• Non ci sono risultati.

Dopo aver analizzato gli altri due livelli di governo, si presentano ora le norme elettorali degli Enti Locali; come nelle altre istanze, si partirà dall’analisi storica

2.4.1 – EVOLUZIONE DEI SISTEMI ELETTORALI LOCALI 1946-1999

Il regime di Mussolini aveva abolito gli organi elettivi dei Comuni e delle Province nel 1926106, come parte del progetto di assimilazione politica dell’intero Paese al fascismo. Tuttavia, l’esigenza di garantire una

102 L. 2/7/2004, n. 165, “Disposizioni di attuazione dell'articolo 122, primo comma, della Costituzione”, GU n. 155 del 5/7/2004.

103 Id., artt. 2 e 3.

104 Id., art. 4.

105 L. 165/04, art. 4, primo comma, lettera c-bis), aggiunta dalla l. 15/2/2016, n. 20, G.U n. 46 del 25/2/2016.

106 Come parte delle “leggi fascistissime”, le ll. 4/2/1926, n. 237 (“Legge istitutiva del Podestà e della Consulta comunale ai comuni con più di 5000 abitanti”) e 3/9/1926, n. 1910 (“Estensione della legge 4 febbraio 1926, n. 237 a tutti i comuni.”) creavano la figura del podestà, di nomina governativa quinquennale, revocabile dal prefetto/Ministro dell’Interno e rinnovabile. Per quanto riguarda le Province, la riforma organica del testo unico del 1915, attuata nel 1934, aveva di fatto messo l’intera amministrazione nelle mani del prefetto: “Al Prefetto fa capo tutta la vita della provincia, che da lui riceve impulso, coordinazione e direttive. Il Prefetto provvede ad assicurare, in conformità alle generali direttive del Governo, unità d'indirizzo politico nello svolgimento dei diversi servizi di spettanza dello Stato e degli enti locali, coordinando l'azione di tutti gli uffici pubblici e vigilandone i servizi”, r. d. 3/3/1934, n. 383, art. 19. Lo

31

rappresentanza democratica nel livello amministrativo più prossimo alla popolazione spinse a modificare l’ordinamento delle Province e dei Comuni persino prima della fine della guerra107 (per quanto, per evidenti problemi logistici, le elezioni amministrative fossero posticipate a tempi migliori). L’elezione diretta del Consiglio comunale è stata disciplinata all’inizio del 1946108: il Consiglio eleggeva poi, al suo interno, Sindaco e Giunta. La disciplina prevedeva due diversi sistemi di voto, uno per i Comuni sotto i 30.000 abitanti, l’altro per i Comuni più popolosi.

Nel primo caso, l’elettore poteva esprimere un numero di voti pari ai quattro quinti dei seggi in Consiglio. Poteva anche votare per l’intera lista di consiglieri e persino cancellarne alcuni e votarne altri di un’altra lista, a patto di non superare la quota massima.109 Risultavano eletti, in ordine, i candidati che ottenevano più voti. Nel secondo caso, invece, l’elettore poteva votare per una lista ed esprimere preferenze/cancellazioni per un numero variabile di consiglieri110, ma lo scrutinio era di lista. Una volta determinato, proporzionalmente, il numero di consiglieri da assegnare ad ogni lista, i seggi erano attribuiti in ordine decrescente di preferenze. Nel 1951 le Camere estesero questa modalità di voto ai Comuni fino a 10.000 abitanti111, eliminando inoltre la possibilità di voto negativo e introducendo un premio di maggioranza che garantiva alla lista più votata i due terzi dei seggi in Consiglio, dividendo i restanti seggi proporzionalmente tra le opposizioni.

Nello stesso anno anche le Province tornarono ad essere organi elettivi, in quanto apparve chiara la necessità di garantire la rappresentanza democratica anche a livello sovracomunale, nell’attesa (ancora lunga) della creazione delle Regioni. La legge 122/51 assegnava alle Province sostanzialmente gli stessi organi del Comune (Consiglio e, eletti da e tra i consiglieri, Giunta e Presidente in luogo del sindaco) e prevedeva un sistema elettorale misto, con due terzi dei seggi assegnati tramite collegi uninominali e l’ultimo terzo allocato proporzionalmente con scorporo totale dei voti dei vincitori dei collegi uninominali.112

Tuttavia, nella seconda metà degli anni ‘50, dopo il fallimento del tentativo di instaurare un sistema quasi maggioritario alle Camere (la cd. “legge truffa” del 1953), il sistema proporzionale puro venne progressivamente esteso anche ai Comuni sopra i 10.000 abitanti (nel 1956113) e alle Province (nel 1960114). Solo la “ventata maggioritaria” dell’inizio degli anni ‘90 spinse a modificare le modalità di elezione dei Comuni e delle Province, inserendo alcune importantissime innovazioni: innanzitutto, per la prima volta nella storia del Paese, si introdusse l’elezione diretta di una carica monocratica (sindaco e Presidente di Provincia); secondariamente, si preferì un sistema majority assuring, a turno unico (tranne i casi di

stesso TU prevedeva che il prefetto presiedesse la Giunta Provinciale Amministrativa (integrata da membri nominati dal segretario locale del PNF) e che anche il preside, il vice-preside e i rettori della Provincia fossero nominati dal Governo (Id., artt. 113-115).

