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La sfida di divenire arbitri della propria vita

L’ARBITRO E IL DETENUTO

L’ARBITRO DI CALCIO

L’arbitro è definito come: “Ufficiale di gara incaricato di far osservare il Regolamento tecnico e le norme federali, di giudicare i vari casi d’infrazione riscon- trati durante lo svolgimento di una competizione e di convalidarne il risultato”.

Alcuni studiosi americani hanno identificato le qua- lità necessarie di un arbitro, che sono poi usate anche per la loro valutazione. Nonostante ci siano differenze nell’arbitrare uno sport o l’altro, sono

state elencate le principali caratteristiche fonda- mentali di un arbitro che sono in comune a tutti gli sport: coerenza, capacità relazionali con il collega e con gli addetti ai lavori, determinazione, equili- brio, integrità morale, giudizio, fiducia in se stessi e sicurezza, piacere nel proprio lavoro e motivazione. Queste caratteristiche sono importanti per l’attività sportiva, ma permettono prima di tutto di migliora- re e crescere come persona. Sfidare se stessi ogni volta che si scende in campo è un ottimo sistema per combattere e vincere le proprie paure, si riceve rispetto dandolo per primi e ottenendo la fiducia delle persone coinvolte, si riconosce e si valorizzano le persone con cui interagiamo e si impara a supe- rare i molteplici problemi che si possono incontrare nella vita.

L’arbitro deve essere autorevole ma non autoritario per non inasprire i rapporti con i giocatori e allenatori e per far sì che le sue decisioni siano accettate sen- za problemi. Essi dovendo essere sempre pronti a prendere decisioni in pochissimo tempo, giudicando su quanto avviene nelle azioni di due squadre che si muovono velocemente in spazi ristretti sul campo, devono far sì che queste decisioni vengano prese con atteggiamento risoluto, dando sempre l’im- pressione di essere assolutamente certi di quello che è stato fischiato.

L’arbitro deve riconoscere fin dalle prime fasi di gioco il tipo di gara che le due squadre sono inten- zionate a impostare, con un’attenzione massima rivolta alle fasi topiche della partita, in cui esso non dovrà lasciarsi trascinare dallo stato emotivo della gara. L’attività arbitrale nel calcio è una prestazione di carattere sportivo, interessante per gli aspetti psicologici, atletici e cognitivi presentati, l’arbitro infatti deve essere sostenuto da un’eccellente con- dizione atletica, altrimenti la fatica fisica compor- terà una riduzione della qualità mentale con effetti negativi sull’abilità a decidere rapidamente. “Sono aboliti i sentimenti di viltà e paura. La peg- gior cosa che può commettere un arbitro è la paura di assumersi le proprie responsabilità”. Chi non ha coraggio di quello che fa non accettandone le con- seguenze, non ha futuro. Certamente anche l’errore fa parte del suo lavoro, deve imparare a conviverci

senza paura di fallire. Chi ha preso una decisione non deve pentirsi. Se ha sbagliato, rientra nelle regole del gioco e dell’imponderabile. Come qualsiasi gio- catore fallisce un canestro, una rete o una battu- ta, l’atleta-arbitro può sbagliare una valutazione; ognuno dovrebbe avere il diritto di sbagliare senza diventare oggetto di critiche. A questo punto può riconoscere l’errore senza però “compensare” nel tentativo di risarcire la squadra che sarebbe stata danneggiata dalla sua decisione precedente.

SKILLS DELL’ARBITRO DI CALCIO

Studi recenti hanno individuato una relazione fon- damentale tra le life skills e l’attività sportiva: prati- care un qualsiasi sport facilita l’apprendimento delle competenze interpersonali e delle abilità psico-so- ciali che fanno gestire la propria vita in modo sano e produttivo. Vari autori, infatti, hanno individuato le competenze psicologiche e le abilità mentali (o “skills mentali”) che un buon arbitro deve possedere e che devono essere implementate e favorite nei programmi di formazione: concentrazione, fiducia, capacità decisionale, capacità di reazione rapida, gestione dello stress, capacità di efficace comuni- cazione interpersonale e di autocontrollo.

Le prestazioni arbitrali sono delle performance la cui natura è fortemente condizionata dagli even- ti del gioco, i sistemi energetici e neuromuscolari non sono impegnati al loro livello massimale, poiché gli spostamenti, le velocità impiegate, la quanti- tà globale di energia spesa, risultano fortemente influenzate dai ritmi della partita, dallo sviluppo cronologico del risultato, dal tipo di gioco adottato dalle squadre, dal livello agonistico del campionato, dalla classifica delle squadre.

