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Insegnare in una classe multietnica vuol dire necessariamente avere a che fare con allievi il cui retroterra linguistico è molto diverso dal proprio. Le loro lingue appar- tengono spesso a famiglie linguistiche non solo lontane dall’italiano, ma anche molto diverse fra di loro. A seconda della direzione dei flussi migratori l’inventario delle lingue degli immigrati in Italia è poi destinato a modificarsi nel tempo, rendendo ancora più difficile per l’insegnante districarsi di fronte a tale varietà e diversità. Le pagine che seguono intendono fornire alcuni strumenti di base per affrontare il retro- terra linguistico dei propri allievi, cercando di offrire risposte alla seguente domanda: Che cosa è utile che l’insegnante sappia a proposito di tali lingue?

A questa domanda si potrebbe sicuramente rispondere osservando che l’efficacia dell’insegnamento di una lingua straniera non ha niente a che fare con ciò che l’inse- gnante sa delle lingue dei propri allievi. Una tale risposta sarebbe pienamente giusti- ficata da vari punti di vista, sia pratici che teorici. Prima di tutto perché non è con- cretamente possibile per un insegnante acquisire delle conoscenze su tante lingue così diverse l’una dall’altra. Più in generale è poi evidente che l’attenzione dell’insegnan- te si deve concentrare sulla lingua che sta insegnando, senza tener conto delle lingue d’origine degli allievi.

In ciò che segue tenterò di dimostrare che conoscere “qualcosa” della lingua d’o- rigine dei propri allievi può aiutare a prevedere il comportamento linguistico degli allievi stessi nel momento in cui essi apprendono l’italiano e a calibrare di conse- guenza l’insegnamento.

Alcune osservazioni basate sull’apprendimento spontaneo dell’italiano da parte di cinesi immigrati in Italia serviranno come prima esemplificazione di quali cono- scenze sulla lingua materna dei propri allievi possono essere utili per un insegnan- te. Nelle produzioni linguistiche sia di bambini che imparano l’italiano come lingua materna che di stranieri per i quali si tratta di seconda lingua vengono frequente- mente rilevate forme errate della prima persona del presente indicativo del tipo leg-

gio invece di leggo. Il fenomeno è facilmente spiegabile ipotizzando che l’appren-

dente costruisca leggio sulla base dell’analogia con altre forme del paradigma dello stesso verbo, ad esempio leggere, legge o leggiamo. Valentini (1992) ha mostrato che i cinesi che acquisiscono l’italiano, pur facendo molta fatica ad apprendere le forme del paradigma verbale, producono pochi errori del tipo leggio, se confrontati con apprendenti di lingua materna diversa dal cinese. Una plausibile spiegazione di questo comportamento si basa sulla particolare struttura linguistica del cinese, che è una lingua isolante, una lingua cioè in cui le parole hanno una conformazione molto più semplice che in italiano (vedi § 2.1). In generale, un verbo cinese ha sem- pre la stessa forma e non viene coniugato per persona, tempo e modo, così come un sostantivo non viene modificato per genere e numero. Sembra quindi che questa struttura molto semplificata delle parole del cinese influenzi anche il modo in cui i

cinesi apprendono una lingua come l’italiano. All’inizio, come è prevedibile, fanno molta fatica a coniugare un verbo e sono in generale molto più lenti rispetto ad altri apprendenti. Una volta che cominciano a usare attivamente forme diverse del para- digma di un verbo producono però relativamente pochi errori basati sull’analogia (come leggio per leggo). L’ipotesi di Valentini (1992:73-74) è che la struttura della loro lingua d’origine li costringa a imparare ciascuna forma del verbo singolarmen- te, non collegando le diverse forme tra di loro ed evitando così confusioni tra di esse1. Si osservi che saper spiegare questo fenomeno non vuol dire sapere il cinese,

nel senso di saperlo parlare, ma soltanto avere alcune nozioni generali che permet- tono di individuare una proprietà strutturale importante del cinese, come di altre lin- gue che con il cinese condividono la caratteristica di essere lingue isolanti (ad esem- pio il vietnamita).

