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MULTICULTURALE: LA SITUAZIONE ITALIANA

3. Un quadro italiano ancora confuso

Molti studi sottolineano la natura completamente diversa di questa nuova fase del- l’immigrazione mondiale che ha ormai coinvolto l’Italia in modo massiccio, raffron- tandola con i diversi fattori e le condizioni degli afflussi del dopoguerra dall’Europa rurale o dalle ex colonie alle grandi aree industriali. In quegli anni le motivazioni erano soprattutto l’opportunità di un lavoro stabile con l’accesso ai diritti e ai servi- zi. Questi erano governati da una selezione, ma anche premiati da concrete possibi- lità di successo e di inserimento, spesso con l’assistenza culturale ed emotiva offerta dai congiunti o dalla comunità di connazionali già installatisi nel paese d’approdo. Quelle che ieri erano considerate condizioni minime di sopravvivenza, oggi si distin- guono come un raro lusso per gli immigrati più privilegiati. I nuovi afflussi non por- tano ormai quasi più nuclei, familiari collegati tra loro da un forte senso di solidarietà e di comunità, proprio per il fatto che sono sempre più numerosi gli individui isolati, provenienti da zone disastrate, spesso poco inclini al rapporto con i propri connazio- nali, e quindi sospettosi di incontri e contatti con altri membri del proprio gruppo etnico. Queste circostanze danno da sole un’idea dell’isolamento sociale di molti stra- nieri in Italia che, per sopravvivere e per evitare una denuncia, sono disposti ad accet- tare condizioni di grave sfruttamento sul lavoro e di forte emarginazione sociale nella vita quotidiana (Melotti 1992).

Il panorama generale è frammentario e variabile da zone a zone, ma ci sono anche tendenze sociali e demografiche che sono abbastanza significative a livello naziona- le. Il quadro complessivo rappresenta una situazione ancora molto varia, ma con una forte tendenza all’isolamento individuale, alla sporadicità di contatti tra individui dello stesso gruppo etnolinguistico, e alla segregazione tra sessi diversi, soprattutto nei gruppi con la più forte osservanza della tradizione religiosa e culturale del paese d’origine. Sono queste condizioni che scoraggiano l’aggregazione di gruppi di indi- vidui attorno ad iniziative sociali comuni, per cui è difficile immaginare come negli anni a venire le attività delle associazioni, dei loro leader e di tutti gli individui di uno stesso gruppo, potranno stabilire una rete di rapporti pari a quelle oggi reperibili nelle comunità di italiani, o di altri stranieri di origine mediterranea, residenti nei paesi europei interessati dall’immigrazione nell’ultimo dopoguerra. Questo non significa, tuttavia, che non esistano importanti differenze tra i nuovi gruppi etnolinguistici in Italia: e di queste bisognerà tener conto sia per capire le difficoltà o il desiderio d’in- tegrazione da parte degli adulti, sia per valutare meglio le capacità dei figli di parte- cipare ad un’esperienza di scolarizzazione in un paese diverso da quello d’origine. Esistono tuttavia una serie di circostanze comuni che indicano con sufficiente certez- za che l’integrazione di questi gruppi incontrerà difficoltà nuove e più complesse rispetto a quelle che già conosciamo tra le comunità etniche che si sono stanziate ormai da anni sia in Europa che nelle grandi società multietniche e multiculturali d’oltreoceano (Boissevain 1976, Appel e Muysken 1987).

Una prima difficoltà è che, nonostante i livelli di educazione siano superiori a quelli degli emigrati del passato, l’emarginazione individuale e la disponibilità ad accettare condizioni di vita e di lavoro disperate mostrano una tendenza alla ricerca di soluzioni personali piuttosto che collettive. La seconda difficoltà è che questa ten- denza, combinata al diffuso fenomeno della clandestinità e del lavoro abusivo, sco- raggia i contatti tra individui dello stesso gruppo etnico; mentre addirittura tra i pro-

fughi e I rifugiati politici l’inclinazione più diffusa è quella di dimenticare il passato piuttosto che rinsaldare rapporti con altre famiglie della stessa origine nazionale. Una terza difficoltà è che i ragazzi delle nuove generazioni non hanno molte possibilità di incontrare regolarmente coetanei o altri bambini fuori del proprio gruppo familiare, sia per la dispersione etnica nel contesto urbano, sia per la scarsa inclinazione delle fami- glie a creare o a cercare delle strutture di raccolta. Un’altra ragione di disagio è la dif- ficoltà per i giovani adulti di entrare in contatto e stabilire dei rapporti amichevoli nel- l’ambito dello stesso gruppo etnico in Italia. Una conseguenza prevedibile di queste restrizioni all’evolversi di una vita di “comunità”, nel vero senso del termine (Doughty e Doughty, 1974), avrà senz’altro come effetto l’accelerazione del processo di autoi- dentificazione individuale con la cultura del nuovo paese, o addirittura un ulteriore iso- lamento di coloro che, essendo più gelosi della propria identità etnica, trovano insupe- rabile la barriera d’accesso all’ambiente e alla gente del nuovo paese. Un altro proble- ma da non escludere per alcuni gruppi è quello che si potrebbe verificare nel caso in cui le nuove generazioni si sentissero inclini all’identificazione con l’ambiente e la cultura italiana, mentre la loro nuova immagine di stranieri italianizzati – ad esempio italo-marocchini o italo-cinesi – risulterebbe poco gradita o addirittura stigmatizzata nella mentalità di una parte della popolazione locale poco preparata ad accettare un’in- tegrazione multietnica con culture miste e identità ibride. Diversamente da quanto avviene nelle grandi società multietniche, per le nuove generazioni non sembra profi- larsi invece l’altra alternativa, che è quella del rifugio dignitoso nelle tradizioni e nei valori dalla propria comunità etnica locale (Macioti e Pugliese 1994).

