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5.4 – CONCLUSIONI AD INTERIM: APPLICABILITÀ DIFFERENZIATA DEGLI STANDARD COSTITUZIONALI ALLE LEGGI ELETTORALI REGIONALI E LOCALI

Entrambe le posizioni sopra esposte hanno potenziale persuasivo, ma, nella loro elaborazione, è stato evidentemente seguito un criterio puramente eristico e non strettamente scientifico, con l’obiettivo di far emergere tutti i possibili argomenti a favore e contro l’assimilazione di tutte le discipline elettorali del paese, senza troppo concentrarsi sulla loro tenuta o coerenza. Il compito di trovare una soluzione difendibile è quindi affidato a questa sezione, nella consapevolezza che si tratta di un esercizio ai soli fini della presente tesi e che non pretende di essere condiviso (ma di essere, il più possibile, condivisibile). Nel corso di questa esposizione, giova anche ricordare che nulla di meno manicheo o ideologico esiste nella discussione giuridica di una disputa volta a stabilire, all’atto pratico, come si potrebbe comportare la Corte costituzionale in futuro. Questo non perché l’argomento elettorale non sia eminentemente politico: sarebbe una ingenuità, da parte di chi scrive, credere che “la legge (elettorale) sia uguale per tutti” o che si tratti di una materia meramente tecnica. Al contrario, proprio i recenti precedenti e il potenziale esplosivo, da un punto di vista politico, dell’azione della Consulta in materia di elezioni suggeriscono che i giudici costituzionali siano particolarmente propensi a pragmatismo e sensibilità istituzionale365. Pertanto, è bene che non si pongano limiti logici troppo stretti alle conclusioni che si raggiungono, né bisogna mai perdere di vista l’assetto finale e le conseguenze, anche politiche, cui queste conclusioni porterebbero.

Fatta questa premessa, procediamo con l’analisi e il confronto delle argomentazioni presentate supra: da una parte, abbiamo una ricostruzione che si basa essenzialmente sullo status del voto come diritto fondamentale incomprimibile e sulle novità apportate dalla riforma del Titolo V, stabilendo chiaramente che c’era un “prima”, centralista e imperniato sulla sovranità esercitata dal solo Parlamento, e c’è ora un “dopo”, in cui, come anticipato dalla relazione di maggioranza alla Camera al progetto di riforma costituzionale, “lo Stato e le regioni si collocano nell'ordinamento costituzionale come soggetti titolari entrambi di una parte della sovranità nell'esercizio della potestà legislativa, senza alcuna subordinazione dell'uno all'altro ente, in una relazione di pariordinazione in cui la convergenza nella realizzazione dei princìpi e dei valori della Costituzione è definita dalla rispettiva attribuzione di competenze”366. Ulteriori pronunce della Corte, in particolare in merito agli artt. 48 e 51, sembrerebbero indicare che tutte le garanzie poste a tutela del diritto di voto sono sempre estese a tutti i tipi di elezione. Dall’altra parte, si è provato a sottolineare che anche dopo la l. cost. 3/01 l’impostazione generale della Costituzione è rimasta centralista, sia da un punto di vista giuridico (es. le Regioni non partecipano alla revisione costituzionale367), sia finanziario (lo Stato raccoglie ancora la quasi totalità delle imposte); inoltre la Corte, nell’ultimo lustro, ha dimostrato di voler mantenere chiara la distinzione tra i vari livelli di governo, molto più che nei primi

