sul Cliente
IL SETTING NELLA TERAPIA CENTRATA SUL CLIENTE
La Terapia Centrata sul Cliente fu fondata da Carl Rogers, uno fra i principali esponenti della psico- logia umanistica, in seguito all’ingente studio che egli condusse sulla personalità umana e sui processi di cambiamento terapeutici a partire dagli anni ’40 del ventesimo secolo.
L’approccio centrato sulla persona, partendo da basi epistemologiche di tipo fenomenologico, pone l’accento sul processo di co-costruzione sociale della realtà e, di conseguenza, del setting. Per il principio di Heisenberg, infatti, l’osservatore e gli strumenti che egli usa per la sua osservazione, interagiscono con il fenomeno osservato e lo co-costruiscono. La realtà è socialmente costruita sia che si tratti di quella costruita nell’ambito di una cultura o all’interno di una relazione terapeutica (Berger, Luckman 1968).
Secondo questa visione, quindi, nei paradigmi terapeutici, a prescindere dalla consapevolezza o meno da parte dei fondatori dei vari approcci e dei professionisti che li mettono in atto disegnando e gestendo i vari setting, sarebbe operante lo stesso processo di costruzione sociale della realtà. La relazione psicoterapeutica è un legame sociale diverso da tutti quelli che il cliente ha potuto sperimentare e ciò che ne garantisce tale diversità risiede nel setting.
Parte fondamentale della costruzione del setting orientato rogersianamente risiede già nel nome con cui la persona che si rivolge al professionista viene designata. Per questo, costituisce una specifica costruzione della realtà quella che assegna il ruolo di paziente a un cittadino utente di servizi psicoterapici, il quale diviene così oggetto di diagnosi e cura; questa costruzione si differenzia da quella che lo definisce cliente e che offre un processo di cambiamento attraverso strategie di empowerment. Come sostenuto da Zucconi e Powell:
«la pratica medica moderna è strutturata secondo una gerarchia che vede il medico al vertice della scala, al di sopra degli altri professionisti della salute, con il
paziente al livello più basso. Una realtà così articolata comporta necessariamente una mancanza di potere del paziente. Se ne comprendono immediatamente le conseguenze se si esamina il significato della parola paziente e dei suoi sinonimi: sottomesso, calmo, remissivo, che patisce sofferenze. Indubbiamente ciò può determinare come effetto collaterale dell’attuale pratica medica una sorta di “annullamento della persona”» (Zucconi, Powell, 2003, p. 31).
Pur essendoci dei momenti privilegiati in cui il terapeuta esprime verbalmente le regole del setting (generalmente alla fine del primo o dei primi colloqui, in cui si comunica al cliente la possibilità di presa in carico da parte del terapeuta), la definizione
dei vari aspetti legati al setting avviene nel corso dell’intero processo terapeutico. Infatti non solo il processo terapeutico è co-costruito da entrambi, ma in alcuni aspetti anche il setting è una costru- zione reciproca che evolve, come del resto evolve la relazione ed il processo terapeutico.
Nell’ottica fenomenologica rogersiana, solo un setting soggettivato consente al terapeuta uno spazio di libertà esperienziale e di apertura all’altro, salvaguardando e garantendo sia l’attualità e la verità dell’incontro, sia la coerenza con il progetto. Così inteso, il setting, oltre che rappresentare ciò che il terapeuta è disposto a mettere in gioco di sé, del suo modo di essere, diviene anche espres-
sione della responsabilità che egli si assume nella relazione con il suo cliente.
