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Aspetti geopolitici e geostrategici emergenti nel periodo post-bipolare

La crisi del Golfo del 1990-91 rappresentava uno dei maggiori conflitti combattuti sino a quel momento da Washington nel Medio Oriente, col fine di preservare il libero accesso alle risorse energetiche della regione. Nella valutazione statunitense, infatti, l’annessione del Kuwait da parte di Saddam Hussein avrebbe consentito all’Iraq non solo di saldare l’enorme debito accumulato per le spese militari connesse con la guerra contro l’Iran, ma anche di completare in pochi anni i propri programmi nucleari e missilistici, minacciando gli alleati regionali degli USA e modificando a proprio favore

146 questi eventi, tuttavia, non determinavano una altra crisi petrolifera. Le ragioni sono molteplici e possono essere individuate nella concomitante flessione della domanda da parte dei paesi occidentali, ascrivibile all’effetto combinato del particolare momento economico e, come anticipato, degli adeguamenti adottati dopo il 1973 nella diversificazione delle fonti di approvvigionamento petrolifero e nel contenimento del fabbisogno energetico associato ai processi produttivi. Infatti, mentre nel 1973 i paesi non produttori di petrolio rappresentavano il 70 % dei consumi mondiali, nel 1989 essi costituivano solo il 56 % della domanda complessiva. Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 59-62

il rapporto di forze nel Golfo. Di conseguenza, Baghdad sarebbe stata in grado da un lato di dominare l’OPEC e di condizionare l’andamento dei prezzi del greggio, dall’altro di attuare forme di deterrenza nucleare e missilistica tali da scoraggiare ogni ipotesi di intervento di Washington nella regione.

Come noto, i combattimenti vedevano il largo ricorso ad armi missilistiche sia da parte della coalizione a guida statunitense che da parte delle forze irakene. La guerra del 1991 evidenziava, fra l’altro, che geografia strategica della regione era cambiata.

Nel corso della guerra fredda, sia il Medio Oriente che l’Asia meridionale (incluso l’Afghanistan) erano state le arene principali della competizione fra le superpotenze. I confini meridionali dell’Unione Sovietica costituivano una delle linee del fronte del confronto Est-Ovest. Nei quarantacinque anni seguiti alla crisi iraniana del 1946, nella regione si sviluppava una competizione fra gli Stati filo-americani e filo-sovietici per ottenere aiuti militari e supporto dalle potenze di riferimento, con un profondo impatto sulle politiche infraregionali. I conflitti in Medio Oriente, originati a livello locale, erano diventati parte del confronto Est-Ovest ed era sempre immanente il rischio di un diretto coinvolgimento delle superpotenze nei combattimenti.147

Nel periodo post-bipolare, a livello geopolitico e geostrategico, le linee critiche nella regione possono essere più credibilmente individuate nella distinzione fra stati ‘radicali’ e ‘non-radicali’, autocratici o democratici. Anche questa situazione deve ritenersi temporanea e potrebbe cambiare in tempi anche rapidi. L’ipotesi di una alleanza russo-cinese che abbracci l’Iran è il tipo di incubo a cui pochi responsabili statunitensi desiderano pensare, ma esistono significative riflessioni circa questa possibilità in documenti russi. L’ipotesi potrebbe concretizzarsi nel caso in cui l’espansione della NATO verso Est (in termini territoriali e/o di schieramento avanzato di installazioni con implicazioni strategiche, come nel caso del TMD) continui ad avvicinarsi ai confini russi, accentuando la percezione di Mosca di un nuovo containment statunitense.148 Nonostante i numerosi cambiamenti, il Medio Oriente rimane una regione vitale del mondo per la permanente necessità di accedere alle sue risorse energetiche e di rendere sicuri le direttrici di esportazione ed il sistema di basi destinate alla loro protezione.

