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3.2 – GIURISPRUDENZA COSTITUZIONALE

3.2.1 – UNA PREMESSA: L’AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM IN MATERIA ELETTORALE

Avendo stabilito come la Corte è entrata in contatto con l’essenza della materia elettorale, ovvero la formula, possiamo procedere ad una rapida analisi della giurisprudenza, che permette di dividere le decisioni della Corte in vari gruppi, sulla base dell’argomento. Alcuni di questi, elencati infra, non sono strettamente attinenti alla presente ricerca e verranno pertanto solo brevemente illustrati qui nelle loro linee fondamentali.

Innanzitutto, in materia di reati elettorali, la Corte è dovuta intervenire più volte a risolvere dubbi relativi alla impossibilità di applicare la sospensione condizionale ai reati elettorali e su altre questioni (ex multis, sent. 455/98147); sulla natura giurisdizionale (o meno) dell’ufficio centrale circoscrizionale e dei consigli provinciali e comunali in sede di convalida delle elezioni, prima che la giurisdizione passasse direttamente ai tribunali amministrativi e ordinari (sent. 93/65); sull’ineleggibilità, incandidabilità e incompatibilità tra cariche, soprattutto nella legge elettorale per gli Enti Locali della Sicilia (sent. 166/72, 216/72, 162/85, 432/87, 571/89, 344/93, 141/96, 450/00, 350/01, 143/10, 257/10, 277/11, 294/11, 67/12)148; sulle cd. “quote rosa”: sent. 422/95149; sulla rappresentanza minoranze linguistiche in Trentino-Alto Adige (sent. 233/94); sul ruolo della Vigilanza Rai nelle campagne referendarie (soprattutto conflitti di attribuzione tra comitati promotori e Vigilanza, ex multis, ord. 172/09); sulla possibilità di ricorrere direttamente contro atti endoprocedimentali, senza aspettare la decisione dell’ufficio elettorale (sent. 236/10, che cambia l’orientamento espresso, ex multis, dall’ord. 90/09. per la Sicilia, sent. 113/93 aveva affermato la possibilità di impugnare solo la proclamazione); sui termini di decadenza per il ricorso (di base, se decorrono dalla decisione dell’ufficio o dalla notifica al candidato, sent. 160/97 e 104/06); sulla possibilità per le Regioni di fornire sussidi agli elettori residenti all’estero (sent. 39/73 sulla Puglia); ed infine, sui requisiti di residenza per l’elettorato attivo e passivo nelle leggi elettorali regionali (sent. 20/85 e 42/87).

Molto più rilevanti ai nostri fini sono invece le pronunce più direttamente riferite al sistema elettorale, che verranno qui analizzate per gruppi tematici. Da un punto di vista storico, si può notare un incremento notevole nel contenzioso costituzionale in materia elettorale a partire dalle prime elezioni regionali nel 1970, che è poi diventato esponenziale a far data dalla riforma del titolo V del 1999-2001, che ha permesso alle Regioni di determinare, con legge regionale, il sistema elettorale (ma non la forma di governo, coperta da riserva statutaria). Alcune analisi già svolte sull’argomento indicano come, in generale, fino al 1996 la Corte non ha usato il principio di ragionevolezza come parametro per la legislazione elettorale, consentendo, in teoria, al legislatore di adattare il sistema alle sue esigenze150. Va tuttavia ricordato che, come visto nel capitolo II, fino ai primi anni ’90 il Parlamento non ha modificato in maniera significativa la legge elettorale.

3.2.1 – UNA PREMESSA: L’AMMISSIBILITÀ DEI REFERENDUM IN MATERIA ELETTORALE

2006 e 2008, la l. 52/15 era ancora inefficace (ma già in vigore, per quanto riguarda l’ordinanza del Tribunale di Messina) o efficace ma mai utilizzata (per le altre ordinanze).

147 In cui la Corte, testualmente, ricorda che “Vi è certo l'esigenza, da tempo segnalata (sentenze nn. 84 del 1997, 121 del 1980 e 45 del 1967), di una compiuta razionalizzazione del sistema dei reati elettorali, eventualmente intervenendo anche sulla durata della prescrizione. Ma a ciò può provvedere solo il legislatore”. Sent. 455/1998, Considerato in diritto, § 5.

