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5.5 – CONTENUTO DEGLI STANDARD COSTITUZIONALI

5.5.2 – CONSIGLIO REGIONALE

Come si è cercato di argomentare nella sezione precedente, per l’impostazione generale data dalla Costituzione, per il fondamentale ruolo istituzionale e di contrappeso che svolgono e per le importanti funzioni pubbliche a cui sono preposte, le Regioni (e, di conseguenza, i loro Consigli) sono organi la cui democraticità non può essere ragionevolmente posta in secondo piano rispetto a quella delle istituzioni statali. Pertanto, ad essi si dovrebbe applicare tutto quanto esposto nel paragrafo precedente, tenendo però conto, per quasi tutte le Regioni402, dei principi di cui all’art. 4 della legge 165/04. Richiamiamoli brevemente:

401 Come ricordato nel capitolo III, l’unico caso relativo alla soglia di sbarramento di una legge elettorale nazionale, risolto comunque nel segno dell’inammissibilità della questione, riguardava esclusivamente la rappresentanza delle minoranze etniche, escluse dal riparto dei seggi proporzionali nel Mattarellum (sent. 438/93).

402 Per quanto non esplicitamente statuito né dalla legge, né dall’art. 122 Cost., bisogna supporre che, laddove lo Statuto speciale indichi diversi principi ispiratori dei sistemi elettorali, la norma statutaria prevalga, se non altro perché di rango costituzionale. Va ricordato che la l. cost. 2/01 ha introdotto in tutti gli Statuti speciali una clausola che, mutatis mutandis, dichiara: “In armonia con la Costituzione e i princìpi dell’ordinamento giuridico della Repubblica (con il rispetto degli obblighi internazionali – solo Statuto TAA) e con l’osservanza di quanto disposto dal presente Titolo/Capo/Statuto, la legge regionale, approvata dal Consiglio regionale con la maggioranza assoluta dei suoi componenti, determina la forma di governo della Regione e, specificatamente, le modalità di elezione del Consiglio regionale, del Presidente della Regione e degli assessori, i rapporti tra gli organi della Regione, la presentazione e l’approvazione della mozione motivata di sfiducia nei confronti del Presidente della Regione, i casi di ineleggibilità e di incompatibilità con le predette cariche, nonché l’esercizio del diritto di iniziativa popolare delle leggi regionali e la disciplina del referendum regionale abrogativo, propositivo e consultivo. Al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi, la medesima legge promuove condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali. Le dimissioni contestuali della maggioranza dei componenti il Consiglio regionale comportano lo scioglimento del Consiglio stesso e l’elezione contestuale del nuovo Consiglio e del Presidente della Regione se eletto a suffragio universale e diretto. Nel caso in cui il Presidente della Regione sia eletto dal Consiglio regionale, il Consiglio è sciolto quando non sia in grado di funzionare per l’impossibilità di formare una maggioranza entro sessanta (novanta – solo Statuto TAA) giorni dalle elezioni o dalle dimissioni del Presidente stesso”. Si prevede poi che queste leggi non sono soggette a controllo preventivo del Governo (ma, come per le Regioni ordinarie, successivo) e che è possibile convocare un referendum per l’approvazione della legge, con una disciplina simile a quella dell’art. 138 Cost. Fa

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Le regioni disciplinano con legge il sistema di elezione del Presidente della Giunta regionale e dei consiglieri regionali nei limiti dei seguenti principi fondamentali:

a) individuazione di un sistema elettorale che agevoli la formazione di stabili maggioranze nel Consiglio regionale e assicuri la rappresentanza delle minoranze;

b) contestualità dell'elezione del Presidente della Giunta regionale e del Consiglio regionale, se il Presidente è eletto a suffragio universale e diretto. Previsione, nel caso in cui la regione adotti l'ipotesi di elezione del Presidente della Giunta regionale secondo modalità diverse dal suffragio universale e diretto, di termini temporali tassativi, comunque non superiori a novanta giorni, per l'elezione del Presidente e per l'elezione o la nomina degli altri componenti della Giunta; c) divieto di mandato imperativo.

c-bis) promozione delle pari opportunità tra donne e uomini nell'accesso alle cariche elettive, disponendo che: 1) qualora la legge elettorale preveda l'espressione di preferenze, in ciascuna lista i candidati siano presenti in modo tale che quelli dello stesso sesso non eccedano il 60 per cento del totale e sia consentita l'espressione di almeno due preferenze, di cui una riservata a un candidato di sesso diverso, pena l'annullamento delle preferenze successive alla prima; 2) qualora siano previste liste senza espressione di preferenze, la legge elettorale disponga l'alternanza tra candidati di sesso diverso, in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale; 3) qualora siano previsti collegi uninominali, la legge elettorale disponga l'equilibrio tra candidature presentate col medesimo simbolo in modo tale che i candidati di un sesso non eccedano il 60 per cento del totale.

