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5.2 – PRINCIPALI ARGOMENTI A FAVORE DELL’APPLICABILITÀ A TUTTI I LIVELLI DI GOVERNO DEGLI STANDARD ELABORATI DALLA CORTE COSTITUZIONALE RELATIVAMENTE ALLE CAMERE

5.2.3 – ARGOMENTO TESTUALE

Passando poi all’argomento testuale, è necessario soffermarsi proprio sulla materia elettorale per come viene trattata in Costituzione. La sostanziale equiparazione tra Camere e Consigli regionali e comunali, da cui deriva l’applicabilità della giurisprudenza costituzionale relativa al Parlamento agli organi rappresentativi locali, si deduce, in primo luogo, direttamente dall’interpretazione letterale del testo costituzionale del 1948: il Titolo IV della Parte I, “Rapporti politici”, elenca i diritti di partecipazione dei cittadini alla gestione della res publica, senza mai, neanche una volta, indicare una differenziazione nell’estensione di questi diritti a seconda del tipo di elezione o del livello di governo coinvolto326. Soprattutto, il secondo comma dell’art. 48, nello stabilire che il voto è “personale, uguale, libero e segreto”, fornisce una tutela completamente incondizionata al diritto di voto. La Corte costituzionale condivide apertamente questa interpretazione, come dimostrano le sentenze sull’uguaglianza del voto in entrata327,

come la già citata sentenza 96/68, in cui i giudici dichiararono che il voto segreto deve essere garantito anche nelle elezioni amministrative, per di più di secondo grado328. Similmente, nella sentenza 141/96, la Consulta dichiarò che l’esclusione dal diritto di voto poteva conseguire solo a una sentenza irrevocabile di condanna anche nel caso di elezioni comunali, in quanto “solo una sentenza irrevocabile, nella specie, può giustificare l'esclusione dei cittadini che intendono concorrere alle cariche elettive; né vale obiettare che si tratta di elezioni amministrative, e non di quelle politiche generali, perché pure in questo caso è in gioco il principio democratico, assistito dal riconoscimento costituzionale delle autonomie locali.”329

Un simile ragionamento può essere applicato all’art. 51, che garantisce pari accesso alle cariche pubbliche a tutti i cittadini: la già analizzata sentenza 422/95, per quanto probabilmente poco in linea con la

Weltanschauung odierna, costituisce un importantissimo esordio per la Corte costituzionale: si tratta infatti

del primo caso in cui, seppur indirettamente (ovvero attraverso la possibilità, riconosciutale dall’art. 27 della l. 87/53, di dichiarare “quali sono le altre disposizioni legislative, la cui illegittimità deriva come conseguenza dalla decisione adottata”) la Corte colpì una parte rilevante della legge elettorale delle Camere, come conseguenza di una questione di costituzionalità sollevata durante un giudizio in merito alla composizione delle liste elettorali del Comune di Baranello (CB). I giudici costituzionali, dopo aver definito l’elettorato passivo un “diritto fondamentale” e la democrazia rappresentativa pluralistica “connotato essenziale e principio supremo della nostra Repubblica”, procedettero con la rimozione di tutti i riferimenti a quote di genere nelle liste di candidati dall’intero corpus elettorale italiano, ad ogni livello: per la Corte, erano inaccettabili tutte le “misure, introdotte nelle leggi elettorali politiche, regionali o amministrative ivi comprese quelle contenute in leggi regionali, la cui illegittimità costituzionale deve ritenersi conseguenziale per la sostanziale identità dei contenuti normativi, non potendo certamente essere lasciati spazi di

326 L’unico, molto vago, passo che potrebbe fare riferimento al solo livello statale si ha nell’art. 49, che permette la libera organizzazione partitica volta a “determinare la politica nazionale”. Tuttavia, si potrebbe obiettare che, innanzitutto, la politica nazionale non coincide esattamente con le sole scelte effettuate a livello di Stato centrale, ma che è fondamentalmente determinata anche da quelle assunte a livello locale; secondariamente, quand’anche il legislatore costituente avesse per assurdo limitato la tutela della libertà di associazione politica ai soli partiti di rilevanza nazionale, ciò non avrebbe comunque alcun effetto sul diritto di voto dei cittadini ad ogni livello.

327 Si veda, ex multis, la sent. 43/61, che era riferita alle norme sulle elezioni dei Consigli comunali, applicate per rimando legislativo a quelle per il rinnovo dei Consigli provinciali.

328 Nonostante la difesa erariale sostenesse che “i requisiti di eguaglianza, libertà e segretezza del voto, sanciti dall'art. 48 della Costituzione si riferiscono all'ipotesi in cui sia chiamato a votare direttamente il cittadino”, la Corte invece stabilì che “la garanzia di segretezza del voto … è perciò assolutamente inderogabile”. Sent. 96/68, Ritenuto in fatto e Considerato in diritto § 4.b.

