Aspetti dell’incastellamento Europeo e Mediterraneo
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Torri Normanne in Irpinia.
Tipologia e caratteri dell’incastellamento normanno in Irpinia.
A partire dal secolo XI il paesaggio dell’Italia meridionale fu notevolmente modifi cato dal- la presenza di nuovi insediamenti normanni. Queste trasformazioni oltre ad interessare il costruito coinvolsero l’organizzazione gene- rale dei territori, denominati come “terre”, e la loro economia rurale.
I nuovi insediamenti e quelli trasformati dall’arrivo dei normanni furono caratterizzati dalla presenza dei castelli, presidi necessa- ri alla difesa e al controllo dei borghi e dei territori limitrofi , classifi cabili secondo due tipologie:
• motte (recinti fortifi cati); • dongioni (masti in pietra).
Il primo tipo era caratterizzato da una parti- colare forma di abitato, costituito da una col- linetta artifi ciale in terra (motta), perimetrata da una costruzione lignea fortifi cata al cui interno si trovavano un cortile ed una torre anch’essa in legno. Questi ”recinti fortifi - cati” venivano costruiti in tempi brevi con materiali locali di facile reperimento e fun- zionavano anche come avamposto per nuove conquiste. Di queste strutture lignee non è ri- masta alcuna testimonianza diretta ma le fon- ti documentano la presenza di diversi esempi in alcune zone pianeggianti o collinari della Calabria e della Puglia.
Il dongione era un edifi cio in pietra realizzato sul modello delle fortifi cazioni francesi e bri-
tanniche; con questa tipologia i normanni ini- ziano la costruzione dei castelli in pietra, più sicuri e organizzati rispetto alle precedenti costruzioni in legno. Il mastio era un manu- fatto merlato con un impianto regolare ed uno sviluppo in verticale che con una sequenza di piani voltati raggiungeva altezze considere- voli. Le murature, realizzate con materiale di estrazione locale, erano generalmente a sacco con pietrame irregolare. E’ questa la tipologia maggiormente diffusa in Italia meridionale e in Irpinia dove troviamo gli esempi di Ariano Irpino, Cervinara, Girifalco e Casalbore. Il modello di riferimento di queste costruzio- ni erano i grandi torrioni dell’Europa setten- trionale, noti come donjons. La comparazione delle torri dislocate in Irpinia ed in altre aree dell’Italia meridionale con i modelli dell’Eu- ropa settentrionale fa emergere la presenza di elementi riconducibili ad una tipologia co- mune e di varianti dovute alle risorse locali e alle esigenze di difesa.
Destinazioni d’uso
La costruzione dei dongioni è opera dei si- gnori normanni che sui territori di conquista avevano l’esigenza di conciliare in queste strutture una doppia destinazione residenzia- le e militare. Le torri, distribuite su più livelli, presentavano al piano terra i locali utilizzati come magazzini, mentre ai piani superiori si trovavano le camere maggiormente illumina- te e dotate di camini. Il mastio, oltre ad essere dimora del signore, comprendeva anche al- tre strutture destinate ad ospitare una sala di rappresentanza, uno o più edifi ci religiosi, gli alloggiamenti delle guarnigioni, i domestici, nonché gli edifi ci di servizio come scuderie, cantine e cucine. Tali costruzioni erano dap-
prima disperse in un ampio recinto murato, nel quale poteva avvenire anche l’occasionale ricovero della popolazione rurale, in seguito invece prevalse la tendenza a raggruppare fra loro gli edifi ci in complessi più omogenei. l’accesso alla corte era posto in corrispon- denza del piano rialzato e raggiungibile at- traverso un ponte levatoio che oltrepassava il fossato.
Dimensioni
Il dongione normanno si presentava come un parallelepipedo merlato con forme planime- triche quadrangolari. In altezza, con la so- vrapposizione di due o tre piani voltati, que- ste strutture arrivavano a superare anche i 20 metri.
Sia nella tipologia di riferimento che negli esempi italiani troviamo dimensioni diverse ma forme planimetriche sempre regolari. Le torri anglosassoni presentavano piante quadrangolari di 20 metri di lato ed i 45 metri di Colchester costituivano le massime dimen- sioni per un donjon in Inghilterra.
In Italia le piante erano ridotte e si attestava- no generalmente sui 6 metri di lato; solo in pochi masti troviamo dimensioni maggiori, prossime ai modelli europei.
La base a scarpa presente in alcuni esempi ir- pini non trova riscontri nei modelli d’oltralpe e può essere considerata una variante o, se- condo alcune fonti, una modifi ca successiva all’impianto.
Strutture
Le strutture verticali delle torri erano rea- lizzate con materiale ricavato da cave loca- li e presentavano una muratura a sacco che, partendo da spessori elevati, si riduceva in corrispondenza dei piani più alti. Le bozze
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Fig. 1
La tipologia dei dongioni in Europa e in territorio irpino.