L’esempio dei cinesi dimostra come possedere nozioni generali, ad esempio sapere che il cinese è una lingua isolante, possa aiutare l’insegnante ad analizzare e quindi a prevedere il comportamento linguistico degli allievi. Conoscenze gene- rali di questo genere verranno fornite nelle pagine che seguono, concentrando l’at- tenzione sugli strumenti elaborati da quel settore della linguistica contemporanea che va sotto il nome di tipologia linguistica. Tradizionalmente la tipologia lingui- stica si occupa di classificare le lingue per tipi strutturali, sulla base di alcune caratteristiche che, come la struttura interna delle parole, costituiscono delle pro- prietà fondamentali delle lingue stesse. In un’accezione più moderna la ricerca tipologica non si limita a classificare le lingue per tipi strutturali, ma tenta anche di mostrare correlazioni tra fenomeni linguistici, in base alle quali sia possibile sta- bilire i limiti della diversità delle lingue e produrre delle generalizzazioni sul lin- guaggio umano in generale. In questo lavoro si intenderà la tipologia nella sua accezione più tradizionale di classificazione delle lingue del mondo per tipi strut- turali che, pur avendo un minore impatto teorico, offre strumenti utili per lo studio dell’acquisizione di lingue seconde (Giacalone Ramat 1994) e quindi anche per la pratica dell’insegnamento.

Seguendo la falsariga dell’esposizione di Mioni (1998), che costituisce la fonte principale di ispirazione del presente lavoro, l’esemplificazione dei parametri tipolo- gici riguarderà le principali lingue parlate dalle popolazioni la cui presenza in Italia è attualmente più massiccia (arabo, cinese, albanese, ma anche serbo e croato, bamba- ra-malinké, wolof, ful, yoruba e tagalog)2.

Oltre alla classificazione tipologica delle lingue, che verrà trattata nel § 2, nel § 3 si forniranno alcune indicazioni generali che permettono di prendere coscienza della diversità delle lingue degli immigrati non solo dal punto di vista strutturale, ma anche da quello sociolinguistico (anche su questo si veda Mioni 1998).

(1) Per una visione complessiva dei processi di acquisizione dell’italiano da parte di cinesi si vedano ora i saggi conte- nuti in Banfi (2003).

(2) Tra le lingue citate le più “esotiche” richiedono qualche nota di commento: il wolof è parlato soprattutto in Senegal, mentre ful e bambara-malinké sono parlate sia in Senegal che in Mali. Lo yoruba è una delle lingue parlate in Nige- ria. Il tagalog è la principale lingua della comunità filippina.

Il campione trattato da Mioni (1998) non comprende lingue come il rumeno o lo spagnolo, che pur essendo parlate da ampie comunità di emigrati, mostrano un basso grado di diversità tipologica rispetto all’italiano; un confronto sulla base di parametri molto generali come quelli considerati nel § 2 risulterebbe quindi poco significativo per que- ste lingue.

1.

Tipologia linguistica e interlingua

Prima di affrontare la tipologia linguistica è opportuno discutere una questione più generale che riguarda il ruolo della lingua materna nel processo di apprendimento. L’idea che sia utile per l’insegnante avere strumenti di tipologia linguistica per tratta- re la diversità tra le lingue degli allievi si basa sul presupposto che la lingua materna influenzi in qualche modo l’acquisizione della lingua seconda o straniera. In realtà, gli studi acquisizionali basati sulla nozione di interlingua hanno dimostrato come il percorso di acquisizione mostri delle regolarità comuni a tutti gli apprendenti, indi- pendentemente dalle singole lingue di partenza. Seguendo questo approccio, l’inse- gnamento dovrebbe quindi essere calibrato sul livello di interlingua dei propri allievi, senza tenere conto delle loro lingue d’origine. D’altra parte, dopo una prima fase più radicale, in cui si tendeva a disconoscere completamente l’influenza della lingua materna, i più recenti studi sull’interlingua rivalutano il ruolo dell’interferenza dalla lingua materna confermando l’ipotesi che alcuni comportamenti linguistici degli apprendenti dipendano dalla lingua di partenza3. Nel suo complesso, il processo di

acquisizione andrà quindi visto come l’interazione tra l’interlingua e la lingua mater- na dell’apprendente.