Diversi scienziati e arbitri esperti rilevano che le competenze psicologiche rappresentano dal 50 al 70% del successo di un arbitro, queste capacità possono essere migliorate, così come accade per quelle fisiche. Gli arbitri che sono meglio prepara- ti non sono nati con un corredo di qualità psico- logiche, ma si sono costantemente addestrati ed esercitati alla capacità di concentrarsi, di restare calmi sotto stress, di avere fiducia e sicurezza in loro stessi e avere buoni rapporti con gli altri membri

dell’organizzazione arbitrale. Per diventare grandi, gli arbitri devono sviluppare queste abilità mentali che permetteranno loro di prendere le migliori deci- sioni, per ottenere un’ottima performance in gara, per relazionarsi adeguatamente con i partecipanti all’evento sportivo ed evitare gli errori che possono danneggiare il gioco e distruggere la loro credibi- lità. La sfida che un arbitro deve superare non è quella personale contro un giocatore o contro un allenatore, ma quella contro se stesso, per cercare di superare i propri limiti formandosi come uomo e poi come sportivo.

Competenza tecnica e regolamentare

un arbitro deve conoscere bene le Regole del Gio- co, essere in buone condizioni fisiche, essere ben posizionato sul campo di gioco in ogni momento, al fine di interpretarle ed applicarle correttamente, e avere una buona intesa con gli altri membri del team arbitrale.

Comunicazione e relazioni interpersonali

sapere comunicare è una com-ponente fondamen- tale nell’arbitraggio. Gli arbitri devono essere brevi e concisi nel fornire eventuali spiegazioni, evitando lunghe discussioni; devono riuscire a esprimere le proprie decisioni arbitrali in maniera rapida e con- vinta: esitare troppo a lungo dà ai giocatori e agli allenatori un’impressione di incertezza. “Il linguag- gio del corpo è, per ogni arbitro, un mezzo essenziale per dirigere una partita”, così scrive la federazione di calcio tedesca (DFB) sul suo sito internet. Philip Furley e Geoffrey Schweizer hanno esaminato, in diversi esperimenti scientifici, il nesso tra il com- portamen-to non verbale degli arbitri e la comu- nicazione delle loro decisioni nella partita. Oltre la DFB anche FIFA, UEFA e gli stessi arbitri sottoline- ano che il linguaggio del corpo è uno strumento per control-lare una partita così come per trasmettere autorevolezza. Gli studi finora condotti mostrano che il comportamento non verbale può essere con- trollato sia consapevolmente e intenzionalmente, ma può dipendere anche dal controllo inconsapevole e indipendente. Una persona può controllare i com- por-tamenti non verbali in modo meno consapevole,

quanto più sono sotto pressione o sotto sforzo o quanto più complessa e difficile è la decisione da prendere.

Concentrazione e stress agonistici

Vernacchia definiva la concentrazione come “la pos- sibilità di eseguire un compito o una performance con un obiettivo chiaro e presente” , l’attenzio- ne, invece, è ciò che un individuo sta osservando. Quando esse sono associate, si dice che un individuo che si sta concentrando abbia la propria attenzione focalizzata in quel momento e in modo chiaro sul compito che sta svolgendo. Una volta che un atleta ha sviluppato le competenze e abilità necessarie per il gesto atletico, la loro capacità di controllare la propria attenzione, al fine di concentrarsi sulle esigenze del compito, è essenziale per l’esecuzione corretta ed efficace di queste abilità. Il giudice di gara è sottoposto agli stress agonistici che vivono tutti gli sportivi, tra cui il timore di aggressione fisica da parte di spettatori e giocatori, episodi di violenza o risse durante la gara, le contestazioni dei calciatori e dei dirigenti alle decisioni arbitrali prese, la paura di sbagliare, gli insulti e i fischi da parte del pubbli- co. Gli arbitri devono mantenere il loro auto-con- trollo in ogni momento, soprattutto quando sono

sotto pressione, quando ci sono probabilità che si verifichino ris-se, lesioni, reati e scoppi di violenza. Obiettivo primario nella gestione dello stress è di accettare le nostre reazioni, siano esse di paura, di rabbia o d’impotenza, tutti le provano e non devono essere nascoste. L’arbitro deve dotarsi di una routi- ne pre-partita che gli consenta di entrare in campo sen-tendosi pronto a gestire quell’evento sportivo.

Responsabilità e motivazione

l’arbitraggio è spesso messo in discussione a cau- sa delle varie moviole nei vari programmi televisi- vi, sul divano davanti alla TV tutti siamo capaci ad arbitrare senza errori e senza stress, ma sul cam- po di gioco, per non sbagliare bisogna avere una notevole capacità di giudizio, competenza, acutezza di sguardo e un notevole senso di responsabili-tà. Alderman e Wood riportano sette sistemi di incen- tivi/motivi che conducono le persone ad agire in un determinato modo, possono essere definiti bisogni fisiologici e innati, o primari, e quelli con-nesse ai bisogni appresi e relativi a una certa cultura o stile di vita, o secondari, di tipo psicologico-cognitivo (ide- ologie, valori etici e religiosi, modelli sociali. Anche nello sport, abbiamo motivazioni primarie (gioco e agonismo) e secondarie (affiliazione, approvazione

sociale, riconoscimenti eco-nomici e fattori psico- logici). Per gli arbitri la motivazione non può che essere una motivazione in-trinseca, essi, infatti, svolgono quest’attività non solo per guadagni, non solo per avere un ricono-scimento dagli altri, ma per il piacere di lavorare in questo contesto, di svolgere questa funzione, di essere capaci.