107 Con r. d. l. 4/4/1944, n. 111, si abolisce la figura del podestà, ma tutti gli organi restano di nomina governativa.

108 Con r. d. lgt. 7/1/1946, n. 1.

109 Id., art. 38.

110 Da 2 a 5, a seconda della dimensione del Consiglio (da 40 a 80 membri). Id., art. 59.

111 L. 24/2/1951, n. 84, art. 3.

112 L. 8/3/1951, n. 122, art. 9.

113 L. 23/3/1956, n. 136, “Modificazioni al testo unico delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali, approvato con decreto del Presidente della Repubblica 5 aprile 1951, n. 203, ed alla legge 8 marzo 1951, n. 122, recante norme per la elezione dei Consigli provinciali.”

114 L. 10/9/1960, n. 962, “Modificazioni alla legge 8 marzo 1951, n. 122, contenente norme per la elezione dei Consigli provinciali, e al testo unico approvato con decreto del Presidente della Repubblica 16 maggio 1960, n. 570, delle leggi per la composizione e la elezione degli organi delle Amministrazioni comunali.”

32

pareggio) per i Comuni sotto i 15.000 abitanti115, imperniato invece su un ballottaggio eventuale tra i due candidati più votati nei Comuni più popolosi, nel caso nessuno raggiungesse la maggioranza assoluta dei voti. La lista collegata al sindaco eletto avrebbe poi ricevuto almeno i due terzi (< 15.000 abitanti) o il 60% (> 15.000 abitanti) dei seggi in Consiglio, considerando anche le liste che si fossero apparentate con il candidato vincitore successivamente al primo turno di votazione.116 Curiosamente però, nel caso in cui un candidato sindaco avesse ottenuto la maggioranza assoluta al primo turno, ma le liste a lui collegate no, il riparto dei seggi sarebbe stato proporzionale.

Il sistema di elezione del Presidente e del Consiglio provinciale è stato reso del tutto simile al sistema di elezione per i Comuni sopra i 15.000 abitanti (con ballottaggio e premio di maggioranza al 60%), ma mantenendo i collegi uninominali per l’elezione dei consiglieri.117 Di fatto, questa normativa ha portato ad una discrasia forse unica nel panorama mondiale del FPTP: i candidati eletti nei collegi, infatti, potevano ottenere il loro seggio in Consiglio solo se, sulla base delle ripartizioni tra liste, il loro seggio era assegnato alla loro lista. Qualche mese dopo, una seconda legge ha introdotto sistemi di tutela della parità di genere all’interno delle elezioni locali.118

La Corte costituzionale poi intervenne sulla materia nel 1995, su questione incidentale posta dal Consiglio di Stato, riguardante l’annullamento delle elezioni in un comune con popolazione inferiore a 15.000 abitanti sulla base di una inadeguata rappresentanza femminile: la Corte, interpretando il principio di libertà politica dell’art. 51 Cost., dichiarò l’incostituzionalità di tutte le norme che garantivano ad uno dei due sessi una certa quota di candidati nelle liste, in tutte le elezioni (comunali, provinciali, regionali e politiche, per illegittimità costituzionale consequenziale).119

2.4.2 – IL TESTO UNICO SUGLI ENTI LOCALI (TUEL, d.lgs. 267/00) E LA LEGGE 56/14

Le ultime modifiche rilevanti ai fini della formula elettorale sono state poi portate nel 1999, con l’introduzione di un vero premio di maggioranza al 60% alle liste collegate al candidato sindaco vincitore che avessero ottenuto almeno il 40% dei voti al primo turno, a patto che nessun’altra lista o raggruppamento di liste conquisti la maggioranza assoluta. Inoltre, una soglia di sbarramento al 3% è stata prevista per le liste che presentano candidati al Consiglio.120 Tuttavia, la più grande innovazione elaborata dalle Camere è senza dubbio stata l’estensione del mandato degli organi elettivi di Comune e Provincia a 5 anni (dai 4 precedentemente previsti).121