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talora in situazioni operative quantomeno singolari, come nel caso della nave statunitense ‘Liberty’, impegnata in attività di intelligence elettronica ed attaccata da aerei e motosiluranti israeliane nel giugno 1967 (dichiaratamente in quanto scambiata per una unità egiziana), con ingenti danni e numerose vittime fra l’equipaggio americano. Da: Bamford J., Body of Secret. Anatomy of the Ultra-Secret National Security

Agency, Random House Inc., New York, 2002, pp. 187-239

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In realtà, nel medio termine, quello che noi definiamo il ‘Greater Middle East’ e le sue risorse energetiche possono diventare il fulcro strategico e la posta in gioco nella emergente arena della politica mondiale. Approssimativamente il 70% delle risorse mondiali accertate di petrolio ed il 40% delle riserve accertate di gas naturale sono collocate all’interno di un’area ellissoidale compresa fra la Russia meridionale, il Kazakistan, l’Arabia Saudita e gli Emirati Arabi Uniti. Quest’area, che lega in un unico sistema geopolitico e geostrategico il Golfo Persico ed il Mar Caspio, definita anche ‘Strategic Energy Ellipse’149, sembra destinata a costituire un’area cruciale, almeno nel breve e medio periodo.

Questo per il crescente fabbisogno energetico dell’Asia, in particolare di Cina, India e paesi del Sud-Est asiatico, e per il fatto che questi paesi si troveranno a competere con l’Europa ed il Nord America per i rifornimenti energetici. Questo comporterà significanti cambiamenti nei modelli delle relazioni diplomatiche e di sicurezza che si sono sviluppate dopo la crisi energetica degli anni ’70 e la Guerra del Golfo del 1990-91. Almeno per i prossimi 50 anni, la crescente dipendenza dalle risorse energetiche del Medio Oriente avrà prevalente impatto sulle relazioni politiche ed economiche sia all'interno della regione, sia fra i paesi della regione ed il resto del mondo. È chiaro che il ‘Greater Middle East’ manterrà un elevato valore strategico, anche se non è ancora chiaro come si inserirà in un sistema internazionale in evoluzione: in ogni caso non vi è dubbio che continuerà ad essere fonte di ansietà sia per preoccupazioni energetiche sia per il problema della proliferazione degli armamenti.150

Con la sola eccezione della Corea del Nord, virtualmente tutte le preoccupazioni mondiali per la proliferazione delle armi di distruzione di massa si concentrano, infatti, nel Grande Medio Oriente, dove le rivalità sono particolarmente intense e storicamente radicate, i contenuti simbolici ed emotivi delle contese si sovrappongono spesso a quelli razionali, le distanze brevi, le alleanze improbabili ed i nemici contigui.

Questa è la regione dove è più alta l’eventualità che le armi di distruzione di massa vengano usate in guerra. E, in effetti, armi chimiche sono state massicciamente impiegate durante la guerra fra Iraq e Iran, come anche nella guerra fra Yemen del Nord ed Yemen del Sud, mentre, almeno nel breve termine, è difficile prevedere una svolta in questa inquietante tendenza.

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per maggiori approfondimenti, si veda: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 109-115, 137-153 150

Nella prospettiva geostrategica contemporanea, la centralità del Medio Oriente è stata ripetutamente confermata. Gli USA continuano ad avere interessi vitali nella regione, sia per quanto attiene la sopravvivenza di alleati locali, quali Israele, sia per negare ad ogni attore potenzialmente ostile il controllo delle risorse energetiche del Golfo Persico. Obiettivi che presuppongono significative capacità di power-projection nell’area ed il libero accesso alle basi avanzate ed ai punti di supporto nella regione, requisiti posti alla base della Revolution in Military Affairs (RMA) e della nuova postura strategica americana.151 Questa libera disponibilità può essere tuttavia minacciata, condizionata o resa impossibile dalla proliferazione di armamenti avanzati (vettori balistici e WMD) in dotazione a competitori o avversari regionali.

Dopo la dissoluzione dell’URSS, il controllo o il dominio del bacino del Caspio mantiene un’importanza centrale per la Russia, in quanto le assicura il controllo sui sistemi di esportazione del gas naturale e del petrolio qui estratti in larghi quantitativi. Le molteplici instabilità regionali rappresentano una fonte di costante rischio per la rete di oleodotti e gasdotti, anche considerando le controindicazioni geostrategiche di un eventuale schieramento di forze di sicurezza russe a protezione di queste arterie petrolifere.

Mosca, infatti, è pienamente consapevole che ogni iniziativa militare risveglierebbe timori e diffidenze storicamente consolidate nei confronti delle mire espansionistiche russe in direzione del Golfo Persico e dell’Oceano Indiano. Timori che, da parte statunitense, registravano un picco durante l’invasione dell’Afghanistan, quando il potenziale aereo sovietico risultava schierato a meno di 600 miglia dallo Stretto di Hortmuz.