148 A differenza dell’incompatibilità, che non inficia la candidatura o l’elezione salvo pretendere poi l’opzione tra le varie cariche incompatibili (ed è, come noto, posta semplicemente a tutela del fruttuoso esercizio della carica), e della relativamente recente (per le Camere) figura dell’incandidabilità (che è posta a tutela della politica da soggetti con precedenti penali), l’ineleggibilità colpisce cittadini perfettamente abili all’elettorato attivo e passivo, a cui però la posizione che attualmente occupano garantirebbe un ingiusto vantaggio in sede di competizione elettorale.

149 Dichiarate incostituzionali con sentenza 422/1995, per poi essere pacificamente reintrodotte a seguito della revisione costituzionale dell’art. 51 (l. cost. 1/03).

150 Si veda E. Sorrentino, “La giurisprudenza costituzionale italiana in materia elettorale”, in federalismi.it, 2/2019, pp. 2-25, 23/1/19.

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Per quanto non intrinsecamente connessa con il sistema elettorale, ed invece molto più vicino ad un discorso “istituzionale” lato sensu, la questione dell’ammissibilità dei referendum in materia elettorale è stata affrontata più volte dalla Corte, risultando in una disciplina decisamente chiara, che non ha sostanzialmente avuto bisogno di ulteriori specificazioni fin dalla sua elaborazione nei primissimi anni ’90. La sua rilevanza rispetto alla materia elettorale è inscindibilmente legata alla storia dei sistemi elettorali italiani, ricordata supra nel capitolo II: aldilà del loro successo pratico (molto limitato, come si è visto151), i tentativi referendari hanno permesso alla Corte di collocare la materia elettorale all’interno del più ampio quadro costituzionale, stabilendo, per così dire, i “limiti esterni” della discrezionalità politica sulla materia elettorale; limiti molto larghi, sia chiaro, ma non estensibili all’infinito.

Preliminarmente, giova ricordare la famosa vicenda dell’”errore di stampa” contenuto nell’art. 75 della bozza costituzionale del dicembre 1947: per ragioni ad oggi ancora non completamente chiare152, mentre l’Assemblea costituente aveva aggiunto la legislazione elettorale tra le materie protette dal referendum abrogativo il 16 ottobre 1947, nel testo definitivo del 22 dicembre, votato poi definitivamente il 27 dello stesso mese, il riferimento alle leggi elettorali non fu inserito. La Corte tuttavia ha ritenuto di non poter questionare gli interna corporis dell’Assemblea costituente e di poter quindi fare riferimento solo al testo così come approvato in via definitiva153.

Il primo episodio in cui la Corte ha affrontato una richiesta di referendum su norme elettorali non è tuttavia riferibile ad elezioni “tradizionali” e risale al 1987, quando i giudici costituzionali dichiararono inammissibile un quesito che avrebbe cancellato completamente la disciplina elettorale del CSM. Dopo aver lamentato la mancanza di un qualunque tipo di significato “politico” contenuto nella richiesta di abrogazione referendaria, con le parole della Corte, che sarebbero poi state citate quasi indefettibilmente nelle successive sentenze in materia, si stabilì che

151 Solo due volte, nel 1991 e nel 1993, il referendum è riuscito a modificare la legge elettorale, e per un periodo di tempo molto ridotto, a causa della successiva approvazione del Mattarellum. Solo le elezioni politiche del 1992 sono state effettuate con una normativa risultante dalle operazioni di ablazione referendaria, in particolare senza le preferenze multiple alla Camera.

