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Signoria vescovile, Saccenses ed Impero nella seconda metà del secolo

CAP III SIGNORIA VESCOVILE E COMUNITÀ RURALI TRA XI E XII SECOLO

3.1. Signoria vescovile, Saccenses ed Impero nella seconda metà del secolo

[57] I privilegi regi e imperiali che, da Berengario I ad Enrico III, hanno concesso e poi confermato alla chiesa vescovile la proprietà della curtis di Sacco e dei diritti di giurisdizione annes- si, non specificano mai l’estensione della curtis, né la dislocazio- ne sul terreno della proprietà fiscale, tantomeno accennano all’esistenza dei centri abitati della zona, che affiorano via via più numerosi nel periodo.

Possiamo supporre che, come per altre grandi curtes dell’area padana, l’estensione della curtis fosse notevole, ma certo non comprendeva tutto il distretto, dal momento che tra X e XI secolo appare consistente la presenza di liberi proprietari, prima nell’area di Piove (1) e nei villaggi prossimi, poi anche nelle altre zone (2).

Il privilegio che nell’anno 1055 l’imperatore Enrico III indi- rizzò agli abitanti di Sacco (3), privilegio che illustreremo trat- tando degli arimanni, mostra che la signoria vescovile si era este- sa, in modi e tempi che ci sfuggono, dalla curtis di Sacco anche su tutti gli abitanti, liberi o arimanni, del distretto ovvero su tutti coloro che risiedevano «in valle que vocatur Saccus» (4).

[58] Sfugge il processo di formazione del distretto signorile, che non è certo svelato dai privilegi successivi, le cui concessioni

(1) Cfr. sopra, par. 2.3.1.

(2) Tralasciamo la citazione della documentazione relativa ai proprietari locali, poiché cocnerne un aspetto, sul quale, come su altri, non intendiamo soffemarci, come abbiamo avvertito nell’Introduzione

(3) DD Heinrici III, n. 352, anno 1055.

(4) Tabacco, I liberi cit., p. 158, suppone che si tratti, più che degli abi- tanti dell’antica curtis fiscale, già donata all’episcopio, di quelli abitanti il resto del distretto, gli uomini liberi – i nostri arimanni o exercitales –, che già avrebbero fatto capo come tali alla corte regia, sui quali la signoria ve- scovile si sarebbe estesa o avrebbe tentato di estendersi approfittando dei diritti pubblici, placita e districtiones, connessi alla curtis donata da Beren- gario I nell’897 (doc. citato sopra, nota 62 di cap. I).

dei diritti di giurisdizione sono sempre poste in relazione alla proprietà curtense: dalle conferme ottoniane per la curtis di Sac- co a quella elargita con il primo privilegio di Enrico III (5).

I vescovi, come ben mostra un gruppo di privilegi della fine dell’età carolingia (6), erano già divenuti i protettori naturali dei liberi e degli arimanni, che sono detti anche filii ecclesiae, in quanto abitanti nella diocesi e posti con ciò nella “filiale dipen- denza dalla chiesa vescovile” (7).

Il vescovo di Padova, in particolare, era stato il primo fra i vescovi veneti a ricevere i pieni diritti giurisdizionali su una grossa curtis (8), cui seguirono altri due privilegi, altrettanto ri- levanti. Nell’anno 912 Berengario I concedeva di edificare castel- li su qualsiasi terra acquisita dall’episcopio all’interno della dio- cesi (9). Poco dopo, con un terzo privilegio (10), il re donava, oltre ad una chiesa di S. Giustina presso il fiume Brenta, tutte le

viae publicae che attraversavano la valle Solagna percorsa dal

fiume, situate nel comitato di Treviso, e tutte le terre spettanti al fisco regio nella stessa valle, anche quelle incluse eventualmente nei comitati di Ceneda e di Trento; concedeva la piena giurisdi- zione, omnis iudiciaria potestas, sugli arimanni come sugli altri uomini liberi abitanti nella valle – ne torneremo a trattare – e confermava la facoltà di edificare castelli.

[59] La formazione della signoria vescovile prese, dunque, avvio dalla concessione benengariana della curtis di Sacco con i pieni diritti giurisdizionali. Non desta stupore che una grossa cur-

tis condizioni le vicende di un intero territorio. Non mancano e-

sempi del genere; anzi, può accadere che uno o più villaggi, inse- (5) Cfr. sopra, t. c. note 63-66 di cap. I.

(6) DD Karoli III, nn. 49-52 dell’anno 882, per le chiese di Verona, A- rezzo, Cremona e Bergamo.

