A chi non si fosse mai addentrato sia nel fe- nomeno monastico occidentale che orientale si vuole ricordare che entrambi sono fi gli del movimento eremitico che nasce e si svilup- pa nell’Oriente siriaco ed in Africa per tra- sformarsi in forme cenobitiche nella Tebaide egiziana alle soglie del IV secolo. Si passa, quindi, da una vita di totale solitudine ad ag- gregazioni comunitarie ritenute consone a fa- vorire una più corretta pratica del cammino ascetico. Questi brevi cenni solo per sotto- lineare che i due grandi percorsi monastici, latino e greco, hanno origine e si espandono attorno al Mediterraneo e che le prime forme di organizzazione spaziale e di sussistenza economica di quelle che in seguito divente- ranno le abbazie, sono già delineate nei nu- clei insediativi abitati dai Padri del deserto. Se tutto ciò riguardasse questioni esclusiva- mente attinenti all’espansione di pensiero della cristianità, come per troppo tempo è av- venuto, questo argomento non avrebbe titolo per appartenere all’ambito degli studi sull’ar- chitettura e il territorio: diversamente, basti citare Basilio il Grande e Benedetto da Nor- cia, ritenuti rispettivamente i capostipiti del monachesimo greco-orientale ed occidentale, per trovarsi immediatamente di fronte alla fondazione e costruzione della città cappado- ce della Basiliade e del primo monastero di Montecassino.In questa sede non si vuole en- trare in merito alla presenza basiliana in Pu-
glia, Basilicata, Calabria, Sardegna, presenza costituita da monaci e popolazioni in fuga dal Vicino Oriente a causa delle lotte iconoclaste e dell’avanzata dell’Islam, popolazioni alla ricerca di territori in cui ricostituire il tipo di vita proprio dei luoghi di origine, vita forte- mente segnata dal pensiero della cristianità greco-orientale. Tale cultura trasforma nuclei trogloditi in strutture ipogee in cui il sapere, la conoscenza, l’arte “esportata” produce ar- chitetture, insediamenti, disegno di paesaggi, che si interfacciano e trovano continue ana- logie con paesi come Grecia, Turchia, Siria. Il processo di latinizzazione voluto dal pa- pato sostituirà, in seguito, quasi totalmente Basiliani con Benedettini, che andranno ad abitare monasteri, celle, fattorie, e che as- sommeranno alla cultura precedente nuove conoscenze.Se questo fenomeno produce la quasi totale cancellazione della famiglia mo- nastica greco-orientale in Italia, diversamen- te non ha gli stessi effetti per l’architettura, gli insediamenti, le città, l’arte, la struttura e la gestione dei territori perché già fortemente radicati nelle realtà locali.Molto, molto sin- teticamente si può ricordare che alla caduta dell’impero romano vanno ad interconnet- tersi una miriade di aspetti negativi sul piano politico, economico, sociale. Si dissolve la struttura civile, militare, di difesa e di gover- no delle città e dei territori: viene a mancare la manutenzione ed il controllo della viabi- lità, non si difendono più porti e coste, si ha il ritorno delle paludi nelle pianure dove la centuriazione agraria era stata determinante per la creazione di un sistema economico fi o- rente. Ciò porta con sé instabilità, insicurez- za, povertà, mentre molti popoli entrano nelle
nostre regioni soprattutto e non solo nell’idea che conquistando Roma si fosse legittimati ad avere potere su ciò che rimaneva dell’Impe- ro.La cristianità va affermandosi inizialmente nelle città e molto più lentamente nelle zone rurali ed è proprio in questi territori che na- sce e si sviluppa il fenomeno cenobitico che vedrà emergere fra tutti quello benedettino. Benedetto da Norcia, considerato il fondatore del monachesimo occidentale, costituisce un elemento singolare e di grande innovazione non semplicemente sul piano religioso ma ri- spetto a questioni culturali, sociali, politiche, economiche che costituiranno i primi fonda- menti su cui si rifonderà una società ormai fortemente disgregata. A tal proposito, senza entrare nell’enorme dibattito intorno alla fi - gura di Benedetto, si vogliono riprendere al- cuni aspetti utili al nostro ragionare:
− nell’ istituzione dell’Ordine ha come rife- rimento soprattutto Basilio ed Agostino e ciò andrebbe a testimoniare quanto il monache- simo occidentale debba a quello orientale ed africano;
− nell’azione culturale, religiosa, politica e sociale è “fi glio”di Agostino che attraverso il “De civitate Dei” dimostra che la cristianità non debba essere legata alle strutture politi- che terrene e che, quindi, neppure la caduta dell’impero cristiano può determinare la fi ne del tempo e della società. Questo pensiero, infatti, ridarà senso alla pensabilità del futuro andando a ribaltare l’atteggiamento di scon- fi tta e di abbandono che aveva pervaso gli uo- mini del tempo;