Come esempio dell’interazione tra interlingua e lingua materna si può citare il caso dell’acquisizione della categoria grammaticale del genere (maschile/femmi- nile) in italiano da parte di apprendenti di lingue diverse4. Lo studio di Chini

(1995; ora anche in Chini, Ferraris 2003:53-64) dimostra chiaramente la presenza di caratteri comuni nelle interlingue degli apprendenti, indipendentemente dalla loro lingua materna. L’acquisizione dell’accordo di genere procede per tappe suc- cessive, che prevedono un primo stadio in cui gli apprendenti marcano la diffe- renza di genere soltanto negli articoli, prima determinativi poi indeterminativi. Successivamente la marca del genere si estende ad altre categorie grammaticali (aggettivo, participio passato) in un ordine fisso per tutti gli apprendenti, come dimostra lo schema in (a):

(a) articolo determinativo > articolo indeterminativo > aggettivo attributivo > agget- tivo predicativo > participio passato

Questa sequenza di acquisizione significa ad esempio che prima di saper accor- dare al femminile un participio passato in una forma verbale come Maria è uscita, gli apprendenti hanno appreso l’accordo tra aggettivo e nome in un sintagma nominale come La casa rossa.

La presenza di tappe comuni a tutti gli apprendenti dimostra senza dubbio la pre- senza di un sistema di interlingua, che risponde a principi cognitivi universali, indi- pendenti dalle singole lingue. D’altra parte lo studio di Chini (1995) ha dimostrato anche che esiste una scala di difficoltà acquisizionale (b), in cui la lingua materna degli apprendenti torna a giocare un ruolo importante:

(b) francese > tedesco > inglese > persiano

(3) Per una presentazione chiara e sintetica dell’evoluzione del concetto di interlingua si veda Chini (2000). Per un qua- dro generale e aggiornato degli studi sull’acquisizione dell’italiano lingua seconda in rapporto all’interlingua si veda ora Giacalone Ramat (2003).

(4) Sull’acquisizione della morfologia nel sintagma nominale si veda il contributo di Andorno in questo volume, oltre a Chini, Ferraris (2003).

Per quanto passino attraverso le stesse tappe, gli apprendenti mostrano gradi di difficoltà diversi nel percorrere tutto il processo di acquisizione. Il livello di difficoltà è connesso alla loro lingua materna, per cui i francofoni hanno minori difficoltà nel- l’acquisire il genere rispetto ad apprendenti che hanno il tedesco come lingua mater- na, che a loro volta hanno minori difficoltà degli anglofoni. Gli apprendenti di lingua materna persiana dimostrano di avere il grado massimo di difficoltà nell’acquisizio- ne del genere in italiano.

Una possibile spiegazione di questi dati viene offerta dalla tipologia linguisti- ca: il persiano condivide con altre lingue del mondo (vedi § 2.2 per altri esempi) l’assenza di una marca esplicita di genere in tutte le categorie grammaticali, com- presi i pronomi personali. È ovvio quindi che i persiani abbiano particolari diffi- coltà nell’apprendere il sistema di marcatura del genere dell’italiano. La tipologia linguistica permette anche di spiegare il comportamento degli apprendenti di lin- gua materna inglese, che dopo i persiani rappresentano il gruppo linguistico con maggiori difficoltà nell’acquisizione del genere. Anche in questo caso l’ordina- mento relativo tra francese, tedesco e inglese non è casuale, dato che l’inglese è una lingua in cui la struttura interna delle parole è molto più semplice che in tede- sco o in francese e in cui il genere è marcato nei pronomi personali di terza per- sona singolare (he ‘lui’/she ‘lei’), ma non nelle altre categorie grammaticali, come articolo, aggettivo o participio.

L’esempio sull’acquisizione del genere in italiano dimostra come facendo reagire insieme i risultati degli studi sullo sviluppo delle interlingue con alcune nozioni di base sul tipo linguistico a cui appartengono le lingue degli allievi sia possibile dar conto in modo strutturato del loro comportamento linguistico, dando all’insegnante la possibilità di prevederlo.

2.

Caratteristiche tipologiche delle principali lingue degli immigrati

in Italia

Sulla base di Mioni (1998), a cui rimando per ulteriori approfondimenti, verran- no qui considerati alcuni criteri di classificazione tipologica (tipo morfologico, espressione delle categorie morfologiche, ordine degli elementi della frase), che per- mettono di dar conto di alcune caratteristiche di base delle lingue considerate.