365 Agli occhi di un profano, tuttavia, spesso questo appare come un duplice esercizio di, a tratti, cerchiobottismo e pilatismo giurisdizionale. Il primo a significare che la Corte difficilmente porterebbe alle estreme conseguenze la sua giurisprudenza, limitandone gli effetti o astenendosi dall’estremismo giuridico, ma in un modo che dall’esterno appare evidentemente poco coerente. Un tipico esempio è dato dalla decisione, nella sent. 1/14, di non investire di alcuna conseguenza le elezioni svoltesi nove mesi prima (elezioni fine febbraio, sentenza inizio dicembre 2013), nonostante il Parlamento fosse stato effettivamente operativo da molto meno (tenendo conto del perdurante stallo dovuto alla mancanza di una maggioranza al Senato, alla pausa estiva e all’elezione del nuovo Presidente della Repubblica) e la convalida degli eletti fosse lungi dall’essere conclusa, debilitando così alla base l’idea del “rapporto esaurito” contro cui si sarebbero infranti gli effetti della pronuncia della Corte. Il secondo qui declinato in senso di deferenza nei confronti del legislatore politico, dotato della discrezionalità che alla Corte, sulla carta, manca, in quanto priva di legittimazione democratica.

366 Camera dei Deputati, On. Soda e On. Cerulli Irelli, Relazione sul pdl costituzionale unificato 4462 - 4995 - 5017 - 5036 - 5181 - 5467 - 5671 - 5695 - 5830 - 5856 - 5874 - 5888 - 5918 - 5919 - 5947 - 5948 - 6044 - 6327 - 6376-A, § 2, 11/11/99.

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anni dopo la riforma, anche dal punto di vista elettorale, stabilendo che gli organi di governo locale sono deputati a funzioni così eminentemente pratiche, che la loro rappresentatività può essere sacrificata per ragioni di efficienza amministrativa.

Entrambe le posizioni sono state esposte in modo volutamente parziale e tendenzioso, ed è facile notare alcune significative lacune in entrambe: la principale mancanza della prima ricostruzione è evidentemente il tentativo di equiparare tutte le forme di governo locale tra loro, in particolare Regioni e Comuni, dal punto di vista dell’applicabilità della giurisprudenza costituzionale in materia elettorale. Ciò è molto difficile da sostenere, specie in assenza di esplicite statuizioni del testo costituzionale368, ma soprattutto davanti alle recenti pronunce (in particolare la 275/14 e la 50/15, la prima inerente ai Comuni, la seconda alle Province/Città Metropolitane), che chiaramente non sposano la teoria della totale parificazione – tra l’altro, proprio in materia elettorale. Inoltre, parlando invece di Regioni, la posizione in favore dell’applicabilità indiscriminata non tiene conto dell’art. 122, primo comma, che subordina l’autonomia regionale in materia elettorale ai “principi fissati con legge della Repubblica” – pro tempore, la l. 165/04 – che definì criteri molto simili a quelli che la Corte avrebbe poi usato nelle sentenze appena citate (innanzitutto, la cd. governabilità).

Per quanto riguarda l’argomentazione contraria all’estensione dell’applicazione delle pronunce in materia di legge elettorale statale agli enti substatali, la prima obiezione è la mancata identificazione delle tutele degli artt. 48 e 51 come diritti fondamentali dei cittadini, non sacrificabili per mero tramite di disposizioni legislative senza un adeguato bilanciamento di interessi costituzionali e, soprattutto, una misura limitata a quanto strettamente necessario (per il principio di proporzionalità). Se è innegabile che la Corte abbia esplicitamente escluso la parificazione di tutela per i sistemi elettorali comunali e provinciali dal punto di vista dell’uguaglianza in uscita del voto, è però anche vero che la Corte non si è mai espressa sui sistemi regionali, salvo nel caso della Lombardia (sent. 193/15), in modo tuttavia inconcludente. Infine, la Corte non ha mai rinunciato al consueto controllo di ragionevolezza ex art. 3 Cost.369, che potrebbe applicarsi in maniera particolarmente incisiva sulla materia elettorale indipendentemente dal tipo di istituzione a cui si riferisca, sulla base delle norme che informano l’intero ordinamento della Repubblica, incluso il principio democratico.

Alla luce di queste considerazioni, è necessario ora elaborare una coerente conclusione su questo argomento, per poter procedere poi alla determinazione delle norme che probabilmente costituirebbero l’ossatura di un’eventuale pronuncia della Corte costituzionale.

