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La questione della decima delle terre nuove e il conflitto con i vassall

CAP VII DECIMA, ARIMANNI, TERRE NUOVE E CONFLITTI DEL VESCOVO CON I VASSALL

7.3. La questione della decima delle terre nuove e il conflitto con i vassall

Le decime erano richieste dai redditi prodotti dalle terre vete-

res e dalle terre nuove, ampla, che, a testimoniare la lunga durata

del processo, vengono anch’essi distinti in ampla vetera e ampla

nova o novalia (45).

D’altronde, proprio l’esazione della decima sulle terre nuove era da tempo oggetto di vertenze anche fra gli enti ecclesiastici, in forza [188] di disposizioni che, nell’intento di favorire colo- nizzazione e bonifica, avevano assegnato ai monasteri colonizza- tori le decime delle terre nuove. Nella prima metà del secolo XII, disposizioni pontificie avevano sancito l’esenzione dalla decima per le terre dei monasteri (46); i provvedimenti avevano suscitato ben presto reazioni polemiche, in particolare nei confronti dei Cistercensi; poiché questi ultimi, oltre che prodigarsi nell’attività di dissodamento di terreni incolti, andavano in quel tempo esten- dendo la loro proprietà anche sulle terre già a coltura, vi fu la tendenza delle chiese locali, che dalla loro attività di espansione agraria venivano danneggiate nella riscossione delle decime, a interpretare l’esenzione in senso restrittivo, come concessa non a tutte le terre da loro lavorate, labores, ma solo a quelle per la

(45) Perg. 79, Zanello; Leone di Insula; perg. 88, Enrico di Dionisio; ecc.

(46) La prima disposizione pontificia, di cui abbiamo notizia, concer- nente l’esenzione dalla decima delle terre dei monaci, che essi stessi lavora- no o che servono al nutrimento dei loro animali, risale a Pasquale II (1099- 1118), ed è riportata in Corpus iuris canonici, I, Decretum magistri Gratia- ni, Graz, 1959, II ed., pars secunda, XVI, XLVII. Si veda sulla questione J. P. Mahn, Les Cisterciens et son gouvernement, des origines au milieu du XIIIe siècle (1098-1265), II ed., Parigi, 1951, p. 104, con ampia bibliografia anteriore.

prima volta poste a coltura, novalia (47); l’interpretazione fu av- vallata dal pontefice Adriano IV (48).

La restrizione dell’esenzione ai soli novalia divenne così un incentivo allo sviluppo dei dissodamenti. In questa più ampia prospettiva si inserisce, da un lato, l’attività di dissodamento del- le terre boschive nella Saccisica, in particolare nello iudicatus di Piove, dall’altro lato, l’intento dei dissodatori di usufruire dell’esenzione delle decime, soprattutto delle terre nuove.

Le parole di Ubertino Avoxato su arimanni e decima mostra- no con immediatezza come per lui, e per molti vassalli, fosse scontato [189] che fra i privilegi di cui godevano i vassalli della Saccisica fosse compreso quello dell’esenzione dalla correspon- sione della decima.

Prima di procedere, sgombriamo subito il campo da un possi- bile equivoco. Da lungo tempo, i vescovi avevano iniziato, ad esempio, nella regione di influenza della chiesa milanese, la pra- tica di concedere a loro vassalli i diritti di decima su aree relati- vamente omogenee e circoscrivibili (49). La pratica fece sì, come abbiamo accennato (50), che il diritto di decima, ovvero di esa- zione della decima su interi distretti, venne ad essere inteso come uno fra i tanti diritti signorili e il beneficio della decima venne considerato un feudum fra gli altri: questo affermano, ad esem- pio, i signori de Pedaula, quando dichiarano che «est decima hoc feudum» (51), un feudo che consisteva nel diritto di esigere la decima gravante su alcune località del plebatus o curia di Maro- stica (52).

I vassalli della Saccisica non detenevano in feudo diritti di decima su interi plebatus e su intere curiae o su loro porzioni; nemmeno su grandi possedimenti, come è il caso di Giovanni di

(47) Ibidem, pp. 104-106.

