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dove giunge dopo alcuni mesi come Assistente psichiatra dell’Ospedale Generale. Con Cargnello, Lorenzo Calvi intraprende un rapporto lavorativo, umano e spirituale molto particolare e profondo, che va dalla discussione sui casi clinici alla feno- menologia, dal contributo di Binswanger a quello di Husserl e non solo.

Il fare-fenomenologia che apprende attraverso la frequentazione, l’esempio e le passeggiate con Car- gnello, si affianca, sul versante milanese chefre- quenta ancora spesso, alla conoscenza del pensiero di Enzo Paci e della sua filosofia fenomenologico-e- sistenzialista(figura, quella di Paci che è stata sino all’ultimo suo giorno nel cuore dello psicopatologo milanese che afferma di avere conosciuto Husserl attraverso Paci).

A Sondrio, dove resta sino al 1971(anno in cui sitra- sferisce con la famiglia, la moglie Mariella e tre figli, a Lecco), Calvi, tra i primi a somministrare l’Imiprami- na (Tofranil), partecipa alla demanicomializzazione e si rende protagonista, insieme ai suoi infermie- ri e operatori, dell’occupazione di un’ala dismessa dell’Ospedale Generale che verrà quindi dedicata da quel momento ai ‘neurologici’ e ai rifugiati fuori- usciti dal manicomio in dismissione (i senza patria, Di Petta).

Il sodalizio con Cargnello si interrompe quando quest’ultimo sceglie di trasferirsi a Brescia per diri- gere il manicomio cittadino; siamo nei primi anni ’60 e Calvi sta scrivendo il testo sulla costituzione

dell’oggetto fobicoche lo renderà celebre tra gli psi-

chiatri italiani ed europei e che, capitato per le mani dello stesso Paci, gli aprirà ufficialmente le portedel circolomilanese dello stesso filosofo.

L’incontro con i colleghi italiani della sua generazio- ne, ovvero soprattutto con Callieri e Ballerini, ma anche con Borgna (conosciuto negli anni di studio) e Barison, nonché Basaglia e il gruppo dei filoso- fi che si occupavano anche di Salute Mentale, si approfondisce in occasione della pubblicazione sul- la rivista transalpina L’Evolution psychiatrique di un numero speciale dedicato alla scena psicopatologi- ca italiana, la cosiddetta Ecole italienne. È quindi pro- prio quella pubblicazione, alla quale partecipano, coordinati da Bruno Callieri, grande amico di Calvi,

molti altri psichiatri italiani tra cui lo stessoFranco Basaglia, che permette a Lorenzo Calvi di aprire una breccia nella tradizione e farsi conosceredai rap- presentanti della psicopatologia fenomenologica francese, tra i quali il celebre Georges Lanteri-Laura (che Calvi e famiglia frequenteranno a lungo). Con lui ed altri colleghi gira in lungo e in largo la Francia tra Parigi e Marsiglia (dove incontra Tatos- sian) e Cérisy-la-Salle in Normandia, dove conosce Minkowski, Tellenbach, Maldiney, Schotte, Kimura ed altri noti colleghi.

È proprio inoltre dalla frequentazione dell’ambiente francese e dalla presa d’atto della insufficiente e limitata comunicazione tra gli psicopatologi europei, che Lorenzo Calvi prende spunto per fondare, nel 1988, Comprendre - Archive International pourl’Anthro-

pologie et la Psychopathologie Phénoménologique, rivi-

sta che ciclostila nella sua abitazione (cento copie) e spedisce in tutta Europa insieme alla moglie, total- mente a sue spese.

Comprendre, subito accolta con grande entu- siasmo dai colleghi, ospita da subito articoli dei più autorevoli psicopatologi europei tra cui Tel- lenbach, Eng, Kuhn e Azorin e ancora oggi, che le redini sono passate in mano al Redattore Capo Gilberto Di Petta, rappresenta la voce più auto- revole e pura della fenomenologia clinica e della psicopatologia fenomenologica italiana (www. rivistacomprendre.org).