Auto-efficacia

la visualizzazione e l’allenamento ideomotorio per- mettono di incre-mentare l’autoefficacia e la fiducia poiché consente alle persone di attingere alle pro- prie risorse in-terne, di rafforzarle, di ancorarle e non dimenticarle; tra queste risorse può rientrare anche un arbi-traggio ben riuscito, dimostrato dal- la soddisfazione provata nel ricevere la stretta di mano con le congratulazioni da parte della squadra perdente. Gli arbitri dovrebbero possedere un senso di au-toefficacia elevata, indispensabile anche solo per il semplice fatto che l’arbitro di calcio si ritro- va da solo in un campo di calcio per condurre una partita, facendo rispettare le regole a due squa- dre com-poste di giocatori di diverse personalità, attorno ai quali gravitano allenatori, preparatori, dirigenti, sponsor, genitori, tifoserie. Per quanto detto la pressione sugli arbitri e sul loro operato è molto ele-vata e se gli stessi arbitri non avessero una sicurezza sulla loro preparazione, autorevolez- za, capaci-tà non si sentirebbero sicuri nel momento di fischiare per decretare una qualsiasi decisione.

Competenza professionale

la peculiarità dell’identità professionale dell’arbitro, così come quella dell’atleta o dell’allenatore, risiede nella possibilità di svolgere quest’attività sia a livel- lo amatoriale che a livello professionale. Pertanto essa contribuisce al conseguimento degli obiettivi generali dell’organizzazione in cui si inserisce, si connette alla necessità di garantire eleva-ti stan- dard di performance, di sviluppare ed affinare speci- fiche competenze, di maturare ambizioni di carriera, oltre che di manifestare elevati gradi di involvement e commitment, che si traducono in sentimenti di appartenenza al gruppo, in immagine positiva di sé e percezione di empowerment. La definizione

dell’arbitro come professione è condivisa da gran parte della letteratura scientifica. Proprio in virtù della sua specificità, parafrasando il titolo di uno studio di Plessner e Betsch, è pos-sibile affermare che “Refereeing in sports is supposed to be a craft, not an art”, cioè che fare l’arbitro nello sport non sia un’arte ma un mestiere. La competenza professio- nale dell’arbitro non può essere improvvisata, ma è frutto di studio, preparazione, impegno e costanza.

L’ARBITRAGGIO COME STRUMENTO TRATTAMENTALE E RIEDUCATIVO PER IL DETENUTO

Stefano Farina , in un’intervista, afferma che lo sport e il calcio sono strumenti di integrazione fra culture, di respiro internazionale, e mezzi efficaci di formazione. Con la metafora del calcio e dell’ar- bitraggio è possibile pensare alla vita e alle deci- sioni quotidiane. Tanto nella vita che di fronte ad un evento sportivo è importante studiare la situa- zione, il problema, l’evento. Preparare e prepararsi, attraverso l’allenamento, ad acquisire competenze e regole. Immaginare come sarà lo scenario e quali possano essere le conseguenze delle nostre azioni, e poi vedere e interpretare per renderci credibili e, infine, scegliere se decidere (bene o male) o non decidere. La decisione è uno dei punti centrali nella vita delle persone.

È utile fare un parallelo tra le caratteristiche che deve avere un arbitro di calcio nel suo ruolo di decisionista nel rispetto delle regole e una per- sona, giovane o adulta che sia, che si appresta ad affrontare il mondo reale, nel quale è chiamato a prendere decisioni difficili e a fare scelte coraggio- se che porteranno dei cambiamenti nella sua vita. Trasmettere il valore e l’importanza di una scelta, far capire come decidere nel modo migliore di fron- te ad un problema, comprendere la differenza tra un vincente e un perdente, il concetto di persona di successo, fornire spunti per auto-motivarsi nei momenti difficili sono le armi giuste per poter esse- re di supporto alle persone nella vita privata. Altro punto fondamentale dello sport è il sapersi rialzare dopo una sconfitta, saper perdere, l’abitudine alla sconfitta; lo sport aiuta a dimostrare che tutti ce la

possono fare e viene dimostrato quando l’ultimo in classifica vince sul primo.