− nel formulare la regola della vita
monastica, Benedetto, con una visione sere- na della quotidianità, introduce anche tutta
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una serie di prescrizioni minuziose riguardo all’organizzazione spaziale del convento, ne defi nisce localizzazioni, parti e funzioni tanto da costituire nel territorio una struttura au- tarchica, sempre in rapporto con il contesto umano e politico. Ad esempio, per la stessa abbazia di Montecassino che, nell’impianto primigenio, è arrivata a noi solo attraverso ipotesi, sembra abbia scelto questo luogo, in accordo con il papato, per costituire presidio di controllo e di difesa nei rapporti tra Roma e il Meridione d’Italia.Inoltre, l’”ora et labora” quale sintesi del pensiero benedettino risulta essere un vero e proprio sconvolgimento nel- la società del tempo: Benedetto pone la pre- ghiera sullo stesso piano del lavoro e questo deve essere fatto bene per compiacere a Dio. L’operosità benedettina diventerà il moltipli- catore della rete delle abbazie; nel Medioe- vo sarà poi assunta e fortemente strutturata all’atto della riforma dell’Ordine.Nel 910 nella Borgogna meridionale viene fondata l’abbazia di Cluny, nell’ambito del monache- simo occidentale si avverte già la necessità di ritornare ad un’osservanza più rigida della “Regola di San Benedetto”, nel tentativo di rivitalizzare la vita monastica ed invertire il processo di decadenza che interessa i cenobi benedettini. Nonostante l’impegno di abati straordinari (Bernone, Oddone, Ugo e Pietro il Venerabile), l’osservanza e la sottomissio- ne alla “Regola”, il rigore spirituale e degli apparati legislativi e giuridici, l’esperienza cluniacense non riesce da sola a mutare gli eventi. Anzi, nelle oltre trecento abbazie clu- niacensi d’Europa, ognuna delle quali diret- tamente sottomessa a Cluny, si verifi ca un prolungarsi dei momenti liturgici nella vita
quotidiana del monaco e una corrisponden- te diminuzione del tempo destinato al lavoro manuale, ormai ridotto solo ad alcune prati- che formali e simboliche. Man mano che la liturgia e la musica prendono importanza, le stesse attenzioni sono rivolte dai monaci ai paramenti, agli arredi sacri, alle decorazioni ed alle architetture abbaziali.
Se tali questioni suscitano malcontento all’interno della gran parte del sistema mona- stico, la ricchezza dei cenobi, la potenza po- litica degli abati e le troppe ingerenze esterne nella vita del chiostro, rendono la spirituali- tà di Cluny nettamente contraria agli ideali cenobitici del deserto. Al di là delle errate valutazioni sulla “decadenza” cluniacense e delle generiche e semplicistiche conclusioni a cui tradizionalmente sono giunti gli studiosi e storici del monachesimo medievale, si può però affermare che, sulla base di complesse motivazioni politiche e sociali, è ancora una volta la necessità di un ritorno alle origini che porta alla nascita di nuovi movimenti mona- stici. A partire dall’XI secolo, prendono ori- gine dalla matrice benedettina svariati Ordini monastici: Certosini, Premostratensi, e Ci- stercensi in Francia; Camaldolesi e Vallom- brosani in Toscana. In realtà, alla fi nalità ini- ziale caratterizzata dalla necessità di ritornare ad un’osservanza integrale della spiritualità benedettina e ad un maggiore equilibrio fra le componenti principali –ora et labora- si af- fi anca ben presto un ruolo diretto ad un’attiva politica nel territorio, diventandone i prota- gonisti nella gestione amministrativa ed eco- nomica. Anche se fortemente relazionati con la Chiesa e l’Impero, i Cistercensi, a differen- za degli altri Ordini agiscono in modo auto-
nomo sviluppando proprie politiche che ben si connettono con le realtà locali e sovrana- zionali. Un altro elemento di innovazione che li contraddistingue è il “modus operandi” nel perseguire tale scopo: elaborano un singola- re codice giuridico, la “Charta Caritatis”, in- sieme ad altri documenti tra cui l’”Exordium Parvum” e le “Constitutiones”, attraverso i quali si dotano di singolari “istituti”, miglio-
rando quelli esistenti e creandone di nuovi1:
− il Capitolo Generale degli abati di tutte le fondazioni cistercensi;
− il rapporto di fi liazione tra le abbazie; − la grangia monastica per il governo del patrimonio fondiario annesso al complesso abbaziale, dove signifi cativi diventano il ruo- lo e la fi gura dei conversi.