Intanto nel 1994 andava formandosi a Firenze la Società Italiana per la Psicopatologia, fondata da Arnaldo Ballerini insieme ad altri colleghi, tra cui lo stesso Calvi e Callieri, Gozzetti e altri, rappre- sentanti della seconda e terza generazione della psicopatologia fenomenologica italiana; Compren-

dre diviene naturalmente l’organo ufficiale della

Società, e aggiunge ‘et la psychopathologie’ al pro- prio nome.

Lorenzo Calvi partecipa quindi con grande gioia ed entusiasmo, da sempre convinto che il seme del- la fenomenologia dovesse essere piantato molto presto nei giovani clinici, ai seminari di Figline Val- darno, organizzati dalla stessa Società (quest’anno alla XVIIa edizione), a diverse edizioni della SOPSI e alle Giornate Psichiatriche Ascolane, non smet-

te praticamente mai di scrivere e raccoglie quindi i suoi scritti in alcune pubblicazioni oramai quasi introvabili (le monografie del 2005, 2007 Mimesis, Milano e 2013 Fioriti, Roma, nonché decine e deci- ne di contributi su raccolte di saggi e articoli).Nel 1993, unico psichiatra fenomenologo, scrisse sul “Trattato italiano di psichiatria”, riguardo l’approc- cio proprio della psicopatologia fenomenologica, da quel momento riconosciutoufficialmente dalla psichiatria italiana.

Del terzetto base della psicopatologia fenomeno- logica italiana degli ultimi quarant’anni, Ballerini, Callieri e quindi Calvi , quest’ultimo è statoil ricono- sciuto Maestro della corrente più adesa al metodo e alla lezione della fenomenologia husserliana, alla quale ha portato notevoli innovazioni tecniche che hanno lasciato e lasceranno tracce fondamentali nella pratica della fenomenologia clinica. Concetti quali la figura antropologica e la visionarietà, il lavoro e l’esercizio continuo dell’epochè, nonché una serie infinita di casi clinici analizzati con rigoroso metodo trascendentale, rappresentano alcuni dei lasciti del Calvi fenomenologo e psicopatologo che meritano di essere profondamente analizzati e che guidano ora, forse con la maggiore consapevolezza tera- peutica della nuova generazione della quale faccio parte, la pratica trascendentale della fenomeno- logia clinica.

A Firenze, ormai molti anni fa, in occasione dell’ot- tantesimo compleanno di Arnaldo Ballerini, dopo aver letto Vergine e madre. La missione di Eleonora (Comprendre XV, 2005) il primo lavoro che gli spedii per posta, Lorenzo Calvi mi disse con quella sua voce entusiasta:

“Paolo! Tu o sei fenomenologo, o sei sulla buona strada per diventarlo!”.

Avevo allora venticinque anni, ci separavano cin- quanta anni di storia e di esperienze ma ci unì, e da quel momento ne ebbi la splendente certezza e ne sentì allo stesso tempo la responsabilità (quasi quella che sento ora), una comune sensibilità vota- ta alla ricerca della cosa stessa (die Sache). Se è vero infatti che i fenomenologi applicano la propria

ricerca in tutti i campi dello scibile umano, a con- tatto con i quali cercano di descrivere i fenomeni che vengono loro incontro, è anche vero che nella clinica psicologica e psichiatrica, la cosa stessa è il paziente. La nostra cosa stessa è il paziente (Callieri e Di Petta).

Così, avevamo davvero qualcosa in comune, a parte Figline: un modo di incontrare l’altro, privo di orpelli teorici e di zavorre ideologiche. Ci univa insomma quel che ci mancava, una sospensione, un contatto profondo ma fatto di poco e di briciole, di vicinanza, di quegli stessi spiccioli ai quali Husserl chiede porre l’attenzione che meritano.

Da quella prima volta ci siamo creati una confi- denza particolare, un modo di essere insieme che prevedeva le mie domande, cui lui rispondeva bonariamente, in una maniera chiara e precisa allo stesso tempo, leggera e piena, senza lasciare mai zone troppo oscure, non illuminate dalla sua viva riflessione, leggera. Mi ha accolto sempre, ogni volta di nuovo, sempre di nuovo nella sua casa al lago, a Milano, in giro per l’Italia tra convegni e seminari, Ascoli Piceno, Roma, Firenze etc., a rifare insieme il racconto di questa fenomenologia che ci legava e ci lega.

