Arena – Seconda Arena coperta più grande d’Europa che ospita più di 21.000 persone- il livello di vigilanza si era abbassato, la gente era felice di essersi goduta lo spettacolo dell’artista internazionale Ariana Gran- de, star amata da bambini e adolescenti di tutto il mondo, che proprio quella sera aveva riempito l’arena con il “sold out”, e si apprestavano a lasciare l’arena in un clima di grande gioia e soddisfazione quando un gran boato ha colto inaspettatamente tutti quan- ti. La carneficina seguita al boato è stato qualcosa di macabro e profondamente triste in quanto tra le vittime spiccavano soprattutto bambini dagli 8 anni in su. Poche ore dopo è arrivata anche la notizia che ha confermato che si era trattato di un Attentato terroristico, gettando non solo la città di Manche- ster ma tutto il mondo in un nuovo stato di allerta.
ATTENTATI TERRORISTICI E TERRORISMO PSICOLOGICO
Molti studi si sono concentrati negli ultimi anni sul cercare di comprendere cosa si nasconda dietro le reali motivazioni e le personalità che spingono molti ragazzi ad unirsi alla rete dell’Isis.
Marchisella A. (2016) nel suo libro “Oltre la luna a Fal- luja” ha cercato di individuare quelli che sono gli obiettivi dell’Isis sulla base di ipotesi formulate sulla moltitu- dine di mappe che circolano su internet che mostrano i progetti di estensione dell’Isis che partono da tut-
to il Medio Oriente, fino a gran parte dell’Est Europa per arrivare a tutta l’Africa centro-settentrionale per ricreare un califfato islamista con l’intento di rompere definitivamente i confini accordati nel 1916 in primis da Francia e Inghilterra con cui si divisero il territorio mediorientale dopo il crollo dell’Impero Ottomano. Ma c’è anche chi afferma un’altra ipotesi ovvero quella che l’offensiva dell’Isis sia importante per i produttori di armamenti poiché sperano che attraverso essa venga incrementata la produzione di armi per le monarchie del Golfo, ma la Marchisella tende comunque a ribadire che in ogni guerra c’è sempre chi ne guadagna. Questioni aperte dunque rimangono se le motivazioni dei terroristi siano di auto-difesa o espansionistiche, di autodeterminazione popolare o di supremazia islami- ca. Gli attentati degli ultimi 6 anni puntano tutti sulla propaganda, la pubblicità e lo shock visivo, ed è pro- prio così infatti che sono riusciti ad attirare affiliati da tutto il mondo. Instagram, Facebook e Twitter sono gli strumenti più utilizzati per attirare e spaventare. Ormai anche progettare una vacanza è diventata un’attività soggetta al vaglio degli attentati, non c’è più solo la paura di volare connessa al prendere un aereo, ma è diventata paura di morire anche il solo frequentare dei locali, andare a teatro, partecipare a un evento tradi- zionale sul lungomare e nelle piazze, o ad un concerto per teenagers, tutto fa paura, tutto potrebbe essere soggetto ad attentati terroristici (Giangrande A., 2016).
Sulla base di queste motivazioni, l’attentato ter- roristico si pone come arma di massa dal duplice intento : ridurre il numero di “infedeli” e spaventare i rimanenti per piegarli alla loro volontà in un gioco macabro di resa psicologica alla loro potenza. L’arma più potente si dimostra essere il Terrori- smo di tipo psicologico, utilizzato con l’obiettivo più immediato di sostenere il morale dei suoi seguaci da un lato e demoralizzare le sue vittime, in modo tale che tutto il mondo reagisca in preda alla paura. È stato osservato che ciò che più impaurisce l’es- sere umano non è strettamente legato a ciò che ci può danneggiare, ma è strettamente correlata a livelli di copertura mediatica, ed è così che i media a volte inconsapevolmente facilitano il compito dei terroristi mettendo in scena le loro performance terrificanti: le immagini hanno importanza. La guerra psicologica dell’Isis non è solo diretta alle sue potenziali vittime ma anche a coloro che intende controllare, in questo modo obbliga i suoi seguaci a partecipare o osservare atti brutali, addestran- doli così a sentire meno empatia in modo tale da de-umanizzarsi, questa tecnica di esposizione alla violenza utilizzata dall’isisper abbassare i livelli di empatia dei suoi seguaci, nel tempo può condurre a sviluppare una psicopatologia di tipo secondario. In uno studio molto recente (AA.VV., 2015) con- dotto in Australia sulle reazioni all’estremismo è stata indotta la paura della morte la quale secondo la Teoria della Gestione del Terrore (TerrorManag-
mentTheory) può portare a modificare le convinzioni politiche. L’estremismo è un tema molto dibattuto anche dall’opinione pubblica, che anche appoggia la teoria secondo la quale le immagini più brutali come le decapitazioni e le esecuzioni dell’Isis che circolano nei social media siano alla base della radicalizzazio- ne, tuttavia non sono molto chiari ancora i processi psicologici che attivano questi processi di radicaliz- zazione originati da queste immagini, ma la TMT che tratta degli effetti inconsci dell’ansia esistenziale e della paura della morte dei comportamenti umani, ne offre una spiegazione convincente.