Entrando nel dettaglio, innanzitutto si stabilisce che tutti i sistemi elettorali regionali debbano agevolare la formazione di stabili maggioranze, mentre sono tenuti ad assicurare la rappresentanza delle minoranze403. Questa forse è la clausola più divergente dalla tradizione di discrezionalità legislativa concessa all’organo politico in materia elettorale, in quanto impattante ai fini della formula: in primo luogo perché si richiede che leggi elettorali regionali favoriscano stabili maggioranze404. Alla luce di quanto stabilito nella sent. 1/14 e della sua applicabilità ai Consigli regionali, questa imposizione parrebbe antinomica all’uguaglianza del voto in uscita, perché finirebbe probabilmente a distorcere pesantemente il voto popolare, garantendo in ogni caso alla forza politica di maggioranza relativa la maggioranza assoluta dei seggi. Tuttavia, come accennato nella sezione precedente, anche la l. 165/04 deve essere interpretata in modo costituzionalmente orientato, specie dato che la scelta lessicale sembra solo consigliare, non pretendere, la formazione di maggioranze stabili in Consiglio: se ne deduce che una questione di legittimità sollevata in merito ad una alla lettera a) dell’art. 4, per violazione dell’art. 48, secondo comma, otterrebbe probabilmente una cd. sentenza interpretativa di rigetto. Similmente, un giudizio su di una legge elettorale regionale che, nonostante l’elezione diretta del Presidente, non gli garantisse una maggioranza (evidentemente, per violazione della suddetta lettera a)), vedrebbe probabilmente la Corte impegnata ad interpretare la norma statale come “principio” e non come “regola”.

eccezione la sola Provincia autonoma di Bolzano, per cui la modifica costituzionale ha mantenuto il sistema proporzionale e l’elezione indiretta del Presidente.

403 Un simile punto era stato sollevato dalla sent. 1601/16 del Consiglio di Stato, di cui si è dato conto al paragrafo 3.3.

404 Fine cui, almeno parzialmente, dovrebbero tendere tutti i sistemi elettorali che pretendano di essere utili alla vita democratica, garantendo non solo il sacrosanto dibattito politico, ma anche una produttiva conclusione dello stesso. È noto che sistemi, come quello della Repubblica di Weimar o della IV Repubblica francese, che patologicamente impedivano la formazione di maggioranze, non hanno esattamente dato buona prova di sé da un punto di vista storico.

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In secondo luogo, la norma è assai rilevante perché, con termini assolutamente inequivoci, si stipula l’obbligo di garantire diritto di tribuna alle opposizioni, a prescindere dal risultato elettorale405 e del tipo di forma di governo scelta (si veda infra). È evidente che la norma è stata scritta innanzitutto pensando a Regioni particolarmente piccole o politicamente polarizzate, magari a causa di un evento molto rilevante di portata però locale406, in cui potrebbe capitare che, guidata da un candidato Presidente carismatico e trascinatore, la coalizione/lista di maggioranza ottenga percentuali bulgare di suffragi, lasciando all’opposizione così pochi seggi da essere sostanzialmente irrilevante; secondariamente, la regola impedisce che il sistema, per effetto, per esempio, di un FPTP (uninominale o plurinominale), produca un Consiglio monocolore. Di conseguenza, sarebbe perfettamente accettabile una legge elettorale regionale che garantisca all’opposizione il 40-45% dei seggi in ogni caso, senza però avere meccanismi che, dall’altro lato, blindino la maggioranza assegnandole il resto dei seggi. All’estremo opposto, non sarebbe accettabile un sistema che contempli la mera possibilità che l’intero Consiglio sia espressione di una sola forza politica. In secondo luogo, il Parlamento ha posto tutte le Regioni di fronte ad una scelta sostanzialmente binaria: una forma di governo di tipo (semi)presidenziale407, con elezione diretta e contestuale di Presidente e Consiglio, legati in questo caso dalla clausola simul stabunt, simul cadent dell’art. 126, terzo comma, Cost., ovvero un sistema parlamentare, in cui il Presidente e la Giunta sono eletti (e sfiduciati) dal Consiglio, che ne tiene in mano le sorti. Di per sé, la lettera b) dell’art. 4 non sembrerebbe porre precisi paletti alle leggi elettorali, ad eccezione della “contestualità” prevista per il primo modello tra le due elezioni. In realtà, non si può non vedere un qualche collegamento tra questa scelta demandata a ciascuna Regione e la scelta del legislatore nazionale, richiamata dalla Corte nella sentenza 1/14, tra sistemi maggioritari e proporzionali. È infatti noto che i sistemi elettorali incidono sulla forma di governo anche più delle norme costituzionali direttamente preposte a regolarla408: da questo punto di vista, esiste una chiara somiglianza, da un lato, tra l’investitura diretta del Presidente e un sistema maggioritario come quello previsto dalla legge 270/05, in cui il capo della coalizione era patentemente il candidato Presidente del Consiglio409, e dall’altro tra l’elezione indiretta del Presidente e il sistema proporzionale vigente durante la Prima Repubblica (e a cui erano ispirati i sistemi regionali ante-Tatarellum della l. 108/68).

