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CAP II STRUTTURE TERRITORIALI, ASPETTI SOCIALI ED ECONOMICI, RAPPORTI CON VENEZIA

2.3. Aspetti economici e social

2.3.1. Proprietari terrieri e consuetudini longobarde

In Sacco, come in altre più note comunità rurali, i processi di differenziazione sociale interna alla comunità si svolgevano, sul piano economico, oltre che per le vie consuete di arricchimento e

(24) CDP, I, n. 85, 1008 aprile 13, con un guasto nella pergamena prima dei nomi dei due diaconi; si vedano anche n. 86, 1008 luglio 6, e n. 90, anno 1010.

(25) CDP, I, n. 79, 999 novembre: documento rogato in loco Plebe. (26) CDP, I, n. 88, 1008 settembre 24: terre «infra comitato Tarvisio- nense et infra fine Sacisica et in fundo villa Plebe»; n. 89, 1009 settembre: riferimento alla plebs «... que est constructa in fundo *** qui dicitur Plebe» e beni «infra comitato Tarvisionense et infra fines villa que dicitur Plebe, tam infra predicta villa quamque et de foris»; n. 90, anno 1010: atto rogato in «Sacco in villa que dicitur Pleve» e terre «in comitato Tarvisionense et infra finem Sacissica seu in fundo et loco villa que dicitur Plebe».

(27) CDP, I, n. 72, 988 dicembre: Plebs è locus dei fines Sacisica; n. 79, 999 novembre, in loco Plebe. Nel primo decennio del secolo XI Plebe è definita villa, inclusa nel distretto, fines, della Saccisica: n. 88, 1008 settem- bre 24, e n. 90, anno 1010, e numerosi documenti posteriori; la villa Plebe è dotata di un proprio territorio, fines: n. 89, 1009 settembre.

(28) CDP, I, n. 85, 1008 aprile 13; n. 86, 1008 luglio 6; n. 89, 1009 set- tembre; n. 90, anno 1010; n. 91, 1010 agosto; n. 142, 1041 ottobre 31; ecc.

impoverimento, legate alle vicende naturali dell’ambiente e a quelle sociali della successione familiare e delle transazioni eco- nomiche, anche attraverso gli scambi commerciali e, aspetto rile- vante soprattutto sul piano del privilegio e del conseguente pre- stigio sociale, attraverso l’instaurarsi di rapporti vassallatici, che consistevano nell’esenzione da obblighi pubblici, che i vescovi padovani concedevano, oltre che a chiese e monasteri, padovani e no, e a cittadini, anche a molti possessori del luogo, rapporti vas- sallatici sui quali appresso ci soffermeremo lungamente.

Pochi cenni sugli aspetti economici legati ai beni terrieri. La documentazione della Saccisica, che costituisce, si noti, la parte più rilevante della documentazione relativa ai territori trevigiano e padovano del secolo XI, mostra una società dinamica nelle transazioni fondiarie (29), legata alle proprie tradizioni longo- barde, anzitutto per il costante ricorso alla dichiarazione di legge longobarda, aspetto in sé non determinante, dichiarazione a volte sostituita, tuttavia, dalla semplice qualificazione ‘etnica’ – inten- dendo, ovviamente, il riferimento [46] ad una tradizione etnico- giuridica, non ad un carattere etnico in senso proprio (30) –, de- signata con l’aggettivo Langobardus (31) o, anche, Lambardus (32), un termine, il secondo, che nel caso della Saccisica indica solo una volgarizzazione del primo, frutto della sua ampia diffu- sione (33).

(29) Tralasciamo la citazione dei documenti, facilmente rinvenibili scor- rendo CDP, I.

(30) Da lungo tempo, indubitabilmente dall’età carolingia (Tabacco, Dai possessori cit., pp. 267-268), la qualifica di Langobardus, come le di- chiarazioni di nazionalità e di legge longobarde, non indicavano più un ca- rattere etnico originario, ma un ceto, già dominante di possessori, erede ed interprete della tradizione etnico-politica dell’antica gens longobarda.

(31) Tralasciamo la citazione dei molti documenti relativi.

(32) Testimoni Lambardi: CDP, I, n. 88, 1008 settembre 24, Piove; n. 175, 1058 giugno 3, Arzere; n. 252, 1078 novembre 6, Codevigo; n. 270, 1084 febbraio 18, Corte; n. 276, 1084 dicembre 11, Corte; n. 283, 1085 marzo 22, Corte.