Ernest Becker (1973), nei suoi studi psicologici, antropologici e filosofici, sviluppò questa teoria sulla base delle sue riflessioni sulla morte e sul suo significato per l’uomo, secondo cui questi si difen- derebbe inconsciamente dalla paura della morte (cosa che per l’autore è una caratteristica istintiva e distintiva dell’essere umano) mediante l’adesione e/o la difesa alla visioni culturali per far in modo di aumentare l’autostima e il senso di appartenenza al proprio gruppo culturale, in questo modo aumenta il rifiuto verso gli stranieri, aumentano anche le atti- tudini aggressive verso gruppi esterni e aumenta il supporto verso soluzioni violente ai conflitti. Un noto psicologo israeliano, Ariel Merari, direttore del Dipartimento di Psicologia di Tel Aviv, ha condot- to uno studio per poter affermare se esista o meno una “personalità terroristica” che spinga ad uccidere se stesso e gli altri in nome di una causa politica
o religiosa, e pare che la distinzione tra terrorista suicida e terrorista non-suicida sia fondamentale. Il tratto fondamentale che caratterizza la personalità terroristica sembra essere più che altro la permea- bilità alla pressione psicologica derivante dal grup- po di appartenenza assieme a quella che Theodor W. Adorno, filosofo e sociologo tedesco fuggito dal nazismo denomina “personalità autoritaria”, ovve- ro quel tipo di personalità che tende ad imporre e nello stesso tempo ad accettare il “fascismo” sociale, tanto da non essere in grado di tollerare lo scambio di opinioni e che riconosce nell’atto coer- citivo la giusta soluzione alle situazioni di conflitto (Papadia M.,2015). Ne consegue che il giovane che viene reclutato dall’ISIS non è altro che un giovane appartenente al piccolo ghetto della città, che sot- to un meccanismo di ghettizzazione viene spinto ad abbracciare ideologie fanatiche religiose che gli assicurano vendetta per essere stato stigmatizzato.
IDENTIFICAZIONE “ECCESSIVA” CON LE VITTIME
Si è ben compreso come l’obiettivo dei terroristi sia quello di trascinare nella psicosi il mondo intero, poi- ché tutti i cittadini sono potenziali vittime, obiettivi sensibili sono diventati negli ultimi tempi soprat- tutto gli eventi dedicati ai giovani, i giovanissimi e le famiglie in modo tale da sottolineare che le nostre vite, la nostra quotidianità e le nostre libertà non saranno più quello che fino ad ora conoscevamo. I molti eventi annullati, come partite di calcio e manifestazioni, cancellazioni di treni e aerei è in effetti il risultato sperato dai terroristi che oltre a minare la nostra sicurezza vogliono gettarci in uno stato di allarme e paura perenne inducendoci a cam- biare i nostri comportamenti e le nostre abitudini. Le conseguenze delle troppe informazioni e imma-
gini che circolano sui social media, diventano quasi inevitabili, come l’aumento dell’ansia, del senso di insicurezza, di paura e della paranoia che in alcu- ni casi ha portato a fenomeni di estrema isteria ed intolleranza nei confronti delle altre persone soprattutto di etnia diversa arrivando a coniare un nuovo termine che è quello dell’islamofobia. Tutta questa esposizione porta a un processo mol- to pericoloso ed eccessivo di identificazione con le vittime che si trasforma in un eccesso di reazione emotiva a discapito dell’efficienza operativa, impe- dendo di pensare lucidamente e reagire con razio- nalità ed efficacia.
La sofferenza della vittima produce negli altri la stessa sofferenza, fino a punte estreme di immede- simazione, aumentando l’ansia e il disagio, creando così un circuito perverso che aumenta l’aggressività e la colpevolizzazione (Nivoli, 2010). Ne consegue che la gente sottoposta a eventi altamente tragici e cruenti, di cui è alle volte solo spettatrice involon- taria, inizia ad adottare atteggiamenti di chiusura non solo fisica ma anche mentale. Le reazioni vanno dall’estrema tristezza e paura, dall’ansia genera- lizzata ad ogni sirena che si sente udire per strada, fino alla chiusura vera e propria nelle proprie mura domestiche per mantenersi così lontani dalla morte, ma in questo modo anche dalla vita.