Se c’è una costante nel tormentato percorso delle autonomie locali repubblicane, è l’enfasi posta sul concetto di Regione370: già nella Costituzione originaria, la quasi totalità del Titolo V era dedicata alla difficile collocazione delle Regioni in un assetto statale uso371 a legiferare a Roma ed eseguire nelle Province

368 Che, ricordiamolo, attribuisce allo Stato potestà esclusiva in materia di “legislazione elettorale, organi di governo e funzioni fondamentali di Comuni, Province e Città metropolitane” (art. 117, secondo comma, lettera p), Cost.).

369 In ultimo, la Corte l’ha ribadito proprio nella sent. 275/14.

370 Giova qui rimandare alle infinite discussioni, in seno all’Assemblea Costituente, ed in particolare alla II Sottocommissione, sul tema, con le sinistre tendenzialmente contrarie e il supporto della DC. In soli due mesi, tuttavia, tra la fine di maggio e la fine di luglio 1947, il Titolo V fu approvato nella sua forma finale, salvo alcuni articoli approvati poi il 4 dicembre. Per approfondire si veda C. Desideri, “Se le regioni italiane abbiano un fondamento territoriale e quale sia”, Istituto di Studi sui Sistemi Regionali, Federali e sulle Autonomie, settembre 2012. Il resoconto di tutte le sedute, con annessa rassegna stampa, si può trovare presso http://www.dellarepubblica.it/la- costituzione/l-elaborazione-e-il-dibattito-15-luglio-1946-22-dicembre-1947/assemblea-costituente/parte-i-titolo-v-le-regioni-e-i-comuni, 16/7/19. Si veda anche M. Strazza, “Nitti e le Regioni. Interventi in Assemblea Costituente”, in

Storia e Futuro, Rivista di storia e storiografia, 20/2009, giugno 2009.

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e nei Comuni, senza intermediari di sorta. L’unica, grande – e proprio per questo, estremamente difficile e controversa da implementare372 – innovazione introdotta dalla Costituzione nell’articolazione verticale dello Stato è stata il sistema regionale. Questa mera constatazione storica, unita alle riforme a cavallo del secolo, ha senza dubbio permesso di identificare la Regione come il necessario, seppur non paritario, interlocutore dello Stato centrale: secondo la Costituzione vigente, le Regioni, attraverso i loro organi, hanno iniziativa legislativa e referendaria, possono impugnare leggi statali e sollevare conflitti di attribuzione con organi dello Stato, partecipano all’elezione del Presidente della Repubblica, hanno una non indifferente serie di competenze legislative373 e regolamentari, nonché la possibilità di ottenerne di ulteriori. E tutto ciò senza neanche scalfire la superficie delle Regioni a Statuto Speciale, che spesso, nel bene e nel male, paiono muoversi come enti federati di proprio diritto, più che regionali. Di fronte a questo rilevantissimo ruolo nel “gioco” costituzionale374, non è possibile pensare che istituzioni di tale tipo non siano legittimati da una diretta investitura popolare. Supporre diversamente significherebbe mettere nelle mani di una qualche oligarchia (in caso di elezione indiretta) o del Governo centrale (in caso di una vera e propria privazione di autonomia) un insostituibile contrappeso istituzionale.

Si potrebbe obiettare che, a norma dell’art. 126 sopra richiamato, lo Stato può, solo per “atti contrari alla Costituzione o gravi violazioni di legge” o “per ragioni di sicurezza nazionale” privare la Regione dei suoi organi elettivi, sentito il Parlamento375. Tuttavia, le conseguenze sono semplicemente l’indizione di nuove elezioni, secondo quanto implicitamente previsto dal terzo comma dello stesso articolo376, precedute da una necessaria gestione commissariale medio tempore. Per contrasto, se si analizza la disciplina contenuta nel TUEL in merito allo stesso tema, si vede che per Città Metropolitane, Province e Comuni l’elenco di ragioni è decisamente più lungo377 ed il procedimento si svolge esclusivamente nel circuito governativo,

372 Basti ricordare che la prima legge elettorale per i Consigli regionali data 1968, vent’anni dopo l’entrata in vigore della Costituzione, e le prime elezioni si tennero nel 1970.