Un’ultima complicazione, che non faciliterà la messa a punto di interventi di edu- cazione linguistica, riguarda la dispersione degli stranieri nelle scuole, la quale riflet- te a sua volta la dispersione dei nuovi gruppi etnolinguistici nel paese che fa da con- trasto oggi con la pronunciata concentrazione nelle aree urbane degli stanziamenti degli immigrati in Europa del periodo postbellico. Ed è questa una circostanza che potrà avere conseguenze non indifferenti nella scelta di certe misure scolastiche e nel programma di educazione linguistica delle nuove generazioni che sono attuali que- stioni di esame e di dibattito nel settore ormai bene avviato in Italia dell’ educazione interculturale (Tosi 1995).

4.

Comunità etnica e competenza linguistica

Un fatto caratteristico della vecchia immigrazione, che è stato messo in eviden- za solo negli anni più recenti, è che l’attaccamento ai tradizionali valori etnici e la tendenza all’integrazione nella nuova società non sono affatto in conflitto, perché la prima circostanza è strumentale alla realizzazione della seconda. La solidità interna della comunità etnica è quindi un requisito per un’efficace integrazione, che invece diventa molto più difficile quando le famiglie di origine etnica sono disorientate e disorganizzate. Questa tendenza all’aggregazione era fenomeno diffuso in molte comunità di immigrati che si sono formate nell’immediato dopoguerra. In quegli anni, dopo che le spose e i figli riuscirono a raggiungere i lavoratori che erano stati i primi ad essere accolti nei nuovi paesi, i primi stanziamenti etnici si erano formati all’interno di ostelli e di grandi condomini-caserme. Col passare degli anni il sovraffollamento iniziale si dileguò con un graduale esodo dalle zone adibite alla

prima accoglienza: questa frattura nella concentrazione geografica venne anche faci- litata dalle diverse aspirazioni della seconda generazione, che preferiva una vita di comfort e maggior prestigio sociale alle tendenze al risparmio e alla continuità etni- ca che erano invece caratteristiche delle scelte dei genitori. Superata quindi la fase della prossimità fisica, un elemento che presto la sostituì fu la coesione all’interno della comunità che era basata sulla tradizione struttura del un nucleo familiare este- so.

La famiglia estesa, come istituzione centrale di tutte le comunità rurali, riusci- va ad offrire una serie di diritti e doveri ai suoi membri, ed era quindi in grado di mantenere i valori tradizionali e di salvaguardare allo stesso tempo un collegamen- to importante tra il presente e il futuro nella realtà vissuta dalle nuove generazioni. In pratica questo significava che ogni membro della comunità era automaticamen- te sotto la protezione di un gruppo familiare e questo meccanismo di assistenza reciproca era in grado di perpetuarsi da una generazione all’altra con più vantaggi che traumi. La ricerca scientifica più recente ha spiegato bene come questa struttu- ra tradizionale della comunità riusciva a mettere a disposizione una formidabile difesa contro gli shock culturali e lo stato di isolamento che tutti gli immigranti – sia dalle ex colonie che dal sud dell’Europa – sperimentarono nel periodo post-bel- lico una volta arrivati nei centri urbani delle zone più industrializzate dell’Europa. Nei primi anni in cui l’Europa conobbe l’immigrazione, il concetto di comunità era basato soprattutto sul concetto di prossimità fisica in uno stesso quartiere, mentre più tardi perdette la connotazione di prossimità geografica per riferirsi soprattutto a varie forme di organizzazione sociale e ai loro apporti culturali. Il più importan- te veicolo di questa transizione fu appunto l’associazionismo etnico che stabiliva e contribuiva a mantenere coesione e solidarietà all’interno del gruppo, anche oltre i confini del vicinato. Le associazioni etniche divennero dunque l’espressione della consapevolezza di appartenere a una stessa comunità, e le manifestazioni di condi- visione degli stessi valori e di una solidarietà socio-economica, contribuirono a creare una coesione interna anche più forte della religione stessa. Il confronto tra varie comunità in diversi paesi sembra far capire che quando la consapevolezza di appartenere ad una comune cultura viene rafforzata e trasmessa dalle associazioni etniche, allora la coesione culturale del gruppo può sopravvivere anche senza segre- gazione fisica. E questo dovrebbe essere una prova che si sono affermate le infra- strutture di una comunità nel vero senso del termine, perché tutti i suoi membri sono in varia misura impegnati nello sforzo collettivo di mantenere la lingua e nel tentativo sistematico di utilizzare la scuola per trasmetterla alle nuove generazioni come veicolo della propria identità e patrimonio culturale diverso (Alladina e Edwards 1991).

