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La prima fase dei conflitti fra vescovo e vassalli sull’esazione delle decime (secolo XII ex.)

CAP VII DECIMA, ARIMANNI, TERRE NUOVE E CONFLITTI DEL VESCOVO CON I VASSALL

7.4. La prima fase dei conflitti fra vescovo e vassalli sull’esazione delle decime (secolo XII ex.)

L’intensa attività di conquista del suolo in alcune zone della Saccisica, certamente nel territorio di Piove e del suo iudicatus, per la riduzione delle terre incolte ad una coltivazione prevalen- temente cerealicola e del lino, era da poco compiuta, all’inizio degli anni [194] novanta, quando sorse il conflitto tra gli agenti del signore e alcuni vassalli vescovili, acquirenti delle terre nuo- ve, i quali rifiutavano di corrispondere appunto la decima delle terre nuove, anzitutto, ma anche di quelle veteres, adducendo ai

massarii e ai loro nuncii e collectores incaricati della riscossione,

fra le altre ragioni, quella di avere la decima in feudo dall’episcopio.

Ampie testimonianze sugli inizi della controversia provengo- no dagli atti processuali svoltisi in Padova, nella curia dei vassal- li, fra il novembre 1205 e il gennaio 1206, che contengono le de- posizioni dei testi prodotti dal vescovo contro Ubertino Avoxato, Witiclino e Baialardo di Ansedisio e i loro socii de Plebe (70), i primi due appartenenti al gruppo parentale dei Farisei, il terzo a quello dei Giustini, in rappresentanza, invero, di un gruppo più folto, come vedremo; successivamente, dagli atti relativi a quello che può essere denominato in senso proprio ‘processo Farisei’, rimanendo alcuni di questo gruppo parentale i protagonisti della controversia con il vescovo, per la quale disponiamo di atti pro- cessuali dall’anno 1208 (71) [195] all’anno 1219 (72).

(70) ACVP, Episcopi, I = t. 24, perg. 79 (finora e in seguito citata come ‘perg. 79’).

(71) ACVP, Episcopi, I = t. 24, pergg. 88, 89 e 100, finora citate con il solo numero per semplificare l’apparato delle note, senza segnalare, se non in casi particolari, per la perg. 100 i passi editi da Zorzi, Il territorio cit., app., n. 5, pp. 286-290 (ma l’autrice, ibidem, pp. 85-87, indica quale fonte le pergamene 88 e 89). Per i tempi e i modi seguiti nel reperimento del mate- riale documentario inedito si veda quanto esposto sopra, nota 20

Il vescovo, che aveva negato le loro ragioni e spinto inutil- mente i suoi massarii e collectores ad insistere, decise di recarsi in Piove, ove radunò i suoi vassalli locali, lamentando che essi non corrispondevano la decima delle terre ridotte a coltura; li e- sortò perciò a riunirsi a consiglio, il che essi fecero, sotto la pre- sidenza di Pegoloto di Arzere (73): fra i molti che intervennero un teste (74) ricorda Ugo di Caramele (75), Pietro de Collo, Ro- dolfo de Petro Cauco (76), Corrado di Matelda (77), Ansedisio (78).

dell’Introduzione. La segnalazione di atti relativi ai Farisei è stata data an- che da Rippe, Commune urbaine cit., p. 692, nota 147, e, soprattutto, da Bortolami, Colmellum cit., p. 233, nota 43, che ha inserito in essa anche ACVP, Episcopi, I = t. 24, perg. 57, che non concerne i Farisei né Piove, ma San Giorgio, e perg. 76, che si riferisce ai Farisei, solo in quanto alcuni di loro testimoniano in quello che noi abbiamo denominato processo Giustini, del quale atto, tuttavia, l’autore non segnala l’edizione a cura del Pinton (doc. dell’anno 1199, citato sotto, nota 42 di cap. XII); tralascia, poi, l’indicazione della perg. 100, il cui contenuto è stato edito parzialmente dalla Zorzi, edizione che l’autore non cita. A questa abbiamo potuto ag- giungere altra documentazione inedita, che concerne direttamente i Farisei, rinvenuta mediante uno spoglio sommario dei registri ‘feudali’ conservati nell’Archivio della Curia vescovile (ad esempio, ACVP, Episcopi, II = t. 25, pergg. 144, 149, 151, 157; Episcopi, III = t. 26, perg. 310; Episcopi, IV = t. 27, perg. 421; Feuda canonicorum = t. 30, perg. 77; Diversa, I = t. 31, perg. 53). Documentazione ulteriore giace nell’Archivio di Stato, una parte della quale abbiamo reperito in quanto edita in appendice a singole dissertazioni di laurea.