(33) I Lambardi della Saccisica non sono paragonabili per condizione sociale e ruolo politico ai Lambardi toscani: si veda sotto, t. c. nota 6 di cap. VIII.

La conservazione delle tradizioni giuridiche longobarde è at- testata anche dalle carte di morgengabe, ben tre fra X e XI secolo (34), con le quali i mariti longobardi assegnano alla sposa la quarta parte dello loro sostanze al momento della consumazione delle nozze, nozze promesse in precedenza con l’atto degli spon- sali: «in die illa quando te sponsavi» (35). Come ha osservato il Vismara (36), le carte di morgengabe venivano redatte solo da famiglie con un patrimonio di una certa consistenza. Non manca, per converso, il ricorso alle tradizioni giuridiche romano-italiche da parte di donne di [47] nazionalità romana (37).

Altri istituti longobardi concernenti la condizione giuridica e l’attività patrimoniale della donna, ampiamente attestati, sono quelli del mundoaldo e della notitia parentum (38). Il mundoal- do, che nei fatti coincide quasi sempre, nella famiglia di origine, con il padre o il fratello, poi, dopo il matrimonio, con il marito, amministra i beni della donna (39); questa in ogni atto di aliena- zione deve ricevere, oltre all’autorizzazione del mundoaldo, il

(34) CDP, I, n. 79, 999 novembre, Piove; n. 81, 1001 dicembre, Sacco; n. 154, 1049 ottobre 30, Codevigo.

(35) Edictus Rothari in Bluhme, Edictus cit., capp. 182, 199, 200, 216; Liutprandi leges cit., capp. 7, 103, 117; Aistulphi leges in Bluhme, Edictus cit., cap. 14. Sulla cessione di beni per morgengabe o dono del mattino da parte dei mariti di tradizione etnico-giuridica longobarda alle mogli, atto in origine libero e volontario, mentre la corresponsione della meta rappresen- tava un elemento costitutivo del matrimonio, si veda G. Vismara, I rapporti patrimoniali tra coniugi nell’alto medioevo, in Il matrimonio nella società altomedievale, voll. 2, Spoleto, 1977, II, pp. 663-666.

(36) Vismara, I rapporti patrimoniali cit., p. 700 della “Discussione”. (37) CDP, I, n. 108, 1024 dicembre 30, Piove: i coniugi Albina e Ada- mo, viventi rispettivamente secondo la legge romana e longobarda, vendono terre ad un privato; non compare per la donna il mundoaldo né viene richie- sto il consenso dei parentes o propinqui.

(38) CDP, I, n. 71, 988 ottobre, perg. guasta; n. 91, 1010 agosto, Piove, perg. guasta; n. 104, 1019 agosto 12 = Lanfranchi, S. Giorgio cit., II, n. 4, Codevigo; CDP, I, n. 131, 1035 febbraio 4, Codevigo.

(39) Edictus Rothari, in Bluhme, Edictus cit., capp. 167, 178 ecc. Cfr. P. S. Leicht, Il diritto privato preirneriano, Bologna, 1933, pp. 48-49; F. Ca- lasso, Medioevo del diritto, I, Milano, 1954, pp. 128-129; E. Cortese, Per la storia del mundio in Italia, «Rivista italiana per le scienze giuridiche», 91 (1955-1956), pp. 398 ss.

consenso di due o tre parenti della famiglia di origine, i quali de- vono garantire che la donna non abbia subito pressioni illecite o violenze, anche dal marito stesso, suo mundoaldo, per effettuare un negozio giuridico (40).

2.3.2. Il ‘trattato’ dell’anno 1005 con Venezia e il commercio del lino

Per quanto la documentazione concerna prevalentemente transazioni economiche di terre, a volte diritti fiscali e giurisdi- zionali, per la Saccisica sussistono alcuni pochi documenti che permettono di cogliere l’esistenza di un’intensa attività collegata al commercio del lino.

Nell’anno 1005 un gruppo di abitanti di Sacco e del castello ivi [48] ubicato (41), con riferimento, quindi, non a tutto il di- stretto, ma al centro di Piove, sede del castello, come sappiamo (42), si recò in Venezia per chiedere al duca Pietro (II) Orseolo il rispetto delle consuetudini antiche, già in uso al tempo dei loro progenitori, che contemplavano l’esenzione dal pagamento di telonei e ripatici nelle località del ducato, dietro corresponsione di un tributo annuale di duecento libbre di lino al palazzo ducale (43). Il duca, assistito da giudici e da maggiorenti (44), accon- sentì alla richiesta. L’accordo, come avverrà anche in seguito nei trattati commerciali tra il ducato veneziano e le città

(40) Liutprandi leges cit., cap. 22. Cfr. Cortese, Per la storia cit., pp. 377-378.