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incostituzionalità (da cui discenderebbero incertezze e contenzioso diffuso) in materia quale quella elettorale, dove la certezza del diritto è di importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico”330. È quindi evidente che la giurisprudenza costituzionale pone l’art. 51 a tutela di tutti i tipi di elezione, al punto da limitare la discrezionalità del legislatore ulteriormente rispetto a quanto chiesto dal giudice rimettente e colpire anche le norme elettorali nazionali.

Questi casi sono particolarmente interessanti perché permettono di identificare la portata dell’art. 51 e del secondo comma dell’art. 48: se per il primo la Corte non si è posta alcun problema (né in senso restrittivo, come nel 1995, né, dopo la riforma del 2003, in senso espansivo) ad applicare indistintamente la norma a tutte le elezioni, oggettivamente più complessa è la trattazione del secondo. E, invero, tra i quattro aggettivi scelti dall’Assemblea costituente, l’art. 48 non riporta “diretto”, che appare invece, stavolta evidentemente solo in riferimento alle Camere, negli artt. 56 e 58. Tramite i normali criteri interpretativi, ciò non può che far concludere che mentre primi quattro aggettivi coprano tutti i tipi di elezioni (e pertanto l’intera giurisprudenza in merito all’art. 48 si estenda a tutti i tipi di elezione), esistono altre caratteristiche delle elezioni (in particolare, l’elezione diretta) che non sono espressamente garantiti dal testo costituzionale in ogni situazione.

Nonostante quindi non si possa non riconoscere una qualche differenza in Costituzione tra le Camere e gli altri organi rappresentativi a livello elettivo, bisogna tenere presente che esistono, nello stesso testo costituzionale, numerosissimi altri riferimenti che consentono di parificare le caratteristiche fondamentali delle elezioni di tutte queste assemblee: in primis, nel Titolo V, art. 126, terzo comma, Cost., si specifica che qualora il Presidente della Giunta sia eletto “a suffragio universale e diretto”, si applica il principio simul

stabunt, simul cadent. Ora, sarebbe palesemente irrazionale che un Presidente eletto direttamente potesse

decadere dalla carica per iniziativa di un organo, il Consiglio, che invece non godesse della stessa legittimazione politica. Similmente, la previsione, contenuta nell’art. 122, secondo comma, che garantisce ai consiglieri regionali la medesima insindacabilità331 nell’espressione di voti e opinioni garantita dall’art. 68 ai membri delle Camere, apparirebbe irragionevole se non fosse anch’essa posta a tutela della libertà di azione politica dei rappresentanti diretti dei cittadini, così come le norme di incompatibilità tra parlamentare, consigliere regionale e parlamentare europeo contenute sempre nell’art. 122, secondo comma.

Abbiamo visto quindi che, almeno dalla riforma del Titolo V, anche il requisito dell’elezione diretta, apparentemente non indispensabile per tutte le elezioni, sia in realtà sistematicamente necessario almeno per i Consigli regionali. Un ulteriore punto a favore dell’elezione diretta degli organi rappresentativi degli enti locali è rappresentato dalla Carta Europea dell’Autonomia Locale, trattato promosso dal Consiglio d’Europa e ratificato dall’Italia con legge 439/89, di cui si è discusso nel capitolo II. In quanto trattato internazionale, e della categoria più rilevante (diritti umani), esclusi quelli dell’Unione Europea, nonché ratificato con fonte primaria332, esso occupa una posizione di primazia nella gerarchia delle fonti rispetto alla legge ordinaria, come stabilito dall’art. 117, primo comma, Cost. e dalla Corte nelle celebri sentenze

330 Sent. 422/95, Considerato in diritto § 7-8.

331 Anche se non l’immunità, prerogativa esclusivamente parlamentare. È la Corte costituzionale ad indicare il nesso tra insindacabilità e legittimazione democratica: parlando delle, essa ebbe a notare che l’indipendenza dei parlamentari si articola, inter alia, “nella non responsabilità dei medesimi "per i voti dati e le opinioni espresse nell'esercizio delle loro funzioni" (art. 68, primo comma: immunità, sotto questo aspetto, assoluta, che, in omaggio al

principio democratico rappresentativo, l'art. 122, ultimo comma, estende anche ai membri dei Consigli regionali)”.

Corte cost., sent. 231/1975, Considerato in diritto § 5, enfasi aggiunta.

332 Incidentalmente, è interessante notare come, tra i 47 Stati membri del Consiglio che hanno ratificato la Carta, l’Italia è l’unico, oltre all’Estonia, a non aver posto né riserve, né limitazioni territoriali, né altri ostacoli alla piena applicazione dell’intera Carta al momento della ratifica.

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348 e 349/2007, le cd. “sentenze gemelle”, che riconobbero alle norme contenute nei trattati internazionali ratificati dall’Italia (in particolar modo, a quelli concernenti i diritti umani, primo tra tutti la CEDU) il rango di parametro interposto di costituzionalità333. Giova ricordare che la Carta prevede, senza mezzi termini, che i cittadini eleggano “a suffragio libero, segreto, paritario, diretto ed universale” assemblee “in grado di

disporre di organi esecutivi responsabili nei loro confronti”. È quasi superfluo far notare che questi sono

criteri perfettamente corrispondenti a quelli previsti dalla nostra Costituzione per le elezioni delle Camere e il nostro paese si è vincolato (tramite tutte le sue istituzioni, Corte costituzionale inclusa, a causa della particolare natura del trattato) ad applicarli anche ai livelli di governo inferiori.