Il cliente ha bisogno di poter divenire cittadino di una nuova realtà, una nuova narrativa relazionale che contenga norme di appartenenza più sane, ma anche più libere di quelle già esperite e agite, che gli consentano di accettare con consapevolezza il significato del setting e della sua avventura psicoterapeutica (Greggio, Zucconi, 2009). Il setting, nella sua accezione più ampia, è costituito da tutti gli aspetti della relazione psicoterapeutica e da tutto quello che accade tra psicoterapeuta e cliente. Perciò non solo il ritmo delle sedute e la sua contrattualità relativa, ma anche la persona dello psicoterapeuta e le sue capacità di rispetto profondo, ascolto empatico, congruenza e traspa- renza costituiscono la base solida, il contenimento e il limite, nonché lo spazio per una relazione che offra sicurezza, continuità e libertà di esplorazione. Il setting è indispensabile per facilitare la costruzione di un rapporto in cui si realizza la più ampia libertà espressiva possibile. Qualsiasi regola o strategia perde il suo potere trasformativo quando è interiorizzata in modo rigido, rendendo il terapeuta incapace, così, di utilizzarla a partire dal suo modo di essere e dalle sua profonda convinzione. Essa diviene una prigione, mentre ogni strategia deve essere considerata come figlia di ogni incontro e di ogni autentica condivisione (Carotenuto, 1980). Il concetto di libertà, tuttavia, può dare adito ad interpretazioni non del tutto corrette di come questo tipo di setting possa declinarsi.
Prendendo forma nella specifica relazione terapeutica fra i due individui, essendo co-costruito (al di là di alcuni elementi che, in quanto “pareti” del nostro contenitore, devono rimanere stabili e costanti per poter svolgere la loro funzione), non è possibile considerare il setting centrato sul cliente come qualcosa di immutabile, costante e rigido, ma piuttosto come un qualcosa che evolve così come evolve il processo e va correlato all’assetto mentale del terapeuta e alla sua personalità.
A tal proposito, lo stesso Rogers spende alcune parole nel tentativo di declinare meglio i concetti di libertà e non artificialità del setting:
«Può sembrare che l’idea di stabilire certi limiti precisi nella situazione terapeutica sia un procedimento artificiale e non necessario. Niente potrebbe essere più lontano dalla verità. Ogni situazione di counselling deve avere dei limiti, come hanno scoperto con dispiacere molti terapeuti dilettanti (...) L’unica questione consiste nel chiarire se questi limiti possano essere precisi, definiti, e utilmente impiegati o se può invece accadere che l’individuo, in un momento di grande bisogno, li avverta improvvisamente come barriere erette dinanzi a sé (...)Le limitazioni permettono al consultore di sentirsi più a suo agio e di adottare misure più efficaci. Creano una struttura entro la quale lo psicologo può essere libero e spontaneo nei suoi contatti con il soggetto»
(Rogers, 1942, p.92).
Quando il rapporto è male impostato, secondo l’Autore, c’è sempre il rischio che l’individuo faccia delle richieste troppo pesanti al terapeuta, col risultato che quest’ultimo inconsapevolmente si pone sulla difensiva, in guardia, per paura che il suo stesso desiderio di aiutare possa intrappolarlo. Ma se egli chiaramente comprende le limitazioni della sua funzione, può abbandonare tale posizione ed essere più sensibile ai bisogni e ai sentimenti del soggetto, giocando quindi un ruolo stabile in base al quale l’individuo sia in grado di riorganizzarsi. Allora il senso e significato profondo del setting risiedono proprio nella possibilità di sperimentare libertà nella sua costruzione a fronte di una sicurezza data dai suoi elementi stabili nel tempo. Accoglienza e libertà sono ancorate a limiti precisi che impediscono il realizzarsi di una condizione di eccessiva dipendenza. «Mettere dei limiti permette
allo stesso tempo di creare degli spazi» (Greggio,
Zucconi, 2009, p. 345).
La caratteristica principale del setting rimane la stabilità (quella cornice che non muta, che consente lo sviluppo del processo terapeutico) che va vista nei termini di una lucida chiarezza e consapevolezza da parte del terapeuta sulle due dimensioni principali del setting: il setting mentale o interno e il setting esterno materiale e relazionale.
Essendo la terapia centrata sul cliente focalizzata sull’accrescimento delle capacità di autodeter-
minazione, empowerment e sullo sviluppo delle tendenze autoattualizzanti degli individui, lo scopo del terapeuta rogersiano è quello di costruire un setting per facilitare al massimo lo sviluppo delle potenzialità del cliente attraverso una relazione paritetica che sia permeata dalle tre condizioni fondamentali della terapia e messe in atto dal terapeuta: accettazione positiva incondizionata, empatia e congruenza (Rogers, 1961). Esse costi- tuiscono il setting mentale del terapeuta; una loro maggiore trattazione verrà fornita in seguito.