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1.

-Introduzione

Queste pagine si propongono come strumento didattico per gli insegnanti che utilizzano il libro di Marcella Ciari Benvenuta, benvenuto1in un contesto educati-

vo cui partecipano allievi arabi, e si presentano come dispense relative alla parte linguistica dei corsi di formazione che, sulla base di questo testo, vengono orga- nizzati dall’Ufficio scolastico regionale per il Piemonte. A tal scopo, ho suddiviso questo scritto in due parti: nella prima si trova, accanto all’italiano, la traslittera- zione in caratteri latini del testo arabo di Benvenuti, con e senza la flessione nomi- nale – di cui la lettura di un testo arabo tiene conto solo in ambiti linguistici parti- colarmente formali, iper-corretti2. In nota, l’insegnante può trovare l’analisi dei

fenomeni linguistici che compaiono nel testo e una serie di riflessioni sugli ele- menti di contrasto e/o di analogia con la lingua italiana. Nella seconda parte si tro- vano una serie di schede che introducono sinteticamente i fondamentali aspetti della fonetica, della morfologia e della sintassi dell’arabo, e a cui rimandano molte delle note nella prima parte3.

Da oltre dieci anni, ormai, collaboro con le istituzioni scolastiche italiane come docente a corsi di formazione sulla lingua e la cultura arabe, e posso quindi testi- moniare lo sforzo e l’impegno di molti insegnanti – soprattutto della scuola del- l’obbligo – che affrontano con grande serietà il loro compito di educatori nella nuova scuola italiana che si è venuta creando. Attori in prima linea nel processo d’integrazione dei migranti, su di loro grava la responsabilità di educare alla lin- gua e alla cultura italiana classi di bambini che, sempre più spesso e in numero sempre più elevato, possiedono lingue e culture diverse. A questi insegnanti, negli anni passati, si è chiesto fin troppo: ricordo ancora perfettamente l’espressione sgomenta di una maestra che, dopo un corso di quindici lezioni sulla lingua araba che aveva fatto seguito a un altro corso altrettanto oneroso sulla lingua cinese, chiuse il quaderno e disse: “Basta, d’ora in poi, con i bambini stranieri uso soltanto l’infinito!”. In fondo, aveva ragione: non si può chiedere agli insegnanti di acqui- sire competenze comunicative in ognuna delle lingue degli allievi che hanno in classe! Ma se la scuola è l’ambito privilegiato per l’integrazione dei bambini migranti nella società italiana – di cui molti sono o saranno cittadini –, allora

occorre fornire agli insegnanti una serie di supporti didattici in grado di aiutarli a realizzare le strategie educative adatte all’inserimento di questi bambini prima di tutto nella stessa scuola e quindi nella società. Nelle pagine che seguono ho cer- cato di annotare tutto ciò che, per quanto riguarda la lingua araba in contesto di educazione all’italiano L2, può essere utile, o interessante, per gli insegnanti. Que- sto non per proporre loro attività didattiche, percorsi, insomma un “metodo”, ma perché essi possano trovarvi le informazioni necessarie ad attuare la propria didat- tica, compatibilmente alla propria formazione, all’ambiente in cui operano e alle peculiarità delle loro classi e dei singoli allievi. Alcuni potranno usarle per pro- nunziare più o meno correttamente le frasi e le parole di Benvenuti, altri per veri- ficare almeno in parte la lettura delle stesse da parte dei bambini arabofoni; qual- cuno potrà trovarvi il motivo di errori compiuti in italiano per interferenza dell’a- rabo come lingua madre; altri ancora potranno ideare e attuare confronti tra siste- mi linguistici diversi o notare le relazioni reciproche che, anche attraverso la lin- gua, hanno sempre unito i popoli del Mediterraneo, e molte altre riflessioni anco- ra, anche più prettamente linguistiche (come il genere e il numero dei nomi, i com- plementi, il verbo, ecc.). Certo, la diversità linguistica può sembrare un confine, un forte simbolo di “alterità” – tanto più accentuato quando la lingua in questione è l’arabo –, ma anche in arabo può capitare che la conoscenza di una sola parola sancisca o smentisca questa impressione; in proposito si potrebbero citare parec- chi esempi4.

In Benvenuti, le parole arabe sono tante, e spesso si combinano tra loro a formare sintagmi, frasi, brevi dialoghi. Se oltre a un po’ di lessico, qualche insegnante vuole conoscere qualcosa in più, mi auguro che quanto ho scritto possa soddisfare – e sti- molare – la sua curiosità.