(Disegni tratti da: G. Ciampa, S. Sas- so, Torri Normanne in Irpinia: dalla motta al donjon, Tesi di Laurea).
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irregolari erano posate ad opera incerta e solo i cantonali della torre e delle aperture si tro- vavano strutture murarie realizzate con pie- trame squadrato e regolare.
I solai dei modelli europei erano general- mente realizzati in legno e le strutture voltate erano riservate alla copertura del piano terre- no. Nei masti dell’Italia meridionale trovia- mo solo orizzontamenti voltati a botte per i livelli inferiori o a crociera per le camere. Il collegamento tra i vari livelli avveniva con scale lignee che, in alcuni casi, si collocavano nell’ampio spessore dei muri perimetrali. La copertura in genere era piana e serviva per il posizionamento delle macchine belliche.
Il borgo di Casalbore.
Uno degli esempi più signifi cativi di torri medievali in Irpinia è rappresentato dal ma- stio che domina il borgo di Casalbore posto ai margini nord-orientali dell’Appennino campano. Dalle fonti storiche si ricava che la zona, dopo le prime frequentazioni preistori- che e sannite, nel periodo romano acquisiva la denominazione di “Casal (is) albulus” (villaggio bianco). La citazione più antica di questo nome “Ecclesia Sanctae Mariae in
Casali Albulo” risale al 452 e si rileva dalla
vecchia platea della chiesa di S. Sofi a a Be- nevento che in Casalbore possedeva la chiesa di S. Maria dei Bossi e altre terre.
Dopo la caduta dell’Impero Romano quest’area, come tutta l’Italia, divenne teatro di incontro e di scontro di nuovi popoli: Goti, Bizantini, Longobardi e Saraceni. Il territorio subì un nuovo assetto organizzativo, politico e religioso che determinò la nascita di nuovi borghi dislocati in aree precedentemente di-
sabitate.
E’ in questo periodo che Casalbore inizia il proprio sviluppo insieme al castello e alle mura che si dipartivano dai lati della torre cingendo l’intero abitato. L’accesso al pae- se avveniva attraverso cinque porte; la porta principale (Porta Beneventana), posta sotto la torre d’avvistamento, venne modifi cata nel XVI secolo con l’inserimento di un portale marmoreo. Delle tre porte ancora esistenti, solo la Porta Fontana ha mantenuto la sua più antica conformazione. I due archi ogivali della porta, realizzati in blocchi di pietra cal- carea, sono posti a cinque metri di distanza l’uno dall’altro e servivano per l’inserimento di due porte separate. Questo particolare di- mostra che la cinta muraria medievale dove- va essere doppia con un libero camminamen- to posto sulla parte superiore.
Agli inizi del XIII secolo i territori irpini sot- tomessi al controllo normanno vennero divisi in contee e al conte Gerardo di “Boenne Her- beg” toccò la vasta zona di Ariano e Morcone di cui Casalbore faceva parte., e che si dove- va presentare come una comunità completa munita di castello, mura di protezione e li- bere istituzioni; in pratica una vera e propria “Universitas” (Comune) con un “Syndicus” esterno al paese e una serie di cittadini come collaboratori.1
La torre normanna di Casalbore.
″....Quando da Benevento vi recate a Casal-
bore, dopo aver sormontato per più di due ore svariate colline scorgete una torre che par signoreggiare pianure e convalli, e che per lontananza, una colonna vi sembra.″2
Durante il dominio normanno insieme al
Fig. 2
Ricostruzione del borgo medievale di Casalbore.
(Disegni tratti da: G. Ciampa, S. Sas- so, Torri Normanne in Irpinia: dalla motta al donjon, Tesi di Laurea).
borgo di Casalbore venne edifi cato anche il castello fortifi cato che, secondo le fonti docu- mentarie risale al 1216. Il castello era formato da diverse torri collegate con camminamenti che proteggevano quello che doveva essere il borgo abitato. La torre maggiore con la porta d’ingresso principale fungeva da avamposto per il controllo di un territorio molto vasto
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che partendo dai monti beneventani arrivava alle prime piane pugliesi. Dall’alto della torre si potevano controllare i traffi ci sui principali tratturi della zona, si sorvegliava il transito sui ponti della Macchia, delle Chianche e di Santo Spirito o del Diavolo, ma soprattutto si controllava il movimento sulla strada che da Benevento va a Castelfranco e prosegue per Troia e Lucera. E’ ipotizzabile che gli Svevi destinarono la cittadina alla funzione di base logistica mettendo le vedette in condizione di comunicare per mezzo di segnalazioni ottiche non solo con le vicine Montecalvo e Buonal- bergo ma anche con la più lontana Ariano e
con gli altri castelli dislocati nell’ampio cir- condario.