(7) Tabacco, I liberi cit., p. 72.

(8) Un profilo dello sviluppo dei poteri temporali delle chiese vescovili venete in età carolingia e postcarolingia è tracciato in Castagnetti, Il Veneto cit., pp. 208-257.

(9) DD Berengario I, n. 82, 912 marzo 23.

(10) DD Berengario I, n. 101, ante dicembre 915. Cfr. Castagnetti, Il Veneto cit., p. 240-241.

riti in una circoscrizione pubblica, perdano addirittura il loro no- me e con questo la loro individualità e la possibilità di connotare il loro territorio, a vantaggio di una grossa curtis, che alla fine assume il nome proprio del distretto, e ne diviene il centro pub- blico. È il caso dei fines Wardestallenses, designazione del seco- lo IX che scompare nel secolo seguente, a vantaggio di quella di

curtis di Guastalla, che diviene il centro del territorio, fino a che

nel corso del secolo XI il termine curtis avrà assunto il valore territoriale di un distretto soggetto ad una giurisdizione signorile, incentrata sul castello omonimo (11); e con gli abitanti del castel- lo e dei borghi, all’inizio del secolo XII, i signori, subentrati ai Canossa, stringeranno patti, che ne riconosceranno l’ampia auto- nomia amministrativa (12).

Per la Saccisica, come per quasi tutte le signorie rurali che presero avvio nel periodo, i dati essenziali per comprendere il processo di formazione della signoria su tutto il distretto, sono, dunque, già presenti nei privilegi berengariani (13). La chiesa vescovile padovana, cui era stata concessa la giurisdizione sugli abitanti, uomini liberi ed arimanni, della vale di Solagna, pur non possedendone essa le terre, forse nemmeno grossi beni fondiari nella valle, ed era stata concessa [60] la facoltà di edificare ca- stelli su tutte le terre di proprietà, poté, con facilità relativa, e- stendere questi diritti anche sugli abitanti liberi che abitavano in zone già poste sotto la sua influenza, come la Saccisica, ove essa possedeva la grande curtis fiscale, con i diritti pubblici annessi,

placita e districtiones, rafforzando la signoria con una base mili-

tare quale il castello, sorto nel secolo X, per iniziativa probabile,

(11) Castagnetti, L’organizzazione cit., pp. 95 ss.; F. Roversi Monaco, La corte di Guastalla nell’alto medioevo, Bologna, 1995, pp. 55-62.

(12) A. Castagnetti, Le comunità rurali dalla soggezione signorile alla giurisdizione del comune cittadino, Verona, 1983, pp. 25-26; B. Andreolli, ‘Curtis-curia’. Casi di evoluzione pubblicistica dell’azienda curtense in area padana tra IX e XII secolo, in B. Andreolli, P. Bonacini, V. Fumagalli, M. Montanari, Territori pubblici rurali nell’Italia del Medioevo, «Proposte e ricerche», 31 (2/1993), pp. 42-43; Roversi Monaco, La corte cit., pp. 115- 121.

(13) H. Keller, Signori e vassalli nell’Italia delle città (secoli IX-XII), I ed. 1979, tr. ital. Torino, 1995, pp. 120-122.

pur se non certa, della chiesa vescovile (14), come sembra indi- care la menzione del gastaldo nell’anno 1005, che rinvia ad un ufficiale vescovile.

Il processo per cui presso la curtis si erige il castello e la cap- pella curtense o castrense diviene pieve, per quanto non sia un processo necessario, si presenta indubbiamente diffuso (15), an- che se poche volte siamo in grado di conoscerne tappe e modalità specifiche.

Nell’incertezza del processo specifico di affermazione della signoria sui liberi abitanti della zona, possiamo richiamare le vi- cende di un castello veronese, sorto nel territorio di un villaggio, nel quale è attestata la presenza degli arimanni nel secolo XI e poi fra XII e XIII secolo, in analogia, per questi aspetti, con le vicende degli arimanni della Saccisica.

