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Il controllo militare e politico del comune padovano sul contado

ALLA GIURISDIZIONE DEL COMUNE CITTADINO 5.1 Il comitato di Sacco nell’età di Federico

5.3. Il controllo militare e politico del comune padovano sul contado

Il comune padovano, seguendo un processo generale e conti- nuando un’azione già avviata dalla cittadinanza, prima ancora della costituzione del comune (87), si era proposto di controllare le vie di comunicazione e di commercio, soprattutto quelle flu- viali, ed i castelli più importanti del contado, come quelli posti ai confini e contesi con le città vicine, come Montegalda (88). L’intento politico divenne più esplicito durante il conflitto con Federico Barbarossa, un periodo, questo, che vede i comuni cit- tadini elaborare, accanto a collegamenti politici permanenti e- spressi nella Lega Lombarda, forme più complesse di reggimento comunale e iniziare ad imporre la loro supremazia militare e poli-

(86) La ribellione più decisa, fra quelle note, è compiuta dai vassalli o milites di Zevio: cfr. sotto, t. c. nota 21 di cap. VIII. Essa non fu, tuttavia, indirizzata all’eliminazione della signoria, quanto all’abolizione dei gravami fiscali considerati ingiusti.

(87) Ci riferiamo al conflitto dell’anno 1107 con Venezia, alleata di Ve- rona: Castagnetti, Le città cit., pp. 82-85.

(88) Conflitto con Vicenza, Verona e Venezia del quinto decennio del secolo XII: ibidem, pp. 119-120.

tica sul contado (89), prima di estendervi, anche di diritto, la loro giurisdizione dopo la pace di Costanza.

A questi conflitti e alle trattative di pace i signori del contado parteciparono direttamente ed in primo piano. Dalla collabora- zione [130] scaturiva la possibilità di intervento pacifico, a quan- to sembra, del comune nei distretti signorili, anche maggiori. Te- stimonianze della fine del secolo XII, relative ad una questione di decime di terre nuove (90), informano su molti aspetti della si- gnoria estense sulla Scodosia, accennando anche ai rapporti con la città e il comune cittadino (91). Più volte i testi affermano, in riferimento ad avvenimenti di quattro-cinque decenni precedenti – quindi nel primo periodo di Federico Barbarossa –, che ufficiali cittadini, variamente denominati – nuncii, precones, gastaldiones ecc. –, erano intervenuti nella Scodosia per imporre i precepta

civitatis, per raccogliere truppe, exercitus, e fare eseguire presta-

zioni pubbliche, «facere publicum»; altre volte, essi erano stati inviati dai consoli e dai podestà, genericamente, «pro negociis civitatis Padue».

Ad una spedizione militare a Godego parteciparono anche mi- lizie della Scodosia, con il consenso, a quanto sembra, dei mar- chesi estensi (92). Per quanto concerne la partecipazione all’exercitus richiesta dalla città, le milizie della Scodosia, che i testi definiscono sempre, in modo generico, come homines, svol- gevano, con tutta probabilità, per la maggior parte servizi ausilia- ri, dai carriaggi alle opere di fortificazione e di guasto; a riprova, possiamo constatare che il riferimento all’obbligo dell’exercitus è solitamente accompagnato da quello all’obbligo del publicum. L’attività bellica era riservata ai milites ovvero ai vassalli dei

(89) Le guerre del quinto decennio del secolo XII, che videro coinvolti i comuni di Verona, Vicenza, Padova e la città di Treviso, avevano fra le mo- tivazioni principali anche il controllo di grossi castelli del contado, come quello, ad esempio, di Montegalda, conteso fra Vicenza e Padova: Casta- gnetti, Le città cit., p. 119.

(90) Su questioni simili ci soffermeremo oltre: cfr. sotto, parr. 7.3.-7.4. (91) Zorzi, Il territorio cit., app., n. 4, databile all’anno 1199; cfr. ibi- dem, pp. 207-208.

(92) La spedizione è registrata anche nelle cronache padovane sotto l’anno 1178: Liber regiminum cit., p. 293.

marchesi, che detenevano feudi con onore, come erano certamen- te i domini di Urbana, cui accenneremo (93), e due fratelli di Lu- sia, che disponevano di feudi in alcune località della Scodosia; uno di loro, dominus Albertus maior (94), ricorda di essere [131] stato presente all’arbitrato del ferrarese Torello, quando questi, con il consiglio dei vassalli marchionali, fra i quali i da Lusia, decise sulla spartizione dei beni e dei diritti della casata (95).

Il comune cittadino poteva prendere l’offensiva contro i si- gnori del contado, come avvenne dopo la ribellione dei comuni a Federico I, quando le milizie cittadine assalirono il castello dei da Carrara (96).

