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Parole chiave: incastellamento, risorse naturali; con- trollo; simbologia del potere; Web.

Abstract

La strategia di fondo delle ricerche qui pre- sentate, cronologicamente inerenti al Medio- evo, è quella di applicare diverse esperienze operative e metodologiche, utilizzando pro- cessi di elaborazione, gestione, diffusione di informazione e conoscenza intese come let- tura integrata del territorio, partendo dall’esi- genza basilare, per l’archeologia medievale, di comprendere le dinamiche insediative, economiche e sociali di diverse zone, soven- te legate a quelle risorse naturali che, senza dubbio, hanno infl uenzato la scelta di un sito. Il castello, così come altri centri del potere laico o ecclesiastico, non sono stati, dunque, considerati come “monumenti” a se stanti, ma in stretto rapporto con il loro contesto geo-territoriale, impiegando campi di indagi- ne eterogenei, molto utili come indicatori del cambiamento e dell’uso del territorio sotto svariati aspetti.

La multidisciplinarietà ha comunque garanti- to, ai diversi settori di ricerca, la totale autono- ma, consentendone, peraltro, la loro massima integrabilità: l’archeologia e l’insediamento (ricerca in archivio, sopralluoghi, analisi del- le murature, studio dei fenomeni d’incastella-

mento etc.), la storia istituzionale (compresa la prosopografi a), la geologia (strutturale e di cave e miniere), la botanica (uso vegetazio- nale del suolo), la storia dell’arte, l’antropo- logia culturale, la geomatica etc.

Per gli esempi piemontesi, si è sempre valu- tato lo stretto legame tra castello e zone mon- tane, quest’ultime da intendersi non come limite o confi ne, ma come aree-cerniera di passaggio e scambio. Applicazioni del tutto riportabili in aree geografi camente differenti, potenziale oggetto di studio anche solo per tematiche specifi che, come ad esempio è il caso dei castelli valdostani.

Ogni ricerca storico-archeologica di ampio respiro è favorita da un utilizzo congiunto di discipline umanistiche e scientifi che, ed è fondamentale il fatto che vi sia, tra queste, la massima consonanza, al fi ne di operare un buon lavoro di ricerca, intesa come studio e lettura del territorio quale frutto di un proces- so evolutivo antropico unitario, nel quale le varie risorse naturali hanno svolto un ruolo importante per la scelta insediativa e per lo sviluppo economico.

A questo si aggiunge l’esigenza di non trala- sciare la conoscenza politica e fi losofi ca del periodo preso in esame in quanto – come di- mostrano gli esempi dei castelli calabresi di età normanna - sovente alcune scelte edilizie sono state dettate da una forte simbologia del potere.

Introduzione

“…l’impianto di abitati fortifi cati nei seco- li centrali del medioevo europeo può essere considerato uno di quei “fenomeni globaliz- zanti” che ben si prestano ad una ricostruzio-

ne integrale del passato” (Settia 1984, p.11). Eppure, le fonti scritte medievali forniscono una terminologia abbastanza limitata per in- dicare un fenomeno storicamente ecceziona- le come l’incastellamento.

Nel periodo tardoantico i sostantivi castrum/

castellum, derivati da una terminologia lega-

ta alle fortifi cazioni poste lungo i limes e solo col tempo adattati alle strutture civili forti- fi cate, indicavano centri provvisti di difese differenti dalla città (Ravegnani 1983, pp. 11-17). Nel 1973 lo studio di Toubert, sulla zona laziale e sulla Sabina, ha dato una svol- ta decisiva alla ricerca sugli insediamenti ca- strensi, cercando di intrecciare i dati di varie discipline: storia, archeologia, architettura e toponomastica. Tuttavia, il modello touber- tiano non si è potuto facilmente adattare a realtà storico-politiche

estremamente complesse come quelle dell’Italia e dell’Europa medievali.

Non esiste, infatti, un tipo di castello, ma molti tipi di castelli: strutture e funzioni sono assai variabili e strettamente legate a specifi - che aree ed a cronologie ben precise. Per questa ragione la ricerca storico-arche- ologica sull’incastellamento ha prodotto tre grandi settori: lo studio e l’analisi dei castelli tardoantichi e altomedievali; l’incastella- mento nell’Italia centrale; il fenomeno dei castelli nell’Italia meridionale sia in Sicilia - con motivi del tutto originali anche in ra- gione dell’islamizzazione - sia nei territori controllati dai normanni.