PSICOLOGIA DELL’EMERGENZA TERRORISTICA
Per prevenire il cambiamento di nostre abitudini in favore di uno stato di continuo allarme e timore, in tutta Europa e anche in Italia ormai esiste uno staff di Psicologi dell’emergenza psico-sociale che opera con interventi a supporto della popolazione in caso di situazioni di rischio o in caso di traumi seguiti a tragedie, con l’obiettivo di aiutare ad affrontare situazioni alle quali si può e si deve reagire. In effetti in molti Paesi Europei, sono state proprio le azioni terroristiche a promuovere la nascita di azioni psicosociali di emergenza data la rilevanza numerica delle vittime e l’impatto su tutta la popolazione. Nel caso specifico degli attentati terroristici, l’affermarsi della Psicologia dell’emergenza va fatta risalire agli anni ’90, dopo l’attentato terroristico della stazione metropolitana parigina di S. Michel il 25 Luglio1995.
Il modello che subito ha preso piede sullo scenario europeo relativo all’aiuto psicosociale in emergenza viene attribuito al PsychosocialWorking Group, un gruppo di lavoro sostenuto dalla Mellon Founda- tion e finalizzato a elaborare linee guida su scena- ri di impatto distruttivo come quello delle guerre. Questo modello fa riferimento a “emergenze com- plesse” ma può essere applicabile sia a scenari di pace che a quelli di guerra, in quanto è centrato sulla comunità colpita, e si fa carico di considerare contemporaneamente tre fattori fondamentali : la Capacità umana (si riferisce alla salute, al benes- sere e le abilità degli individui), l’Ecologia Sociale (connessioni e legami in una società) e la dimen- sione Cultura-Valori (diritti umani, credo politico e religioso). Questo perchè quando una comunità viene colpita, tutto il sistema ne viene coinvolto, in quanto la comunità è una realtà dinamica in con- tinuo movimento impegnata a trovare sempre un equilibrio stabile (Atrang, Ager, 2001).
Una presa in carico precoce, seppur breve, ha note- voli risultati, in quanto l’arrivo degli psicologi dell’e- mergenza sul luogo dell’evento tragico mostra l’in- teresse della comunità verso le vittime, in modo tale che tramite l’intervento, queste possano successi- vamente ricongiungersi con il resto della comunità e non sentirsi soli in balia di questi eventi altamente destabilizzanti (Sbattella, Tettamanzi, 2013).
CONCLUSIONI
Tutto il Mondo ed ora tutta l’Europa rischia ogni gior- no un numero cospicuo di morti per mano dei terro- risti, ma cosa aspettarci in Italia? In molti programmi televisivi si sente spesso dire che l’Italia grazie alle sue caratteristiche fisiche e politiche non è un Paese di interesse terroristico, eppure molti sono stati gli allarmi ricevuti in questi anni durante eventi italiani, gettando anche l’Italia in uno stato di grande timore. Nonostante l’Italia ancora non sia stata colpita fisi- camente da attacchi terroristici, si è adeguata allo spirito paranoico e ansioso di tutta Europa, dovuto alle migliaia di informazioni che circolano nei media, e ai migliaia di connazionali sparsi per il globo. L’ISIS ha iniziato una guerra che è soprattutto psicologica e i risultati si vedono ormai sulla popolazione mon-
diale, anche quindi in Paesi come il nostro che non è ancora stato attaccato in prima persona, l’unica arma in nostro favore è continuare a vivere le nostre vite non allontanandoci dall’altro visto come diverso da noi e dunque pericoloso, ma continuando a rispet- tare la propria e l’altrui cultura rimanendo uniti per combattere i terrorismo. Le soluzioni infatti dovreb- bero essere in primis quella della fiducia nel proprio Governo, seguita dall’importanza dell’ integrazione sociale, stimolando il dialogo e la convivenza che altrimenti sfocerebbe sempre in un epilogo dram- matico dove il vivere comune, multietnico e multi- culturale di uno stato moderato lascerebbe sempre il posto al conteggio delle vittime.
BIBLIOGRAFIA
• AA.VV., (2015). Sicurezza Terrorismo Società,
EDUcatt, Milano, 2015.
• Becker, E., (1973). The Denial of Death, Free Press
Paperbacks, New York, 1973.