(48) P. Jaffè, Regesta Pontificum Romanorum, voll. 2, Lipsiae 1881- 1886, II ed., n. 10189, 1156 giugno 11.

(49) Violante, Pievi cit., pp. 765 ss.; Keller, Signori cit., p. 110. (50) Cfr. sopra, t. c. note 10-12.

(51) Bortolami, Famiglia cit., app., doc. anno 1189, p. 151 e passim. (52) Ibidem, p. 144.

Gerardazo di Monselice, vassallo vescovile, che, nella sua curia

vassallorum in Monselice, riceve da due suoi vassalli la manife-

statio della decima, da lui concessa in feudo, di ben quattrocento

campi e trenta casamenta in Campolongo Maggiore, Campolon-

go Liettoli, Corte e Brugine (53).

I diritti di decima di cui disponevano i vassalli della Saccisica consistevano essenzialmente nel privilegio loro concesso dell’esenzione dalla corresponsione della decima sulle terre di loro proprietà, lavorate direttamente con l’aiuto di habitatores od

homines (54). Lo attestano numerosi documenti di alienazione

concernenti di solito i diritti di proprietà o di possesso sulle terre, anzitutto quelli di cessione [190] di terre da parte di abitanti di Piove a monasteri veneziani o ad altri, che non volevano corri- spondere, come sappiamo, tributi fiscali, quali il fodro e con esso la decima, così che ricevevano investiture di fodro e decima in feudo sine fidelitate. Rinviando per questo aspetto alla trattazione precedente sul fodro, ci limitiamo a segnalare i documenti nei quali appaiono anche i riferimenti alla decima (55), mentre tor- niamo a soffermarci su alcuni, più significativi, anche se già con- siderati per il fodro, che concernono, in particolare, membri del gruppo parentale dei Farisei

(53) Benasaglio, Per la continuazione cit., n. 40, 1191 ottobre 7, Mon- selice. Sul personaggio si veda sotto, t. c. note 77-78 di cap. X.

(54) Cfr. sotto, par. 12.3. per i Giustini.

(55) Cfr. sopra, parr. 6.3. e 6.4. Per i riferimenti alla decima si vedano i documenti seguenti: CDP, III, n. 1062, 1172 febbraio 5, Venezia = Lanfran- chi, S. Giorgio cit., III, n. 336; n. 582, 1196 marzo 9, Venezia; Lanfranchi, S. Giovanni cit., n. 106, 1198 gennaio 16; CDP, III, n. 1442, 1182 aprile 18; Gaeta, S. Lorenzo cit., n. 22, 1184 luglio 10; n. 23, 1184 luglio 30: vendita fra privati; n. 40, 1198 febbraio 20; n. 41, 1198 febbraio 21, Rialto; n. 44, 1198 marzo 1, Padova; n. 46, 1198 marzo 1, Padova. Per gli acquisti di terre con diritti di decima e di fodro da parte di Danisio, si vedano Benasaglio, Codice diplomatico cit., n. 51, anno 1193, Piove, e n. 52, 1193 marzo 10, Piove. Segnaliamo anche una vendita tra presumibili abitanti di Piove di due appezzamenti in Piove – fra i confinanti appaiono Enrico di Danisio ed En- rico di Giso – con i diritti di decima concessi in feudo sine fidelitate: CDP, III, n. 972, 1169 novembre 2.

Ricordiamo, dapprima, un atto della fine del secolo (56), in forza del quale gli acquirenti, che acquisiscono con le terre il di- ritto di decima, debbono al venditore, se richiesti, l’adiutorium, come gli altri vassalli, «iure feudi ... sine fidelitate et homatico», in proporzione al valore dei diritti ottenuti, secundum quantita-

tem feudi; ai fini del prestigio sociale la detenzione della decima,

soprattutto se in feudo, si colora di un connotato signorile e feu- dale.