Il crescente fabbisogno energetico della Cina alimenta l’interesse di Pechino per le risorse del Golfo Persico, fornendo chiavi di lettura per le molteplici iniziative, dirette ed indirette, che vengono condotte a tutto campo e che si caratterizzano per lo spiccato pragmatismo.

L’attivismo nella ricerca di basi navali conferma, in prospettiva, l’intendimento cinese di acquisire la capacità di proteggere le proprie vulnerabili linee di rifornimento

151 si veda, fra altri: Perry J. William (chairman), Schlesinger R James (vice-chairman), America’s Strategic

Posture, (The Final Report of the Congressional Commission on the Strategic Posture of the United States),

United States Institute of Peace Press, 2009, accessibile alla pagina Web: http://missilethreat.com/ (18.10.2009);

energetico, anche ricorrendo al dispiegamento nell’Oceano Indiano di proprie formazioni navali d’alto mare.152

Prospettiva che alimentava le preoccupazioni dell’India, unitamente a quelle suscitate dalla fornitura cinese di sistemi missilistici a medio raggio all’Arabia Saudita e dalla stretta cooperazione tecnologica (in campo nucleare e missilistico) col Pakistan.

L’insieme di queste problematiche contribuisce ad integrare l’insieme delle motivazioni che giustificano gli sforzi dell’India per dotarsi di sistemi missilistici a lungo raggio, i quali sono ritenuti l’unico mezzo in grado di fornire un credibile deterrente nei confronti di Pechino e degli altri competitori regionali.

Un cenno, infine, per ricordare come nell’area del ‘Greater Middle East’, oltre alle questioni legate alla supremazia regionale per il controllo delle risorse petrolifere, rimane particolarmente elevato il potenziale conflittuale legato allo sfruttamento delle risorse idriche, in particolare in corrispondenza del Nilo, del Giordano e del sistema Tigri-Eufrate. Un’altra importante risorsa idrica è rappresentata dagli impianti di dissalazione dei Paesi del Golfo, strutture strategicamente rilevanti, di considerevole estensione e particolarmente vulnerabili agli attacchi missilistici.

Analogamente, le persistenti controversie territoriali nella regione del Golfo riguardano sia l’importante area dello Shatt al-Arab, sia alcune importanti isole nel Golfo (occupate dall’Iran e rivendicate dagli Emirati) e nel Mar Rosso (occupate dall’Eritrea e rivendicate dallo Yemen). Il controllo della West Bank e delle alture del Golan determina importanti vantaggi sia sul piano tattico che strategico, anche considerando che nel Teatro arabo-israeliano le distanze sono tanto brevi da consentire ad unità militari modernamente equipaggiate di decidere le sorti di una guerra in un lasso temporale di alcune ore.153

Le molteplici conflittualità presenti nella macroregione, i contenziosi territoriali non presentano solo implicazioni politiche e militari, ma risultano aggravati dall’elevata carica simbolica delle località contese, che rivestono un importante significato religioso sia per l’ebraismo che per l’Islam, come anche per l’orgoglio nazionale iraniano,

152 la Cina intrattiene rapporti sempre più stretti con la Tailandia, anche in funzione dell’accesso ai numerosi porti che si affacciano sull’Oceano Indiano, a distanza relativamente breve ai pochi passaggi obbligati dell’arcipelago indonesiano, attraverso i quali fluiscono anche le importazioni petrolifere cinesi. Da: Kemp G., Harkavy R. E., 1997, op.cit., pp. 240, 246-247; Cheng D., The Chinese Navy’s Budding Overseas

Presence, in: “Web Memo”, Published by Heritage Foundation, No. 2752, January 11, 2010; accessibile alla

pagina Web: www.heritage.org/Research/AsiaandthePacific/wm2752 153

anche per questo, la leadership israeliana continua a considerare le armi nucleari e la tecnologia militare come strumenti fondamentali per garantire la propria sicurezza e sopravvivenza nei confronti di avversari che, a livello di retorica politica, ribadiscono ad ogni occasione l’obiettivo della ‘debellatio’ dello Stato di Israele, anche se sul piano pratico non sembrano ancora disporre dei mezzi per prevalere militarmente sulle IDF.

pakistano ed indiano. La componente emotiva dell’approccio geostrategico è acutizzata anche dall’esito ripetutamente negativo dei conflitti in cui sono rimasti coinvolti i paesi islamici.154