(41) CDP, I, n. 82, anno 1005.

(42) Doc. dell’anno 1041, citato sopra, nota 16.

(43) Cfr. A. Schaube, Storia del commercio dei popoli latini del Medi- terraneo sino alla fine delle Crociate, tr. ital., Torino, 1915, p. 19. Pone il rilievo il patto ai fini della sviluppo economico e sociale anche Rippe, Commune urbaine cit., pp. 676-677.

(44) Per la presenza di primates e giudici e per la loro funzione a Vene- zia fra X e XI secolo si veda A. Castagnetti, La società veneziana nel me- dioevo. I. Dai tribuni ai giudici, Verona, 1992, pp. 89-95.

dell’entroterra, si presenta non sotto l’aspetto di un trattato bilate- rale, ma sotto quello di un privilegio elargito (45).

L’azione dei Saccenses non fu, probabilmente, svolta in piena autonomia: una forma di controllo da parte del vescovo si eserci- tò attraverso la funzione del gastaldo, che doveva essere un uffi- ciale vescovile, come appare da documenti posteriori (46).

I nomi di coloro che giurano appresso il gastaldo Astolfo so- no, in parte, caratterizzati da una forma antroponimica a due ele- menti, [49] nome e soprannome – ad esempio, Pietro Fusconi e Giovanni Fusconi –, il secondo non preceduto da un sintagma di congiunzione, per cui esso si presenta con valore cognominale, una forma che, come vediamo, trova corrispondenza nella docu- mentazione coeva, anche se a volte essa si presenta nella forma diffusa del nome congiunto dal sintagma «qui dicitur», come è diffusa la denominazione con il solo nome personale caratterizza- to dalla indicazione analitica di parentela, per lo più con il padre: «filius de ...» o «filius quondam ...» (47).

Questi soprannomi con valore cognominale (48) – adoperia- mo l’espressione per comodità, pur non trattandosi ancora di no-

(45) Si veda, ad esempio, il trattato commerciale stipulato nell’anno 1107 fra Verona e Venezia, che si presenta come un privilegio concesso dal duca veneziano ad un gruppo di oltre quaranta Veronesi, che si erano recati a tal fine nella città lagunare: A. Castagnetti, Le città della Marca Veronese, Verona, 1991, pp. 82-83; edizione del documento in app. II, n. 1, 1107 mag- gio, Rialto.

(46) Abbiamo già incontrato il gastaldo del ministerium di Corte: CDP, I n. 262, doc. 1080 gennaio 9, Piove; cfr. sopra, t. c. nota 3. Avremo occa- sione di incontrarne altri, per i quali rinunciamo ai rinvii puntuali.

(47) Non intendiamo soffermarci ad approfondire la questione dell’antroponimia: per un territorio rurale padovano si veda S. Bortolami, L’evoluzione del sistema onomastico in una ‘quasi città’ del Veneto medio- evale: Monselice (sec. X-XIII), «Mélanges de l’École française de Rome. Moyen Age», 107/2 (1995), pp. 343-380; si vedano anche i numerosi saggi sul tema apparsi in questo volume e in quello precedente: «Mélanges» cit., 106/2 (1994).

(48) Forse esercitò un’influenza la pratica onomastica veneziana, nella quale l’impiego del nome di famiglia era consueto: G. Folena, Gli antichi nomi di persona e la storia civile di Venezia, «Atti dell’Istituto veneto di scienze, lettere ed arti», CXXIX (1970-1971), pp. 450, 455-456.

mi di famiglia o ‘cognomi’ consolidati, per la comparsa dei quali occorre attendere la seconda metà del secolo XII (49) – trovano riscontro nella documentazione relativa alla Saccisica, coeva o compresa nel secolo XI, particolarmente nel raffronto con la do- cumentazione degli anni 1079-1080, nella quale appaiono perso- ne numerose.

Pietro Fusconi va avvicinato a Giovanni qui dicitur Fusconi (50) e a Giovanni Fusco (51); Domenico Natale può essere avvi- cinato a Maraulo figlio di Pietro Natale (52) e a Martino di Nata- le (53); [50] Giovanni Bodolino ad un altro omonimo (54); Urso Iustino a un Domenico Iustino (55) e a uno Zustino di Domenico Zustino (56): da questo soprannome può essere derivato quello del gruppo parentale dei Giustini (57). Il diacono Pietro del fu Pietro, infine, può essere accostato al prete Pietro della pieve lo- cale (58).