Documenti degli anni 1177 (57) e 1184 (58) concernono ac- quisti ad opera di Miliano, appartenente al gruppo parentale dei Farisei, di terre con annessi i diritti di decima e di fodro, terre ricevute in feudo [191] sine fidelitate et homatico (59). Nell’anno 1184 (60), Benedetto del fu Miliano vendette a Ziliolo di Redolfo di Palma di Giso, una terra arativa in Marimonda, nel territorio di Piove, sempre con il consenso dell’arciprete; parimenti concesse in feudo sine fidelitate la decima, con l’obbligo per l’acquirente di presentarsi due volte in Padova nella curia del venditore (61).

(56) Lanfranchi, S. Giovanni cit., n. 106, 1198 gennaio 16.

(57 ) Ibidem, n. 63, 1177 novembre 28, sotto il portico della casa di Mi- liano: il venditore, Enrico di Armanno, appartiene al medesimo gruppo pa- rentale.

(58) Ibidem, n. 74, 1184 gennaio 10, Piove. (59) Cfr. sopra, t. c. note 123 ss. di cap. VI.

(60) Lanfranchi, S. Giovanni cit., n. 88, 1191 gennaio 14, Piove.

(61) L’indicazione di Padova come luogo di riunione eventuale dei vas- salli di Benedetto di Miliano potrebbe indicare una residenza dello stesso in città o, più facilmente, essere dettata dall’interesse dell’acquirente, Ziliolo di Redolfo di Palma di Giso, un cittadino padovano. Secondo Rippe, Com- mune urbaine cit., p. 693, la famiglia di Giso sarebbe di origine ministeriale, come risulterebbe dall’essere un Aicardo de Giso incluso nella familia del vescovo: CDP, II, n. 160, 1124 novembre 12; l’autore traccia poi un profilo essenziale della famiglia. Fornisce un cenno sui Gizi anche Bortolami, Fra ‘alte domus’ cit., p. 16, nota 45, che propone quale capostipite Giovanni detto Gizo, documentato, invero, non dal 1130, ma dal 1121: CDP, II, n. 121, 1121 novembre 5. Segnaliamo, per gli interessi dei Gizi in Piove, che un atto di donazione dei figli di Giovanni di Tado al monastero veneziano di S. Cipriano è rogato «in villa Plebis, in casa filiorum Gisonis»: CDP, II, 490, 1147 giugno 10. Gli autori sopra citati non utilizzano un documento rilevante per delineare la condizione sociale della famiglia: nell’accordo dell’anno 1161 tra l’imperatore Federico I e il vescovo di Padova per la giu-

Una permuta tra Benedetto di Miliano e Manfredino di Omo- deo prevede la concessione di decima e l’esenzione dal fodro (62); una cessione da parte di Engelerio de Fariseo di beni al monastero veneziano di S. Lorenzo include i diritti di fodro e di decima (63).

Possiamo concludere che la pretesa dei Farisei a disporre del- la [192] decima delle loro terre non era infondata, come non lo era per altri vassalli (64). Essi ben sapevano, tuttavia, che in di- scussione non era la decima delle terre veteres, ma quella delle terre novae, soprattutto di quelle ridotte a coltura in tempi recenti, quelle terre che i testi, a volte, per distinguerle dalle terrae am-

plorum veterum, chiamano terrae amplorum novorum, dissodate

con l’ultima ondata di disboscamento, intorno agli anni novanta del secolo XII (65). Il vescovo, da parte sua, forse per un proces- so spontaneo di contrapposizione alle pretese illecite dei vassalli, esigeva dalla maggior parte di loro anche la corresponsione delle decime delle terre veteres, come passi innumerevoli degli atti processuali attestano.

risdizione sulla Saccisica (DD Friderici I, n. 33, 1161 ottobre 7, Lodi), si accenna ad un feudo de domo Gisonis, una qualificazione, quella di domus, tipica, come vedremo, di un gruppo familiare appartenente ai ceti dominanti, che lascia intendere che Giso avrebbe dato origine ad una progenie, domus, appunto, inseritasi tra questi ceti: cfr. sotto, cap. XV.

