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CAP VI SIGNORIA VESCOVILE E ARIMANNI: TRIBUTI DI ARIMANNIA E DI FODRO

6.2. Il tributo dell’arimannia nel secolo

Mentre la qualifica di arimanno per i Saccenses scompare dal- la documentazione posteriore a noi nota per riapparire tra XII e XIII secolo XIII, in relazione, prevalentemente, ad una contro- versia tra vassalli e vescovo circa i diritti di decima spettanti alla chiesa vescovile (31), persiste l’impiego del termine arimannia, per lo più nel [153] significato complessivo dei doveri dell’arimanno, già verso il potere regio, ora verso quello signori- le, poche volte in quello designante i beni individuali degli uomi- ni liberi o arimanni.

Tra il sesto e il settimo decennio del secolo XII (32) si svolge una lite tra il vescovo di Padova e Adamo, figlio di Adamo giu- dice di Sacco, in relazione a un feudum, costituito dalla eriman-

nia di Martino Multafava, il quale doveva servire Adamo giudice

quale scudiero (33) pro honore arimaniae; a sua volta Adamo serviva il vescovo per il feudo ricevuto. Tralasciando altri aspetti e particolari che emergono dalle deposizioni, possiamo constatare che per arimannia viene intesa anche la terra su cui risiedono

(31) Cfr. sotto, par. 7.1.

(32) CDP, II, n. 526, senza data, attribuito dall’editore all’anno 1150 circa, ma probabilmente coevo o posteriore agli anni 1158-1163: cfr. sopra, t. c. nota 34 di cap. V.

Martino e, dopo la sua scomparsa, i suoi figli. Arimannia, dun- que, come un insieme di servizi pubblici, che nel caso specifico consistono in un servizio di scudiero, ed arimannia come terra gravata da servizi.

In un documento dell’anno 1157 un Domenico di Steno refuta al vescovo padovano, oltre ad alcuni poderi e appezzamenti, an- che la metà di una arimannia su di una persona abitante in Piove, Pietro de presbitero Leo (34). L’anno seguente si svolge una lite tra il vescovo e gli eredi di Domenico di Steno, avente per ogget- to il feudo di quest’ultimo, che consiste nella metà di due mansi e nella metà dell’arimannia del Pietro suddetto (35). Un ultimo at- to, un compromesso, viene rogato più tardi, con l’investitura in feudo delle terre e della metà dell’arimannia de presbitero Leo (36).

Fra i motivi di una controversia (37) tra il vescovo e Gu- glielmo del fu Compagno (38), che risulta investito di feudi, ri- solta per [154] l’arbitrato del giudice Enrico, è indicato anche l’acquisto di un terreno negli ampla di Fossalonga, in Piove di Sacco, per il quale terreno vengono fatti salvi, da un lato, il dirit- to del comune di Sacco sulla terra, che viene definita «del comu- ne», dall’altro lato, il diritto del fodro. Subito dopo si precisa che, nell’eventualità che venisse meno il caput unicuiusque arimannie cosicché non potesse essere esatto solide il fodro a capite, il fo- dro sia corrisposto per campum sui beni venduti.

Sembra, dunque, che l’acquisto di terre nella Saccisica com- porti l’obbligo della corresponsione del fodro – non è chiaro se esso sia corrisposto al nuovo acquirente, in quanto vassallo ve- scovile, o sia riservato al vescovo stesso –, fodro che viene corri- sposto per caput arimanniae; poiché gli atti di vendita, con la cessione eventuale di una parte dei terreni, frazionano questa uni-

(34) CDP, III, n. 673, anno 1157.

(35) CDP, III, n. 705, 1158 novembre, Padova.

(36) CDP, III, n. 765, 1161 luglio 24, Padova, palazzo episcopale. (37) CDP, III, n. 675, 1157 febbraio 15, Padova, palazzo episcopale. (38) Guglielmo di Compagno può essere posto in relazione con Gu- glielmino di Compagno, console del comune padovano negli anni 1173 e 1182: Castagnetti, Le città cit., pp. 199, 203-204.

tà, reale o ideale, che potrebbe corrispondere ad un manso ovvero alle terre di una famiglia, è prevista la possibilità di suddividere la corresponsione del fodro (39).