373 Proprio su questo punto si basa l’argomentazione di Casanova: dato che, dopo la riforma del Titolo V, non c’è più dubbio che la legge regionale sia legge a tutti gli effetti, pensare che possa essere prodotta da un organo eletto con garanzie del diritto di voto inferiori a quelle del Parlamento sarebbe inconcepibile: “l’essenza rappresentativa dell’assemblea regionale [è] la caratteristica minima per poter parlare di autogoverno democratico, che ha come conseguenza la necessaria estensione delle norme costituzioni in tema di voto elettorale sancite all’art. 48 della Costituzione”. D. Casanova, “La rappresentatività del Consiglio nella forma di governo regionale di fronte alla sentenza n. 1 del 2014 della Corte costituzionale”, cit. Giova qui anche

374 La Corte costituzionale ha indirettamente sposato questa interpretazione in una pronuncia che, a prima vista, sembrerebbe testimoniare contro quanto sopra sostenuto: nella sentenza 379/04, nel censurare alcune disposizioni del neoapprovato Statuto dell’Emilia-Romagna, la Corte, en passant, ribadì che le Regioni hanno un ruolo “di rappresentanza generale degli interessi delle rispettive collettività, riconosciuto dalla giurisprudenza costituzionale e dalla prevalente dottrina”.

375 O meglio, la commissione bicamerale per le questioni regionali.

376 Che equipara gli effetti della rimozione a quelli della mozione di sfiducia, delle dimissioni contestuali della maggioranza dei consiglieri, della morte o delle dimissioni del Presidente.

377 Art. 141 TUEL: “I consigli comunali e provinciali vengono sciolti con decreto del Presidente della Repubblica, su proposta del Ministro dell'interno: a) quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge, nonché per gravi motivi di ordine pubblico; b) quando non possa essere assicurato il normale funzionamento degli organi e dei servizi per le seguenti cause: 1) impedimento permanente, rimozione, decadenza, decesso del sindaco o del presidente della provincia; 2) dimissioni del sindaco o del presidente della provincia; 3) cessazione dalla carica per dimissioni contestuali, ovvero rese anche con atti separati purché contemporaneamente presentati al protocollo dell'ente, della metà più uno dei membri assegnati, non computando a tal fine il sindaco o il presidente della provincia; 4) riduzione dell'organo assembleare per impossibilità di surroga alla metà dei componenti del consiglio; c) quando non sia approvato nei termini il bilancio. c-bis) nelle ipotesi in cui gli enti territoriali al di sopra dei mille abitanti siano sprovvisti dei relativi strumenti urbanistici generali e non adottino tali strumenti entro diciotto mesi dalla data di elezione degli organi. In questo caso, il decreto di scioglimento del consiglio è adottato su proposta del Ministro dell'interno di concerto con il Ministro delle infrastrutture e dei trasporti.” Art. 142 TUEL: “Con decreto del Ministro dell'interno il sindaco, il presidente della provincia, i presidenti dei consorzi e delle comunità montane, i

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senza previo controllo parlamentare, persino, nei casi più gravi, su semplice iniziativa del prefetto. Inoltre, a differenza del caso regionale, a queste amministrazioni può essere imposto di rimanere commissariate ben oltre il primo turno elettorale utile378.