(49) Ad esempio, i nomi di famiglia dei Giustini (cfr. sotto, par. 12.3.) e dei Farisei (par. 14.2.).

(50) CDP, I, n. 79, 999 novembre, Piove.

(51) CDP, I, n. 142, 1041 ottobre 31, castello di Piove. (52) CDP, I, n. 261a, 1079 dicembre 30, Piove.

(53) CDP, I, n. 261c, 1080 gennaio 15; n. 280, 1084 gennaio 9. (54) CDP, I, n. 261c, 1080 gennaio 15.

(55) CDP, I, n. 214, 1072 febbraio, Piove. Precisiamo che il nome fami- liare di Iustino o Iustini non appare nella documentazione veneziana fino tutto il secolo XII.

(56) CDP, I, n. 236, 1077 febbraio 9, Vallonga. (57) Cfr. sotto, par. 12.3.

(58) CDP, I, n. 85, 1008 aprile 13. Non abbiamo rivenuto riscontri coevi per Martino Progypho, Leone Barbalongolo, Pietro Centoni e Pietro Gisar- do. Nella documentazione relativa a appaiono altre persone caratterizzate da una forma antroponimica a due elementi, nome e soprannome, senza o con un sintagma di congiunzione, come i Sambolo, il cui soprannome è inizial- mente un nome proprio e poi assume un valore ‘cognominale’: Pietro filius quondam Sambolo: CDP, I, n. 71, 988 ottobre; Sabolo de Natale Sabolo: n. 88, 1008 settembre 24; Pietro qui dicitur Sambolo, Natale qui dicitur Sam- bolo: n. 91, 1010 agosto; Martino Sabolo: n. 142, 1041 ottobre 31; Domeni- co de Sambola: n. 214, 1072 febbraio 27; Pietro de Sambolo: n. 261a, 1079 dicembre 30, n. 261c, 1080 gennaio 15. I Sambolo sono documentati anche nel secolo seguente. Si veda anche sotto, nota 43 di cap. XI, per i Multafava, documentati dall’inizio del secolo XI alla metà del XII.

La presenza dei soprannomi per quasi tutti i personaggi ora menzionati nella documentazione redatta in Piove, conferma che i Saccenses recatisi a Venezia erano abitanti di Piove, così che questo villaggio con il suo castello e la sua pieve risulta anche il centro economico e commerciale del territorio.

L’attività commerciale dei Saccenses con il ducato veneziano può anche farci meglio comprendere il fatto che il tributo da pa- gare prima all’imperatore, poi al vescovo fosse, per la prima vol- ta, espresso in denaro, nel privilegio dell’anno 1055 (59), poi in quello dell’anno 1079, quando il tributo fu donato alla chiesa ve- scovile, calcolato ora in denari veneziani, (60), moneta della qua- le, appunto, i Saccenses avevano [51] certamente la disponibilità (61).

Tracce della produzione e della lavorazione del lino emergo- no sporadicamente dalla documentazione (62). Ma dell’attività commerciale dei Saccenses non abbiamo rinvenuto notizie per due secoli, quando sono concesse in locazione stazioni in un mercato veronese a sei linarores Padue, per la maggior parte provenienti da Piove di Sacco (63). Nella prospettiva degli uffi- ciali veronesi è facile comprendere l’attribuzione della prove-

(59) Doc. dell’anno 1055, citato sotto, nota 3 di cap. III. (60) Doc. dell’anno 1079, citato sotto, nota 19 di cap. III.

(61) Non entriamo nel merito dei problemi connessi alla circolazione ef- fettiva delle singole monete e al loro impiego eventuale quale moneta di conto: si vedano, per il secolo XI, le considerazioni svolte da A. Saccocci, La moneta nel Veneto medioevale (secoli X-XIV), in A. Castagnetti, G. M. Varanini (a cura di), Il Veneto nel medioevo. II. Dai comuni cittadini al pre- dominio scaligero nella Marca, Verona, 1991, pp. 249-251.

(62) Ad esempio, CDP, II, n. 625, 1154 agosto 12, Arzere; III, n. 1427, 1181 novembre 29: «... in estate, quando lini maserabantur»; n. 1254, 1177 maggio 2; a decime in lino viene fatto più volte riferimento nelle testimo- nianze relative alla controversia sulle decime: cfr. sotto, capp. VII e XIII.

