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CAP VI SIGNORIA VESCOVILE E ARIMANNI: TRIBUTI DI ARIMANNIA E DI FODRO

6.3. Il tributo del fodro nel secolo

6.3.4. Arimanni e fodro

6.3.4.1. Fodro signorile

Le testimonianze, da noi rinvenute, della presenza tra XII e XIII secolo di arimanni in Piove emergono in relazione al fodro, tranne la prima, ove il riferimento è a tutti i tributi ed obblighi pubblici, e un’altra relativa alla decima (87).

Il primo riferimento esplicito agli arimanni di Piove, per il pe- riodo indicato, è presente nella concessione vescovile dell’anno 1186 a due membri del gruppo parentale dei Farisei (88), che, dando l’elenco dei gravami e dei tributi dai quali i destinatari e- rano esentati, specifica che questi erano dovuti dagli arimanni alla chiesa vescovile, permettendo così di conoscere quali fossero quelli che gravavano sugli arimanni: dai tributi pubblici – fo-

drum, herimannia e ceterae publicae functiones – alle prestazioni

indeterminate, ivi compresa l’ospitalità al signore e ai suoi uffi- ciali, l’assoggettamento alla giurisdizione signorile e alle relative sanzioni. A tutti questi tributi, obblighi e prestazioni gli heriman-

ni della Saccisica erano assoggettati per consuetudine: «... quas

herimanni de Sacco dependere soliti sunt ad partem Paduani epi- scopatus».

Castagnetti, Le comunità rurali cit., p. 53 e app., n. 26, 1213 ottobre 15, Padova.

(85) Lanfranchi, S. Giovanni cit., n. 99, 1194, febbraio 6 o 23, Vallonga. (86) Cenni sulla famiglia Querini, trasferitasi nel secolo XII da Torcello a Rialto e partecipe della vita pubblica, si leggono in Castagnetti, Insedia- menti cit., p. 604.

(87) Cfr. sotto, par. 7.1.

Due decenni dopo, nelle deposizioni del mese di aprile 1208 rese al processo Farisei (89), fra le questiones, che i giudici pon- gono ai [167] testi, ricorre insistentemente la domanda sulla con- dizione eventuale di arimanni di alcuni dei Farisei e dei loro pro- genitori, unita o subito seguita dall’altra sulla corresponsione del fodro, obbligo degli arimanni o rimanni, appunto: «sicut alii ri- manni faciunt» (90).

Accanto a queste testimonianze, ne abbiamo rinvenuto un’altra, parimenti significativa. Si tratta di due deposizioni rese nell’autunno del 1207, durante la podesteria di Bernerio Mastel- lo, in un processo (91) del quale, per ora, non comprendiamo be- ne l’oggetto né conosciamo l’esito. La controversia verteva tra Baialardo, forse uno dei Giustini (92), e certo Zano, per il fodro di dodici campi di proprietà del secondo, a quanto sembra, per i quali il primo pretendeva il fodro. I terreni, ripartiti in due por- zioni, erano stati oggetto di cessioni, non chiare, delle quali ora poco importa conoscere esattamente le vicende.

Preme, invece, sottolineare la domanda che i giudici pongono a Zano, che ha acquistato la metà dei dodici campi da Baialardo: essi chiedono se è consuetudine, nei fatti e secondo quanto stabi- lito dalla [168] curia dei vassalli, che un arimannus, il quale ac-

(89) Perg. 89. In molte deposizioni viene dichiarato alla fine che «de a- liis questionibus» il teste non conosce o non sa rispondere. Solo in un caso, nella deposizione di Macarino figlio di Milano, uno dei Farisei, viene pre- messo che il teste è chiamato a rispondere «super capitula decimarum litis». (90) Perg. 89, deposizioni di Baialardo di Ansedisio, Engelerio di Me- nego de Pedrogna, Adamino de Ariprandis, Engelerio di Gisla, testimo- nianze tutte che sono rese dai testi recati da magister Prandus, procuratore del vescovo presso il tribunale del comune; mentre riferimenti agli arimanni non compaiono nelle deposizioni registrate nelle pergg. 79, 88 e 100, eccet- tuato, nella terza, il riferimento ai rimanni in relazione all’obbligo della cor- responsione della decima, per cui si veda sotto, t. c. note 4 ss. di cap. VII.

(91) ACVP, Feuda varia, t. 30, perg. 37: le deposizioni furono redatte in forma pubblica dal notaio il 12 novembre 1207.

(92) Sappiamo che uno dei membri più attivi della famiglia Giustini era Baialardo di Ansedisio; ma altri Baialardo vivevano in quel tempo: ad e- sempio, un Baialardo di Ugolino Piçolus è presente nell’elenco generale dei vassalli di Piove (cfr. sotto, par. 11.4.3).

quisti da un vassallo terreni allodiali, corrisponda poi il fodro, «quod reddit foidrum»; al che lo stesso Zano risponde affermati- vamente. Aggiunge poi che certo Anselmo, che gli avrebbe cedu- to l’altra parte dei campi, era arimannus episcopatus.