In termini più semplici, se il Consiglio opta per mantenere l’elezione diretta del Presidente (ad oggi prevista in tutte le Regioni, escluse Valle d’Aosta e Provincia di Bolzano), è facile pensare non solo che il sistema

405 Non sembra possibile interpretare diversamente la parola “minoranze”, nonostante sia comunemente usata anche per indicare le minoranze etnico-linguistiche presenti nel territorio della Repubblica. Ostano a questa interpretazione sia il contesto in cui è posta la parola (subito dopo le “maggioranze”, evidentemente politiche), sia il fatto che la l. 165/04 è primariamente rivolta alle Regioni ordinarie, che non presentano, di norma, minoranze linguistiche, religiose o comunque culturali tutelate giuridicamente, a differenza delle Regioni a Statuto speciale, in cui queste minoranze sono protette a livello di Statuto. È altresì chiaro che se le opposizioni possono ottenere, e ottengono autonomamente, abbastanza seggi per essere decentemente rappresentate in Consiglio, nulla quaestio.

406 Esempi potrebbero essere la TAV, l’Ilva di Taranto, la gestione del terremoto in Abruzzo, l’autonomia regionale veneta, una vicenda di corruzione/malaffare molto estesa, la gestione dei rifiuti, la risposta alla pandemia ecc.

407 (Semi)presidenziale non, si badi bene, semipresidenziale. La forma di governo regionale non è comparabile al modello della V Repubblica francese, che, ricordiamolo, non prevede la possibilità che l’Assemblea sfiduci il Presidente della Repubblica, causando la contemporanea caduta della stessa, mentre il modello regionale non ha una figura assimilabile al Primo Ministro. In merito, si veda S. Ceccanti, “Federalismo e forme di governo, L’inopportunità delle differenziazioni di modello. Le buone (e persistenti) ragioni della legge costituzionale n. 1 del 1999”, Il Filangieri, 1/2004, p. 69.

408 Su questo punto, ormai ampiamente diffuso e accettato dalla dottrina maggioritaria, si vedano ex plurimis G. Ferraiuolo, “Sistemi di elezione e dinamiche della forma di governo regionale”, in F. Pastore (a cura di), I sistemi

elettorali regionali tra complessità delle fonti, forma di governo e dinamiche partitiche, Torino 2012; A.O. Cozzi, “Gli

effetti della sentenza n. 1 del 2014 sui premi di maggioranza regionali”, cit. Si veda anche M. Massa, “Dopo il premio di maggioranza nazionale, quello regionale?”, cit., pp. 130-132.

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elettorale del Consiglio conterrà elementi maggioritari per ragioni di logica politica (e costituzionale, stante il regola simul stabunt), ma che l’elettorato abbia la “legittima aspettativa” (per citare sempre la 1/14) che il Presidente eletto non sia ostacolato nella realizzazione del suo programma da un Consiglio di orientamento opposto, o, peggio, immediatamente sfiduciato410. Il bilanciamento di interessi tra rappresentatività del Consiglio e governabilità, in questo caso, probabilmente penderebbe a favore della seconda, anche in virtù del fatto che, a differenza del Presidente del Consiglio dei Ministri, il Presidente della Giunta è legittimato dal voto popolare in maniera diretta. Au contraire, qualora il Consiglio optasse per un sistema parlamentare, la Corte avrebbe gioco facile a pretendere una maggiore (ma anche non perfetta) proporzionalità del risultato, grazie alla clausola di razionalizzazione che impone in ogni caso ai Consigli di eleggere un Presidente in tempi rapidi (massimo due/tre mesi dalle elezioni), contemplando quindi la necessità quasi inevitabile di formare coalizioni di governo. Non sono previste ulteriori opzioni, come ha dimostrato ampiamente il caso calabro411.