Inoltre, per quanto riguarda la forma di governo regionale, proprio la forte legittimazione del Presidente eletto direttamente può essere usata per argomentare, a contrario, che non sia necessaria una maggioranza garantita in Consiglio: se infatti il Presidente ha effettivamente conquistato la maggioranza dell’elettorato, ha tutto il diritto di portare avanti il suo programma e, se il Consiglio lo sfiduciasse, ne sarebbe responsabile politicamente davanti agli elettori (esattamente come accade con le Camere). Non si vede perché nelle Regioni i Presidenti, che possono vantare una diretta investitura popolare, abbiano bisogno di una maggiore “protezione” istituzionale rispetto a quella che la Costituzione accorda al Presidente del Consiglio dei Ministri, che non solo occupa una carica ben più delicata e potente, ma è anche decisamente meno legittimato da un punto di vista politico, nei confronti di possibili mozioni di sfiducia delle Camere. A logica, dovrebbe essere il contrario: un Presidente direttamente eletto dovrebbe godere di un capitale di legittimazione politica tale da non avere bisogno di una necessaria maggioranza parlamentare, e viceversa, in un sistema che richiama più la forma di governo presidenziale rispetto a quella parlamentare.

La materia elettorale è un ulteriore elemento identificativo di questa diversa considerazione che la Costituzione riserva alle Regioni, rispetto alle amministrazioni locali, e che fa propendere per una sostanziale equiparazione nella tutela accordata al voto, almeno sotto due aspetti: innanzitutto, a differenza degli enti locali inferiori, solo i cittadini possono partecipare alle elezioni regionali; se è vera l’equazione “diritto di voto riservato ai cittadini = esercizio di sovranità”379, le elezioni regionali sarebbero ben più che mere espressioni di autonomia locale. Secondariamente, le Regioni sono gli unici enti territoriali che, come lo Stato, hanno il potere di determinare le modalità di convogliamento del consenso politico ai loro organi, grazie alla previsione di autonomia normativa elettorale contenuta nell’art. 122. Se quindi le Regioni sono depositarie, come concesso dalla Corte (e non ritrattato in sentenze più recenti) di una consistente, seppur non preponderante, parte di sovranità, che si esplica nella potestà legislativa a loro riconosciuta e nell’autonomia in materia elettorale, e se questa sovranità deve essere esercitata dal popolo “nelle forme e nei limiti della Costituzione”, e se infine queste forme e questi limiti sono quelli previsti dagli artt. 48, 51 e 122, come integrato dalla l. 165/04, non si vede perché i cittadini, nel momento in cui vengano chiamati ad eleggere organi rappresentativi (il Consiglio) con simili quasi-sovrani poteri e responsabilità, non siano tutelati esattamente come quando eleggono le Camere. Aldilà delle “gerarchie” tra istituzioni, infatti, non c’è motivo per cui la tutela del diritto di voto dovrebbe essere strettamente proporzionale al “potere” dell’istituzione: è chiaro che le Camere, nel sistema di democrazia parlamentare

componenti dei consigli e delle giunte, i presidenti dei consigli circoscrizionali possono essere rimossi quando compiano atti contrari alla Costituzione o per gravi e persistenti violazioni di legge o per gravi motivi di ordine pubblico” e quando falliscano nella gestione dei rifiuti nei territori sottoposti a regime emergenziale. Art. 143 TUEL: “Fuori dai casi previsti dall'articolo 141, i consigli comunali e provinciali sono sciolti quando, anche a seguito di accertamenti effettuati a norma dell'articolo 59, comma 7, emergono concreti, univoci e rilevanti elementi su collegamenti diretti o indiretti con la criminalità organizzata di tipo mafioso o similare degli amministratori di cui all'articolo 77, comma 2, ovvero su forme di condizionamento degli stessi, tali da determinare un'alterazione del procedimento di formazione della volontà degli organi elettivi ed amministrativi e da compromettere il buon andamento o l'imparzialità delle amministrazioni comunali e provinciali, nonché il regolare funzionamento dei servizi ad esse affidati, ovvero che risultino tali da arrecare grave e perdurante pregiudizio per lo stato della sicurezza pubblica.”