2.

-La lingua araba

Senza volermi qui soffermare sulla situazione linguistica dei paesi arabi, a propo- sito della quale rimando senz’altro alle opere citate in bibliografia, ritengo importan- te stabilire almeno a grandi linee che cosa si intende per “lingua araba” e spiegare quale delle sue varianti – e perché – si trova nel testo di Benvenuti e viene qui ana- lizzata. Questo per non correre il rischio di considerare la lingua al di fuori del suo contesto socio-culturale, ovvero di prescindere dal rapporto dei bambini provenienti dall’area araba con la/le lingua/e che essi stessi, le loro famiglie e la loro gente hanno utilizzato e utilizzano per quel bisogno implicito nell’essere umano che è l’atto comu- nicativo.

L’arabo è oggi lingua ufficiale di venti paesi indipendenti5 e anche del popolo

palestinese (ovunque esso risieda, in attesa che gli venga riconosciuto il diritto a costi- tuire uno stato autonomo e sovrano) e in virtù di questa sua rappresentatività, dal 1 gennaio 1974 esso è lingua ufficiale delle Nazioni Unite insieme a cinese, francese, inglese, russo e spagnolo. Ora però, quando si parla della lingua araba, occorre innan-

(4) Sui modelli formativi nell’area araba, molte ricerche devono ancora essere condotte: soprattutto alla luce delle recen- ti riforme del sistema scolastico. Per un approccio al tema, si possono consultare le opere di Galasso, Venturini (a cura di) (2000) e Schellenbaum (a cura di) (1995).

(5) In ordine alfabetico: Algeria, Arabia Saudita, Bahrain, Egitto, Emirati Arabi Uniti, Gibbuti, Giordania, Iraq Kuwait, Libano, Libia, Marocco, Mauritania, Oman, Qatar, Siria, Somalia, Sudan, Tunisia e Yemen.

zitutto specificare che essa contraddistingue e rappresenta un’area in cui la situazio- ne linguistica è quanto mai variegata. Chiunque sia stato in questi paesi ha senz’altro avuto modo di notare, accanto all’arabo, una più che ampia diffusione di lingue occi- dentali, che nella formulazione scritta utilizzano l’alfabeto latino: soprattutto il fran- cese nell’area maghrebina e soprattutto l’inglese in Egitto e in Medio Oriente6.

Accanto a questa situazione – che caratterizza comunque molte altre aree del mondo a cominciare dall’epoca post-coloniale e fino a quella attuale della globalizzazione – va segnalata la presenza di lingue locali preesistenti alla diffusione dell’arabo stesso: è il caso delle parlate berbere in Maghreb, che sono lingua materna per una parte rile- vante della popolazione7, del curdo, lingua indoeuropea parlata da centinaia di

migliaia di persone nella zona settentrionale dell’Iraq, delle lingue bantu diffuse nel sud del Sudan, ecc8. Ma non basta: oltre a questo plurilinguismo, occorre considera-

re che quando parliamo di “lingua araba” – oggi e nel passato – non intendiamo una lingua, bensì un insieme di glosse, cioè di lingue che pur essendo in termini stretta- mente saussuriani “diverse”, hanno elementi e parentele comuni e, soprattutto, sono percepite dagli arabi come facenti parte di una sorta di unicum linguistico. Queste diverse glosse dell’arabo vanno da una variante formale, comune all’intera area araba, ben codificata, espressa in un ampio e autorevole corpus di letteratura scritta, a una serie di varianti regionali, che vengono – seppure impropriamente – chiamate “dia- letti”9, e che sono per lo più utilizzate nella loro formulazione orale (cosicché è orale

anche il ricco patrimonio letterario che esse hanno espresso nel corso del tempo). In arabo si parla di lingua fu.s.h¯a (che si legge fu.s-.h¯a), “eloquente”, per la prima, e di lin- gua ‘¯ammiyya, “comune”, per le altre. Insomma, si può dire che c’è una lingua araba ufficiale e internazionale, quella fu.s.h¯a, e ci sono molte lingue arabe ‘¯ammiyya, loca- li e regionali10. Quanto a queste ultime, se si considerano aree geografiche limitrofe,

ognuno conosce la lingua del vicino e la riconosce come “araba”: e come tale conti- nua a riconoscere le altre lingue ‘¯ammiyya che, parlate in zone molto distanti, risul- tano assai diverse dalla propria. Un marocchino e un iracheno, per esempio, parlano lingue assai diverse, difficilmente comprensibili l’uno all’altro: ma non per questo uno di loro dirà che la lingua dell’altro “non è araba” (un po’ come, in Italia, un umbro non capisce il dialetto di un pugliese, certo, ma non per questo gli negherà lo

