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CAP III SIGNORIA VESCOVILE E COMUNITÀ RURALI TRA XI E XII SECOLO

3.3. Le trattative del secolo

Le controversie tra la chiesa vescovile e la popolazione della Saccisica, nelle sue componenti di volta in volta diversamente aggregatesi, come vedremo, continuano nel secolo seguente, per quanto concerne lo sfruttamento delle zone incolte ed anche il controllo sulle vie di comunicazione e di traffico, la transitura. rius sacri palacii ex iussione de suprascripto episcopo et iudicis ammonicio- ne scripsi».

(47) A. Castagnetti, I conti di Vicenza e di Padova dall’età ottoniana al comune, Verona, 1981, pp. 32-35, con una illustrazione rapida dei placiti svoltisi nella Marca Veronese nella seconda metà del secolo XI.

(48) Un elenco, ad esempio, dei placiti nei domini canossiani è fornito sommariamente ibidem, p. 32, note 91-92. Ampie osservazioni sull’attività di amministrazione della giustizia dei marchesi e duchi di Canossa si leggo- no ora in Bertolini, I Canossiani cit., pp. 99-141.

(49) L. F. Bruyning, Il processo longobardo prima e dopo l’invasione franca, «Rivista di storia del diritto italiano», LVII (1984), pp. 152-153.

Esse ripercorrono le forme precedenti: donazioni contro assicura- zioni. Nell’anno 1129 Pietro di Roza ed altri due, marisi ovvero

marici e procuratori della patria de Saco, con abitanti numerosi,

alcuni dei quali provengono da Arzere, Vallonga, Codevigo, Me- lara, Cambroso, donano alla chiesa vescovile e al vescovo Belli- no un terreno, boschivo ed incolto, in Tumbiule (51), località da situare probabilmente a sud-est della Saccisica, oltre il Brenta, verso Calcinara, sul fiume o fossa Retrone (52); sono annessi an- che i diritti di sfruttamento dei beni incolti, con [71] l’obbligo di rispettarne la regolamentazione, regulae ipsius terre. Il vescovo non dovrà cedere la terra a persone potenti – conti, capitanei ed altri –, che esercitarono in passato, e quindi sono nella condizione di esercitarlo ancora, un controllo sulla via per Chioggia; il ve- scovo non può alienare la terra, se non nella misura di un manso da assegnare ai suoi fideles di Padova ovvero ai suoi vassalli cit- tadini, molti dei quali hanno o avranno appunto benefici nella Saccisica, come all’occasione verremo constatando.

I patti sembrano presto violati. Si addiviene a un nuovo ac- cordo nell’anno 1132, i cui termini non sono del tutto chiari (53). Il vescovo Bellino, domina Elica e il figlio Ugezzone, che sap- piamo essere della potente famiglia signorile dei da Baone (54), promettono la fine di una controversia attraverso la consegna simbolica di un bastoncino, fustis (55), ai rappresentanti degli

(51) CDP, II, n. 192, 1129 settembre 3, Piove di Sacco, chiesa di S. Martino.

(52) CDP, III, n. 1052, 1171 ottobre 15 = Lanfranchi, S. Giorgio cit., II, n. 335: riferimento ad un terreno che è situato nel territorio di Tumbiule, presso la fossa che divide il territorio della Saccisica, fines Sachi, da quello di Calcinara, fines Calzinarie, fossa detta Retrone; il Retrone, dunque, scor- reva presso Calcinara, con un corso non lontano da quello che è oggi pro- prio del Bacchiglione, a conferma ulteriore della ricostruzione operata dal Gloria (cfr. sopra, nota 31).

(53) CDP, II, n. 239, 1132 agosto 27, Padova.

(54) Per Elica e i suoi figli si veda sotto, t. c. note 17-19 di cap. XV. Sui da Baone rimane ancora valido il profilo tracciato da Zorzi, Il territorio cit., pp. 97-141.

(55) L’atto simbolico della consegna di un bene o del riconoscimento di diritti contestati attraverso la consegna di un bastoncino, per fustem, risale

uomini di Sacco: Tisone e Iustino, marisi di Plebe, e due giudici, Giovanni di Tado, qui non qualificato (56), ed Enrico (57). A loro volta questi ricordano di avere rimesso [72] nelle mani del messo del vescovo, Walperto de Episcopo – si tratta del fratello del vescovo Bellino (58) –, la terra di Tumbiule, già donata tre anni prima, ma senza una consegna effettiva o almeno pacifica, a quanto sembra, poiché si accenna a violentia e dampnum recato al vescovo e ad Elica nella terra di Tumbiule; dichiarano pertanto che rimarranno soddisfatti, taciti. I consortes di Sacco potranno esercitare capulum e pasculum in Tumbiule, rispettando le regu-

lae, che dovranno essere identiche, poste dagli uomini di Sacco e

da quelli di Calcinara; nonché disporre senza ostacoli di una via ampia quindici piedi. Si stabilisce, inoltre, che la fossa di Sablun-

cello, probabilmente prossima alla zona contestata, quindi fra

Piove e Calcinara, non potrà essere scavata se non di comune ac- cordo. Qualunque azione del vescovo e dei signori da Baone o dei loro uomini, che ostacoli i diritti del populus di Sacco, sarà punita con l’ammenda di lire quattrocento; se un loro gastaldo o messo estorcerà un pegno, esso sarà restituito e sarà pagata una multa di lire venti.