152 Per una ricostruzione storica accurata, si veda A. Gigliotti, L’ammissibilità del referendum in materia elettorale, Volume 19 di Pubblicazioni del Dipartimento di teoria dello Stato dell'Università degli studi di Roma La Sapienza, Giuffrè 2009, pp. 25-27, in cui si afferma che probabilmente si trattò di una svista dei funzionari parlamentari, in particolare del funzionario addetto al processo verbale, il quale erroneamente annotò come “non approvata” la parola “elettorali”, mentre l’Assemblea risultava aver votato a favore. In sede di coordinamento del testo, di fronte alla discordanza tra il verbale e il resoconto stenografico della seduta, si optò per il verbale e l’inciso fu omesso. Un’altra ipotesi indica invece il responsabile in Meuccio Ruini, che aveva votato contro l’emendamento Rossi del 16 ottobre 1947 ed era poi stato incaricato di presiedere il Comitato dei diciotto che redasse il testo definitivo.

153 Sent. 47/91, Considerato in diritto § 3.1: “Qualsiasi ricostruzione delle vicende subite dall'emendamento volto ad includere «le leggi elettorali» tra quelle espressamente sottratte dalla Costituzione alla possibilità di abrogazione per via referendaria, come pure qualsiasi supposizione circa le sorti di tale emendamento o qualsiasi discussione in ordine alla portata dei poteri del Comitato di redazione, non consente, a parte l'innegabile interesse storico-istituzionale, di condividere la prima ragione di inammissibilità prospettata. A questa Corte non è dato, infatti, di riscrivere alcun punto del testo della Carta costituzionale, quale sancito dalla votazione finale del 27 dicembre 1947. La Costituzione vale per ciò che risulta scritto in quel testo, promulgato dal Capo provvisorio dello Stato e pubblicato nella Gazzetta Ufficiale. L'Avvocatura dello Stato vorrebbe rivendicare a questa Corte un sindacato sugli interna corporis dell'Assemblea costituente sulla base di non pochi precedenti (sentenze n. 9 del 1959, n. 68 del 1978, n. 152 del 1982, n. 292 del 1984; v. anche sentenza n. 3 del 1957) relativi agli interna corporis del Parlamento, ma tali precedenti, allo stesso modo della dottrina espressasi nel senso dell'inidoneità della votazione finale a superare eventuali vizi riscontrabili all'interno del procedimento legislativo, valgono, appunto, con riferimento all'approvazione delle leggi ordinarie. L'approvazione finale della Carta costituzionale si ricollega, invece, all'esercizio di un potere del tutto speciale, come è quello costituente.”

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Gli organi costituzionali o di rilevanza costituzionale non possono essere esposti alla eventualità, anche soltanto teorica, di paralisi di funzionamento. Per tale suprema esigenza di salvaguardia di costante operatività, l'organo, a composizione elettiva formalmente richiesta dalla Costituzione, una volta costituito, non può essere privato, neppure temporaneamente, del complesso delle norme elettorali contenute nella propria legge di attuazione. Tali norme elettorali potranno essere abrogate nel loro insieme esclusivamente per sostituzione con una nuova disciplina, compito che solo il legislatore rappresentativo è in grado di assolvere.154

Ad una prima analisi superficiale, la Consulta sembrerebbe aver seppellito definitivamente la possibilità, anche solo teorica, di un referendum in materia elettorale. Va infatti notato che la Corte, nell’intera sentenza, non si riferisce mai al Consiglio Superiore della Magistratura come organo di garanzia del potere giudiziario, ma sempre come un “organo costituzionale … elettivo”, etichetta agilmente applicabile (e nei fatti applicata dagli stessi giudici costituzionali nelle sentenze successive) anche alle Camere e ai Consigli regionali. Tuttavia, ad una seconda lettura si nota come il riferimento all’impossibilità di abrogazione per via referendaria abbia riguardato solo il complesso delle norme elettorali, la cui abrogazione nel loro

insieme deve essere appannaggio esclusivo del legislatore, e solo in occasione di una contestuale sostituzione delle norme cancellate.