115 L. 25/3/1993, n. 81, art. 5.

116 Id., artt. 6 e 7.

117 Id., artt. 8 e 9.

118 L. 15/10/1993, n. 415.

119 “Posto dunque che l'art. 3, primo comma, e soprattutto l'art. 51, primo comma, garantiscono l'assoluta eguaglianza fra i due sessi nella possibilità di accedere alle cariche pubbliche elettive, nel senso che l'appartenenza all'uno o all'altro sesso non può mai essere assunta come requisito di eleggibilità, ne consegue che altrettanto deve affermarsi per quanto riguarda la "candidabilità". Infatti, la possibilità di essere presentato candidato da coloro ai quali (siano essi organi di partito, o gruppi di elettori) le diverse leggi elettorali, amministrative, regionali o politiche attribuiscono la facoltà di presentare liste di candidati o candidature singole, a seconda dei diversi sistemi elettorali in vigore, non è che la condizione pregiudiziale e necessaria per poter essere eletto, per beneficiare quindi in concreto del diritto di elettorato passivo sancito dal richiamato primo comma dell'art. 51. Viene pertanto a porsi in contrasto con gli invocati parametri costituzionali la norma di legge che impone nella presentazione delle candidature alle cariche pubbliche elettive qualsiasi forma di quote in ragione del sesso dei candidati.” Corte costituzionale, sent. 422/95, considerato in diritto § 4.

120 L. 30/4/1999, n. 120, artt. 1, 5 e 6.

33

L’intera disciplina sugli Enti Locali è stata in seguito raccolta, per la prima volta dal regime fascista, nel d.lgs. 267/00122 (detto anche Testo Unico delle leggi sull’ordinamento degli Enti Locali - TUEL), ancora in vigore. In particolare, il Titolo III (“Organi”), Capo III disciplina le modalità di elezione degli organi comunali e provinciali. L’ultima modifica, introdotta con la legge 215/12123 ha ripristinato le norme sulla parità di genere nella composizione delle liste.

La disciplina attuale prevede quindi, per i Comuni, una legge majority assuring, confortata però da un turno di ballottaggio che non è presente in nessun’altra legge elettorale attualmente vigente, esclusa quella della Toscana. Per i Comuni sotto i 15.000 abitanti, tuttavia, il requisito della maggioranza semplice potrebbe apparire particolarmente lesivo della rappresentatività dell’elezione, specie se il candidato eletto sindaco raggiungesse una percentuale molto bassa.

Le Province, tuttavia, bollate dall’opinione pubblica come enti particolarmente “inutili” durante i primi anni della crisi economica, sono state oggetto di una profonda trasformazione: inizialmente quasi abolite per legge sotto il governo Monti124, la riforma del 2014125 le ha rese enti di secondo livello, i cui organi sono eletti dai consiglieri comunali dei Comuni che ne fanno parte con sistema proporzionale.

Per l’analisi della situazione attuale di Comuni, Province e Città Metropolitane, si rimanda comunque al capitolo IV e, in modo più dettagliato, all’Appendice.

122 D. lgs. 18/8/2000, n. 267, “Testo unico delle leggi sull'ordinamento degli enti locali”.

123 Legge 23/11/2012, n. 215.

124 Con d. l. 6/12/2011 n. 201 (convertito con legge 22/12/2011, n. 214) “Disposizioni urgenti per la crescita, l’equità e il consolidamento dei conti pubblici” e d.l. 6/7/2012, n. 95 (convertito con legge 7/8/2012, n. 135). Dichiarati poi incostituzionali, per la parte riguardante le Province, con sentenza 220/13.

125 L. 7/4/2014, n. 56 (cd. legge Delrio). Essa prevede che “sono organi delle province: a) il presidente della provincia; b) il consiglio provinciale; c) l'assemblea dei sindaci. Il presidente della provincia è eletto dai sindaci e dai consiglieri dei comuni della provincia. Il presidente della provincia dura in carica quattro anni. Il consiglio provinciale è composto dal presidente della provincia e da sedici componenti nelle province con popolazione superiore a 700.000 abitanti, da dodici componenti nelle province con popolazione da 300.000 a 700.000 abitanti, da dieci componenti nelle province con popolazione fino a 300.000 abitanti. Il consiglio provinciale dura in carica due anni. Il consiglio provinciale è eletto dai sindaci e dai consiglieri comunali dei comuni della provincia.” Art. 1, commi 51 e ss. Simili disposizioni si applicano alle Città metropolitane, con una variazione di terminologia e durata degli organi (5 anni). Lo Statuto delle Città metropolitane potrebbe prevedere l’elezione diretta del sindaco, ma nessuno Statuto la prevede. La Corte costituzionale ha sancito la compatibilità della disciplina delle città metropolitane con la Costituzione nella sentenza 50/15.