L’apporto dell’associazionismo e di altre infrastrutture etniche alla formazione di una vera comunità hanno quindi importanti conseguenze sia per l’educazione inter- culturale, che per l’educazione linguistica. Innanzitutto la minoranza etnica può rife- rirsi ai propri sforzi di mantenimento linguistico non come un’espressione dell’inte- resse di qualche individuo ma come un processo naturale messo in moto da tutta la comunità: come tale dovrà essere tenuto in considerazione dalla scuola locale per l’e- ducazione linguistica dei figli e da tutto il sistema di istruzione pubblica per le sue conseguenze nell’educazione interculturale di tutti. In secondo luogo, se un determi-

nato gruppo etnico è in grado di presentarsi come una vera e propria comunità, e se la competenza verbale dalle nuove generazioni è sviluppata soprattutto nella madre- lingua etnica, queste due importanti circostanze non potranno essere ignorate dalle autorità scolastiche locali. Innanzitutto dal punto di vista della comunità cittadina, la madrelingua etnica non è quindi più una lingua portata dal di fuori dagli immigrati, ma ha invece già acquisito le caratteristiche di una lingua indigena che è stata tra- smessa localmente da una generazione all’altra: e sviluppa quindi connotazioni emo- tive e culturali che marcano quotidianamente la percezione e la descrizione dell’ambiente di vita di chi è nato e cresciuto in quel paese. Inoltre, da un prospetti- va educativa, quando i ragazzi portano a scuola questa competenza verbale sviluppa- ta in una lingua diversa da quella degli altri allievi, genitori e organizzazioni nella comunità etnica potrebbero risentirsi se ad una parte così importante dell’esperienza emotiva e culturale dei figli viene negata una funzione educativa proprio da una scuo- la che si proclama attenta alla vita culturale del territorio (Rosen e Burgess 1980).

È quindi molto importante capire il rapporto tra comunità linguistica e competen- za individuale, perché la competenza nella madrelingua etnica riflette le vere aspira- zioni di una comunità etnica. Anzi la competenza linguistica dei più giovani nelle nuove generazioni è dovuta all’impegno continuato delle generazioni precedenti che si è espresso attraverso l’organizzazione di una vita di comunità fondata su associa- zioni etniche ormai adattate alle dinamiche della vita pubblica locale. Il concetto di “una madrelingua etnica completamente sviluppata”, che si sente spesso ripetuto nei paesi di vecchia immigrazione con grandi comunità multietniche è significativo e va analizzato nei diversi contesti di immigrazione. In altre parole, quando i bambini delle nuove generazioni sono in grado di sviluppare un repertorio linguistico diverso nell’ambito di una comunità etnica ben consolidata, sia la loro competenza che la loro motivazione non vanno confuse con quelle dei figli di migranti arrivati da poco da un altro paese. Proprio in vista di queste differenze il concetto di comunità, quando viene oggi applicato a stanziamenti di recente immigrazione, merita di essere esaminato attentamente sia per comprendere meglio l’infrastruttura sociale di un particolare gruppo etnico, sia per apprezzarne le conseguenze in termini di interazione culturale e linguistica (Tosi 1996).

Nel caso delle comunità più consolidate i bambini hanno sviluppato il bilinguismo a causa della transizione tra l’uso di una lingua a casa diversa da quella di scuola: ma nel loro caso è importante tener presente che la competenza nella madrelingua etnica è costruita su esperienze che vanno ben oltre l’interazione immediata e quotidiana con i genitori. Per loro esistono spesso esperienze di comunicazione in un ambiente cultural- mente diverso ma ricco di iniziative, che si è sviluppato nel nuovo paese soprattutto per merito degli sforzi di ricostruzione della comunità messi in atto dalle diverse genera- zioni precedenti. Nel secondo caso, invece, non solo gli adulti immigrati spesso non hanno a disposizione una comunità in grado di aiutarli a preservare le tradizioni lingui- stiche culturali del paese d’origine; ma la competenza nella madrelingua etnica delle nuove generazioni è spesso ristretta ad un minimo repertorio che riflette un’elementare comunicazione di spravvivenza tra genitori e figli. Anche questa distinzione dunque dovrebbe avere delle conseguenze importanti nella formulazione di politiche scolasti- che e di pedagogie differenziate sia per l’insegnamento della madrelingua etnica, sia per la scelta delle migliori pratiche per l’insegnamento della lingua nazionale.