La sentenza 29/87, abbozzando i criteri per un referendum in materia elettorale per un organo costituzionalmente rilevante ed elettivo155 – un quesito chiaro ed univoco, con un evidente fine intrinseco156, e una modificazione che non impedisca la continuità del funzionamento del sistema elettorale dell’organo – incastonò formalmente la legislazione elettorale all’interno di quelle materie costituzionalmente sensibili e meritevoli di un trattamento particolare da parte del legislatore: dalla lettera del dictum risulta infatti che neanche il Parlamento potrebbe semplicemente abrogare la disciplina elettorale di un organo con le caratteristiche di cui sopra, in quanto si tratta di norme “costituzionalmente necessarie”, per quanto non “a contenuto costituzionalmente necessario”157.

La Corte ebbe modo di chiarire la sua posizione sull’ammissibilità dei referendum elettorali già pochi anni dopo, quando Segni e altri presentarono i tre quesiti che proponevano l’abolizione della soglia del 65% per l’elezione FPTP al Senato, la preferenza unica alla Camera e l’estensione del sistema elettorale maggioritario a tutti i Comuni: nella sentenza 47/91 i giudici costituzionali specificarono che “la sentenza n. 29 del 1987 [era] pervenuta ad una conclusione di inammissibilità non in forza di una generale esclusione della materia elettorale”158, ma a causa dei vizi sopra elencati, per cui ben era ammissibile un referendum abrogativo parziale della legge elettorale, a patto che, oltre alla chiarezza, omogeneità e univocità del quesito, si garantisse “una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative, anch'essa indispensabile perché la proposta di cancellazione non esponga un tale organo «alla eventualità, anche

154 Sent. 29/1987, Considerato in diritto § 2.

155 È importante questa precisazione, perché esclude i Comuni e le Province dalla definizione.

156 Questo criterio, come è noto, è valido per tutti i referendum ex art. 75. Sent. 27/1987, Considerato in diritto, § 1.

157 Per la distinzione si veda Corte cost., sent. 47/1991, Considerato in diritto, § 3.3. Anche la Corte di Cassazione, nella celebre ordinanza 12060/13, nota che “Né varrebbe l'obiezione secondo cui, rientrando le leggi elettorali nella categoria delle leggi costituzionalmente necessarie, non ne sarebbe possibile l'espunzione dall'ordinamento nemmeno in caso di illegittimità costituzionale poiché una eventuale sentenza costituzionale avrebbe come effetto quello di creare un inammissibile vulnus al principio (da ultimo ribadito da Corte cost. n. 13/2012) di continuità e costante operatività degli organi costituzionali, al cui funzionamento quelle leggi sono indispensabili.”

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soltanto teorica, di paralisi di funzionamento»”159. Come ricordato nel capitolo precedente, solo il quesito sulla preferenza unica superò il vaglio della Consulta (così come quello degli elettori)160.

A partire dalla sentenza del 1991, la Corte non si è mai discostata dall’orientamento fin qui delineato: due anni dopo, di fronte a meglio congegnati (ma sostanzialmente identici) quesiti sulla legge elettorale del Senato, applicato ad una normativa appositamente resa facile da modificare per via ablativa, e dei Comuni, la Corte autorizzò il referendum ricordando che “sono assoggettabili a referendum popolare anche le leggi elettorali relative ad organi costituzionali o di rilevanza costituzionale, alla duplice condizione che i quesiti siano omogenei e riconducibili a una matrice razionalmente unitaria, e ne risulti una coerente normativa residua, immediatamente applicabile, in guisa da garantire, pur nell'eventualità di inerzia legislativa, la costante operatività dell'organo.” Il collegio ritenne anche di dover specificare che “quando siano rispettate tali condizioni, è di per sé irrilevante il modo di formulazione del quesito (che, naturalmente, si presentava come un elenco di brevi parti di articoli da eliminare, a volte singole parole, soprattutto nel caso del quesito sulla legge elettorale dei Comuni) … se l'uso di questa tecnica è imposto dall'esigenza di "chiarezza, univocità e omogeneità del quesito" e di "una parallela lineare evidenza delle conseguenze abrogative", sì da consentire agli elettori l'espressione di un voto consapevole”161. Nonostante la normativa di risulta presentasse alcune incongruenze, la Corte (probabilmente, se non influenzata, sicuramente conscia del portato politico di rinnovamento rappresentato da questo referendum) fece presente che comunque il legislatore sarebbe potuto intervenire in seguito162. Ciò giustifica quanto prima detto in merito alla significatività dello studio di queste pronunce: la Corte, in sede di ammissibilità del referendum, “ove anche avessero potuto dar luogo ad eventuali vizi di legittimità costituzionale”, li ritiene “non rilevanti in sede di giudizio di ammissibilità”163.