La lettera c), che in termini lapidari impone alle Regioni lo stesso divieto di mandato imperativo contenuto nell’art. 67 Cost., è rilevante dal punto di vista delle leggi elettorali perché, nella giurisprudenza della Corte, alla libertà di coscienza dei parlamentari (e degli altri rappresentanti politici eletti) si ricollegano alcuni fondamentali aspetti dell’elezione, in particolare l’immediatezza del rapporto eletto-elettore412. Se infatti i consiglieri regionali non possono essere sottomessi alla disciplina di partito nell’esercizio delle loro funzioni, appare evidente che l’unico mezzo per garantire che essi non rispondano unicamente ai vertici della loro forza politica è l’investitura popolare, tramite elezione diretta.

Infine, la lettera c-bis), aggiunta in due tempi, tra il 2012 e il 2016, si occupa di garantire una certa gender

fairness nelle liste di candidati, adeguando anche i sistemi regionali al nuovo art. 51 Cost. La norma è

interessante perché provvede ad elencare tre diverse modalità elettorali: si hanno, in ordine, la lista di candidati “semiaperta”, in cui l’ordine non è rilevante, nessuno dei due generi può essere rappresentato da più del 60% dei candidati e gli elettori possono esprimere almeno due preferenze, di genere diverso; la lista bloccata (che deve essere “breve”, come da sent. 1/14 e 35/17413), in cui i candidati devono

410 A tal proposito, nella sent. 4/2010, la Corte ha stabilito che “il legislatore costituzionale ha voluto evitare che il rapporto tra forma di governo regionale – la quale, ai sensi dell’art. 123, primo comma, Cost., deve essere determinata dagli statuti delle singole Regioni – e legge elettorale regionale possa presentare aspetti di incoerenza dovuti all’inversione, temporale e logica, tra la prima e la seconda. È noto infatti che la legge elettorale deve armonizzarsi con la forma di governo, allo scopo di fornire a quest’ultima strumenti adeguati di equilibrato funzionamento sin dal momento della costituzione degli organi della Regione, mediante la preposizione dei titolari alle singole cariche. L’entrata in vigore e l’applicazione della legge elettorale prima dello statuto potrebbero introdurre elementi originari di disfunzionalità, sino all’estremo limite del condizionamento del secondo da parte della prima, in violazione o elusione del carattere fondamentale della fonte statutaria, comprovato dal procedimento aggravato previsto dall’art. 123, secondo e terzo comma, della Costituzione”. Considerato in diritto § 2.1.

411 Si veda il capitolo IV, nella sezione dedicata alla Calabria, e Corte cost., sent. 2/2004.

412 Perché, come ulteriormente ribadito nella sent. 1/14, un parlamentare nominato solo da organi di partito tramite l’inserimento in lista in una certa posizione, e che spesso doveva la sua elezione direttamente all’opzione dei suoi colleghi candidati plurieletti, non dava esattamente le migliori assicurazioni che sarebbe stato libero nell’esercizio del suo ufficio. Si veda sent. 1/14, Considerato in diritto § 5.

413 “In sostanza, mentre lede la libertà del voto un sistema elettorale con liste bloccate e lunghe di candidati, nel quale è in radice esclusa, per la totalità degli eletti, qualunque indicazione di consenso degli elettori, appartiene al legislatore discrezionalità nella scelta della più opportuna disciplina per la composizione delle liste e per l’indicazione delle modalità attraverso le quali prevedere che gli elettori esprimano il proprio sostegno ai candidati.”, Sent .35/17, Considerato in diritto § 11.2.

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necessariamente essere di genere alternato in modo che nessun genere superi il 60%414; collegio uninominale, in cui ogni lista/coalizione non può presentare più del 60% di candidati dello stesso genere. A tutto ciò va naturalmente aggiunta anche la produzione giurisprudenziale costituzionale direttamente in materia di legislazione elettorale regionale. La Corte ha avuto modo di pronunciarsi sulle leggi di numerose Regioni (Trentino-Alto Adige, Bolzano, Valle d’Aosta, Calabria, Abruzzo, Marche, Campania, Basilicata, Puglia e Lombardia), anche se non tutte rilevanti ai nostri fini (molte trattavano di problemi di adeguamento alla riduzione nel numero di consiglieri regionali prevista nello Statuto415, di successione nel tempo di Statuto e legge elettorale – che deve necessariamente seguirlo416 – o di diritti della minoranza ladina417). Di più rilevanti per la normativa elettorale, si hanno i casi della Valle d’Aosta (sent. 49/03), in cui la Corte ribaltò completamente il precedente della 422/95, ammettendo la legittimità di una riserva di genere nelle liste di candidati al Consiglio418, e della Campania, nella sent. 4/10, che accetta la doppia preferenza di genere.