Oltre che difendere i propri interessi diretti, in pace e in guer- ra, il comune padovano iniziò, dopo la pace di Costanza, sia pure in modi ancora incerti, ad intervenire nelle controversie fra signo- ri, partecipi della cittadinanza, e i loro vassalli del contado (97). Un processo della fine del secolo, per una controversia fra Alber- to Terzo della famiglia comitale padovana e alcuni coltivatori delle sue terre in Arquà, si svolge davanti ad un giudice del pode- stà (98).

All’inizio del Duecento l’estensione della giurisdizione citta- dina sul contado culminò nella legislazione antimagnatizia. Se- condo una cronaca (99) nell’anno 1200 i populares – un’espressione chiaramente attribuita a quell’anno per analogia con la situazione più tarda – si impossessarono delle giurisdizioni tenute dai magnates, un processo, tuttavia, che non dovette essere

(93) Cfr. sotto, par. 8.1.3.

(94) Alberto de Lusia è uno dei due arbitri per la soluzione di una lite, da lungo tempo in atto, fra il marchese Azzo VI e l’abate di Pomposa: Mu- ratori, Delle antichità estensi cit., pp. 368-369, doc. 1196 aprile 14, Ferrara. (95) L’atto, cui i due testi fanno riferimento, è registrato nel documento edito da L. A. Muratori, Delle antichità estensi ed italiane, voll. 2, Modena, 1717-1740, I, pp. 348-349, doc. 1178 giugno 15, Solesino; per estratto in CDP, III, n. 1300.

(96) Zorzi, Il territorio cit., p. 153. (97) Ibidem, pp. 125-126.

(98) Ibidem, app., n. 3, anni 1195-1196. (99) Liber regiminum cit., p. 299.

allora attuato e completato (100). [132] Dopo alcuni anni nei quali la magistratura podestarile fu affidata a forestieri, tornarono nel 1204-1205 elementi del ceto signorile padovano, con Alberto da Baone e Dalesmanino (101). Nel 1205 tornò il podestà fore- stiero (102) e da quell’anno non appaiono più podestà di estra- zione locale.

Il comune cittadino riprese l’azione contro i magnati, sottra- endo loro del tutto, secondo la fonte cronachistica (103), le giuri- sdizioni, segno che l’azione svolta negli anni precedenti non era stata affatto decisiva. Fu tolta ai signori la competenza a giudica- re i contadini che lavoravano sulle proprietà dei cittadini, anzi, secondo una norma statutaria dell’anno 1215 (104), a questi la- voratori fu comandato di denunciare eventuali imposizioni: se non l’avessero fatto – si prevede evidentemente che gli interessi dei comitatini e delle comunità rurali possano coincidere con quelli dei signori –, avrebbero potuto e dovuto farlo i loro domini ovvero i proprietari delle loro terre, che avrebbero agito contro i

domini del luogo, domini questi che erano signori effettivi. La

norma, come altre, anche se in modi meno evidenti, era diretta essenzialmente a difendere gli interessi dei cittadini, che poteva- no essere compromessi dall’azione dei signori rurali. Venne an- che concesso ai districtabiles di poter ricorrere al tribunale del comune contro il signore del luogo, finanche nelle controversie fra abitanti e vassalli vescovili, come attesta un documento del primo decennio del secolo XIII (105).

(100) Zorzi, Il territorio cit., pp. 208-209; M. A. Zorzi, L’ordinamento comunale padovano nella seconda metà del secolo XIII, Venezia, 1931, pp. 60-64; Castagnetti, I conti cit., pp. 147-148; Castagnetti, La Marca cit., p. 76; Bortolami, Fra ‘alte domus’ cit., pp. 17 ss. Per un inquadramento gene- rale della legislazione antimagnatizia padovana si veda G. Fasoli, Ricerche sulla legislazione antimagnatizia nei comuni dell’alta e media Italia, «Rivi- sta di storia del diritto italiano», XII (1939), estratto, pp. 13, 88-90.

(101) Bortolami, Fra ‘alte domus’ cit., p. 19. (102) Ibidem, p. 20.

(103) Liber regiminum cit., pp. 299-300.

(104) A. Gloria (ed.), Statuti del Comune di Padova dal secolo XII all’anno 1285, Padova, 1873, n. 629, ante 1236.

Una norma statutaria anteriore all’anno 1236 (106), proba- bilmente [133] da attribuirsi all’ultimo decennio del secolo pre- cedente (107), prescriveva che nessun abitante di Padova e del territorio potesse essere giudicato, se non dai magistrati del co- mune, eccettuate solo le controversie relative alle chiese e ai feu- di. Ma anche per i feudi doveva intendersi un giudizio di prima istanza, dal momento che proprio per le controversie feudali fra signori e vassalli – certo, vassalli di rilievo e godenti della citta- dinanza –, controversie che non fossero state risolte nelle curie, fin dalla costituzione del comune si era fatto ricorso, dapprima sotto forma di arbitrato, ai consoli, come subito vediamo.

5.4. Vassallità vescovile e comune cittadino: il ricorso alle