Dopo l’irripetibile stagione dei referendum che decretarono il passaggio alla Seconda Repubblica, la Corte ha affrontato varie questioni in materia elettorale in sede di ammissibilità: l’abolizione della quota proporzionale prevista dalle leggi 276 e 277/93 (sent. 5/95 e 26/97, inammissibili, 13/99 e 33/00, ammissibili)164, la parificazione elettorale dei Comuni con più di 15.000 abitanti a quelli più piccoli (sent.

159 Id., § 4.2, citando la sent. 27/87.

160 Per una ricostruzione estensiva dei criteri di ammissibilità dei referendum in materia elettorale, si veda A. Vuolo, La

legge elettorale, cit., pp. 81 e ss.

161 Corte cost., sent. 32/1993, Considerato in diritto § 2, citando la celebre sent. 16/1978.

162 “La Corte non si nasconde che la normativa di risulta può dar luogo ad inconvenienti, ad esempio per ciò che riguarda, da un lato, la diseguale proporzione in cui l'uno e l'altro sistema di elezione sarebbero destinati ad operare nelle singole regioni, dall'altro … gli effetti che il passaggio al sistema maggioritario semplice determina in caso di ricorso alle elezioni suppletive … al fine di ricoprire i seggi rimasti vacanti per qualsiasi causa, e in particolare per effetto di eventuali opzioni effettuate da candidati eletti in più collegi o eletti contemporaneamente al Senato e alla Camera dei deputati. Ma questi aspetti non incidono sull'operatività del sistema elettorale, né paralizzano la funzionalità dell'organo, e pertanto non mettono in causa l'ammissibilità della richiesta di referendum. Nei limiti del divieto di formale o sostanziale ripristino della normativa abrogata dalla volontà popolare (sent. 468 del 1990), il legislatore potrà correggere, modificare o integrare la disciplina residua.” Id., § 5. Simili considerazioni si trovano in calce alla sent. 33/93, relativa alla legge elettorale comunale: “Le difficoltà, peraltro di natura meramente operativa, che dovessero delinearsi in sede di applicazione della disciplina di risulta - non venendo a incidere su aspetti essenziali del sistema elettorale - potrebbero, in ogni caso, essere ovviate mediante interventi successivi del legislatore ordinario, che, pur dopo l'accoglimento della proposta referendaria, conserva il potere d'intervenire nella materia oggetto di referendum senza limiti particolari che non siano quelli connessi al divieto di far rivivere la normativa abrogata”. Considerato in diritto, § 3.

163 Corte cost., sent. 5/1995, Considerato in diritto § 2.5, citando sent. 26/87.

164 Essenzialmente a causa della sostanziale impossibilità di garantire, da un lato, il numero totale di eletti per le Camere e, dall’altro, la natura puramente ablatoria del referendum, che non può ipso facto creare il numero necessario di collegi uninominali (non solo aggiungendoli, ma modificando anche tutti quelli esistenti). Il quesito del 1999 invece propose di distribuire il 25% rimanente ai migliori perdenti dei collegi e la Corte non obiettò.

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10/95, ammissibile), e, intervenuta la l. 270/05, l’abrogazione delle norme sulle coalizioni tra liste (sent. 15/08 e 16/08, ammissibili), delle pluricandidature (sent. 17/08, ammissibile) e dell’intero “Porcellum” (sent. 13/12, inammissibile). In ciascuno di questi casi, tuttavia, o gli elettori votarono no (1995) o il quorum non fu raggiunto (1999, 2000, 2009).

È tuttavia in due di queste sentenze, la 15/08 e la sua gemella n. 16, che la Corte, pur ribadendo che il giudizio di ammissibilità del referendum abrogativo non è la sede di valutazione della costituzionalità della normativa di risulta, ammonisce – il legislatore, s’intende – in merito alla preoccupante compressione della rappresentatività causata dalla l. 270/05.