Da queste considerazioni prende avvio una serie di indagini conoscitive, qui presentate assai brevemente, che interessano peculiari aree campione da lungo tempo oggetto di ri-

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cerca, da parte di chi vi parla: Piemonte, Val- le d’Aosta e Calabria.

Quattro esempi italiani

Lo studio del fenomeno dell’incastellamen- to, nell’area Piemontese, si è basato sul fon- damentale lavoro di Settia che, a metà degli anni ottanta, fece un’analisi completa e com- plessa su potere, popolamento e sicurezza collegati a tale fenomeno (Settia 1984). Tuttavia, le fonti analizzate erano quelle d’archivio, fondamentali, ma non suffi cienti per una ricostruzione complessiva. Il criterio archeologico con cui sono state esaminate alcune aree piemontesi, è stato, invece, un approccio territoriale: i centri di potere, sia questi signorili sia ecclesiastici, sono stati analizzati in rapporto al territorio, quest’ul- timo considerato come fonte economica da sfruttare e controllare. Miniere, cave, risorse idriche, aree di strada, valichi etc. sono stati mappati e georeferenziati, così come i cen- tri di potere, per creare un quadro territoriale economico-politico articolato.

1. Un esempio emblematico di questa stret- ta unione tra risorsa e controllo signorile è rappresentato dalla val Sesia, al cui proposi- to è stato analizzato il fenomeno del popola- mento e dell’incastellamento in rapporto alle ricche risorse minerarie presenti sul territorio (per un lavoro completo sul problema relati- vo allo sfruttamento minerario connesso alle problematiche storiche per il Piemonte e la valle d’Aosta, in età medievale, vd. Di Gangi 2001). Nel corso del X-XI secolo, nella zona compresa tra il torrente Cervo ed il fi ume Se- sia, si nota una certa esiguità di attestazioni

relative ad abitati, anche se la fase del popo- lamento, a partire dalla seconda metà del X secolo ( Fig. 1), è comunque in atto (Panero 1988, pp. 24-25). Sarebbe utile capire se que- sta situazione territoriale sia accentuata da una scarsa attestazione documentaria causata non tanto da “vicissitudini archivistiche” ma, piuttosto, dal disinteresse di un potere con- solidato, non stimolato, quindi, a rafforzare la propria legittimazione tramite la stesura di documenti (Ginatempo-Giorgi 1996, p. 9). Tra XII-XIII secolo si verifi ca la spinta decisiva dell’attività estrattiva, testimoniata anche dal numero di nuovi centri abitati (Di Gangi 2001, p. 174). L’incremento del popo- lamento è stato indotto altresì dalla maggior disponibilità e dalla mobilità della forza-la- voro, e dal riordino dell’habitat da parte della

signoria laica ed ecclesiastica, unitamente, a partire dalla fi ne del XII secolo, ad iniziative dei comuni urbani, i cui esiti sono esplicitati proprio dall’aumento dell’edifi cazione di ca- stelli e centri di potere, al fi ne di imporre la propria giurisdizione territoriale, rinnovando l’assetto degli agglomerati e del territorio. Un esempio può essere relativo ai domini de

Bulgaro che, tra XII e XIII secolo, sono pro-

prietari di numerose zone e di alcuni castelli in val Sessera1 edifi cati tra le aree minerarie dell’alta valle e quelle di Postua-Ailoche- Crevacuore, ed alle vicende delle medesime, il cui controllo dipende dai domini loci prima, dal comune di Vercelli poi. Va sottolineata, tuttavia, la diffi coltà di schematizzare le vi- cende politiche ed economiche del XIII seco-

lo (Fig. 2), considerando il grande incremen- Fig. 1 Val Sessera. Popolamento X secolo