Da quanto detto, nonostante alcune incertezze interpretative, emerge che in Piove, ancora nel primo decennio del secolo XIII, i semplici allodieri, che si identificano con la tradizione degli ari- manni del secolo XI, possono vendere liberamente i loro posses- si, come li può vendere un vassallo vescovile. Ma se l’acquirente non è un vassallo del vescovo, come non risulta essere Zano, i terreni da lui comperati non possono essere considerati esentati dalla corresponsione del fodro: non solo la metà dei terreni a lui venduta da un altro allodiero, nel caso specifico Anselmo, quali- ficato come arimanno della chiesa vescovile, ma nemmeno l’altra metà, acquistata da un vassallo vescovile, Baialardo. I dodici campi, che sono divenuti a tutti gli effetti allodium di Zano, con- tinuano a rimanere assoggettati alla corresponsione del fodro, goduto da Baialardo, vassallo vescovile, e ciò indipendentemente dalla loro provenienza: se erano di un arimanno, questa conse- guenza è, per così dire, logica e perfino ovvia; se erano di un vas- sallo, che su di essi vantava l’esenzione del fodro, questo vassal- lo, pur dopo la cessione, manteneva il diritto al fodro, ora non più quale diritto di esenzione per sé, ma quale diritto di esazione dal nuovo proprietario.

Quest’ultimo atto sancisce in modi ancor più netti dei prece- denti la differenziazione tra arimanni, liberi allodieri, e vassalli, già arimanni anch’essi in un passato più o meno lontano, ma o- ramai in una condizione giuridica diversa, in quanto godono di diritti, passivi ed attivi, dal cui godimento è esclusa la rimanente popolazione dei liberi. Il processo era stato avviato molto tempo prima, almeno dalla seconda metà del secolo XI, durante l’episcopato di Odelrico, il periodo, come vedremo (93), che se- gue le controversie e i rapporti tra signoria vescovile, arimanni e Impero.

(93) Cfr. sotto, par. 11.1.

[169] 6.3.4.2. ‘Fodrum regale’

Abbiamo potuto notare, trattando di arimanni ed arimannia, come il fodro sia spesso collegato all’arimannia nella Saccisica e in altre zone del comitato padovano, a Pernumia e ad Arquà; ma non abbiamo riscontrato la connessione tra arimanni e fodrum

regale. L’esazione di questo, invero, raramente è documentata

per i villaggi e i castelli del territorio padovano. Abbiamo consta- tato, per ora, una sola attestazione, espressa in forme non chiare. Nella deposizione di un teste al processo (94) concernente l’esercizio della giurisdizione su Campopremarino, un villaggio incluso formalmente nella curia vescovile di San Giorgio delle Pertiche (95), viene fatto riferimento all’azione di un gastaldo del vescovo, che, in occasione della venuta dell’imperatore nella Marca, aveva riscosso la colta per l’Impero, pro stipendio impe-

ratoris, nell’ambito dell’esazione di questa in tutta la curia di

San Giorgio: si trattava, presumibilmente, del fodrum regale, ri- scosso in occasione delle discese di Federico I.

In altri territori padani, ove pure sussiste la correlazione fra arimanni e il tributo del fodro, sono presenti sia il fodro signorile sia quello regio.

Nella Marca Veronese, ad esempio, secondo un atto dell’anno 1139 gli arimanni che risiedono nel distretto signorile di Grezza- na, nella Valpantena, debbono corrispondere un fodro annuale al capitolo dei canonici veronesi, che da lungo tempo sono signori del luogo (96). La comunità era pure obbligata a corrispondere il

fodrum regale, quando il re o imperatore «intrat Lombardiam

causa eundi Romam», pagando dieci lire per il fodro annuale ai canonici, altre dieci lire per [170] quello regio, come è attestato

(94) Zorzi, Il territorio cit., app., n. 2, 1187 agosto 21, p. 262, teste Omodeo di Campopremarino.

(95) Cfr. sopra, t. c. nota 73 di cap. V per San Giorgio..

(96) Ficker, Forschungen cit., IV, n. 110, 1139 gennaio 11, riedito in Castagnetti, Arimanni e signori cit., app., n. 21; cfr. ibidem, pp. 48-49.

da un documento più tardo (97), quando la contribuzione è ri- chiesta per la venuta di Enrico VI (98).

Arimanni sono investiti dall’arciprete del capitolo nell’anno 1121 del castello di Marzana, nella medesima valle: fra le clauso- le è previsto il pagamento di un tributo annuale in denaro di lire dieci per lo svolgimento del placito signorile, cui si sommano altre dieci lire qualora vengano nel territorio il re o il duca; pur non nominato, si tratta del fodrum regale (99), come mostra an- che la corrispondenza della somma con quella prevista nel docu- mento precedente relativo a Grezzana.