Farina ancora dichiara che l’arbitraggio è un’attività unica: dà la possibilità a un giovane di provare emo- zioni forti legate alle decisioni in età che potremmo considerare prematura, di mettersi in gioco imme- diatamente e completamente in un campo di calcio, di imparare presto a decidere. Questo forma il carat- tere di chiunque e insegna a decidere velocemente anche nella vita. Ogni persona quando deve decidere una cosa importante, guarda, valuta e poi decide, proprio come fa un arbitro in un campo di calcio. Lo sport riscuote successo anche nell’ambito trat- tamentale, non solo perché fa trascorrere più velo- cemente il tempo detentivo, ma anche perché favo- risce la formazione e l’educazione tramite l’attività motoria stabile ed organizzata, condotta da per- sonale competente, formato per l’avviamento allo sport e per la creazione di figure professionali legate a vario titolo allo sport. In quest’ottica va attribuita una particolare rilevanza all’attuazione dei corsi per arbitri, giudici di gara, allenatori e istruttori tecnici organizzati a latere della normale pratica sportiva. L’obiettivo complessivo appare sempre di più quello di non limitarsi a essere fornitori di servizi sportivi,

bensì divenire soggetti in grado di svolgere un ruolo attivo nelle pratiche educative e pedagogiche attra- verso il movimento e lo sport. La sintesi può essere meglio compresa nelle parole di Don Luigi Ciotti: “Questo è l’imperativo: riconsegnare alla società una persona responsabilizzata e cosciente, capace a sua volta di restituire positività. Ciò è possibile se quella persona in carcere non si è ammalata, avvili- ta, incattivita, se davvero il territorio e le istituzioni riescono ad accogliere e ad essere comunità, non solo insieme di regole, pur necessarie”.

A partire da quanto appena enunciato e dalle carat- teristiche e peculiarità che un arbitro, di qualsiasi sport, deve possedere o implementare, è possibile ipotizzare un percorso similare per i soggetti dete- nuti, per reati gravi o lievi, o in attesa di giudizio. I soggetti detenuti frequentando un normale corso di formazione per diventare arbitri effettivi di cal- cio o calcio a 5, alla stregua di tutti i ragazzi che si avvicinano per la prima volta alla disciplina arbitrale, potranno sviluppare le stesse competenze che un arbitro effettivo deve possedere e allenare. Diventando arbitri di calcio, il detenuto acquisisce le competenze tecniche e regolamentari, si rende disponibile all’allenamento fisico, tecnico e mentale,

implementa l’autonomia di giudizio, la capacità di reazione rapida, la fiducia in se stessi, l’accettazio- ne del giudizio, la gestione dello stress, l’efficacia nella comunicazione interpersonale verbale e non verbale, la concentrazione, la capacità decisionale e la capacità di autocontrollo. Il detenuto, quindi, imparerà a portare le mente su pensieri positivi e stimolanti, a non fissarsi per un errore commesso, a sfidare se stesso per cercare di superare i propri limiti. I detenuti-arbitri apprenderanno e implemen- teranno le capacità di auto-controllo, soprattutto quando sono sotto pressione, e di gestione dello stress. L’arbitraggio dà la possibilità di imparare a decidere velocemente, anche nella vita. Essi vedran- no crescere un senso di responsabilità, indirizzata soprattutto per far sì che l’evento sportivo si svolga secondo le regole del gioco e per stabilire e mante- nere in campo un’atmosfera piacevole.

Mentre svolge le funzioni di arbitro, il detenuto sarà detentore di una funzione che attiene all’esercizio di controllo per il rispetto delle regole, all’espressione di giudizi risolutivi e alla soluzione di contenziosi. Il corso per diventare arbitro di calcio, pertanto, sot- tende un altro obiettivo, forse più importante di tutti gli altri: trasmettere l’importanza del rispetto delle regole, riconoscendone il loro valore, nel momen- to in cui il detenuto stesso ne diviene garante sul terreno di gioco.

Negli ultimi anni sono stati realizzati molti progetti di formazione per detenuti per divenire arbitri di calcio, queste opportunità riavvicinano persone che stanno vivendo un momento molto particola- re della loro esistenza a una realtà esterna che per il momento non gli appartiene, ma che anche grazie a queste iniziative, potranno sentire meno distanti. I detenuti partecipano volentieri e con interesse a questi progetti, che permettono loro di rompere la noiosa routine del carcere; prendono parte ad atti- vità formative ed educative nel rispetto delle regole e delle istituzioni, che favoriscono anche il confronto con la comunità esterna, la quale entra in carcere. Il corso di formazione per arbitri di calcio è, dunque, un ulteriore strumento trattamentale che rientra tra le attività culturali e sportive; esso favorisce il processo di risocializzazione, dando una possibilità

di guadagno economico, culturale e personale e una nuova vita, una volta fuori.

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