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to quantitativo e qualitativo dei documenti, le esigenze variabili e, soprattutto, i cambia- menti repentini che hanno interessato il tes- suto insediativo arricchito, inoltre, da una complessa articolazione delle sue tipologie. Alla ricerca d’archivio è stata abbinata, dopo un’attenta analisi delle fotografi e aeree (la gestione delle fotografi a aeree è stata realiz- zata da Marcello Cosci, Università di Siena), l’attività sul territorio (per l’alta val Sessera vd. Di Gangi 2000, pp. 66-79) per indivi- duare, quando possibile, le aree estrattive, le zone di lavorazione ed i centri di controllo, citati nei documenti del XIII secolo. E’ pro- prio in questo momento che si assiste ad un incremento dello sfruttamento minerario, con un aumento esponenziale degli insediamenti,

quasi tutti legati alle attività estrattive e di la- vorazione e concentrati maggiormente nelle due zone più produttive, e dei castelli di con- trollo. I risultati ottenuti dalle indagini stori- co-archeologiche relative alle problematiche dell’incastellamento in rapporto all’attività estrattiva, qui presentato assai brevemente per l’area del Piemonte Nord-Orientale, sono stati lo spunto per una ricerca di più ampio re- spiro che, a partire dal 2000, ha interessato il Piemonte meridionale, ed in particolare nella

zona dello storico Marchesato di Saluzzo2.

2. La strategia di fondo del progetto, cronolo- gicamente inerente il medioevo, è stata quel- la di applicare diverse esperienze operative e metodologiche, utilizzando processi di elabo- razione, gestione, diffusione di informazioni

e conoscenza, intese come lettura integrata del territorio partendo dall’esigenza basila- re, per l’archeologia medievale, di compren- dere le dinamiche insediative, economiche e sociali di uno specifi co territorio. I centri di potere, siano essi signorili, cioè i castelli, siano essi ecclesiastici, cioè abbazie e più ca- pillarmente le pievi, sono stati considerati in stretto rapporto con il loro contesto geo-terri- toriale e con quelle risorse naturali che hanno rappresentato la fonte economica da control- lare.. Le discipline coinvolte costituiscono settori di ricerca autonomi, ma perfettamente integrabili tra loro, come l’archeologia (ad es. sopralluoghi, analisi delle murature etc.), la storia istituzionale, la geologia (strutturale e di cave e miniere) e la botanica (per l’uso ve- getazionale del suolo) importanti per lo stu- dio del paesaggio antropico, l’antropologia culturale (per analizzare la continuità/discon- tinuità tra passato e presente), nonché la ge- omatica, per la gestione informatica dei dati. Un’analisi del territorio così articolata, dove ogni disciplina mantiene la sua autonomia, ma concorre alla completa comprensione di un oggetto specifi co, rappresenta un unicum nel panorama della ricerca non solo italiana (Di Gangi-Lebole, 2001; Di Gangi-Lebole, 2003; Di Gangi-Lebole 2004). Peculiare, dunque, è il carattere fortemente interdisci- plinare, che ha fornito molteplici spunti di ricerca e di applicazione per una zona, quel- la del Marchesato di Saluzzo, che presenta caratteristiche territoriali assai varie, com- preso uno stretto legame con zone montane, quest’ultime da intendersi non come limite o confi ne, ma come aree-cerniera di passaggio e scambio. La ricerca bibliografi ca, cartogra-

Fig. 2

Val Sessera. Popolamento XIII seco- lo

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fi ca e grafi ca ha rappresentato l’importante ed indispensabile traguardo della prima tranche di lavoro: è stato visionato, raccolto, schedato tutto il materiale edito relativo al Marchesato di Saluzzo, in modo da proporre un quadro completo della zona da indagare anche grazie ad archivi informatici impostati sia su scale di ampiezza variabile (regionale, provinciale, comunale etc.) sia con schema fl essibile per consentire l’implementazione continua dei dati e l’estensione del progetto anche in meri- to ad altri aspetti, sempre strettamente legati al territorio (il database relazionale utilizzato è stato commissionato dal CeST-Marcovaldo e progettato ad hoc per il progetto sul Mar- chesato di Saluzzo; Rinaudo et alii 2003). E’ comunque importante sottolineare che, ai fi ni di uno studio integrato del territorio, il supporto informatico risulta essere assai importante per la rapida gestione e correla- zione dei dati. Tuttavia “…L’ar cheologia at- tuale si trova in un evidente stato di impasse. Da un lato rivoluzionarie tecnologie di ac- quisizione e trattamento dei dati permettono livelli di documentazione e controllo del re-

cord archeologico prima impensabili. Ma la

crescita esponenziale della quantità dei dati spesso stride con una fondamentale povertà delle idee e degli apparati interpretativi. Ri- schiamo una storia che si vorrebbe autorevo- le in quanto basata sull’accumulo empirico di vaste banche di dati (che spesso, in realtà, si trasformano nell’obbligo di costose quanto indigeribili elaborazioni statistiche), ma che resta sterile e banale per la nostra incapacità di delineare scenari che abbiano un minimo di profondità e di interesse dialettico…”. (Vi- dale 2004, p. 10).

