, P. G., Terre mobili, op. cit., p.54.

179 Nimis, P. G., Terre mobili, op. cit., p.61.

180 Benevolo, L., L’Italia da costruire, op. cit., p.65.

181 «Sprawl è un concetto che indica una forma di città diffusa, letteralmente “sdraiata”, in ambiti rurali e tendente ad

annullare il portato positivo della differenza tra città e campagna. Lo sprawl è causato sia da una commistione di finalità e congiunture politico-economiche che da un sistema di valori socio-culturali, e genera una fusione di luoghi differenziati in una conformazione instabile e sospesa tra fissioni identitarie interne», cfr,: Reale, L., 2008, Ingersoll, R., 2006, Ronzon, F., 2008, cit. in: Ciccozzi, A., “Catastrofe e C.A.S.E.”, in:, Il terremoto dell’Aquila, op. cit., p.17.

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Ivi.

Anche se difficilmente è pensabile, nella maggior parte dei casi, ad un ripristino del suolo e della precedente destinazione d’uso del terreno che oggi ospita le casette di legno, occorre fare attenzione, considerato che si tratta pur sempre di strutture provvisorie progettate per un ciclo di vita finito, alla futura destinazione di quei terreni; cioè bisogna fare in modo, attraverso l’applicazione di opportuni strumenti urbanistici, che quelle aree non siano il pretesto per una nuova speculazione edilizia.

Eppure a livello tecnico e progettuale esistono competenze e saperi in merito alla realizzazione di sistemi di alloggio temporanei, che hanno raggiunto un elevato grado di raffinatezza costruttiva unita ad una elevata qualità abitativa. Se l’obiettivo è la ricostruzione del paese, cioè permettere alle persone di rientrare nelle proprie case e ripristinare il più possibile l’ambiente circostante, anche in relazione alla costruzione o alla disposizione di alloggi provvisori, esistono soluzioni in grado di essere efficaci su questo piano, unendo la possibilità di non disperdere gli abitanti e di rendergli possibile la vicinanza ed il controllo della ricostruzione della propria casa, con uno sguardo complessivo al proprio borgo o paese.184 Tali costruzioni hanno in comune con gli attuali M.A.P. già presenti sui territori del cratere, la possibilità di mantenere la popolazione in situ, evitando un futuro spopolamento e anzi incentivando i residenti a prendersi cura e seguire il più da vicino possibile le varie fasi della ricostruzione. Tale esperienza deriva dagli atti di un workshop185 svolto tra Pescara e Caporciano tra il 31 maggio ed il 5 giugno del 2010 con la partecipazione di ben tredici sedi universitarie186, che hanno discusso e condiviso conoscenze, proposte e prospettive per il recupero del patrimonio edilizio esistente ed il rinnovo di quello futuro nonché di costruzioni temporanee.

Contestualmente alla realizzazione di alloggi temporanei emerge, fra gli atti del convegno, una proposta estremamente interessante: tenendo presente che gli attuali Moduli Abitativi Provvisori hanno la caratteristica (che rappresenta il problema della futura dismissione, in quanto il suolo su cui poggia si può considerare già compromesso) di poggiare su di una base solida, funzionale anche alle allacciature delle utenze e dei servizi essenziali e se l’obiettivo concerne la futura rimovibilità o reimpiego in altro sito dell’alloggio provvisorio; esistono soluzioni le quali hanno posto al centro della fase progettuale la reversibilità della costruzione e dell’insediamento. Tali strutture sono in grado, una volta terminato il ciclo di utilizzo, di ripristinare le condizioni ex ante del terreno, riducendo così l’impatto ambientale e percettivo sul territorio. Nel concreto si tratta di un modulo

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Sul piano della prassi amministrativa e dell’azione pragmatica, in questa tesi viene di seguito affrontato e analizzato un metodo di ricostruzione partecipata che si sta ponendo in essere nel comune di Fontecchio.

185 Workshop Progettuale. Idee e proposte ecosostenibili per i territori del sisma aquilano, SIT Da, DiTAC, Pescara,

Caporciano, 31/05/2010-05/06/2010.

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Pescara, Torino, Milano, Venezia, Ferrara, Firenze, Roma, Ascoli Piceno, Caserta, Napoli, Reggio Calabria, Palermo, Siracusa.

infrastrutturale presentato da due architetti e ricercatori universitari dell’Università degli Studi di