Una fenomenologia di spirito prima che di corpo, di incertezze prima che di manuali, di ironia prima che di pesantezza e paroloni, di curiosità prima che di certezza, di visione prima che di diagnosi, di imma-

gini e vicinanza prima che di convegni e simposi, di strade, paesi e laghi prima che di cartine geografiche,

di sguardi, sorrisi e silenzi prima che di ‘amicizie’ e colleghi, di cose ovvie prima che di scoperte geniali, di banalità e modi di dire prima che di filosofie, teorie e paroloni, senza senso perché lontani dalla singola esperienza e vissuto.

La nostra fenomenologia essenziale, fenomenologia di divano prima che di cattedra.

Abbiamo raggiunto insieme, con fatica e sudore, comune voglia e curiosità, la vicinanza e sintonia propria del rapporto unico tra Allievo e Maestro, che lui avvicinava alla quella esistente tra Azorin e Mirò (1968), protagonisti il romanzo di Manlio Cancogni che mi regalò circa tre anni fa e del quale discute- vamo spesso, al quale ci riferivamo quando in pros-

simità del subliminare e degli oggetti, dei luoghi, dei ricordi fattisi fenomeni.

Curioso sino alla fine, ironico per scelta e verve e profondamente legato alla vita, all’arte e alla fami- glia (alla moglie Mariella, ai figli Giacomo, Vittoria e Andrea e ai tanti suoi cari nipoti), Lorenzo Calvi lascia una eredità immensa, fondata insieme, nelle loro anche nette differenze, ai suoi amici e compagni di strada Arnaldo Ballerini e Bruno Callieri.

Lorenzo Calvi lascia poi un grande vuoto nella psi- copatologia italiana ed europea, uno spazio vuoto che sarà impossibile riempire ma che è ora com- pito dei giovani che seguono il suo insegnamento, provare a interrogare e ricostruire, come sempre, e husserlianamente, per la prima volta.

“Curiosità, speranza e fiducia sono le qualità che il fenomenologo cerca di non perdere quando si misura nell’incontro col malato in veste di psi- chiatra. Egli si presenta come “esperto dell’eser- cizio fenomenologico” e come tale si accinge a ripercorrere i movimenti intenzionali, che hanno portato il malato alla sua situazione esistenziale. Quando il fenomenologo si limitasse a cogliere, del malato, soltanto le spontanee donazioni di senso, allora egli conferirebbe alla visione eide- tica un ruolo così esclusivo (e così escludente il suo coinvolgimento) da portarlo ad un possibile approccio estetizzante. Ma se il fenomenologo è esercitato ad ascoltare il suo personale, anche se saltuario, disagio, alcuni elementi fisiogno- mici del malato possono stimolare la sua prassi mimetica a ripresentificare il malato stesso nel- la sua coscienza, “mettendolo in scena” e quindi offrendolo, sia pure indirettamente, alla sua visio- ne eidetica. Tutto questo avviene in una temperie di grande coinvolgimento affettivo. Sono questi i motivi per cui mi sono soffermato a lungo sulla mia formazione, perché essa costituisce, oltre che un training sui generis, un modello esplicativo del percorso fenomenologico ed esistenziale, che si deve affrontare insieme a ciascun malato, fino ad arrivare a quello “strabismo”, che permette di abitare insieme il mondo della mondanità e quello della trascendenza.

Una delle frasi che il malato ci rivolge più spesso è proprio: “Mi sono accorto che...”. Mi sono accorto che mi si presentava un aspetto nuovo della realtà, un senso inaspettato, una tonalità affettiva diversa dal solito.

Senonché quella del malato non è una vocazio- ne, ma è una costrizione al riconoscimento del senso. Egli vive una situazione contraddicente sia la libertà che la speranza e la fiducia. Per lui è andata persa, o sospesa, l’evidenza naturale senza che egli né sappia né voglia né possa fruire positivamente d’una situazione dove il silenzio delle cose non è interrotto da un pacato discor- so del senso, ma è lacerato da stridori, richia- mi, minacce. E non sto parlando, si badi bene, di allucinazioni acustiche, bensì dei clamori o dei sussurri metaforici, che sgorgano da una realtà attraversata da percorsi di senso, che imprigio- nano e stordiscono.