Uscendo dalle disposizioni di rango sovraordinato alla legge, giova inoltre ricordare che tutti gli Statuti regionali, inclusi quelli delle Regioni a Statuto Speciale334, nonché la l. 108/68335, come modificata dalla l. 43/95, esplicitamente riconoscono l’elezione diretta del Consiglio regionale, così come il TUEL per quanto riguarda i Consigli comunali336. È quindi evidente che le elezioni di questi organi devono essere, oltre che “personali, uguali, libere e segrete”, anche dirette. A ciò concorre anche la l. 165/04, che, nell’elencare i requisiti a cui si devono attenere le leggi elettorali regionali, implica fortemente, pur senza esplicitarlo, che i Consigli regionali siano eletti direttamente dai cittadini337.

Stabilito quindi che le elezioni regionali e comunali sono (e devono essere) dirette, esattamente come quelle delle Camere, seguendo un ragionamento a fortiori dalla sent. 96/68, sembrerebbe essere automatico estendere l’intera protezione dell’art. 48, incluse le interpretazioni che, finora, la Corte ha espresso solo in riferimento al Parlamento, anche alle elezioni regionali e comunali.

Tuttavia, si inserisce qui un importante ostacolo argomentativo, che è la Corte stessa ad aver posto in termini espliciti nella sent. 275/14338: in essa, la Consulta dichiarò che altro sono le elezioni “delle assemblee legislative nazionali, espressive al livello più elevato della sovranità popolare in una forma di governo parlamentare”, altro invece quelle degli “organi politico-amministrativi dei Comuni, e cioè il sindaco e il consiglio comunale, titolari di una limitata potestà di normazione secondaria”, (benché, a riprova di quanto detto finora, “dotati ciascuno di una propria legittimazione elettorale diretta”). Pertanto, “rientra nella discrezionalità del legislatore che disciplina le elezioni locali bilanciare l’interesse alla rappresentanza politica e quello alla governabilità, alla luce dei possibili rapporti tra il candidato sindaco e le liste ad esso collegate”339, anche con la previsione, come nel caso di specie, di un consistente premio di maggioranza da assegnarsi al candidato che abbia raggiunto la maggioranza assoluta o in seguito all’eventuale ballottaggio tra i due candidati più votati.

A queste considerazioni della Corte, si potrebbe tuttavia controbattere che, innanzitutto, nella stessa sentenza il collegio ricorda che le leggi elettorali (tutte) sono comunque soggette allo stesso controllo di

333 Si veda, in questo senso, D. Mone, “La sentenza della Corte costituzionale n. 50 del 2015 e la Carta europea dell’autonomia locale: l’obbligo di elezione diretta tra principi e disposizioni costituzionali”, in forumcostituzionale.it, 11/7/15.

334 Che, come è noto, sono norme di rango costituzionale.

335 L. 108/68, art. 1, primo comma: “I consigli regionali delle regioni a statuto normale sono eletti a suffragio universale con voto diretto, libero e segreto, attribuito a liste di candidati concorrenti.”

336 D.lgs. 267/00, artt. 71-73, anche se non è espressamente dichiarata come elezione diretta, le norme del TUEL non prevedono, per il Comune, nessun organo intermedio tra cittadini e Consiglio o Sindaco. Come visto supra, per le Province il sistema elettorale è differente.

337 Ciò è particolarmente chiaro nelle clausole aggiunte più di recente, in cui si parla esplicitamente di “voti di preferenza”, “liste di candidati” e “collegi uninominali”, tutte caratteristiche che si adattano molto più facilmente ad un’elezione diretta (soprattutto il voto di preferenza) che a una indiretta.

338 NB. Parleremo abbondantemente di questa sentenza nelle sezioni successive, qui viene richiamata solo per il ragionamento che la Corte riporta in merito alla differenza sostanziale tra enti locali e Stato.

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ragionevolezza340 che limita la discrezionalità legislativa sopra ricordata. Inoltre, se è vero che il Parlamento è l’espressione più alta della sovranità popolare, non significa che ai livelli di governo inferiori la tutela dei diritti fondamentali del cittadino debba essere ridotta. A rigor di logica, se contro un atto lesivo di un ente locale il cittadino ha generalmente a disposizione lo stesso rimedio (ricorso giurisdizionale o gerarchico) che potrebbe esperire nei confronti di un atto dello Stato, in quanto il livello di tutela non cambia, non si vede perché invece il diritto di voto che il cittadino esercita nei confronti dell’ente locale debba essere meno tutelato (nel caso di specie, meno “uguale”) di quello di cui gode nei confronti delle assemblee parlamentari.