(72) Documenti ed atti successivi all’anno 1208 sono stati in parte citati alla nota precedente; questi ed altri vengono utilizzati nelle pagine seguenti.

(73) Pegoloto di Arzere faveva parte dei vassalli di Piove in quanto po- teva qui essersi trasferito o, più facilmente, in quanto Arzere apparteneva al distretto, iudicatus, di Piove. Egli non figura nel gruppo degli investiti e negli elenchi dei vassalli vescovili del secondo decennio del secolo XIII, né abbiamo ravvisato alcuno che sembri a lui legato da parentela.

(74) Perg. 79, Gumberto di Lantelda, appartenente al gruppo parentale dei Giustini (cfr. sotto, par. 12.3.; per le deposizioni di altri testi si vedano le note seguenti), si dichiara subito quale vassallo del vescovo.

(75) Cfr. sopra, nota 120 di cap. VI.

(76) Un Pietro Caucus è il campione, soccombente, dei Giustini nel duellum ricordato nel processo: cfr. sotto, t. c. note 78 ss. di cap. XI. Non compare in seguito tra i vassalli noti.

Terminata la riunione, Pegoloto riferì la decisione presa, ov- vero [196] il laudum, adottato in concordia con tutti i vassalli, affermando che il vescovo doveva riconoscere il diritto di non corrispondere la decima a tutti coloro che potessero dimostrare di averne le rationes, mentre doveva esigerla dagli altri, da coloro cioè che non potevano addurre rationes valide, attestanti che essi detenevano la decima per feudum dall’episcopio (79).

Prima o dopo il laudum della curia, avvenne un compromesso tra alcuni Farisei e l’agente del vescovo, in questo caso Enrico di Dionisio: i primi accettarono di corrispondere una somma in de- naro di circa quaranta soldi, del cui atto fu redatta una carta dal notaio Daniele di Piove (80).

Il laudum della curia dei vassalli di Piove non fu accettato da una parte dei vassalli, compresi quelli appartenenti ai gruppi pa- rentali dei Farisei e dei Giustini, che persistono nel sostenere di avere ottenuto la decima in feudo. Essi oppongono per lunghi anni resistenza ai massarii vescovili e ai loro collectores, incari- cati appunto della riscossione della decima; quando la corrispon- dono, dichiarano di farlo salva nostra ratione (81). I testi al pro- cesso, soprattutto quelli che hanno ricoperto la funzione di mas-

sarii vescovili, ricordano di avere più volte costretto i renitenti,

fra cui Ubertino Avoxato dei Farisei, a presentarsi al loro cospet- to e sottoporsi a sanzioni, quali il pagamento di penalità in soldi (82), o la corresponsione di pegni, per garantire la loro presenza nei processi che si andavano preparando.

(77) Perg. 79, Corrado di Matelda, che depone subito dopo Gumberto di Lantelda, ribadisce egli stesso di essere vassallo del vescovo, ma non appare nella documentazione relativa ai vassalli di Piove.

(78) Ansedisio potrebbe essere identificato con il padre di Baialardo dei Giustini, cui abbiamo accennato più volte.

(79) Perg. 79, deposizioni di Corrado di Matelda, ora nominato, di Gumberto di Lantelda e di Enrico di Dionisio.

(80) Perg. 88, Enrico di Dionisio e Daniele notaio.

(81) Perg. 79, Leone di Insula; perg. 88, Enrico di Dionisio e il figlio Iacobino.

La controversia sulle decime delle terre nuove fu portata nella curia vescovile, che potremmo definire generale, che si riuniva in Padova, nel palazzo episcopale. Il vescovo accusò di fronte alla curia i vassalli [197] di Piove, menzionandoli singolarmente (83): Witiclino de Fariseis, Ubertino Avoxato, Marco di Adamo Santo, Spinello, Petrobono Borso, che, come vedremo, apparte- nevano al gruppo parentale dei Farisei (84), e, tra i Giustini (85), Baialardo di Ansedisio e Limicino di Paolo; ancora, due vassalli, Nicolò Pozo (86), appartenente al colmellus dei Dionisi (87), e Giovanni di Pietro de Salvia (88).