In forza dei diritti vescovili di fodrum ed erimannia sulle terre detenute, alcuni abitanti della Saccisica promettono nell’anno 1192 a Danisio, procuratore del vescovo, di saldare i loro debiti, corrispondendo pro fodro versamenti di alcuni soldi in denari veneziani, la cui regolarità annuale ed entità non siamo in grado di conoscere, trattandosi di composizioni a seguito di controver- sie, presumibilmente da tempo in atto (40). Nello stesso periodo, una controversia fra Tanselgardino e Zanebono Camisano relati- va all’esazione del [155] fodro (41), si conclude con la sentenza di un giudice del podestà che prescrive a Zanebono di pagare per il fodro undici denari per campo di terra sclapata (42), poiché questi due campi erano già della terra arimannie di certo Man- fredino di Leo Cauço, che aveva corrisposto annualmente tale cifra per il fodro. Immediato appare anche in questo il rapporto tra arimannia e fodrum: la condizione giuridica originaria della persona si è trasferita ormai sulla terra, che assume la connota- zione di terra arimannie, per la quale deve essere corrisposto il tributo corrispondente, l’arimannia o, come nel caso presente, il

fodrum. Con il passaggio della terra avviene anche il passaggio

(39) Molti indizi confermano la corrispondenza pratica tra arimannia e fodro. Abbiamo notato come in contratti di vendita e, a volte, di locazione i monasteri veneziani, e non solo essi, si preoccupino di inserire clausole che li esentino dal pagamento del fodro. A fine secolo l’abate di S. Giorgio Maggiore fa inserire in un atto di acquisto di terre in Vigodarzere la clausola che queste siano esentate «ab omni funtione arimanie»: Lanfranchi, S. Gior- gio cit., III, n. 524, 1190 marzo 13, Padova.

(40) ACVP, Episcopi, I = t. 24, perg. 66a, 1192 dicembre 15, Vallonga, sub porticali della chiesa di S. Pietro.

(41) ACVP, Feuda varia, t. 30, perg. 20, 1196 febbraio 28.

(42) Secondo Gloria, Statuti cit., p. 192, nota (a), commento alla posta 594 (cfr. sotto, nota 11 di cap. IX), l’espressione campi sclapati indica cam- pi boschivi ridotti a coltura, interpretazione accettata da P. Sella, Glossario latino italiano. Stato della Chiesa - Veneto - Abruzzi, Città del Vaticano, 1944, p. 513, che cita la medesima posta degli statuti padovani.

del tributo, conformemente, del resto, a quanto era stato stabilito dal privilegio di Enrico III (43).

Documentazione di altre zone del territorio padovano permet- te, da un lato, di confermare la correlazione fra arimannia e fo- dro, dall’altra di constatare l’evoluzione della prima fino ad equi- valere nei fatti al secondo.

In una vendita effettuata da Azolino del fu Giordano al mona- stero di S. Giustina di Padova per beni in Este, consistenti in nu- merosi sedimina e in metà di un molino, il venditore promette all’abate la cessione dei diritti giurisdizionali – districta, honor,

segnoraticum –, nonché l’esenzione dai gravami di fodro e ari-

mannia: « ... promittens terras et res omnes predictas a fodro et gravamine iuris arimannie immunes ac liberas esse ...» (44). Su- bito dopo, Olderico da [156] Vigodarzere (45) e Cunizza, figlia di Azolino, effettuano, per parte loro, la vendita delle terre e dei diritti nominati per quanto concerne i territori di Este, Calaone e Arquà.

Qui, come per la Saccisica, lo ius arimannie mantiene il signi- ficato di complesso dei doveri, legati ancora alla terra e a chi la possiede, pur non apparendo per i possessori la designazione di arimanni nella documentazione ora utilizzata.

Rapporti stretti tra obblighi e tributo dell’arimannia e il tribu- to del fodro sono testimoniati all’inizio del secolo XIII, con rife- rimento ai decenni precedenti, negli atti di un processo (46), che verte sull’esercizio dei diritti di giurisdizione e che si svolge fra

(43) Cfr. sopra, par. 6.1.

(44) Benasaglio, Per la continuazione cit., n. 16, 1188 maggio 11, Pa- dova, monastero di S. Giustina.

(45) Sulla famiglia signorile dei da Vigodarzere un cenno in Castagnet- ti, Le città cit., p. 203 e nota 39.

(46) Gli atti del processo, ampiamente citati ed utilizzati da Zorzi, Il ter- ritorio cit., e da Bortolami, Territorio cit., sono editi da L. Destro, Dominio politico e assetto agrario in territorio padovano agli inizi del ‘200 (con ap- pendice di documenti), tesi di laurea, Istituto di Storia medioevale e moder- na, Università degli studi di Padova, a. acc. 1982-1983, app., n. 7 e n. 8, 1203 maggio-giugno.