(63) A. Castagnetti, Mercanti, società e politica nella Marca Veronese- Trevigiana (secoli XI-XIV), Verona, 1990, app., n. 6, 1219 ottobre 4; cfr. ibidem, p. 89. Quattro dei sei linaroles provengono da Piove di Sacco: Pel- legrino, Perono, Giovanni de Muto et Warino; il raffronto dei loro nomi con la documentazione a noi nota non sembra indicare personaggi di rilievo lo- cale, come, d’altronde, sembrebbe potersi dedurre anche dal fatto che non sono provvisti di un nome di famiglia.

nienza da Padova ai commercianti di lino di Piove. Ma questa designazione trova riscontro nelle condizioni e negli obiettivi propri della politica mercantile di età comunale, essenzialmente ‘protezionistica’ verso l’esterno e, soprattutto, tendente a convo- gliare tutte le risorse del contado, alimentari, prima – quella che viene definita politica ‘annonaria’ –, poi materie prime destinate all’artigianato e all’industria, verso la città, donde poi, con l’autorizzazione delle magistrature preposte, potevano essere ri- distribuite nel contado ed anche verso i territori esterni (64). Nel contempo [52] la produzione, l’industria e il commercio del lino venivano cedendo il passo per importanza al commercio prima, poi all’industria della lana, che anche in Padova si veniva affer- mando nel corso del secolo XIII (65).

Mentre l’attività di esportazione del lino da parte degli abitan- ti della Saccisica emerge dalla documentazione, sia pure eteroge- nea e lontana nel tempo, possiamo solo immaginare quali potes- sero essere le merci trasportate eventualmente da questi ‘mercan- ti’ da Venezia verso la Saccisica e il territorio padovano.

Il libro veneziano delle garanzie, Liber plegiorum, ci informa ampiamente per un periodo di tempo assai limitato, pochi mesi dell’anno 1224, delle merci importate da Venezia da abitanti del- le città venete, Padova esclusa, poiché esisteva ostilità con il co- mune padovano: le merci sono costituite prevalentemente da fi- chi, olio e formaggio (66). Ma attraverso il territorio della Sacci- sica passavano con certezza le vie di comunicazione fluviali con

(64) Si veda, per analogia, la situazione delineata per il comune verone- se, ove precoce si mostra l’interesse per il controllo del commercio esterno: Castagnetti, Mercanti, società cit., pp. 28 ss.

(65) Ibidem, pp. 89 ss.; S. Collodo, Una società in trasformazione. Pa- dova tra XI e XV secolo, Padova, 1990, pp. 367 ss.

(66) R. Predelli (ed.), Il Liber Comunis detto anche Plegiorum del r. Archivio generale di Venezia. Regesti, Venezia, 1872, pp. 35-45, documenti inclusi prevalentemente dal n. 64 al n. 124; R. Cessi (ed.), Deliberazioni del Maggior Consiglio di Venezia, I, Bologna, 1950, pp. 11-22, documenti in- clusi prevalentemente dal n. 32 al n. 74. Cfr. G. Rösch, Venezia e l’Impero. 962-1250. I rapporti politici, commerciali e di traffico nel periodo imperia- le germanico, II ed. 1982, tr. ital. Roma 1985, pp. 232 ss. e tavole sinottiche a pp. 235-239.

la zona meridionale del ducato veneziano, in particolare quelle con Chioggia, poiché i Saccenses stessi avevano chiesto al ve- scovo nell’accordo dell’anno 1129 di non concedere ai potenti – conti, capitanei ed altri – alcun diritto di giurisdizione sul territo- rio, in particolare «de via eundi vel redeundi ad Cluzam» (67). Orbene, fra i centri del ducato veneziano Chioggia rappresentava per i secoli X-XII uno dei più popolosi, [53] attivi ed organizzati (68), ed era nel contempo una delle zone di maggior produzione del sale (69): una parte consistente del commercio del sale dove- va passare per il territorio, anche se non risulta che ne fossero partecipi i Saccenses, soprattutto nella piena età comunale, per i caratteri ‘protezionistici’ e ‘annonari’ della politica economica del comune cittadino, cui abbiamo accennato. Possiamo arguire che anche la condizione economica dei Saccenses sia progressi- vamente peggiorata, se non altro per non avere più potuto com- merciare direttamente con i territori esterni.