• Giangrande, A., (2016). Profugopoli vittime e car-
nefici: quello che non si osa dire, Antonio Gian-
grande, 2016.
• Marchisella, A., (2016). Oltre la luna a Falluja,
Terrorismo internazionale: riflessioni e appro- fondimenti, Youcanprint, 2016.
• Nivoli, G., (2010). Vittimologia e Psichiatria, Edi-ermes, Milano, 2010.
• Papadia, M., (2015). Psicologia politica del Terrori-
smo: per un counseling dell’emergenza terroristi- ca, Libreriauniversitaria.it edizioni, Padova, 2015.
• Sbattella, F., Tettamanzi, M., (2013). Fondamen-
ti di Psicologia dell’emergenza, Franco Angeli,
Milano, 2013.
• Strang, A.B. &Ager, A. (2001). Building a Conceptual
Framework for PsychosocialIntervention in Com- plexEmergencies: Reporting on the work of the PsychosocialWorking Group. Paperpresented to the
ISHHR Conference, Cavtat, Croatia, June 2001. http:// www.ishhr.org/conference/articles/strang.pdf.
SITI CONSULTATI
• www.infocilento.it
• www.lametasociale.it
• www.radiocittàfujiko.it
RIASSUNTO
In un momento storico culturale in cui l’immagine è divenuta strumento portante della comunicazione, ci si interroga sull’utilizzo di questa in ambito clinico. Dall’arteterapia alla fotografia terapeutica, tutti gli utilizzi della moderna arte fotografica come comu- nicazione degli stati emotivi ed espressione del se.
PAROLE CHIAVE
Fotografia, arteterapia, fototerapia.
Negli ultimi anni si scrive e si discute molto di foto- grafia, oltre a scattarne di varie ed eventuali. Neces- sario è comprenderne le sfaccettature e utilizzarne le potenzialità. Mi pare quindi necessario esplicitare le basi dell’arteterapia e chiarire come di essa ne faccia parte la fotografia.
L’Arteterapia è una disciplina che utilizza l’espres- sione artistica come mezzo terapeutico, e ha l’o- biettivo di ottenere il recupero e la crescita della persona nella sfera emotiva, affettiva e relaziona- le. L’opera artistica è concepita come l’espressione dell’inconscio e come un derivato del processo di sublimazione degli istinti di base.
Nel XX secolo furono mossi i primi passi verso l’Ar- teterapia così com’è intesa oggi grazie a Freud e Jung e alla psicoanalisi. Dal 1950 l’Arteterapia ini- ziò ad avere un suo peso nell’appoggio/cura di sta- ti psichici disturbati divenendo terapia individuale per poi espandersi, laddove possibile, al gruppo, e orientandosi con maggior vigore verso metodi di espressione non verbale.
Margaret Naumburg, psicoanalista e seguace di Freud, considerata la fondatrice dell’Arteterapia in
America (Art Therapy), scrive: “Il processo dell’arte terapia si basa sul riconoscere che i sentimenti e i pensieri più profondi dell’uomo, derivati dall’in- conscio, raggiungono l’espressione di immagini, piuttosto che di parole”. Tali immagini esprimono i conflitti e in questa nuova veste appaiono più comprensibili, e quindi, più facilmente risolvibili. Un’altra fondatrice dell’Arteterapia è Edith Kra- mer, contemporanea della Naumburg, la quale considera l’opera d’arte come un “contenitore di emozioni” e l’atto stesso del creare come tera- peutico di per sé.
Attualmente l’Arteterapia riflette un’ampia varietà di assunti teorici che si collocano in posizioni inter- medie tra la Naumburg e la Kramer e forti influenze provengono dall’approccio umanistico, gestaltico, evolutivo e corporeo.
Questo tipo di tecnica, con risvolti terapeutici, si fonda sull’idea che l’inconscio utilizza un linguaggio fatto per lo più di rappresentazioni visivo - sim- boliche e, dunque, proprio l’uso dell’espressione artistica può permettere all’inconscio stesso di esprimersi attraverso un linguaggio fedele alla narrazione dell’Io.
Tuttavia non è così scontato e semplice allargare il campo delle arti terapie all’ambito fotografico. Molti autori ed arte-terapeuti hanno un pensiero divergente sulla fotografia, poiché essa è il risul- tato di un processo legato a stimoli esterni, mente l’arte terapia è strettamente legata a stimoli inter- ni. Krauss (1983) fa questa osservazione: “Sebbe- ne sia l’arte-terapia che la fototerapia utilizzino la metodologia della proiezione espressa tramite immagini, a prima vista parrebbe che lo facciano