[61] Il castello di San Vito, nella Valpolicella, era in possesso del monastero di S. Zeno all’inizio del secolo XI, come risulta da un privilegio di Enrico II (16). Nell’anno 1084 Enrico IV con- fermò la proprietà, con i pieni diritti giurisdizionali, donando ora anche gli uomini liberi conosciuti come arimanni, abitanti nel castello e nel suo territorio (17). Questo ci svela, da un lato, la presenza persistente, fino a quel momento, nel castello come nel (14) Cfr. sopra, t. c. note 15-21 di cap. II. Per il processo in generale che concerne lo sviluppo di nuclei di potere su base patrimoniale si vedano Fa- soli, Castelli e signorie rurali cit., pp. 53 ss.; G. Tabacco, La storia politica e sociale, in Storia d’Italia, a cura di R. Romano e C. Vivanti, II/1, Torino, 1974, pp. 84-88, p. 98; G. Sergi, Lo sviluppo signorile e l’inquadramento feudale, in N. Tranfaglia, M. Firpo (a cura di), La storia. I grandi problemi dal medioevo all’età contemporanea. Il Medioevo. II. Popoli e strutture politiche, Torino, 1986, pp. 377 ss.; C. Violante, La signoria rurale nel se- colo X. Proposte tipologiche, in Il secolo di ferro: mito e realtà del secolo X, voll. 2, Spoleto, 1991, I, pp. 347 ss. Anche Keller, Signori e vassalli cit., p. 129, sottolinea come nella maggior parte dei casi una curtis abbia costi- tuito la base di partenza per la formazione della signoria rurale. Da ultimo, C. Violante, La signoria rurale nel contesto storico dei secoli XI-XII, in Dilcher, Violante, Strutture e trasformazioni cit., pp. 45-47.

(15) Cfr. sopra, par. 2.2.

(16) DD Heinrici II, n. 309, 1014 maggio 21; cfr. Castagnetti, Il Veneto cit., pp. 236-237.

territorio, di abitanti non soggetti alla signoria abbaziale, ma di- rettamente all’autorità pubblica tradizionale, dall’altra, la rinun- cia da parte della stessa autorità pubblica a mantenere in condi- zione di piena libertà politica e in rapporto diretto con il Regno e i suoi ufficiali gli uomini liberi, particolarmente quelli fra loro, sui quali gravavano gli obblighi pubblici, forse perché dotati an- cora di basi economiche sufficienti a sostenerli: ché tale è il si- gnificato, come sappiamo, della qualifica di arimanno in questo periodo. L’abdicazione alle proprie prerogative da parte del pote- re regio sanciva l’evoluzione in atto delle strutture pubbliche ver- so forme signorili, conferendo il riconoscimento pieno alla signo- ria del monastero sugli abitanti liberi del castello e del distretto di San Vito.

Dalla metà del secolo XI si svolgono le vicende che, mentre attestano le ultime fasi di costituzione del potere signorile ad ope- ra della chiesa vescovile padovana, mostrano lo sforzo, antitetico, degli abitanti del distretto di mantenersi nelle condizioni antiche di autonomia amministrativa e piena libertà personale: dapprima essi ottengono da un privilegio di Enrico III dell’anno 1055 la limitazione dei poteri signorili del vescovo, mentre rimangono vincolati alla corresponsione del tributo in denaro e delle deci-

mae al fisco regio (18), vincolo che viene sciolto dal figlio Enri-

co IV con il privilegio dell’anno 1079, con il quale egli dona al vescovo anche il tributo spettante [62] al fisco (19); ne tratteremo più avanti, soffermandoci sulla questione degli arimanni di Sacco (20).

Questo secondo privilegio cadeva in un momento politico particolarmente difficile, essendo in atto il conflitto tra Impero e Papato (21). Nel Regno Italico la maggior parte dei vescovi, an-

(18) DD Heinrici III, n. 352.

(19) DD Heinrici IV, n. 312, 1079 luglio 23, Ratisbona.

(20) Cfr. sotto, par. 6.1; per ora, si veda Tabacco, I liberi cit., pp. 157- 160.

(21) C. Violante, L’età della riforma della chiesa in Italia (1002-1122), in Storia d’Italia, coordinata da N. Valeri, I, Torino, 1965, pp. 202-203; O. Capitani, Storia dell’Italia medievale, Bari, 1994, pp. 328-330.

zitutto quelli delle città della Marca Veronese, era rimasta schie- rata con Enrico IV (22). Per questo motivo, proprio nell’anno 1079 Gregorio VII tentò un’opera di mediazione. Mentre scomu- nicava, fra gli altri, l’arcivescovo di Milano e i vescovi di Bolo- gna e di Treviso, agì con moderazione nei confronti del patriarca di Aquileia; anzi, lo aggregò a due suoi legati inviati in Germa- nia, il cardinale Pietro e Odelrico, vescovo di Padova: nella pri- mavera essi giunsero a Ratisbona presso il re, ove il vescovo pa- dovano passò dalla parte imperiale (23), ottenendo dal re il privi- legio ora ricordato.

3.2. I primi accordi per lo sfruttamento dei beni comuni