(6) Le lingue occidentali sono spesso utilizzate in forma scritta e orale in molti e svariati settori delle società arabe, dove una parte dell’amministrazione e della scuola, del commercio, del turismo, della pubblicità, della segnaletica strada- le, degli organi di informazione, ecc. comunica quotidianamente in francese o in inglese.

(7) I berberi rappresentano oltre il 50% della popolazione in molte zone del Marocco e costituiscono circa il 25% della popolazione algerina nel suo complesso.

(8) Poiché comunque è l’arabo la lingua ufficiale dei paesi prima menzionati, tutti coloro che vi abitano hanno una sep- pur rudimentale conoscenza dell’arabo a livello orale, e la stragrande maggioranza sono decisamente bilingui: anche nel caso di comunità non-arabofone molto numerose, come quella dei berberi.

(9) La definizione è impropria perché le lingue orali non derivano tout court dalla lingua fu.s.h¯a, come il termine “dialet- to” lascerebbe intendere. Ma si tratta di una vexata quaestio di cui non ci pare necessario riferire (cfr. Cohen 1962). Si noti comunque che, considerando non tanto le varianti orali in sé, ma la percezione che di esse ha un un locutore arabo, esse vengono senz’altro percepite come forme “corrotte”, “derivate” – e dunque “dialetti” – della lingua fu¡|….

(10) All’interno di ogni paese, una parlata (in genere quella del centro urbano più importante) si afferma sulle altre ed è particolarmente diffusa. A livello inter-arabo, inoltre, alcune lingue parlate godono di un particolare prestigio: fra tutte, va segnalata la parlata del Cairo, che deve la sua notorietà al ruolo politico e culturale dell’Egitto e anche, in epoca recente, alla vasta produzione cinematografica e televisiva di questo paese. Fra le lingue orali, inoltre, alcuni tratti permettono di distinguere fra quelle mediorientali e quelle maghrebine ed è opinione diffusa presso gli arabi considerare particolarmente “corrotte” le seconde: in parte per gli innegabili influssi che le lingue berbere e il fran- cese hanno operato sulle parlate locali, in parte per un certo “snobismo” a favore degli arabi di più antiche origini, ovvero dei mediorientali.

statuto di dialetto “italiano”). Per entrambi, comunque, la lingua araba “vera”, la più autorevole, la ‘arabiyya, resta quella fu.s.h¯a: nella sua versione classica, religiosa e let- teraria, e anche in quella contemporanea, che come vedremo meglio in seguito è oggi la lingua dei mass-media e dei mezzi di comunicazione.

Per lungo tempo, nel descrivere la situazione linguistica dell’arabo si è parlato di “diglossia”, un termine introdotto alla fine dell’Ottocento da Psichari (1886) per descrivere la situazione del greco e poi utilizzato anche per l’arabo11. Oggi, però, si

preferisce usare il termine “pluriglossia”12. che è senz’altro più adatto a descrivere,

accanto all’arabo della tradizione letteraria da un lato e alle varianti regionali dall’al- tro, le situazioni linguistiche intermedie che vengono a crearsi in svariati ambiti comunicativi13. Anzi, la complessa competenza comunicativa che l’arabo (ahimé)

richiede, consiste proprio nel saper utilizzare in un unico discorso parole, espressio- ni, costrutti, frasi dell’una o dell’altra varietà linguistica, a seconda del contesto e del proprio interlocutore. Quindi, per esempio, il marocchino e l’iracheno di cui si parla- va prima, per capirsi useranno una lingua “mista” composta dal proprio dialetto, dalla lingua fu.s.h¯a, da una lingua occidentale nota a entrambi e/o da elementi di altri dialetti che, per vari motivi, essi conoscono. Oppure, per comperare il pane sotto casa, dalla negoziante che ci ha visti crescere, certo, si utilizza la parlata locale. Ma se si tratta di acquistare un computer, occorre mischiare il dialetto con termini ed espressioni della lingua occidentale, e se si vuole ottenere che il venditore abbassi il prezzo, è buona norma inserire qualche frase di auguri e benedizioni in arabo classico. O anco- ra, nelle librerie si parla in genere la lingua fu.s.h¯a contemporanea, più o meno corrot- ta da interferenze dialettali – con citazioni dal classico soprattutto se i libri sono di argomento religioso o letterario –, ma visto che un po’ tutti pensiamo i numeri nella lingua materna, quando si va alla cassa il conto viene fatto in lingua locale14. Insom-