Analoga la situazione riscontrabile nell’anno 1139 per gli abi- tanti della pieve di San Giorgio di Valpolicella (100), ove, tutta- via, non si parla, né in questa occasione né in altre, di arimanni: nel pactum et conventum, stabilito con i loro signori, essi ricono- scono di dovere pagare un fodro annuale di nove lire; ancora, un fodro di venti lire per la venuta del re e uno di sedici lire per quella del duca (101), precisando che queste somme saranno pa- gate quando saranno esatte da coloro che debbono per tutto il comitato le publicae functiones.

Per i territori lombardi, citiamo il caso dei coltivatori delle terre, situate in Nuvolera, nel Bresciano, dipendenti dal monaste- ro di S. Giulia di Brescia: una parte di loro, definiti arimanni, corrispondevano il fodro alla badessa o ad alcuni suoi vassalli, ma erano tenuti anche alla corresponsione del fodrum regale, il che era [171] avvenuto con regolarità nelle due discese di Lotario

(97) L. Simeoni, Comuni rurali veronesi (Valpolicella - Valpantena - Gardesana), I ed. 1924, poi in «Studi storici veronesi», XIII (1962), pp. 175-176, doc. 1191 gennaio 19, Verona; nel documento non si nominano gli arimanni.

(98) Anche nel villaggio di Erbè, soggetto al monastero di S. Zeno, si richiede nell’anno 1190 il fodrum regale: Archivio di Stato di Verona, Ospi- tale civico, perg. 149.

(99) Castagnetti, Le comunità rurali cit., app., n. 11, 1121 maggio 3. (100) Il riferimento è al duca di Carinzia, a volte di Baviera, o ad altri, che dalla seconda metà del secolo X detengono a titolo personale anche l’ufficio di marchese della Marca Veronese: Castagnetti, Le città cit., pp. 21 ss.

e in quella di Federico I (102); per la riscossione del fodro regio era intervenuto anche il comune bresciano, sostituendosi alla ba- dessa e ai suoi missi e agenti (103).

Nell’anno 1117 viene ricordato che i conti bergamaschi ave- vano svolto la funzione di raccoglitori di somme in denaro dagli arimanni del comitato (104), esazione che va probabilmente po- sta in relazione al fodro richiesto in occasione della discesa nello stesso anno di Enrico V (105).

Ben noto, infine, è l’episodio degli abitanti di Mendrisio, i quali verso la metà del secolo XII dichiarano che solo gli ariman- ni debbono pagare il fodrum regale al conte di Seprio (106).

Nel territorio padovano, come abbiamo osservato, non ab- biamo rivenuto una documentazione relativa al fodrum regale. Alla chiesa vescovile, però, fu richiesto dai messi regi il tributo del fodrum, evidentemente il fodrum regale, fin dalla prima di- scesa di Federico I nell’anno 1154, oltre al servizio di hostis per la scorta al re nel suo viaggio a Roma (107). Il fodrum regale venne richiesto nuovamente [172] nell’anno 1190, assieme all’adiutorium per la spedizione a Roma. I contributi in denaro

(102) Da ultimo, Menant, Campagnes lombardes cit., pp. 465-466, 472, che utilizza largamente proprio la documentazione bresciana; in generale, si vedano Brühl, Fodrum cit., I, pp. 578 ss., e Haverkamp, Herrschaftsformen cit., II, pp. 689-691.

(103) Menant, Campagnes lombardes cit., p. 472; Castagnetti, Arimanni in ‘Langobardia’ cit., p. 66.

(104) Biblioteca civica di Bergamo A. Mai, Pergamene del Comune di Bergamo, n. 580, 1117 settembre, regesto in M. Lupi, Codex diplomaticus civitatis et ecclesie Bergomatis, voll. 2, Bergamo, 1799, I, coll. 899-900, che non riporta il passo, che è stato segnalato, sulla scorta del documento inedito, da Menant, Campagnes lombardes cit., p. 417, note 73-74; cfr. an- che Castagnetti, Arimanni in ‘Langobardia’ cit., p. 215.

(105) Ibidem, p. 467, nota 266.

(106) Manaresi, Gli atti cit., n. 8, 1142 maggio 20; cfr. Barni, ‘Cives’ cit., p. 12; Brühl, Fodrum cit., I, p. 552; Padoa Schioppa, Aspetti cit., pp. 519-520.

furono corrisposti dai vassalli maggiori, che a tale fine si riuniro- no nella curia (108).

Le contribuzioni per il re, che comprendevano il fodro regio e gli altri tributi e prestazioni riassunte nell’adiutorium, non furono richieste ai vassalli della Saccisica: essi o molti di loro, che non erano vassalli maggiori, erano tenuti solo al servizio di scorta al vescovo per il servitium hostis regis, che gravava sui loro feuda

de colinellis (109).