La Regione che di gran lunga ha creato più problemi alla Corte in materia elettorale è stata la Calabria, la cui normativa è finita più volte davanti alla Corte, due volte per problemi di prorogatio419 e una per lo Statuto. La sent. 2/04 è fondamentale per capire l’allocazione dei poteri normativi nella materia elettorale tra Stato e Regione:

la legge della Repubblica stabilisce i principi fondamentali in tema di “sistema di elezione” e di determinazione dei “casi di ineleggibilità e di incompatibilità del Presidente e degli altri componenti della Giunta regionale, nonché dei consiglieri regionali”; e sui medesimi temi viene al contempo riconosciuta una competenza del legislatore regionale per tutta la parte residua. Inoltre, lo stesso primo comma dell’art. 122 prevede che la legge statale “stabilisce anche la durata degli organi elettivi” ed in questo caso sembra trattarsi di una competenza legislativa

414 Dal punto di vista matematico, ciò sembrerebbe porre un certo problema con le liste di candidati di numero dispari. In tal caso, è evidente che uno dei due generi sarà sovrarappresentato, ma per adeguarsi a quanto richiesto dalla norma, è sufficiente che la lista contenga più di 4 candidati. Non sono quindi ammissibili liste di soli 3 candidati, perché in tal caso 2/3 (66,7%) sarebbero dello stesso genere, ma sono perfettamente lecite liste di 5, 7, 9 … candidati.

415 Corte cost., sent. 188/2011, relativa alla Puglia, la cui legge elettorale

416 “l legislatore costituzionale ha voluto evitare che il rapporto tra forma di governo regionale – la quale, ai sensi dell’art. 123, primo comma, Cost., deve essere determinata dagli statuti delle singole Regioni – e legge elettorale regionale possa presentare aspetti di incoerenza dovuti all’inversione, temporale e logica, tra la prima e la seconda. È noto infatti che la legge elettorale deve armonizzarsi con la forma di governo, allo scopo di fornire a quest’ultima strumenti adeguati di equilibrato funzionamento sin dal momento della costituzione degli organi della Regione, mediante la preposizione dei titolari alle singole cariche. L’entrata in vigore e l’applicazione della legge elettorale prima dello statuto potrebbero introdurre elementi originari di disfunzionalità, sino all’estremo limite del condizionamento del secondo da parte della prima, in violazione o elusione del carattere fondamentale della fonte statutaria, comprovato dal procedimento aggravato previsto dall’art. 123, secondo e terzo comma, della Costituzione.”, Corte cost., sent. 4/2010, Considerato in diritto § 2.1. Si veda anche sent. 45/2011.

417 Le si è già esaminate perché riguardavano le soglie di sbarramento. Sent. 356/98 e 233/94.

418 Il caso è particolarmente curioso, perché si trattava di una formulazione simile, seppur ben più generica e priva di quote specifiche, a quella censurata otto anni prima nella disciplina per le elezioni amministrative, ma la Corte glissò, neanche troppo abilmente, sulla ratio della sua precedente pronuncia, citandola nelle parti di obiter in cui aveva ammesso la possibilità di interventi simili, ma non quello del caso di specie. La motivazione costituzionale di questo cambio di passo è chiaramente da rintracciarsi, oltre che nella diversa composizione della Corte, nell’approvazione della l. cost. 2/01, che permise alle Regioni a Statuto speciale di legiferare in materia elettorale realizzando “condizioni di parità per l’accesso alle consultazioni elettorali", e ciò proprio "al fine di conseguire l’equilibrio della rappresentanza dei sessi”.

419 Sent. 196/03, insieme all’Abruzzo, perché si era ritenuto di poter regolare la prorogatio con legge regionale e non nello Statuto. Sent. 243/16, il Consiglio modificò la legge elettorale in regime di prorogatio anche su un argomento (il seggio al miglior candidato Presidente non eletto) che non era stato fatto oggetto di ricorso da parte del Governo.

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piena. A questo proposito, peraltro, occorre prendere atto che non si può pretendere, in nome della competenza statutaria in tema di “forma di governo”, di disciplinare la materia elettorale tramite disposizioni statutarie, dal momento che il primo comma dell’art. 123 ed il primo comma dell’art. 122 sono disposizioni tra loro pariordinate: anche se sul piano concettuale può