Del resto, l'assenza di una soglia minima per l'assegnazione del premio di maggioranza – che renderebbe, secondo talune prospettazioni, inammissibile il quesito, in quanto potenzialmente foriero di una eccessiva sovra-rappresentazione della lista di maggioranza relativa – è carenza riscontrabile già nella normativa vigente che, giova ricordare, non impone le coalizioni, ma le rende solo possibili. L'abrogazione richiesta dal quesito referendario avrebbe, per esplicita ammissione dei sostenitori dell'inammissibilità, solo l'effetto di rendere più probabile l'attribuzione dei 340 seggi ad una lista con un numero di voti relativamente esiguo. Anche una coalizione di piccoli partiti potrebbe, ad esempio, superare con minimo scarto liste singole corrispondenti a partiti più consistenti non coalizzati ed accedere in tal modo, con una bassa percentuale di voti, al premio di maggioranza. Altre ipotesi potrebbero farsi, ma è sufficiente, ai fini della valutazione del quesito in sé e per sé, rilevare che la sua ammissibilità non può dipendere da possibili esiti futuri, molteplici e imprevedibili, tali da aggravare, o non, carenze già esistenti nella legge vigente. Questa Corte può spingersi soltanto sino a valutare un dato di assoluta oggettività, quale la permanenza di una legislazione elettorale applicabile, a garanzia della stessa sovranità popolare, che esige il rinnovo periodico degli organi rappresentativi. Ogni ulteriore considerazione deve seguire le vie normali di accesso al giudizio di costituzionalità delle leggi. L'impossibilità di dare, in questa sede, un giudizio anticipato di legittimità costituzionale non esime tuttavia questa Corte dal dovere di segnalare al Parlamento l'esigenza di considerare con attenzione gli aspetti problematici di una legislazione che non subordina l'attribuzione del premio di maggioranza al raggiungimento di una soglia minima di voti e/o di seggi.165

Ancora: la sent. 13/12, che dichiarò inammissibile i quesiti volti a cancellare completamente la l. 270/05, stabilì, anche nel caso di norme costituzionalmente necessarie, come la legislazione elettorale, la non-reviviscenza della disciplina precedente in caso di abrogazione di quella posteriormente intervenuta. Nel caso di specie, l’ipotetica abrogazione totale della l. 270/05 non avrebbe potuto riportare in vigore il “Mattarellum” previgente. Pertanto, non potendosi lasciare il Parlamento privo di norme elettorali, il quesito non fu ammesso a referendum166.

165 Corte cost., sent. 15/2008, Considerato in diritto § 6.1, enfasi aggiunta.

166 Corte cost., sent. 13/2012, Considerato in diritto § 5.2: “Non può quindi affermarsi, come sostengono i soggetti presentatori, che, laddove l’esito del referendum fosse favorevole all’abrogazione, sarebbe automaticamente restituita in vigore la precedente legislazione elettorale. … La tesi della reviviscenza di disposizioni a séguito di abrogazione referendaria non può essere accolta, perché si fonda su una visione «stratificata» dell’ordine giuridico, in cui le norme di ciascuno strato, pur quando abrogate, sarebbero da considerarsi quiescenti e sempre pronte a ridiventare vigenti. Ove fosse seguìta tale tesi, l’abrogazione, non solo in questo caso, avrebbe come effetto il ritorno in vigore di disposizioni da tempo soppresse, con conseguenze imprevedibili per lo stesso legislatore, rappresentativo o referendario, e per le autorità chiamate a interpretare e applicare tali norme, con ricadute negative in termini di certezza del diritto; principio che è essenziale per il sistema delle fonti e che, in materia elettorale, è «di importanza fondamentale per il funzionamento dello Stato democratico»; § 5.5 “Infine può essere condivisa la tesi per cui, in

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In ultimo, il tentativo da parte della Lega di proporre un referendum abrogativo di parte della l. 165/17 per