Abituato com’è ad ascoltare il discorso delle cose, il fenomenologo si ritrova avvantaggiato nell’inse- rirsi nel discorso che avvolge il malato. Egli pratica l’ascolto partecipante per dargli la sensazione della vicinanza emotiva e interviene con la parafrasi per dargli la sensazione della vicinanza ideativa. Così il malato finisce di sentirsi solo e sente il calore della comprensione”

(tratto da Lorenzo Calvi, Fenomenologia è psicote- rapia, Comprendre X, 2000)

Grazie ancora di tutto, Maestro. Grazie della vici- nanza e delle parole, della visione. Della vita e del- la speranza, della condivisione e della luce, del tuo esempio di pace e stile di fronte alla fine.

Libero dal peso, dal respiro stanco, sei immagine e ricordo, sei libertà e utopia, sei modello e para- digma. Siamo tutti più soli. Ci resta la tua voce, tuo ultimo grande dono.

Addio Maestro caro, tuo Paolo.

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RIASSUNTO

Sono molti anni ormai che viviamo costantemente invasi dalla paura, paura totalmente giustificata dal fatto che non appena si abbassa un po’ la guardia ecco che un nuovo attacco terroristico arriva a deva- stare la vita di molte persone compiendo vittime di tutte le età, le religioni e lo stato sociale. Nessuno viene risparmiato, in quanto vittime non sono solo coloro a quali brutalmente e immotivatamente vie- ne strappata la vita ma lo siamo tutti noi poiché la guerra dell’Isis è anche una guerra psicologica volta a disseminare panico e chiusura.

PAROLE CHIAVE

Attentati terroristici, Isis, Terrorismo psicologico, Manchester Arena, identificazione con la vittima.

PREMESSA

Il presentearticolo nasce dalla mia esperienza per- sonale vissuta durante la mia permanenza a Man- chester, durante la quale mi sono trovata ad affron- tare questa terribile esperienza che ormai da molti anni accompagna la vita di tutti noi caratterizzata da terrore e paura: gli attacchi terroristici compiuti per mano degli uomini dell’Isis.

Trovarsi a vivere in una città dove milioni di persone da ogni parte del mondo ogni giorno arrivano per cercare un futuro migliore, respirare la multiculturalità e la

multietnicità che fa sentire liberi di potersi esprime- re e sognare la propria strada nel mondo, affrontare con gioia le differenze culturali e le sfide giornaliere dovute ad una lingua diversa e a uno stile di vita dif- ferente, amalgamarsi con questa città cosmopolita stringendo amicizie sulla base degli aspetti in comune e non sulle differenze religiose, di colore della pelle e culturali, ti lascia ben distante dal pensiero che c’è chi potrebbe approfittarsi di questa unione per usarla come arma, perché sono proprio le città come queste ad attirare la malvagità dell’Isis. Ed ecco che ad un tratto mentre ognuno sta conducendo la propria vita si sparge a macchia d’olio il panico in città, inizialmente non sai cosa stia accadendo, sei solo frastornato da rumore di elicotteri e suoni di sirene che invadono tutto intorno a te, e in principio pensi che si è trattato di un incidente o qualcosa di triste con cui da sempre siamo abituati a convivere, ma che egoisticamente non ci riguarda, ma quando si prende coscienza che si è trattato di un attentato terroristico non si può più far finta che non riguardi anche noi, e così lo scorso 22 Maggio 2017 alle 22.35 (ore inglesi) anche Man- chester è stata invasa dal terrore e io ero presente a pochi centinaia di metri dal luogo dell’evento funesto. L’attacco terroristico è stato vile, inaspettato e mali- gnamente premeditato, poiché il kamikaze ha scelto il momento più improbabile della serata per compiere l’efferatezza. A quell’ora all’uscita dalla Manchester

Dott.ssa Mariagiada Angiolelli

Psicologa Clinica

Rassegna e approfondimenti tematici

ISIS e Terrorismo

psicologico