Per prima cosa è utile l’analisi dell’istituto del Capitolo Generale: si tratta sicuramente di una delle principali innovazioni introdotte dai Cistercensi che, se da un lato sottolinea l’impegno dell’Ordine rispetto alla necessità della centralizzazione, dall’altro ne ricalca il carattere e la portata internazionale.
In sostanza, gli abati di tutte le abbazie cister- censi sono tenuti a partecipare, con cadenza re- golare, alle assemblee che si svolgono a Cite- aux, abbazia madre dell’Ordine, per discutere, decidere e deliberare su questioni di carattere spirituale, politico, economico, oltre che per affrontare problemi ed attuare strategie comu- ni. L’assemblea degli abati cistercensi consen- te pure uno scambio di conoscenze e saperi su questioni architettoniche, tecniche e dell’am- bito agrario. Garantisce, inoltre, formazione continua ed aggiornamento costante a monaci e conversi negli ambiti più svariati, esperienze che vengono poi trasferite alle popolazioni con
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cui si relazionano. L’importanza del Capitolo Generale è tale che già papa Innocenzo III, al Concilio Lateranense IV del 1215, applica il modello cistercense come istituto obbligatorio per tutte le esperienze monastiche della cristia- nità occidentale2.Altro innovativo istituto, che
defi nisce ulteriormente il sistema centralistico dell’Ordine è il rapporto di fi liazione, ovvero il legame che si genera tra abbazia “madre” e “fi glia”. Se l’Ordine cistercense si afferma rapidamente in tutta Europa riuscendo comun- que a mantenere unità spirituale, compattezza in campo economico e coesione a livello po- litico e gestionale, ciò si deve proprio alla va- lenza degli istituti così strutturati. I Cistercensi si diffondono in tutta Europa secondo cinque “famiglie” principali, facenti riferimento ad altrettante abbazie madri dell’Ordine (Citeaux,
Clairvaux, Morimond, Pontigny, La Fertè)3.A
tal proposito, per meglio comprendere quan- to detto fi nora, si può fare riferimento al caso dell’abbazia cistercense di San Galgano ed al suo specifi co sistema di abbazie madri e rela- tive fi liazioni:
In sostanza, il cenobio di San Galgano in Val di Merse, fondato ex-novo alla fi ne del XIII secolo, appartiene alla linea di Clairvaux, abbazia madre che ha fondato Casamari; da quest’ultima trae origine San Galgano, a sua volta matrice di svariate fi liazioni4. Dalla Val
di Merse, ad esempio, si sposta un gruppo di monaci (secondo la “Regola” dodici, in realtà numero simbolico più che reale) che prende in gestione nel 1236 il cenobio benedettino di San Salvatore a Settimo nei pressi di Firenze, inaugurando un periodo di strette relazioni con il governo cittadino con cui collabora all’ amministrazione dell’erario, sovrintende alla costruzione di ponti e parti di mura urbane. I monaci, inoltre, svolgono opere di bonifi - ca nella Piana fi orentina e gestiscono porti,
attracchi e depositi di merci lungo l’Arno5.