ma, nessuna lingua e nessuna varietà di lingua può bastare a un arabo per comunica- re con tutti i suoi possibili interlocutori – neanche per quanto riguarda la comunica- zione scritta, ovvero egli sarà in grado di compilare moduli e questionari in lingua araba o in lingua occidentale, e in entrambe le lingue si esprimerà, ricorrendo nella corrispondenza personale a una lingua fu.s.h¯a tanto più “corrotta” da elementi dialet- tali quanto più intimo è il rapporto con il suo interlocutore.

In riferimento a questa situazione, Ryding (1995) ha detto che “la competenza e la performance comunicativa di un locutore arabo natio rappresentano la più elabora- ta capacità psicolinguistica contemporanea”. Una capacità, del resto, che in forma

(11) Il termine “diglossia” (in arabo izdiw¯ajiyya lughawiyya) è stato utilizzato la prima volta per l’arabo dal francese Marçais (1930) e poi ripreso dall’inglese Ferguson in un celebre saggio del 1959 in cui distingueva tra la “varietà alta (scritta)” e la “varietà bassa (orale)” di diverse lingue, fra cui l’arabo.

(12) Cfr. Dichy (1994): lo stesso autore ne propone la traduzione in arabo con il termine [ta‘addud ‘l-mal¯asin]. Holes (1995) definisce il concetto di diglossia applicato all’arabo una “iper-semplificazione fuorviante”.

(13) In “Qu’est-ce qu’un programme d’apprentissage de la competence communicative d’un locuteur arabe scolarisé?”, Dichy (1986) individua e descrive fino a otto varietà possibili di lingua araba, in base alle interferenze più o meno accentuate fra l’arabo letterario e le lingue parlate: ognuna di esse ha un ambito di utilizzo socialmente adatto, e gli arabi sono per lo più in grado di passare dall’una all’altra a seconda del contesto e del proprio interlocutore (con una serie di limitazioni, è ovvio, che tengono conto del livello di istruzione del locutore e della sua conoscenza di varian- ti orali diverse dalla propria).

(14) A questo proposito, gli autori parlano di “relazione di complementarietà organica” della lingua fu.s.h¯a con le lingue orali (Dichy, Sanagustin 2001). Si pensi inoltre a come risulta interessante l’analisi del discorso in arabo. Limitan- doci all’epoca contemporanea, si consideri per esempio il linguaggio della pubblicità, che ovviamente si modula sul target: ovvero è in lingua ‘¯ammiyya lo spot del sapone da bucato, ma è in perfetta lingua fu.s.h¯a quello degli orologi Rolex, mentre per reclamizzare i computer, in genere si usa l’inglese.

minore si ritrova anche nella nostra stessa Italia, nelle zone dove il dialetto è ancora diffuso e utilizzato a fianco o insieme all’italiano in molteplici occasioni della vita quotidiana. In effetti, noi stranieri che studiamo l’arabo proviamo una grande frustra- zione quando ci rendiamo conto che per poter comunicare dobbiamo non solo stu- diare la lingua colta e almeno un paio di varietà orali, ma anche capire come, quando e in che dosi “miscelarle”! E a questo proposito, devo dire che mi ha molto consola- ta un ingegnere di Casablanca, sposato da oltre vent’anni con una signora originaria di un paesino in provincia di Ancona, il quale mi ha confessato la sua difficoltà a comunicare con i parenti e gli amici della moglie nel corso dei suoi pur numerosi sog- giorni in Italia: “L’italiano, ormai lo conosco, perché l’ho studiato e lo pratico con mia moglie e con i nostri figli, che sono bilingui. Il dialetto del suo paese, a furia di andar- ci l’ho imparato... ma quando siamo là, mia moglie dice che non so parlare, perché uso l’uno quando sarebbe meglio usare l’altro, e non so mai mischiarli insieme come si deve! Senza contare che una volta siamo andati a trovare degli amici che abitano in provincia di Trieste: la sera andavamo al bar e si facevano quattro chiacchiere con la gente del luogo, ma quando parlavano loro, io non capivo niente!”. Nel mondo arabo, certo, questa situazione è più complessa e presenta tratti differenti15, ma trovarvi affi-

nità con quella di molte regioni italiane da cui provengono altri allievi della classe, può forse servire agli insegnanti per attuare strategie educative interculturali: anche in fatto di (socio)linguistica.