Lo studio sui centri di potere ha preso avvio dall’analisi dei due importanti Cartari due-tre- centeschi delle abbazie di Staffarda e Rifred- do, cercando di individuare il punto di con- tatto tra parole e cose, cioè di determinare gli indicatori delle fonti scritte utili per leggere il territorio, valutandone i riscontri sul terreno o integrandoli quando l’indagine sul campo restituisce un palinsesto storico più vario. Per tentare di “…tracciare la storia di un territorio bisogna accumulare testimonianze, condizio- ne preliminare necessaria ma non suffi ciente se poi non si stabiliscono relazioni di intelli- gibilità tra passato e presente, tra fonti scritte e fonti materiali…” (Bordone 2001, p. 93). Il metodo d’indagine adottato è, dunque, l’inte- grazione tra i dati storici con quelli materiali, scelta che “garantisce un maggior livello di attendibilità”: l’incrocio delle fonti, infatti, pur mantenendo l’autonomia del lavoro, ha consentito un arricchimento di dati ed un’ap- profondita prospettiva di ricerca ( per accenni al metodo vd. Colecchia 2000, pp. 101-129; su uso e tipologia delle fonti e sul territorio vd. anche Mannoni-Giannichedda 1996, pp. 25-58). La diffi coltà riscontrata è derivata dal fatto che tutte le fonti scritte non sono state, ovviamente, prodotte con lo scopo di fornire informazioni di studio, sicché abbiamo do- vuto considerare le ragioni che vi hanno so- vrinteso: un atto giuridico, una vendita e così via (Bordone 2001; Casazza 2003). Tuttavia, i dati ottenuti ci hanno permesso di leggere un territorio generalmente poco analizzato: la disputa, ad esempio, per la proprietà di un bosco o per la spartizione delle ghiande tra due contadini, ci ha suggerito l’esistenza di aree boschive e delle loro specifi che caratte-

ristiche come, ad esempio, la citazione delle castagne, alimento fondamentale per la popo- lazione in area montana soprattutto per i lun- ghi periodi invernali, ma anche delle ghian- de, utilizzate per il nutrimento di cinghiali e maiali, ha permesso di iniziare a disegnare quel “...paesaggio agrario, limitatamente alla componente vegetale, costituito dall’insie- me di colture agricole, boschi, prati, pascoli ed incolti come risultato dall’utilizzo di tipo agro-silvo-pastorale che l’uomo ha esercitato nel corso dei secoli modifi cando l’ambiente naturale”(Barni-Bouvet-Caramiello 2003). Nelle fonti scritte sono menzionati mulini o strutture di trasformazione, fondamenta- li in un’economia essenzialmente agricola e produttiva, mentre l’indicazione di pedag- gi e di mercato ci ha permesso di ipotizzare la presenza di un’area di strada e supporre, dunque, il controllo signorile su determinati territori e valichi montani. Ancora, il control- lo del sistema idrico, da parte dell’egemonia signorile, è un altro elemento importante nel legame tra potere e territorio: “… E’ oppor- tuno mettere subito in risalto che la necessità di disporre liberamente del diritto giuridico sull’acqua, l’impegno fi nanziario richiesto dalla costruzione dell’edifi cio e dei macchi- nari, le continue spese di manutenzione del canale e degli ingranaggi, collocarono im- mediatamente la diffusione delle macchine idrauliche (mulini da grano, ma anche gual- chiere, battitoi da canapa, martinetti, folloni da carta etc.) nella sfera del potere signorile e legarono la loro presenza alla possibilità di approvvigionare cospicue quantità di popo- lazione” (Palmucci Quaglino 1993, p. 91). Ancora, si sono potute estrapolare informa-