Così come avviene in generale, attraverso il sistema delle fi liazioni, i monaci di San Gal- gano riescono ad inserirsi e a creare una fi tta rete di relazioni in territori che vanno oltre il ristretto ambito del contado senese e volter- rano e ne diventano ben presto i protagonisti. In campo agrario, avviano bonifi che, disso- dano terreni, tagliano boschi ed introducono coltivazioni specialistiche; sono pure abili in altri ambiti, dalla giurisprudenza alla scien- za, dalla cultura all’amministrazione ed alla gestione del potere, tanto che diventano ben presto tra i maggiori protagonisti anche del- la vita pubblica del Comune di Siena. Sono chiamati, in qualità di “Operai del Duomo”, a sovrintendere alla costruzione del nuovo Duomo della città, cantiere rimasto poi inter- rotto. Ricoprono per diverso tempo la carica di “Camarlinghi di Biccherna” dello stesso Comune, ovvero amministratori delle fi nanze
cittadine. Sempre per conto della Repubblica senese, redigono un progetto, comunque mai attuato, sulla possibilità di spostare il corso del fi ume Merse ed incanalarlo fi no nei pres- si delle difese urbane, in modo da risolvere l’annosa questione della penuria d’acqua per le necessità ed il fabbisogno cittadino. Svi- luppano, inoltre, attività legate alle arti mi- nori; coltivano le scienze mediche e fi siche; sono abili giuristi tanto da essere spesso in- caricati in ambascerie di pace o scelti come arbitri per dirimere liti e contrasti soprattutto sul piano internazionale6.
L’analisi dell’abbazia di San Galgano è estremamente esemplifi cativa anche per le possibili considerazioni che si possono fare riguardo ad altri caratteri “invarianti” degli elementi iterati della “ratio” cistercense e a quelli “varianti” propri del caso specifi co. Anche per l’abbazia di San Galgano la scel- ta della localizzazione non è assolutamente casuale, singolare è, invece, il fatto che, pur essendo un cenobio piuttosto tardo nell’evo- luzione dell’Ordine, risponde in pieno ai requisiti tradizionali.In generale, le abbazie vengono fondate ex-novo nella “solitudine” delle foreste e delle valli, in luoghi insalubri compresi entro aree di margine e di frontiera, ovvero in quelle “terre di nessuno” dell’in- stabilità politica medievale, ma talvolta an- che in luoghi ameni. I monaci intervengono nel territorio, lo modifi cano, creano “zone cuscinetto” che se da un lato trasformano le aree da depresse a territori produttivi, proprio questa collocazione consente ai Cistercensi di diventare elemento di mediazione politica fra i poteri in disputa. I cenobi vengono pure fondati in aree strategiche adatte al controllo
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ed alla gestione delle risorse locali più ric- che, dei terreni più fertili, dei corsi d’acqua, della viabilità, dei mercati e dei commerci, delle cave di estrazione di materiali lapidei o minerali preziosi. Elementi che si ritrova-
no quasi integralmente fra le motivazioni che portano alla fondazione dell’abbazia di San Galgano. Se si tralascia il pretesto del culto di san Galgano (l’eremita cortese della spada nella roccia) e tutte le possibili implicazioni, singolari ma non certo determinanti, legate ad esso, si scopre che è il vescovo volterra- no il vero artefi ce dell’arrivo dei cistercensi sul Montesiepi nella Val di Merse, al confi ne
fra la Diocesi di Volterra e quella di Siena7.