In Benvenuti – così come nelle pagine di queste dispense – viene presentata e ana- lizzata la variante cosiddetta “contemporanea”, o standard, della lingua araba fu.s.h¯a, ovve- ro la versione attuale della lingua letteraria, giuridica e liturgica dell’epoca arabo-musul- mana classica, solo in parte modificata a livello di lessico e di sintassi. Questa lingua, come già accennato, è la lingua ufficiale dei paesi arabi ed è usata dai mass-media e dai mezzi di comunicazione in genere16. In base a quanto prima abbiamo detto, dunque,

qualcuno potrebbe obiettare che sia stata preferita una lingua scritta, ufficiale, colta, alla vera lingua materna, quella orale, in cui anche nel contesto migratorio avviene la comu- nicazione nell’ambito domestico. Mi si consenta di rispondere innanzitutto con una domanda un po’ provocatoria, e come ho detto anche arbitraria: chi di noi non si stupi- rebbe all’idea di istituzioni scolastiche straniere che, all’epoca dell’emigrazione italiana, avessero presentato ai figli dei migranti il calabrese o il veneto, più che non l’italiano? Certo, non pensi l’insegnante di italiano L2 di trarre da queste pagine i riferimenti neces- sari a verificare l’interferenza della lingua materna nell’apprendimento dell’italiano da parte dei suoi allievi arabi: soprattutto se non sono stati scolarizzati nei paesi di origine e in modo particolare se provengono da un gruppo berberofono! L’ideale, è ovvio, sareb- be poter presentare la lingua fu.s.h¯a, poi a grandi linee le principali lingue orali, e anche le modalità in cui le varianti interferiscono l’una con l’altra in diverse situazioni comuni- cative... ma non si diceva prima che agli insegnanti, talvolta, si chiede troppo? In questo caso, il troppo sarebbe a dir poco esagerato.

(15) Si tenga soprattutto presente il fatto che in nessun paese e in nessun contesto sociale dell’area araba la lingua fu.s.h¯a – anche corrotta, anche “mischiata” – è lingua “materna” per qualcuno: il che rende illegittima una analogia operata tout court con l’italiano, che è lingua materna per molti di noi.

(16) Va segnalato che la lingua dei mass-media e dei mezzi di comunicazione dimostra oggi una grande tolleranza per quanto riguarda gli influssi, i calchi e i prestiti sia dalle parlate locali, sia – e soprattutto – dalle lingue occidentali (inglese e francese in testa): un fenomeno del resto assai diffuso, pur se in misura meno rilevante, anche per quanto riguarda il linguaggio dei mass-media italiani.

Del resto, se la lingua araba fu.s.h¯a non è – e non è mai stata – lingua materna per nessuno, essa può essere definita lingua madre degli arabi nella misura in cui è stata ed è utilizzata in una serie di ambiti linguistici fondamentali nella definizione dell’i- dentità (linguistica e culturale) collettiva. Un’identità composita, per definire la quale l’islam – che non è solo la religione maggioritaria fra gli arabi, ma anche il denomi- natore comune della loro storia e della loro civiltà – è senz’altro fondamentale, ma non sufficiente. In ambito islamico, la lingua araba fu.s.h¯a è la lingua del Corano e dei testi di religione e di diritto, ma anche della vita quotidiana, nella misura in cui la si ritrova nelle formule di preghiera, nell’incessante richiamo dei muezzin, e in epoca recente anche nelle trasmissioni radio-televisive a connotazione religiosa, trasmesse per molte ore al giorno dalle reti nazionali o via satellite, e nei moltissimi siti con- sultabili in internet. Senza contare che, nel mondo arabo, tutte le religioni si espri- mono in lingua fu.s.h¯a a cominciare da quella cristiana assai diffusa in diverse zone17.

Oltre a ciò, comunque, la lingua fu.s.h¯a è la lingua della poesia, la lingua nella sua