Per la defi nizione dell’impianto originario è utile rifarci alle parole dello storico Giovan- ni Gnolfo che descrive il castello come una costruzione in stile gotico con fi nestrelle a bifora e merli. Il commento prosegue poi con la descrizione del contesto caratterizzato dal- la presenza di tre porte e dalla divisione in due corti del castello. La porta principale col ponte levatoio si trovava ad ovest mentre a sud e a nord-est si trovavano rispettivamen- te la Porta Fontana e la Porta Carrarese per il passaggio dei carri. Le due corti, invece, si differenziavano per le funzioni a cui erano destinate. In particolare quella ad est del ca- stello era il luogo di riunione del Seggio po-
polare per i giudizi della Corte Marchesale.3
L’impianto fortifi cato sorgeva sul punto più alto della collina e il sobborgo si sviluppava secondo una struttura che si adattava all’oro- grafi a del terreno sui tre versanti del colle. Un impianto del genere si prefi ggeva di realizza- re una naturale difesa dai nemici, dal malan- drinaggio e dalle fi ere vaganti nel territorio. A salvaguardia dell’unico lato sguarnito fu eret- to il torrione che ingloba la porta principale detta Porta Beneventana da cui attualmente si diparte un pendio che deve aver sostituito l’originario ponte levatoio sui fossi.
Nella sua conformazione originaria, la torre si doveva presentare come un parallelepi- pedo merlato con una serie di aperture che illuminavano i piani superiori, riprendendo fedelmente l’impianto dei modelli europei. La scarpa presente a livello del piano terreno è un’aggiunta successiva, dovuta agli Svevi che soprelevarono anche la torre eliminando
la merlatura che ne costituiva il coronamen- to. La parte superiore della torre è costituita da un unico ambiente ma in precedenza do- veva essere divisa in due piani. La presenza di alcune tracce ancora evidenti nella sala (le imposte della volta a crociera, gli attac- chi delle travi in legno, la nicchia del camino e una latrina) ci permettono di ipotizzare la presenza di questi due livelli con un orizzon- tamento voltato e un camminamento in legno che permetteva di raggiungere la sommità del torrione.
La sala principale del torrione si presenta poco illuminata con un limitato numero di fi nestre di modeste dimensioni. Degli archi ogivali descritti da Giovanni Gnolfo sono rimaste poche tracce che comunque testi- moniano l’esistenza di aperture più grandi, necessarie per l’illuminazione di ambienti signorili. La tessitura muraria, realizzata con pezzature irregolari di pietra calcarea locale, riprende la tipologia a sacco presente nelle torri normanne riproponendo anche i canto- nali regolari in corrispondenza degli spigoli e delle aperture.
Il castello e le mura costituirono, almeno fi no al Seicento, una struttura difensiva compatta e unica in tutta la regione dove, per lo più, i castelli si trovano invece ubicati all’interno o all’esterno della cinta muraria. Col susse- guirsi dei dominatori Casalbore mantenne sempre un ruolo di primo piano anche per- ché la struttura e la posizione del suo castello permettevano di alloggiare in un ambito ur- bano protetto, una o più compagnie di soldati prontamente trasferibili laddove insorgeva una minaccia o si prevedeva un pericolo. In
seguito a questo fenomeno, durante l’epoca Fig. 3La torre normanna di Casalbore.
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A differenza della modesta Avellino, Casal- bore fu defi nita ″...une petite et vaghe ville.″ e apparve al visitatore francese molto simile
alla familiare cittadina di La Convertoirade.5
1 G. Gnolfo, Storia di Casalbore, p. 35.
2 F. Cirelli, Il Regno delle due Sicilie descritto e illu-
strato.
3 G. Gnolfo, Storia di Casalbore, p. 26.
4 R. Filangieri, I Registri della Cancelleria angioina,
Napoli, 1266-1272, p. 288.
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Fig. 4
Rilievo della torre di Casalbore. (Disegni tratti da:
R. Moschillo, Progetto per un nuovo museo archeologico nel castello di Casalbore, Tesi di Laurea).
Parte di questo tragitto fu percorso nel 1518 da Charles Leclerc per raggiungere ed ispe- zionare la dogana di Foggia, in base ad un incarico conferitogli direttamente da Carlo V. angioina, ai baroni di Casalbore venne affi da-
ta la vigilanza e la custodia della via che da Paduli conduceva al castello di Crepacuore,
spesso insidiata dal malandrinaggio comune.4
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Fig. 5
Ricostruzione dell’impianto origina- rio della torre di Casalbore.
(Disegni tratti da: G. Ciampa, S. Sas- so, Torri Normanne in Irpinia: dalla motta al donjon, Tesi di Laurea).
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Fondamenti ed Applicazioni di Geometria Descrittiva a.a.2001/2006
Rocca di Civitella in Valdichiana Sezioni
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