Il cenobio viene creato in territorio instabi- le politicamente, affi nché il prelato disponga di una sorta di “zona franca” ma anche di un avamposto stabile per il controllo dei confi - ni del suo patrimonio, da contrapporre agli interessi economici e politici delle famiglie comitali, dei Templari della vicina magione di Frosini, dello Spedale di Santa Maria del- la Scala di Siena e dello stesso potere laico
cittadino8.La Val di Merse, infatti, oltre ad
essere ricca di acqua, terreni fertili, boschi, giacimenti minerari, è interessata dalla viabi- lità che partendo da Siena, si biforca proprio alle falde del Montesiepi nei due assi della Massetana e Maremmana, viabilità strategi- ca di attraversamento trasversale che collega Siena rispettivamente alle Colline Metallifere e Massa Marittima e a Grosseto e la costa tirrenica. Nonostante le pressioni del vescovo volterrano e i condizionamenti della politica papale ed imperiale, così come avviene nella maggior parte dei casi per le abbazie dell’Or- dine, i monaci di San Galgano riescono, gra- zie ad una certa autonomia e autosuffi cienza, ad imporsi sugli altri poteri, laici e religiosi, presenti nel territorio. Alle iniziali donazioni fondiarie, fanno seguire una massiccia poli- tica di acquisizioni prima nella vicina Val di Merse e poi in diverse regioni della Tuscia
medievale9. In particolare, in Val di Merse
attuano una politica di accumulazione fon- diaria con l’intento di compattare le occasio- nali e sparse donazioni iniziali e creare nel territorio prospiciente l’abbazia un’egemonia economica e produttiva, libera da ingerenze esterne.Per riuscire in questo intento, attuano un processo di investimenti fondiari alquanto innovativo ed originale: acquistano, con ri-
dotto dispendio di energie e risorse economi- che, terreni quasi del tutto impaludati e quin- di al tempo improduttivi. Tali scarse qualità iniziali vengono prontamente cancellate in seguito all’avvio di operazioni di bonifi ca e regimazione delle acque del reticolo idrogra- fi co della Val di Merse (fi ume Merse, Fama, Feccia, Fosso Galessa e Righineto), che con- sentono ai Cistercensi di realizzare comples- si agricoli altamente produttivi. In realtà, il tema della gestione delle acque è una delle preoccupazioni principali e più stimolanti nella tradizione monastica cistercense. Già la scelta del luogo di fondazione del cenobio è condizionata dal requisito fondamentale della presenza di acqua per il rifornimento idrico. I nomi stessi delle abbazie riportano questo fondamentale legame ed interesse dei mo- naci nei confronti dell’acqua: Fontenay, Tre Fontane, Fossanova, Fontfroid, Alcobaça... L’acqua è necessaria per la sopravvivenza dell’intero sistema abbaziale10. Una volta convogliata all’interno del recinto monastico, è utilizzata prevalentemente in quattro modi diversi:
− uso domestico (per cucinare, pulire e per
Fig. 1
Tavoletta di Biccher-na: Don Niccolò, Monaco di San Galgano, Camarlingo di Biccherna, impegna- to in ope-razioni contabili, Luglio- Dicembre 1329. (Immagine tratta da: Le Biccherne di Siena. Arte e fi nanza all’alba dell’economia mo- derna, Sie-na, Ed. Monte dei paschi, 2003).
Fig. 2
La spada nella roccia dell’eremita Galgano custo-dita nella cappela del Mon-te-siepi.
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il cantiere della nuova abbazia, ma che ab- biano realizzato un ingegnoso fossato di dre- naggio per convogliare l’acqua all’interno del quadrato monastico. Nell’impossibilità di sfruttare l’acqua del vicino Fosso Gales- sa, in quanto situato ad una quota altimetri- ca inferiore rispetto al complesso abbaziale, hanno provveduto ad incanalare l’acqua dalla sorgente del Righineto, deviandone in parte il corso naturale, direttamente all’interno de- gli edifi ci abbaziali, per poi lasciarla defl uire, come acqua di scarico, direttamente nel fi u- me Merse. Un ingegnoso reticolo di condut- ture in laterizio attraversa in senso Est-Ovest il quadrato monastico condizionando l’orga- nizzazione spaziale degli ambienti principali. In realtà, in questo caso, il tradizionale orien- tamento del cenobio non subisce particolari mutamenti. Accade spesso, infatti, quando la topografi a del luogo si presenta limitante, che le indicazioni tradizionali vengano disattese e l’orientamento modifi cato per adattarsi al sito. A proposito dell’organizzazione spaziale dell’abbazia cistercense, è necessario far rife- rimento a Bernardo di Clairvaux, tradizional- mente considerato l’ideatore di una tipologia planimetrica del cenobio sviluppata in suddi- visioni “ad quadratum” che assicurano pro- porzioni perfette tra pianta ed alzato dando vita ad uno spazio “razionale” intimamente connesso alla spiritualità e povertà bernardi- ne. Le abbazie realizzate secondo tale model- lo appaiono omogenee in pianta e quasi so-
vrapponibili12. Ma se è possibile identifi care
la maggior parte degli ambienti monastici principali, tuttavia numerose “varianti” inter- vengono ad apportare, volta per volta, muta- menti che rendono ciascun sistema abbaziale
diverso dall’altro. Tutti gli spazi che scandi- scono la vita monastica sono disposti intorno al chiostro, fulcro e cuore dell’abbazia. Generalmente, la chiesa abbaziale è costruita sul lato Nord del chiostro ed è l’edifi cio più