La comunità di Piove di Sacco appare ora organizzata, come altre comunità (59), con propri ufficiali locali, i marici, qualifica all’alto medioevo ed è ampiamente utilizzato nella risoluzione delle contro- versie, sia che avvengano in seguito ad un giudizio pubblico (Bruyning, Il processo cit., p. 152; Diurni, Le situazioni cit., pp. 262, 271, 289 ecc.; si veda anche il placito dell’anno 1137, citato sotto, nota 68) che ad un com- promesso ‘privato’.

(56) Per Giovanni di Tado si veda sotto, par. 4.4.

(57) Il giudice Enrico va probabilmente identificato con il giudice omo- nimo presente fra i boni homines all’investitura di un feudo, già detenuto dall’investito, concessa dal vescovo Bellino a Giovanni di Tado: CDP, II, n. 217, 1131 gennaio 18, Padova, palazzo episcopale. La scelta dei rappresen- tanti fu motivata probabilmente anche per ottenerne l’assistenza giuridica.

(58) Walperto de Episcopo, fratello del vescovo Bellino, documentato fra i primi consoli padovani dell’anno 1138 (doc. citato sotto, nota 48 di cap. IV): ibidem, p. 113.

(59) Segnaliamo la presenza di merici in Rosara e Melara già nel secon- do decennio del secolo XII: CDP, II, n. 101, 1118 maggio 19. Rosara, e n. 102, 1118 maggio 20, Rosara: entrambi i documenti sono redatti da Enrico

diffusa nelle zone costituenti l’odierno Veneto centro-orientale fino a Treviso (60). A conferma dell’organizzazione locale, in due altri passi dell’atto viene fatto riferimento al comune di Sac- co, in correlazione agli homines di Calcinara. Riteniamo che in questa occasione, come altre volte accade, il nome di Sacco sia impiegato come equivalente del centro di Plebe o Piove e, forse, dei villaggi vicini. Ad [73] esempio, poco dopo la metà del seco- lo (61), giungendo a conclusione una controversia tra i marici di Sacco e il visdomino Ottaviano, da una parte, e il monastero ve- neziano di S. Maria della Carità per un’azione di ‘esproprio’ compiuta dai primi a fini, per quanto sembra, di pubblica utilità, in seguito ad opere di rafforzamento del fossato e della fratta del villaggio di Piove, questi marici (62) di Sacco sembrano essere nei fatti i marici di Piove, adoperandosi, in questa come in altra occasione, il nome di Sacco per indicare il centro della Saccisica.

Come ha sottolineato il Checchini (63), i beni comuni, per lo più incolti, assai estesi nella Saccisica, erano gestiti a vari livelli: da parte delle singole comunità, ad esempio dai vicini e dai mari-

ci dei villaggi di Rosara e Melara, come da parte di tutto il popu- lus della Saccisica. Per il ‘secondo livello’, oltre ai documenti

citati concernenti la chiesa vescovile, possiamo segnalare un altro documento di portata minore.

di Rosara, causidico e notaio del sacro palazzo. L’atto sui diritti della chiesa vescovile nella Saccisica specifica che i marici di Corte e di Piove sono eletti «cum consilio et consensu episcopi vel sui missi»: cfr. sotto, t. c. nota 82.

(60) Per i marici di Treviso si veda sotto, t. c. note 27-28 di cap. IX. (61) CDP, III, n. 684, 1157 agosto 25.

(62) Uno dei marici, Ugo di Malcalzado, risulta proprietario in Piove: CDP, III, n. 652, 1155 dicembre 10, e n. 676, 1157 marzo 8.

(63) A. Checchini, Comuni rurali padovani, «Nuovo archivio veneto», n. ser., XVIII (1909), pp. 150-152, cfr. anche Zorzi, Il territorio cit., pp. 219 ss.

Ancora nel quarto decennio del secolo (64), due marici (65) della terra Saccensis, stando in Piove, con il consenso di Gio- vanni di Tado, vicedominus vescovile della patria Saccensis, con Giovanni gastaldo, probabilmente gastaldo del vescovo, donano, ma in sostanza vendono per cinque lire, al monastero veneziano di S. Giorgio Maggiore un fitto per terre in Codevigo, già di pro- prietà dei vicini di Sacco, vicini Saccenses. Poiché tra coloro che confermano appaiono abitanti di Rosara e di Codevigo, i marici

Saccenses e i vicini Saccenses [74] rappresentano in questa occa-

sione e includono anche le comunità di Rosara e di Codevigo (66).

Sugli incolti continueranno le liti, anche fra i villaggi del ter- ritorio: ne daremo occasionalmente notizia (67).

3.4. Le forme pubbliche tradizionali nell’amministrazione