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zioni sulle strutture architettoniche non più conservate mentre, attraverso i patronimici, si è cercato di ottenere notizie sui mestieri più testimoniati nelle valli. I dati ricavati dai Cartari di Rifreddo e di Staffarda sono stati oggetto di selezione e di confronto con i ri- cercatori delle diverse discipline, con spirito collaborativo e pienamente interdisciplinare, in modo da verifi care se le tracce dedotte dai documenti potevano essere intersecate con le informazioni provenienti dalle altre fonti consultate per ogni singolo settore. Al lavoro d’archivio è seguita l’attività sul campo con una serie di ricognizioni mirate, con lo scopo di documentare, schedare, fotografare e geo- referenziare l’esistente: le strutture fortifi cate, le strutture ecclesiastiche o di trasformazione (Nejrotti 2003)3 , quegli elementi cioè stret- tamente collegati al potere territoriale, sono state considerate in stretto rapporto con le caratteristiche geomorfologiche, in modo da contestualizzare la struttura di potere con il “motivo” del potere stesso. Proprio per que- sto le ricognizioni sono state realizzate anche dal gruppo dei botanici - per verifi care il cam- biamento dell’uso del suolo - e dei geologi, in quest’ultimo caso sia per quanto concerne l’aspetto minerario sia per quanto attiene a quello relativo alle cave litiche, per verifi care la provenienza della materia prima utilizzata per l’edifi cazione di castelli ed abbazie. Un esempio emblematico, per quanto riguarda il rapporto tra parole e cose, è rappresentato dal risultato soddisfacente che si è ottenuto nello studio relativo all’attività estrattiva. Infatti, ad una approfondita ricerca storico-archeolo- gica realizzata per tutta l’area di Piemonte e Val d’Aosta (Di Gangi 2001), ha fatto seguito

- nell’ambito del progetto relativo alla val Po

- la conoscenza geologica dell’area (Rosset-

ti-Bredy 2003), con la documentazione della presenza o meno di contesti compatibili tra le mineralizzazioni individuate e le attività minero-metallurgiche antiche, caratterizzan- do, dal punto di vista geologico, il tipo di mi- neralizzazione sfruttata. Di quest’ultime, ad esempio, ne sono state individuate due di tipo ferrifero: ai sopralluoghi ha fatto seguito una fase di laboratorio, che ha previsto la realiz- zazione di una serie di sezioni sottili e sot- tili-lucide dei campioni recuperati, i cui dati sono stati organizzati in schede ed inseriti nel database relazionale. In particolare, a propo- sito dello studio approfondito delle scorie, è possibile risalire alle tecniche metallurgiche utilizzate e quindi fornire utili informazioni sull’attività minero-metallurgica. Una par- ticolare attenzione è stata rivolta al castello di Sanfront, ubicato sull’altura sovrastante l’attuale borgo omonimo, da dove è possibile controllare un ampio tratto della valle Po che, in quel punto, è caratterizzata da un sensibile restringimento (Fig. 3).

Del castrum di Sanfront si conservano solo le rovine; nei documenti viene menzionato un castello già nel 1263 (Pivano 1902, p. 192, doc. 208) collocato su un’altura o comunque a ridosso della dorsale montana, dal momen- to che l’attestazione riporta la menzione di una montana castri. Inoltre, in un altro do- cumento datato al 1294 (Muletti 1829-1833, p. 294) si trova la citazione talamo superiore del castrum, esplicitando, così, la presenza di ambienti residenziali all’interno dell’edifi cio che, pertanto, non doveva avere come uni- co scopo la difesa ed il controllo territoriale.

Ai sopralluoghi mirati, sono seguite le ana- lisi stratigrafi che degli elevati, quest’ultime realizzate insieme al gruppo di geologi che, nell’ambito del progetto, si occupano di ana- lizzare i litotipi e le relative cave di prove- nienza della materia prima. L’analisi del lato sud del castello ha messo in evidenza fram- menti di forma e dimensioni irregolari relati- vi a diversi tipi litologici con rari elementi in laterizio, tutti ricoperti da intensa patina bio-

logica. Si sono riconosciuti diversi tipi di roc- ce gneissiche (da micro a macroocchiadine) e di quarzite (alcuni elementi bianchissimi, altri rossastri). Rari i ciottoli fl uviali costitu- iti sia da rocce del Dora-Maira, sia da litoti- pi appartenenti alla zona dei Calcescisti con pietre Verdi. All’interno delle murature sono presenti alcuni frammenti irregolari di cal- cemicascisto, mentre risultano rarissimi gli elementi marmorei, pochi gli elementi squa- drati. Le murature sono impostate su affi ora-

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