Dagli atti, di poco posteriori, del processo Farisei veniamo ad apprendere che non era, tuttavia, facile radunare la curia, se lo stesso giudice del podestà, investito del ricorso in appello, di fronte alle contestazioni su quello che ora definiremmo il ‘nume- ro legale’, ovvero la presenza dei due terzi, motiva l’accettazione della prima sentenza emanata nella curia generale con la consta- tazione che è assai difficile radunare due parti dei vassalli della curia (89), difficoltà propria non solo del vescovo di Padova, dal momento che il medesimo giudice aggiunge che è cosa “grande” e quindi inusitata che anche l’imperatore possa avere tutti i suoi

(83) Perg. 79, deposizione del vescovo Gerardo, che non presta iura- mentum calumpnie, non essendo i vescovi assoggettati a tale obbligo. Nella intestazione agli atti di questo processo viene dichiarato che le deposizioni registrate sono state prodotte nella curia dei vassalli, al cospetto dell’avvocato Ugolino de Arsico, dalla parte episcopale «contra Ubertinum Avoxatum et Witiclinum et Baialardum de Ansedisio et socios suos de Ple- be».

(84) Cfr. sotto, par. 12.4. e 14.1. (85) Cfr. sotto, par. 12.3.

(86) Perg. 89. Lo stesso Nicolò Pozo dichiara di avere iniziato la lite con il vescovo, assieme agli altri vassali.

(87) Cfr. sotto, par. 11.4.3., elenco generale dei vassalli: i figli di Nicolò Pozo sono inclusi nel colmellus dei Dionisi.

(88) Giovanni Pietro de Salvia è ricordato fra i vassalli riottosi anche da Nicolò Pozo: perg. 79.

(89) Perg. 100, Blasio giudice, Sacheto di Enrico Duca, Gerardo di Bo- nifacino.

vassalli radunati per emettere una sentenza. Un altro teste (90), alla domanda dei giudici se i vassalli – [198] sottintendendo: se i vassalli presenti agli atti e alla sentenza – della curia erano cento e più, risponde che erano presenti oltre trenta vassalli, confer- mando indirettamente che la presenza era inferiore ai due terzi.

La curia, alla fine, sia pure con una composizione ridotta, riu- scì ad esaminare la questione controversa delle decime di Piove: rimangono gli atti di alcune sedute svoltesi tra gli anni 1205- 1206, cui abbiamo accennato. Il processo non dovette iniziare prima dell’anno 1204 (91) e si svolse sotto la presidenza dell’avvocato della chiesa vescovile, Ugolino, con la partecipa- zione dei vassalli più noti e potenti, alcuni di tradizione cittadina, come i giudici e il visdomino Forzaté, e altri di tradizione signo- rile (92), come Alberto da Baone, Dalismanino, Uguccione da Carrara. I vassalli demandarono all’avvocato il compito di proce- dere nel processo con l’escussione dei testi. Della controversia non conosciamo l’esito, probabilmente un accordo fra le parti; essa si intrecciò con altre liti sulla decima, come quella fra l’arciprete della pieve locale e alcuni vassalli vescovili: ad esem- pio, Marco di Adamo Santo, dei Farisei, lite che all’inizio del Duecento giunse al tribunale del podestà di Padova, che condan- nò il vassallo (93). Del seguito della controversia, che si sviluppò tra la chiesa vescovile e il gruppo parentale dei Farisei, daremo notizia trattando della domus dei Farisei (94).

(90) Perg. 100, Nicolò Pozo, testimonianza edita parzialmente da Zorzi, Il territorio cit., pp. 288-289, che omette la parte finale, nella quale è com- preso quanto riferito nel testo.

(91) Fra i vassalli appare il visdomino Forzaté, investito dell’ufficio ap- punto nell’anno 1204: cfr. sopra, t. c. nota 101 di cap. IV.

(92) Perg. 100, Sacheto di Enrico Duca; i vassalli ricordati dal teste co- me presenti alla curia corrispondono nella sostanza a quelli presenti nella curia dell’anno 1209 (doc. citato sopra, nota 10 di cap. IX).

(93) Perg. 79, Gumberto di Lantelda e Zanello. (94) Cfr. sotto, cap. XIII.

CAP. VIII. LA VASSALLITÀ NEI DISTRETTI