Firenze187, di forma parallelepipeda “smontabile e riutilizzabile in altre situazioni di emergenza oppure riciclabile quale parte del nuovo tessuto edilizio urbano; il sistema è concepito con criteri di modularità dimensionale ed è realizzabile con componenti prefabbricati trasportabili e assimilabili a secco. Il problema dell’habitat temporaneo è stato affrontato tenendo conto […] di un arco temporale ampio che comprende il passaggio tra l’immediata fase di emergenza abitativa e la riappropriazione degli alloggi permanenti”.188 Ho proposto l’esempio di questa possibile alternativa ai M.A.P., per dimostrare che se la volontà consiste nella riabilitazione del paese e nella volontà di mantenerne i caratteri identitari, e dell’elevato valore storico e artistico con un valenza sociale e non solo economica, anche nel campo dell’edilizia emergenziale e provvisoria, è possibile ridurre significativamente l’impatto ambientale e paesaggistico cercando di tenere ben presente le istanze essenziali di abitabilità temporanea della popolazione. Ad esempio la base su cui si ergono i M.A.P. è costituita generalmente di cemento, al fine di consentirne la stabilità di appoggio e l’allacciamento dei servizi, ma nel caso qui presentato questi particolari moduli provvisori, grazie alla loro conformazione progettuale, consentono che “l’appoggio al terreno non comporta alcuna opera definitiva e di cementificazione, poiché189 la leggerezza della costruzione consente di fondare il modulo su un suolo minimamente compatto utilizzando manufatti di uso corrente per distribuire il carico al terreno”.190

Certamente la scelta di come realizzare le strutture provvisorie tiene conto di una molteplicità di fattori tra cui i costi, il terreno su cui si interviene, la quantità da disporre e il tempo di costruzione sono fondamentali; perciò questa discussione, fatta a posteriori, potrebbe apparire decontestualizzata. Ciononostante è importante, a mio avviso, tenere presente lo sviluppo delle tecnologie da applicare a costruzioni provvisorie da inserire in contesti di disastri, proprio per evitare, lì dove possibile, l’aumento esponenziale e la frammentazione della ricostruzione, che esporrebbe nuovamente la popolazione al rischio e al verificarsi di eventi dannosi.

Dunque quale destino per i nuovi quartieri? Forse occorre pensarci già da adesso anche per far pressioni al fine di accelerare la ricostruzione del centro storico. Residenze universitarie? Case per giovani coppie? Alloggi per anziani non autosufficienti? Occorre costruire dei servizi? Occorrono nuove strade e collegamenti? Occorrono parcheggi, negozi, attività? Se ormai i nuovi quartieri sono

187 Bologna Roberto: Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Professore Associato confermato di

Tecnologia dell’Architettura, Facoltà di Architettura dell’Università degli studi di Firenze. Alessandra Cucurnia: Architetto, Dottore di Ricerca in Tecnologia dell’Architettura, Ricercatore Universitario è docente incaricato del Laboratorio di Tecnologia 1 presso il corso di Laurea Magistrale in Architettura a ciclo unico della Facoltà di Architettura dell’Università degli Studi di Firenze.

188 Forlani, M. C., (a cura di), Cultura tecnologica e progetto sostenibile. Idee e proposte ecosostenibili per i territori

del sisma aquilano, Atti del Workshop Progettuale SITdA – DiTAc, Alinea, Perugia, 2010, p.34.

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Corsivo mio.

un dato del paesaggio post-sismico, la futura destinazione e gestione è auspicabile che sia il più possibile concordata e discussa secondo i tempi e i modi della democrazia partecipativa e deliberativa, che successivamente accennerò nella tesi.

Occorre anche, secondo la mia opinione, ripensare l’idea fisica di «abitazione», in aggiunta al contesto sismico, alla luce delle esperienze di quest’ultimo terremoto. Il problema del consumo di suolo, così come l’erosione dell’identità e del radicamento nei luoghi, si potrebbe attenuare con una precisa politica per la casa che miri a ripopolare soprattutto i centri storici tramite incentivi e agevolazioni, quindi a disporre a livello comunale un documento che indichi la reale disponibilità di alloggi e appartamenti abbandonati o liberi o non più in uso, e attuare gli opportuni strumenti giuridici per renderli di nuovo abitabili al fine di evitare lo spettro di un paese fantasma che si riposiziona nelle zone di nuova urbanizzazione. Qualora la situazione lo richieda e la disponibilità di case non sia più sufficiente per i nuovi abitanti, il piano urbanistico, preventivamente discusso e concertato con la popolazione (secondo per esempio le buone pratiche inaugurate dalle esperienze inglesi del Village Design Statement che verranno puntualmente trattate nell’ultimo capitolo), potrebbe delineare un ulteriore fase urbanistica, decisamente improntata sulla sostenibilità e l’efficienza energetica, oltre che ovviamente sulla sicurezza antisismica. Per esempio nei comuni del cratere si potrebbe ripensare culturalmente, nel paese dell’uso sempre più frequente del cemento, l’idea di casa attraverso le tecniche costruttive del legno che offre già di per sé, con le nuove tecnologie assemblative, la sicurezza antisismica oltre all’efficienza energetica oggi sempre più richiesta.

Dovendo scegliere una frase per sintetizzare questo capitolo, ho scelto lo spessore e l’attualità delle parole di Martin Heidegger: “Non è che noi abitiamo perché abbiamo costruito; ma costruiamo e abbiamo costruito perché abitiamo, cioè siamo in quanto siamo gli abitanti. […]. Il costruire è già di per se stesso un abitare. […]. Solo se abbiamo la capacità di abitare, possiamo costruire”.191