2.3.3. I rapporti con Venezia: l’esempio di due famiglie di Piove

Fin dalla prima documentazione disponibile, constatiamo che singoli abitanti e famiglie sono in rapporto con i monasteri e con famiglie del ducato veneziano, in modi diretti o in quanto i citta- dini veneziani erano, a loro volta, in rapporti continui con chiese e monasteri (70).

Premettendo che non intendiamo né lo potremmo, in questa sede, approfondire l’argomento, ci limitiamo a sottolineare il tra- sferimento a Venezia di un abitante di Piove e a tracciare le vi- cende, in un tempo breve, di una famiglia, vicende tanto più si- gnificative perché costoro non appaiono partecipi della vita pub-

(67) CDP, II, n. 192, 1129 settembre 3, Piove di Sacco, chiesa di S. Martino; cfr. sotto, t. c. nota 51 di cap. III.

(68) A. Castagnetti, Insediamenti e ‘populi’, in Storia di Venezia. I. O- rigini-età ducale, Roma, 1992, pp. 593-595 e passim.

(69) J.-C. Hocquet, Le saline, in Storia di Venezia cit., I, pp. 520-521. (70) Ad esempio, donazioni di privati al monastero della SS. Trinità e di S. Michele Arcangelo di Brondolo: Lanfranchi Strina, SS. Trinità cit., n. 4, 998 febbraio 8, Codevigo; CDP, I, n. 72, 988 dicembre, Rosara.

blica locale né sembrano inclusi nella vassallità vescovile, alme- no non in posizione rilevante.

[54] Una famiglia di Piove, che possiamo chiamare dei Cavi- gani, entra in rapporti così stretti con la società veneziana che un membro si trasferisce in Rialto.

Abbiamo rinvenuto la prima notizia della famiglia nella se- conda metà del secolo, quando un Andrera di Cavigano appare per due volte quale confinante di terre in Piove (71). La docu- mentazione si infittisce nell’ultimo decennio del secolo (72).

Cesaria e Mainelda, mogli rispettivamente dei due fratelli Almerico e Albertino di Cavigano, danno il loro assenso alla vendita di terre che erano vincolate alla loro dote, terre acquistate dal monastero veneziano di S. Lorenzo (73), attraverso due pro- curatori, fra i quali Domenico Barbadigo. Il giorno seguente, in Rialto (74), i due fratelli Almerico e Albertino di Cavigano di Piove di Sacco, e un terzo fratello, Pietro Caviganus (75), che abita nel confinium (76) di S. Barnaba di Venezia, vendettero due appezzamenti in Piove al monastero veneziano. Nello stesso giorno i due fratelli di Piove sono testimoni ad altri acquisti per terre in Piove da parte del monastero (77).

(71) F. Gaeta (ed.), S. Lorenzo, Venezia, 1959, n. 9, 1169 febbraio 27, Padova; n. 11, 1169 ottobre 19 e 26: acquisti da parte di Lemizo. Ritrove- remo i Cavigani in rapporti con la famiglia dei Lemizzi.

(72) Almerico di Cavigano è testimone ad una vendita: ibidem, n. 30, 1194 febbraio 19.

(73) Ibidem, n. 36, 1198 febbraio 18, Piove: primo fra i testimoni è e- lencato Enrico di Danisio.

(74) Ibidem, n. 39, 1198 febbraio 20, Rialto: fra i testimoni è ancora presente Enrico di Danisio.

(75) Ibidem: si noti che i due fratelli, risiedenti in Piove, sono detti «di Cavigano», mentre il terzo, che risiede in Venezia, è qualificato secondo l’uso veneziano, con l’apposizione Caviganus che assume valore cognomi- nale.

(76) I confinia della zona realtina ovvero della civitas di Venezia sono modellati sulle circoscrizioni parrocchiali: Castagnetti, Insediamenti e popu- li cit., p. 584.

(77) Ibidem, n. 40, 1198 febbraio 20, Rialto; n. 41, 1198 febbbraio 21, Rialto: grossa vendita di terre in Piove da parte di Lemizo.

[55] Non abbiamo rintracciato documentazione ulteriore con- cernente la famiglia, né alcuno dei membri appare nella docu- mentazione pubblica veneziana del periodo. Dobbiamo limitarci a sottolineare il trasferimento di uno dei fratelli in Venezia, cer- tamente connesso ai rapporti della famiglia con un monastero veneziano e, forse, più in generale, ai rapporti ormai antichi tra la Saccisica e il ducato. Questo trasferimento in Venezia suggerisce l’ipotesi di un coinvolgimento dei Cavigani con l’attività com-