378 Nel caso di commissariamento per mafia.

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disegnato dalla Costituzione, siano in una posizione di assoluta primazia380, ma, dato che i Consigli regionali sono dotato di una sufficiente rilevanza politico-costituzionale, le loro elezioni dovrebbero essere ugualmente protette. Tra l’altro, è stato proprio il legislatore nazionale ad indicare la rilevanza politica delle istituzioni regionali, stabilendo la norma che impone ai sistemi elettorali regionali di “assicurare la rappresentanza delle minoranze”381: che senso avrebbe una simile disposizione, se il Consiglio regionale non fosse, come, se non quanto, le Camere, sede privilegiata del confronto politico, che esige il pluralismo e la rappresentanza, per l’appunto, delle minoranze?

Si potrebbe persino sostenere che sia proprio la Costituzione a prevedere quanto appena affermato, bilanciando i contrastanti interessi attraverso la previsione di un controllo di principio da parte dello Stato sulla legislazione elettorale regionale, come previsto dall’art. 122, primo comma. Ciò significa che è plausibile estendere la piena tutela che la Corte garantisce alle elezioni del Parlamento anche ai Consigli regionali, tenendo però conto dell’ulteriore parametro che la Costituzione pone, ovvero la legge della Repubblica che deve stabilire i principi fondamentali dei sistemi elettorali regionali. All’atto pratico, significherebbe aggiungere, con il rango di norma interposta, i principi contenuti nell’art. 4 della l. 165/04 alle norme che già abbiamo enucleato dalla giurisprudenza costituzionale nel capitolo III, con particolare riferimento alle leggi elettorali regionali382.

Resta tuttavia aperta la questione del livello di discrezionalità residuo del legislatore nazionale nell’elaborazione dei principi a cui le leggi elettorali regionali devono attenersi: se infatti questi principi fossero in contrasto con altre norme costituzionali, poiché sono contenuti in una legge la Corte (e, in primis, i legislatori regionali e i giudici ordinari e amministrativi) sarebbe comunque chiamata ad interpretarli in maniera costituzionalmente conforme e, nell’impossibilità di raggiungere un tale risultato, potrebbe e dovrebbe dichiararli incompatibili con la Costituzione. D’altro canto, sarebbe ripugnante al principio di legalità costituzionale che il Parlamento potesse, tramite una norma interposta contenuta in fonte primaria, rendere costituzionale qualcosa che non lo sia383. Pertanto, nell’applicare i principi di cui all’art. 4, va necessariamente tenuto conto del fatto che essi devono in ogni caso essere elaborati e interpretati

secundum Costitutionem e secundum interpretazione costituzionale (attualmente, le sentenze 1/14 e

35/17).

Un discorso completamente differente è da farsi per Città Metropolitane, Province e Comuni. Privi di potestà legislativa e di autonomia normativa in quasi ogni campo, nonché di qualsivoglia potere a livello costituzionale, questi enti sono senza dubbio fondamentali per la vita dei cittadini, ma, come la Corte ha espressamente stabilito, non sono sedi primarie di dibattito politico, quanto piuttosto organi deputati a

380 Rispetto ad ogni altra istituzione/organo. L’elezione del Presidente della Repubblica, eccettuata la risibile partecipazione regionale, è in mano alle Camere, che danno anche la fiducia al Governo, stabiliscono le norme primarie che i giudici applicano e, volendo, modificano la Costituzione.

381 L. 165/04, art. 4, lettera a).

382 Si veda, in tal senso, A. Rauti, “Ancora sulla legge elettorale calabrese”, in Diritti regionali, 3/2017, 28/7/17. Si vedano anche, per ulteriori analisi, R. Bifulco, “Brevissime considerazioni sul rapporto tra la sentenza della Corte costituzionale 1/2014 e le legislazioni elettorali regionali”, in Nomos, 3/2013, p. 2 e ss., nonché M. Cosulich, “Sulla possibile estensione della recente giurisprudenza costituzionale (sent. n. 1 del 2014) alle legislazioni elettorali regionali”, Le regioni, 2014, p. 471 ss. L’Autore tuttavia non tiene conto del fatto che il Presidente della Regione venga