(62) Malipiero Ucropina, Ss. Secondo cit., n. 51, 1192 gennaio 5, Piove. (63) Gaeta, S. Lorenzo cit., n. 56, 1199 gennaio 30 e n. 59, 1199 feb- braio 1.

(64) Oltre alle esemplificazioni riportate disordinatamente nel testo, ri- cordiamo la situazione di Acerbo di Rosara, un vassallo che godeva di una buona posizione, se non altro perché era uno dei pochi vassalli vescovili, dei quali i testi sono concordi nell’affermare che godeva del privilegio di esen- zione dalla decima: perg. 79, deposizione di Zanello, Martino de Çeçena ed Enrico di Dionisio. Utile anche la deposizione stessa di Acerbo: perg. 88. Acerbo di Almerico di Rosara con il fratello Martinello è incluso fra gli investiti dell’anno 1214: cfr. sotto, nota 50 di cap. XIV.

(65) I testi alle prime fasi del processo per le decime di Piove, che si svolgono negli anni 1205-1208, fanno riferimento a quindici anni prima: perg. 79, Gumberto di Lantelda; perg. 88, Giovanni di Enrico di Danisio; Acerbo di Rosara; perg. 100, Sacheto di Enrico Duca.

Ricordiamo, da ultimo, che l’esenzione dalla corresponsione della decima comportava per i vassalli ‘onorevoli’ l’obbligo della corresponsione dell’adiutorium al vescovo, tributo straordinario che i vassalli versavano al vescovo quando questi era chiamato ad assolvere ai suoi obblighi verso l’imperatore, in occasione del- la venuta nel Regno Italico (66), o per altri fini straordinari. Or- bene, in una testimonianza, resa nell’anno 1218, in una delle fasi ultime del processo Farisei, viene dichiarato che ad uno dei Fari- sei, Lenzo, implicato nel processo proprio per la pretesa di esen- zione dalla decima, non era stato richiesto l’adiutorium consueto, ribadito nelle curie dei vassalli, per [193] quei vassalli che gode- vano di diritti di decima di terre vecchie e nuove, tam de terris

veteribus quam de novis (67), il che confermerebbe che essi non

godevano del diritto di riscuotere la decima sulle terre da altri coltivate, perché in tale caso avrebbero corrisposto l’adiutorium (68).

Un elenco di abitanti di Piove con i loro possessi o almeno parte di questi, soggetti a decima, per la quale corrispondevano censi in denaro, fu redatto nel periodo: vi compaiono, ad esem- pio, Conte dei Giustini; Folco, Gosdoello e Sindauro, figli di E- gidiolo di Curzo; Sacheto di Avoxato; ma anche cittadini, come Enrigeto dei Tadi, e monasteri, come S. Maria della Carità (69). Per chiarire quale fosse la condizione dei possessori e delle loro terre sarebbe necessario procedere ad uno studio più approfondito

(66) Cfr. sotto, par. 9.1., ove sono illustrate le curie vescovili degli anni 1190 e 1209.

(67) ACVP, Episcopi, III = t. 26, perg. 310, anno 1218 (nell’elenco ini- ziale dei documenti, redatto al momento della legatura delle pergamena nel registro, il documento fu assegnato all’anno 1280, per il fatto che la data- zione non è leggibile completamente: «... millesimo ducentesimo oct[avo decimo]». La deposizione è registrata anche in ACVP, Episcopi, IV = t. 27, perg. 421, che riporta una parte del contenuto del documento citato; una parte finale, concernente le due ultime testimonianze, è registrata anche in ACVP, Episcopi, II = t. 25, perg. 149.

(68) Per riferimenti all’entità dell’adiutorium versato dai vassalli, che godono dell’esenzione della decima, si veda sotto, par. 9.1.

sulla distribuzione di proprietà e di possessi, per il quale non manca il materiale documentario

7.4. La prima fase dei conflitti fra vescovo e vassalli