da Carrara, signori territoriali di Pernumia, e il capitolo dei cano- nici padovani, eminenti signori fondiari (47). Uno fra i diritti es- senziali della signoria, che tende ad atteggiarsi in forme ‘comita- li’, consiste nella riscossione di tributi fissi annuali, costituiti principalmente da fodrum e arimannia, che devono essere corri- sposti da tutti coloro che possiedono beni in allodio, arimanni compresi, o li hanno comperati: il fodro consiste nel pagamento di tre denari due volte l’anno, a maggio e s. Martino di novem- bre, in coincidenza con lo svolgimento dei placita generalia; l’arimannia nella corresponsione di uno staio di frumento, uno di sorgo, uno di vino e una gallina. Se arimanni e liberi uomini pro- prietari sembrano nella sostanza coincidere – tutti debbono essere assoggettati alla signoria e corrispondere fodro ed arimannia –, può essere ravvisata una distinzione in rapporto alla disponibilità [157] dei beni comuni, costituti essenzialmente dal nemus comu-

nis, posto sotto la giurisdizione dei signori. Questo «bosco del

comune» corrisponderebbe – forse ne sarebbe solo un residuo – agli antichi beni comuni del villaggio, gestiti dagli uomini liberi, fossero stati o no in origine di provenienza fiscale. Lo sfrutta- mento dei beni comuni spetterebbe in senso proprio agli ariman- ni, non a tutti gli uomini liberi e allodieri di Pernumia, anche se nei fatti doveva esserci larga coincidenza tra gli uni e gli altri (48).

Riferimenti all’arimannia, con significati analoghi, appaiono anche in Arquà, ora Arquà Petrarca, già soggetta ai marchesi e- stensi e da loro concessa in beneficio ai conti di Padova verso la fine del secolo XI (49), come emerge dalle testimonianze rese ad un processo degli anni 1195-1196 (50). In relazione alla distin- zione fra terre possedute in allodio e terre affidate in conduzione

(47) Altri grossi proprietari, ecclesiastici e laici, erano presenti in Per- numia: Bortolami, Territorio cit., pp. 101-104.

(48) Nella prospettiva dei rapporti fra signori e arimanni, si vedano an- che le nostre considerazioni in Castagnetti, Arimanni in ‘Langobardia’ cit., pp. 224-227.

(49) Castagnetti, I conti cit., p. 86.

(50) Zorzi, Il territorio cit., pp. 266-267, n. 3, 1196 dicembre 3, edizio- ne parziale.

ad vilanaticum, secondo forme di affitto tradizionali (51), viene

specificato che coloro che possiedono per alodium, corrispondo- no ai conti, che detengono la segnorancia sul luogo, servicia e tributi annuali pro arimannia, definiti anche fodrum e arimannia, consistenti in uno staio di sorgo, una focaccia e tre denari, simili, dunque, a quelli corrisposti dagli arimanni di Pernumia ai loro signori da Carrara, per i tributi di fodrum e arimannia. Un teste del luogo giunge a generalizzare l’esperienza sua e le consuetu- dini locali, affermando «quod audit dici quia omnes qui habent alodium in Paduana, dant certum annuatim pro arimannia» (52), come se tutti i proprietari di tutto il territorio padovano dovessero corrispondere ai signori i censi pro arimannia.

[158] Per quanto l’arimannia tenda a divenire un tributo assi- milabile al fodro, essa mantiene ancora un rapporto con una con- dizione di dipendenza, quale si era venuta configurando nelle e- semplificazioni addotte, essendo questo tributo legato anzitutto alla condizione dei districtabiles di un signore, fossero essi chia- mati arimanni o non lo fossero. Tale aspetto appare in modi si- gnificativi negli statuti cittadini più antichi. In una delle poste che trattano dell’ufficio degli estimatori ovvero dei magistrati che sovrintedono alla vendita dei beni dei debitori e di altre persone, i cui beni sono vincolati da fideiussioni o da vincoli matrimoniali, viene prescritto che la vendita di feudi o di terre arimanie, cioè di terreni detenuti in feudo o assoggettati al tributo dell’arimannia, non possa avvenire in pregiudizio degli interessi del dominus (53), dovendosi intendere per dominus non tanto il proprietario, quanto colui che detiene i diritti connessi alla con- cessione in feudo e i diritti connessi all’esazione del tributo dell’arimannia. L’interpretazione è confermata da un’altra norma, che, ribadendo la prescrizione, specifica che per arimania e ari-

manie si devono intendere il terreno o i terreni per i quali viene

corrisposta l’arimania o il redditus arimanie (54).

(51) Castagnetti, Le comunità rurali cit., p. 53, e app., n. 26, 1213 otto- bre 15.

(52) Zorzi, Il territorio cit., p. 267.

(53) Gloria, Statuti cit., n. 601, ante 1236. (54) Ibidem, n. 603, ante 1236, p. 196.